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Autore: kay33    18/01/2013    2 recensioni
Ciao a tutti! Dopo essere arrivata a New York, Rose dovrà decidere cosa fare della sua vita...Jack è morto, ma qualcosa di lui è rimasto ;D
Se vi ho incuriosito e volete saperne di più leggete la storia :D
Pubblico in maniera piuttosto regolare, ma avviserò in caso di ritardi!
Baci
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caledon Hockley, Rosalinda Dewitt Bukater, Ruth Dewitt Bukater | Coppie: Jack Dawson/Rosalinda Dewitt Bukater
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero di nuovo a bordo del Titanic, e passeggiavo sul ponte di prima classe; tutto era in ordine, come prima del naufragio; indossavo un meraviglioso abito da giorno di seta beige, adornato da pizzo in tinta e nastri verde smeraldo. Mi hanno sempre detto che il verde mi dona, ed in quel momento mi sentivo una vera principessa. Ero in uno stato di pace assoluta, come mai prima di allora. Voltai la testa, e mi accorsi di Jack, appoggiato alla balaustra, vestito elegantemente, che mi tendeva la mano. Mi invitava ad andare a vedere il tramonto insieme a lui.
Il cielo era limpido, di un fantastico color rosato, con delle striature rosso fuoco; non si vedeva nemmeno una nuvola. In un angolino, pallida e trasparente, stava comparendo la Luna.  
Mi girai, e vidi che il ponte era deserto. “Dove sono tutti?” chiesi a Jack, ma lui non mi rispose; continuava a sorridermi.
Udii un rumore assordante, ed il cielo si fece buio in un attimo. Spaventata, e incapace di capire cosa stesse succedendo, strinsi la mano di Jack, e lo sentii sussurrare “Ti amo Rose, ti starò accanto sempre”.
 
Mi svegliai di soprassalto. Ero matida di sudore, e respiravo affannosamente. “Perfetto”, mi dissi, “un altro incubo”.
Da un paio di settimane mi tormentavano il sonno; continuavo a fare questi strani sogni, in cui ero felice con Jack, a volte disegnavamo, altre parlavamo e scherzavamo, altre ancora facevamo l’amore…quelli erano decisamente i miei preferiti… Poi, improvvisamente, accadeva qualcosa di brutto, che mi ricordava quella spaventosa notte, ed ero costretta a svegliarmi.
Cal dormiva pacifico accanto a me. Non si accorgeva mai quando avevo gli incubi, ma io preferivo così; nella migliore delle ipotesi mi avrebbe ignorato, altrimenti mi avrebbe preso in giro, dicendomi che non ero più una bambina e che non potevo farmi condizionare dai sogni.
Eravamo sposati da due settimane, ma avevamo consumato il matrimonio solo sei giorni fa. Non era stato cattivo con me, e non mi aveva fatto nemmeno male; la cosa che detestavo di lui era la sua indifferenza. Mi parlava a fatica, e sempre con tono annoiato, come se non gli interessasse dialogare con me: mi guardava solo distrattamente. Mi chiesi come mai avesse rinnovato la sua proposta di matrimonio, se non intendeva guardarmi, parlarmi o toccarmi…
Mi balenò nella mente l’idea di scappare, andarmene lontano da quell’albergo lussuoso, lontano da New York…Tanto a lui non sarei mancata di certo…
Accantonai l’idea come irrealizzabile.
 
Eravamo in viaggio di nozze a Washington, siccome io non ne volevo sapere di imbarcarmi di nuovo per l’Europa, nonostante le lamentele di mia madre e Cal “tutti vanno a trascorrere la luna di miele nel vecchio continente, cosa diranno i nostri amici?”. Non li volli ascoltare.
La città mi piacque; c’erano molti parchi, e il pomeriggio uscivo spesso a leggere, mentre Cal si incontrava in qualche club con vecchi amici. Aveva conoscenze ovunque.
 
Anche quel pomeriggio uscii, e mi diressi al mio solito posto, sotto un grande platano. Mi appoggiavo al suo grosso tronco, e la chioma mi faceva ombra. Avevo portato una coperta per non macchiarmi il vestito, ma nonostante questo, il mio comportamento non era molto consono; capitava spesso che qualche vecchia signora mi guardasse storto, o che qualche madre mi indicasse alla figlia, mostrandole “come non bisognava sedersi”. Mi veniva sempre da ridere a guardarle.
Cominciavo a sentirmi stanca e affaticata, e pensai che fosse colpa del Sole, che picchiava forte in quel pomeriggio di fine primavera; ebbi un giramento di testa, che mi fece perdere l’equilibrio. Un anziano signore dall’aria gentile mi si avvicinò e mi chiese se stessi bene; fu grazie a lui se non caddi stesa per terra, poiché un seconda fitta mi colpii, e mi si annebbiò lo sguardo.
 
Mi svegliai varie ore dopo in un letto d’ospedale. Ero in una stanzetta privata, con un unico letto, e tutto intorno a me era bianco: le pareti, le tende, il letto…Ci misi un attimo a mettere a fuoco, e vidi, in piedi accanto a me, Cal. Mi chiese freddamente come mi sentivo, ed in quel momento entrò il medico.
Era un uomo piuttosto giovane, con i capelli rossi e la carnagione molto chiara; a prima vista non sembrava avere tanta esperienza, ma quando parlò si dimostrò sicuro di sé e preparato nel suo mestiere.
Dopo una veloce presentazione, a cui Cal non parve interessato, passò subito alla descrizione dei miei sintomi. Avevo avuto emicranie, spossatezza ed ero svenuta. Mi aveva visitato, ed aveva scoperto che ero incinta! Disse che probabilmente ero tra le quattro e le sei settimane. Ce lo disse con tono allegro, pensando che una coppia di sposini sarebbe stata felice di saperlo; si congratulò prima con me e poi con Cal, che, per non perdere la faccia, rispose con un largo sorriso, ma che somigliava di più a uno dei suoi soliti ghigni.
 
Non ci potevo credere, questa era la notizia più bella che potessi ricevere! Una parte di Jack sarebbe stata sempre con me…chissà se il bambino avrebbe avuto i suoi occhi, o i suoi splendidi capelli…
Ero così impegnata a fantasticare che non mi accorsi che il medico era uscito. Cal mi fissava freddamente, ma non avevo intenzione di scusarmi; sapeva ciò che era successo tra me e Jack quella notte, avrebbe dovuto aspettarselo.
 
Quel che disse mi sorprese; “Sei mia moglie, Rose, e non ho intenzione di umiliarti. Ti terrò con me, così come terremo il bambino. Giurami solo che non racconterai mai la verità a nessuno”.
 
Acconsentii, anche perché in quel momento non avevo scelta; ero incinta e senza soldi, se avessi lasciato Cal mi sarei ritrovata senza casa e senza famiglia, poiché nemmeno mia madre mi avrebbe accolta. Decisi che un’eventuale fuga necessitava di tempo per essere organizzata, e prima avrei dovuto racimolare un po’ di soldi…magari avrei potuto vendere di nascosto qualche gioiello.
In ogni caso, avrei messo a punto il piano durante la gravidanza, per poi andarmene prima del parto.

Volevo che mio figlio sapesse chi era suo padre.
 
  
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