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Autore: lookafteryou_    19/01/2013    1 recensioni
Un pentagramma vuoto, che aspetta solo di essere riempito da piccole note musicali. Così è la vita di Alison, in attesa di trovare quei pezzi mancanti della sua canzone. Verranno scritte note insicure, altre sbagliate, alcune verranno spesso cancellate e riscritte per essere infine sostitute da altre note, indelebili e in armonia col resto del componimento. Alcune note potranno essere brevi, presentarsi una sola volta nell'intero pentagramma, stonare e portare sulla melodia sbagliata, oppure... oppure potrebbero venir scritte proprio quelle note mancanti per creare la perfetta armonia. E dove imparare a creare la propria musica, se non in una scuola di musica?
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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RULES.




Poteva andare peggio? La risposta mi fu data da un adorabile piccione che scelse proprio il mio trolley come toilette improvvisata, portando un originale sprazzo di colore alla valigia nera.  Un gesto molto carino da parte sua, devo dire. 
Augurando al mio nuovo “amico” volatile di non ritrovarsi ancora sulla mia strada, finii di scaricare l’intero carico di bagagli dall’auto di mio padre, senza degnare quest’ultimo di uno sguardo. In quel momento era la persona con cui meno desideravo parlare, ironia della sorte: era l’unico che conoscessi in quel giardino. 
Bloccata in un anonimo collegio dimenticato da Dio. Ecco dov’ero. E per giunta, era pure un’accademia musicale. Sapevo di aver passato il limite con l’ennesima espulsione, ma non credevo che mio padre potesse arrivare a tanto. Sapendo perfettamente che cosa significasse per me la musica, per giunta.
Trascinando i piedi scalino dopo scalino, oltrepassai la porta seguita dal mio “castigatore”, e in poco tempo mi ritrovai seduta al suo fianco all’interno di un’elegantissima presidenza.
Il tizio in giacca e cravatta seduto dal lato opposto del tavolo in legno massiccio lucido stava spolverando uno dei suoi diplomi, esposti sulla scrivania in bella vista, senza degnarci di uno sguardo. Fu quando mi decisi a tossire per attirare la sua attenzione, che alzò gli occhi dalle sue onorificenze per posarli su di noi.
Non lo avesse mai fatto. Si alzò in piedi di scatto dalla sedia imbottita per fiondarsi su mio padre.
 
“Oh cielo, ma lei non sarà per caso…? Non ci posso credere! La immaginavamo tutti quanti all’Estero nel pieno della sua carriera! Non può essere!”
 
L’uomo che fino a due minuti prima era sembrato imperturbabile, cominciò ad agitarsi peggio di un bambino davanti all’albero circondato di regali alla mattina di Natale. Avevo il terrore che un colpo di cuore lo potesse stendere al suolo da un momento all’altro. 
Ma probabilmente la sua vista era più a rischio del cuore. Perché altrimenti si sarebbe esaltato così tanto per aver visto mio padre? Doveva averlo confuso con qualcun altro, non poteva esserci altra spiegazione…

“Mi scusi, ci conosciamo?”
Ecco, come dicevo io. Mio padre a malapena conosce i nostri vicini di casa, i quali dubito si accorgerebbero di lui se non fosse per gli spettacoli che diamo spesso con le nostre litigate…
Ma il preside sconosciuto non si dava per vinto. Insisteva ancora. La troppa musica doveva avergli fatto male a livello celebrare.

“Ma sì che è lei! Parker! Jonathan Parker! Uno dei pianisti più promettenti di una ventina di anni fa! Assistetti persino ad una sua esibizione, venne giù il teatro da quel che ricordo! Oh, che onore! Ma cosa fa ora? Molti dicevano che se ne fosse andato all’estero a tentare il successo mondiale! Racconti su”
 
Avete presente quella sensazione di completo smarrimento che si provava da piccoli, quando t supermercato ti fermavi alla corsia dei giochi per un po’ troppo tempo, e appena ti voltavi non vedevi più la tua mamma? Ecco, più o meno mi sentivo così, una bambina ingenua assolutamente persa nell’apprendere quelle rivelazioni.
Di cosa stava farneticando, dunque, quel preside? Assolutamente niente. Le sue parole apparentemente senza senso, erano invece la pura realtà.
Quel giorno scoprii che mio padre era stato un famoso pianista ventenne, acclamato in ogni teatro inglese in cui aveva suonato. La sua carriera era iniziata a poco più di otto anni, quando già si esibiva per un grande pubblico pagante, e si era conclusa con il matrimonio con mia madre. Si era ritirato in un’anonima cittadina a qualche ora di strada da Londra, e lì aveva ricominciato una vita come semplice impiegato. Tutto chiaro, no? Aveva preferito l’amore al successo, e ora mandava me in questa scuola di amanti della musica per vivere il sogno che lui aveva lasciato scappare.
Non serve dire che venni accolta con tutti gli onori dal preside e dai vari professori, ero “la figlia di quel genio di Parker”.  Non avevo alcun talento musicale, ma tutti erano tremendamente entusiasti di accogliermi in qualunque tipo di corso insegnassero. Mi sentivo tanto una… com’è che si dice? Ah, eccola la parola! Una raccomandata.
Non parlai molto con mio padre prima che partisse, ero ancora sconvolta per le informazioni appena scoperte, e ancora più arrabbiata per avermi tenuta all’oscuro di tutto fino ad allora. Nonostante i miei nervi a fior di pelle, lo salutai con un lungo abbraccio e mi sfregai gli occhi lucidi, per non finire col piangere mentre lo guardavo uscire dal territorio della scuola.
 
Rimasta sola presi in mano l’enorme plico di fogli che mi era stato dato in presidenza e cominciai a sfogliarlo alla ricerca di un numero di piano e di stanza. Se dovevo star lì per l’intero anno seguente, tanto valeva cominciare subito ad adeguarsi.
PIANO 5, CAMERA 13B
Caricandomi la borsa in spalle e attraversai il lungo corridoio col rumoroso trolley al seguito. Notando le scale terribilmente lucide che mi aspettavano, decisi di optare per la salita in ascensore. Il mio equilibrio non è mai stato un granché, definirmi “imbranata” era poco in confronto a quello che realmente ero, e infatti cercavo sempre in tutti i modi di evitare di sfoggiare la mia goffaggine.
Mentre l’ascensore mi raggiungeva al piano terra ad una lentezza impressionante, mi dedicai alla lettura di alcuni dei volantini sui corsi musicali extrascolastici obbligatori. Senza accorgermene finii col pensare ad alta voce, scartando ogni possibilità senza alcun rimorso:
 
“Corso di oboe. No, direi proprio di no. Neanche so cos’è un oboe!
Corso di violino. Bello, ma finirei col romperlo facendolo scivolare dalla spalla.
Corso di arpa. Ma siamo nel medioevo o nel ventunesimo secolo? No.
Corso di danza. E fu così che si  ruppe una gamba. O entrambe.
Corso di piano. Ma neanche morta dopo oggi…”
 
Ero così presa dal disprezzare tutte quelle attività, che non mi resi conto di essere rimasta impalata di fronte alle porte spalancate dell’ascensore.
“Guarda se c’è un corso per scendere dalle nuvole, ti servirebbe.”

Chiunque avesse pronunciato quelle “divertentissime” parole, stava per ricevere gli insulti più indelicati mai detti da una ragazza. Subito alzai lo sguardo, pronta a sfogare la mia frustrazione per la situazione in cui mi trovavo da giorni sul malcapitato, ma non riuscii nemmeno ad emettere mezzo suono.
Se fossi la protagonista di un film d’amore, a questo punto vi dovrei descrivere la bellezza del ragazzo che mi ritrovai davanti, il suo sorriso, i suoi modi di fare dolci e attenti per cercare di conquistarmi… Ma no, sfortunatamente la mia vita non è stata diretta da un regista sentimentale, e non vincerà mai un Oscar, ne sono certa.
Tutto quello che riuscii a distinguere delle due figure  avvinghiate come piovre all’interno dell’ascensore, furono i lunghi capelli rosso ramato di lei, e le mani del ragazzo sui fianchi di lei. Non sono ancora certa di poter affermare con sicurezza se lei gli stesse mangiando la faccia o meno, la cosa certa era che non avevano intenzione di staccarsi a causa della mia presenza.
Salii a bordo dello scomodo ascensore e mi voltai dal lato opposto al loro, eravamo quasi arrivati al terzo piano, quando la rossa si voltò disgustata verso di me,  soffocando un grido.
 
“E… e quella macchia che cos’è? Amore, oddio, che schifo! Fammi scendere al terzo piano! Dio, che schifo!”
Subito il mio sguardo si posò sul mio trolley accuratamente decorato, e ringraziai quel piccione per aver previsto l’utilità della sua capatina al bagno.
Sfoggiando il mio sorriso più finto e odioso, spostai il trolley bene in vista, proprio davanti al suo naso.
“Oh, è cacca di piccione, senti! Profuma anche”
Altamente disgustata la ragazza si piombò fuori dall’ascensore senza salutare nemmeno il suo deluso amante, che la guardava come un cane privato della sua gallina di gomma. Anche se più di una gallina, quella mi era sembrata  un’oca.
Tutta soddisfatta della mia opera, me ne tornai nell’angolo dell’ascensore, sperando che il cagnolino seguisse la sua profondamente turbata anima gemella, ma non lo fece. Appena le porte si chiusero il ragazzo scoppiò a ridere come se avesse assistito alla scena più esilarante che potesse esistere.
“Avevo ragione allora, se ti ha colpito un bisogno di un piccione, devi proprio essere una frequentatrice assidua delle nuvole”
 
Strano ma vero, quel tipo mi aveva fatta sorridere con la sua battuta, regalandomi il primo sorriso di quella giornata.
Giunti al quinto piano scesi senza voltarmi dal lentissimo ascensore, e mi promisi che mai più l’avrei ripreso.
Vagai per un paio di minuti fra i vari corridoi di quell’enorme accademia. Doveva esserci una fine prima o poi, le stanze sembravano susseguirsi senza tregua, come se fossero illimitate, quando finalmente…
“Eccola! 13B, finalmente!”
 
Appena entrai nella camera un intenso profumo floreale mi inghiottì. Dove ero finita stavolta?
Bastò un’occhiata veloce in giro per la stanza per rendermi conto che avrei avuto una coinquilina. Coinquilina che probabilmente era la ragazza che mi si era inaspettatamente gettata collo in quell’istante.
 
“Tu devi essere la mia nuova compagna di stanza! Piacere, mi chiamo Hilary, ma tu puoi chiamarmi come vuoi! Devi essere Alison, giusto?”
Con la stessa velocità con cui mi si era fiondata addosso, si presentò e mi tese la mano. Quella ragazza metteva gioia al solo guardarla, in meno di tre secondi aveva deciso che saremmo diventate amiche, e chissà per quale motivo, io volevo assolutamente diventarlo.
 
“Accidenti, sei più informata di quanto mi aspettassi! Sì, esatto, sono io Alison, Alison Parker. Piacere!”
 
Mi presentai stringendo con decisione la mano che mi stava offrendo. Tutta entusiasta del mio arrivo, e decisa a scoprire ogni cosa di me, mi portò a sedere sul suo letto e mi tempestò di domande su qualunque argomento le saltasse in mente. In meno di quindici minuti, era riuscita a sapere più cose di me di quante non ne sapessero gli amici che avevo lasciato in città.
Ovviamente anche io le chiesi di sé, e ad ogni sua risposta la mia simpatia nei suoi confronti aumentava. Veniva da una zona di campagna molto lontana da lì, aveva la passione per il canto e il flauto traverso e frequentava il primo anno all’accademia. La sua famiglia era molto ricca, me lo disse senza troppi giri di parole, ma a quel che ero riuscita a capire, non badavano molto al lusso. 
Hilary era una forza della natura, avrebbe potuto raccontare a qualcuno la storia più triste del mondo, che sarebbe comunque riuscita a tirargli fuori un sorriso sincero. Ed era bella, bellissima. I capelli biondi e leggermente mossi alle punte, le volteggiavano leggeri appena sopra le spalle, facendo contrasto ai profondi occhi color nocciola, era molto bassa per la sua età, ma nonostante questo aveva una corporatura da far invidia.
Dopo qualche altra domanda riguardo i miei cibi preferiti, si alzò di scatto dal materasso lasciando il copriletto sgualcito, e di diresse al piccolo tavolino in entrata in cui avevo abbandonata il fascio di fogli dell’accademia. Con altrettanta velocità e grazia filò verso il suo zaino e ne estrasse una penna, poi tornò a sedersi al mio fianco, mentre  la guardavo con fare interrogativo.
Sfogliò i vari documenti fino a che non trovò quello che tanto la interessava: la lista delle regole dell’istituto.
Senza pensarci due volte scorse l’intero elenco fino ad arrivare alla fine, qui scrisse a penna un ultima regola:
 
36. Mai, MAI innamorarsi di Harry Styles
 
Fissai quella frase per mezzo secondo, per poi tornare a guardare la mia nuova amica,  più confusa di prima.
“E questa regola cosa dovrebbe essere? Io ho il ragazzo, te l’ho detto prima”
 
Hilary emise una piccola risata e poi mi guardò con fare saggio.
“dammi retta, ragazzo o no, tutte le ragazze di questa scuola sono a rischio di perdere la testa per Harry Styles. E non è mai un bene per loro quando succede”
 
Non riuscivo a capire dove volesse arrivare, non è esattamente la frase di benvenuto che si da ad una nuova arrivata. Ad una nuova studentessa di solito si dice “spero ti troverai bene”, non la si averte di non innamorarsi di uno sconosciuto.
Che poi chi era quel ragazzo?
“Hilary, perdona la mia ignoranza, ma chi è questo famigerato Styles?”
 
In quel momento qualcuno bussò alla nostra porta, sospettando fosse qualche prof venuto per me, mi alzai per andare ad abbassare la maniglia. Ma quello che mi si presentò davanti non fu esattamente quello che mi ero aspettata di trovare.
Direi che ora potrei anche soffermarmi per qualche minuto a parlare del suo aspetto fisico… Che parola potevo utilizzare definire quel ragazzo? Tentazione.
Nonostante fossi felicemente impegnata, l’esteriorità di quel tizio era di una bellezza assolutamente indescrivibile. Aveva dei lineamenti morbidi e leggermente più grandi del normale, le labbra avevano una forma che non avevo mai visto in vita mia, per definirle userei il termine “perfette”, e quando si erano distesero in un largo sorriso leggermente storto, rivelarono dei denti bianchissimi e dritti come pochi, i capelli erano un ammasso spettinato di ricci castano chiaro, che gli ricadevano sul volto in più punti. Ma il suo punto di forza erano sicuramente gli occhi, di un verde così intenso da far invidia ai prati londinesi durante la stagione primaverile. Era la perfezione fatta ragazzo, e di solito sono una  che non si sbilancia troppo sull’aspetto esteriore. Era innegabilmente bellissimo, ma non riuscivo a capire che tipo di carattere potesse esserci dietro a quel corpo che attirava così tanto l’attenzione. 
Prima che potessi formulare una frase con una costruzione logica, questo mi sventolò davanti uno dei fogli che stavo leggendo fino a poco prima di imbattermi nella coppia affiatata.
 
“Poco fa ti è caduto questo in ascensore, c’era scritto sopra il numero di camera e così te l’ho riportato. Dovresti 
 
tornare sulla terra ogni tanto, sai? Ora ho lezione, ci si vede in giro”
E così, come un miraggio nel bel mezzo del deserto, se ne andò camminando con fare svogliato lungo il corridoio del quinto piano. Ancora in difficoltà nel gestire i miei pensieri, butta l’occhio sul foglio che avevo in mano, una scritta in matita e in una calligrafia illeggibile, aveva aggiunto ai vari corsi musicali quello di chitarra.
Con estrema lentezza, chiusi la porta e mi ci appoggiai con la schiena. In meno di venti secondi, mi trovai di fronte Hilary con un’espressione indecifrabile.

“Quello era Harry Styles”
 
 

Sì, sto per andare a letto all'una di notte perchè mi ero presa bene a scrivere ahahah
non sono riuscita ad aspettare per pubblicare questo capitolo, così l'ho scritto  stanotte, domani lo rigaurderò per vedere eventuali correzioni da fare
Comunque, ci sono molte cose che si riveleranno nel corso della vicenda, fossi in voi non darei nulla per scontato
spero che la storia vi paiccia, e vi adorerei se mi lascaste qualche recensione :3 anche piccola piccola, o anche una critica, conta molto per me sapere cosa ne pensate
Ora vado a letto che domani ho verifica di matematica (yeee.) 
Buonanotte e grazie mille :)

   
 
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