Un capitolo molto discorsivo, dedicato
completamente a Kumiko.
Spero possa piacervi e ho colto l’occasione
per introdurre nuovamente un personaggio scomparso da capitoli.
Buona lettura e lasciatemi una recensioncina.
Capitolo 27: Felicità
Pov Kumiko
Fu Naruto a svegliarmi quel giorno. Era passata una settimana
circa da quando ero tornata in quella che avrebbe dovuto essere la mia vera
casa.
Ora potevo dirlo
con certezza. Non era un sogno. Impossibile altrimenti che durasse così a
lungo. Inoltre, tutte le emozioni che provavo erano troppo intense perché potessero
essere partorite dalla mia mente.
Mio padre mi
blaterava qualcosa senza che lo stessi ad ascoltare. Ero troppo presa dai miei
pensieri e pare rendersi conto della mia distrazione, perché sospirando mi
disse di raggiungerlo in cucina quando fossi stata pronta.
La mia arrabbiatura
nei suoi confronti non era passata, sebbene Naruto
facesse di tutto
pur di starmi
simpatico e forse in un contesto diverso lo avrei anche adorato, ma gli davo la
colpa di quello che era successo.
Sei anni…sei anni buttati al vento cercando di piacere a un
uomo che non gli importava niente di me. Mi veniva una grande rabbia al solo
pensarci, mentre se fossi cresciuta qui in quell’ambiente meraviglioso,
probabilmente al mio vero padre sarei piaciuta così come ero, con pregi e
difetti.
La mamma era
tornata a lavorare e Naruto era andato agli
allenamenti con il suo team e noi figli rimanevamo o in casa o in giro per il
villaggio. Mi piacevano molto quelle uscite, mi sentivo libera, sebbene sapessi
che Kurama ci teneva sempre sotto controllo, non
facendosi sempre vedere. Erano ossessionati dal fatto che poteva capitarci
qualcosa.
Decidemmo di andare
al parco quel giorno. Era giornate estive quindi non c’era scuola. Sarebbe
cominciata fra qualche settimana, ma non sapevo cosa fare, se scegliere una
scuola per civili o l’accademia ninja. Mia sorella a quanto pare aveva già le
idee chiare…voleva essere una ninja.
Che stranezza è la
vita, a vederci sembra che fra le due, la più litigiosa sia io e che quindi
non mi farei problemi a buttarmi nella
mischia dei combattimenti. Invece, sebbene sapessi fare qual cosina, imparata
osservando Kabuto e mia sorella, combattere non mi
piaceva.
Ma una cosa che
amavo c’era. Adoravo disegnare. Quante volte mi sono rinchiusa nella mia stanza
impiastrare i pochi fogli che avevo, a volte arrivando a usare anche i muri. In
quel modo, scaricavo tutta la mia frustrazione e la rabbia che provavo e non mi
dispiaceva l’idea di intraprendere una carriera artistica. Una cosa mi seccava
alquanto. Se mia sorella si faceva uccidere in battaglia, morivo anche io e
viceversa. Due in una.
Non mi rassicurava
molto sta cosa e speravo sinceramente che esistesse un metodo per eliminare
questa possibilità, anche se probabilmente questo mio legame con Naho era stato per me un salvagente in questi anni, dato
che Kabuto non avrebbe avuto problemi a eliminarmi.
Pensavo a tutto
questo mentre stavo seduta sull’altalena del parco vicino casa. Mi piaceva il
vento nei capelli e quella frescura sul viso.
Mia sorella invece
preferiva giocare a nascondino con delle sue nuove amichette, mentre Akai e Daiki erano sulla sabbia a
giocare a costruire i due castelli.
Mi meravigliavo
sempre del bisogno che avevano l’uno dell’altro. Ok essere molto legati, ma mi
sembrava strano che non provassero mai il bisogno di stare separati.
Però il loro
momento di tranquillità finiva presto, perché gli altri bambini, inteneriti
dall’aspetto di Akai, lo circondavano accarezzandolo,
coccolandolo e tirandogli la coda e le
orecchie. Capitava talmente tanto spesso che un giorno, per liberarsi da quella
tortura, Akai si trasformò…un
secondo Daiki con i capelli rossi.
A mia madre prese
un infarto, pensando che suo figlio avesse combinato qualcosa di assurdo tanto
da colorarsi i capelli.
Akai però, a differenza
di Naho, non amava stare in quelle sembianze e appena
scappato pericolo, tornava a vestire i panni di cucciolo di volpe.
Un pomeriggio però
mi stancai di stare al parco giochi. Volevo disegnato e mi allontanai con il
mio quadernino viola. Me lo aveva regalato Naruto quando aveva scoperto che mi piaceva disegnare. Ammetto…era stato davvero carino, ma la mia diffidenza nei
suoi confronti non sparì con quel piccolo gesto, anche se cominciò a scemare.
Mi spostai in un
luogo più tranquillo e destino volle che capitassi accanto a un campo di
allenamento. Vi era un insegnante intento a indicare gli esercizi da fare ai
suoi allievi.
Mi incuriosii e mi
misi alla ricerca del campo di allenamento di Naruto.
Non ci misi molto a
trovarlo.
Stava ingaggiando
una lotta corpo a corpo con il figlio di Sasuke,
mentre la figlia di Shikamaru stava a guardare
annoiata.
Mio padre non
sembrava fare per niente fatica a parere i colpi del ragazzo e nel mentre gli
spiegava dove correggersi e dove invece agiva nel modo corretto.
Mi stupii. A casa
sembrava una persona diversa, era allegro, spensierato, quasi stupido e
svampito, sul lavoro invece, mantenendo quella nota di allegria, diventava professionale
e si capiva che quello che faceva gli piaceva.
Decisi di rimanere
lì a disegnare. Mi piaceva le posizioni che assumeva Fugaku
quando stava per attaccare e provai a rappresentarlo.
Quando lo scontro
finì, fu il turno di Shiori che si era appisolata
guardando le nuvole.
Lei era meno
interessante da disegnare, la trovavo poco invogliata a combattere. Se avesse
potuto, avrebbe continuato a dormire e mi o padre non si fece scappare una nota
di rimprovero per questo.
Mi guardai in giro
cercando qualcos’altro da disegnare e notai qualcuno che non avevo mai visto.
Mi sembrava quasi una ninfa dei boschi. Una ragazzina dai capelli chiari e
lunghi e occhi azzurri. Era molto bella e mi incuriosì il suo curiosare l’allenamento
di mio padre.
Mi avvicinai e si
spavento quando le rivolsi la parola.
“Ciao!” dissi
semplicemente.
“Oh c-ciao!” mi
guardò sbattendo le palpebre. Forse non si aspettava di vedere una bambina come
me in quel luogo.
“Tu chi sei?” le
chiesi. Aveva un bel nome “Merodi!”
“Io sono ehm…Rei, Kumiko…a seconda a chi
lo chiedi!” dissi alzando le spalle, infatti mia sorella continuava a chiamarmi
come era abituata e io non sempre rispondevo al nome Kumiko…ci
mettevo un po’ a capire che ero interpellata “Sono la figlia di Naruto!”
Mi guardò sorpresa.
“Ma…scusa se te lo chiedo, ma non eri stata rapita?”
Abbassai il capo “Lo
ero…fino alla settimana scorsa!”
Mi sorrise
dolcemente “Quindi il sensei è riuscito a trovarti,
sono felice per voi!”
Storsi il naso “Si,
ci ha messo solo sei anni!” dissi con
sarcasmo e a quanto pare se ne accorse.
“Sei anni sono
tanti, ma da quello che ho sentito, Naruto ha fatto i
salti mortali pur di trovarti. Ha smesso anche di insegnare fino a pochi mesi
prima di trovarti!”
Sussultai “Ma
sembra piacergli così tanto!”
Merodi annuì.
Spostai il mio
sguardo su mio padre. Aveva rinunciato a una cosa che amava per trovarmi. Aveva
dato maggiore importanza a me. Sentii una morsa al cuore…non
saprei dire se di tristezza o felicità…probabilmente la
seconda.
“Ma allora se ha
fatto tanto per cercarmi, perché non mi ha trovato prima. Insomma, secondo me
se si fosse dato così tanto da fare, mi avrebbe salvato anni fa o addirittura
impedito il mio rapimento!”.
Merodi scosse la testa “Non
so risponderti, io so poco del sensei, ma so che il
mondo è ingiusto e non sempre le cose vanno come vorremmo, ma di certo tuo
padre non ha voluto il tuo rapimento, ne ha voluto che il tuo ritrovamento
avvenisse così tardi. Non lo conosco bene come gli abitanti del villaggio, ma
per quel poco che sono stata con lui, lo posso affermare con certezza! Lo vedo
anche per quello che sta facendo per me!”
La guardai stranita.
“Cioè? Non mi pare
ti stia allenando, infatti mi domandavo che ci facevi qua. Se è il tuo sensei perché non sei là ad allenarti?”
“Non sono più una
sua allieva!” mi rispose con voce triste.
“Come?”
Mi sorrise
tristemente “Bhe diciamo che è accaduto una cosa
simile alla tua. Sono stata portata via da lui a causa del nove code e per
quanti sforzi stia facendo per riavermi con la sua squadra, non riesce a
riportarmi indietro!”
Guardai nuovamente Naruto, che in quel momento stava ridendo, vedendo Fugaku e Shiori bisticciare per una sciocchezza.
“Però a me non
sembra molto dispiaciuto. Non sembra senti la tua mancanza!”
Merodi scrollò le spalle “Che
cosa deve fare? Non può mica mettersi in un angolino a commiserarsi, deve
andare avanti, perché ci sono altre persone che dipendono da lui. Io non ci
sono, ma i miei compagni hanno tutto il diritto di continuare ad allenarsi per
diventare ninja, non credi?”
Ci pensai su “Si,
credo di si! Ma non ti fa rabbia?”
Merodi scosse la testa “Si,
ma non Naruto. Mi fa rabbia colui che ha portato a
tutto questo…mio padre senza pensare al male che ha
fatto!”
Guardai a terra e
bisbigliai “Quindi io dovrei avercela con Kabuto!”
“Hai detto
qualcosa?” mi chiese Merodi.
Scossi la testa e
sospirai. Poi improvvisamente mi sentii sollevare da terra da due forti mani.
Non mi aspettavo niente del genere e cominciai a scalciare, beccando qualcosa.
La presa si allentò
e girandomi vidi mio padre piegato a metà e dolorante, con dei goccioloni
enormi sugli occhi.
Capii che era stato
lui a prendermi, forse nel tentativo di prendermi in braccio e io agitandomi lo
avevo colpito nel suo punto debole.
“Kumiko, se non volevi altri fratelli, mi sa che ci sei
riuscita!” disse aprendo un occhio, ancora sofferente. Non capii cosa volesse dire…insomma che centrano altri fratelli?
“Ciao Merodi!” disse appena si fu ripreso “Dimmi che sei qua per
qualche buona notizia!”
La sua allieva
abbassò la testa e l’aria di mio padre si fece triste, ma ciò nonostante cercò
di rincuorare Merodi.
“Vedrai che prima o
poi tuo padre capirà, basta non arrendersi!” le disse facendole una carezza in
testa, proprio come aveva cercato di fare come me, per dimostrarmi il suo
affetto, sebbene non glielo avessi mai permesso.
“Sensei, dato che c’è Merodi, possiamo
fermarci qui? È da tempo che non passiamo più del tempo insieme!”
Lo vidi annuire per
poi chiedermi se mi volessi unire a loro.
Andammo a mangiare
in un localino carino e il pranzo fu veramente piacevole. Era la prima volta
che facevamo qualcosa solo io e lui, senza i miei fratelli intorno.
Ne fui felice.
Lo vedevo sempre
così legato a Naho, che nonostante le sue attenzioni,
temevo mi trovasse noiosa o non so come.
Mi sono dovuta
ricredere. Per tutti e tre i miei genitori, c’era spazio per tutti e forse
potevo davvero cominciare a stare più tranquilla, senza lottare per avere l’attenzione
di qualcuno.
Salutammo gli
allievi di mio padre e noi due, uno accanto all’altro, ci incamminammo verso
casa.
Alzai il mio
sguardo. Papà era alto, così alto che mi sembrava irraggiungibile, ma qualcosa
era alla mia portata. Allungai la mano e afferrando la sua, gliela strinsi,
aspettando che ricambiasse la presa, cosa che con sommo piacere non tardò.
Per la prima volta
potevo definirmi davvero felice.