Buonasera, sono tornata con il primo capitolo :)
Innanzitutto,
per la felicità di chi si lamentava, questo capitolo
è decisamente più lungo rispetto al prologo! Non
è lunghissimo in realtà, ma io e le cose lunghe
proprio non andiamo d'accordo.
Senza anticiparvi troppo, vi dico che in questo capitolo
inizierò a torturare Kagami-kun e... fateci l'abitudine,
vah. Più si va avanti, più problemi
avrà a comprendere i propri sentimenti. Però
è un bravo ragazzo, su.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito (Iria,
Emy
Kuran, susyko,
Gary
Hawkeye, Vitzi
e Rebychan)
e inserito la storia tra i Preferiti (Emy Kuran,
Mugiwara
no Marimo, Rota
e v_chan)
e le Seguite (BeyondTheLimit,
darkalexandra85,
EWILAN,
HaruHaru,
Iria,
La_Marie,
MingFu2,
MirakoKodomo,
Natsume,
Nihiliz,
Piccolo essere,
Rebychan,
Rika86,
Vitzi
e Wrong
- oddio, siete 15
persone!), e ovviamente ringrazio anche chi ha letto solamente,
è gratificante vedere un numero alto nel contatore delle
visite (ma anche quello delle recensioni e dei preferiti/seguite)!
<3
Detto questo, vi auguro buona lettura! <3
►Kuroko No Basket © Tadatoshi Fujimaki.
«Taiga,
ti consiglio di non farlo.
Non sposare quella ragazza.»
«Perché? Io la amo e lei mi ricambia...»
«Ne sei sicuro? Sinceramente, non credo ti ami davvero.
Tsubaki-san sta
cercando di cambiarti, e non certo in meglio. Non ti riconosco
più.»
«Non sto affatto cambiando, Tatsuya. Smettila di
preoccuparti, non sei mia
madre. E neanche mio fratello maggiore.»
«Poi non dire che non ti avevo avvertito.»
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Il
trillo del campanello annunciò il loro
arrivo nella grande villa in cui viveva Himuro, pochi attimi dopo la
porta
venne aperta e Kagami si trovò a dover piegare il collo
verso l'alto per
introdursi al gigantesco ragazzo che aveva davanti.
Due metri e otto centimetri di infantilismo e cocciutaggine, con in
mano un
ovvio pacchetto di patatine alla paprika dolce.
«Tatsuya
mi ha detto che potevo venire,
quindi...»
«Oh, già, Muro-chin ha detto che ti sei lasciato
con la ragazza o una cosa del
genere... entra pure, Ka-chin.»
Nonostante
fossero passati ormai diversi anni
da quando Tatsuya e Atsushi si erano messi insieme e di conseguenza
aveva
deciso di entrare in buoni rapporti con quest ultimo, Kagami rimaneva
sempre
un po' sorpreso nel sentire quel "Ka-chin" con cui ormai era stato
ufficialmente soprannominato.
«Mizu-chin,
vuoi una patatina?»
Ecco
un'altra cosa a cui non si sarebbe mai
abituato.
Murasakibara aveva l'aria infantile e costantemente seccata, ma con i
bambini
era davvero bravo. Diventava simpatico addirittura.
“Probabilmente
si trova bene con gente la cui età
biologica corrisponde alla propria età
intellettuale”
era stato il primo pensiero di Taiga a riguardo.
Il
bimbo, che fino ad allora stava
accoccolato al petto del padre, si sporse leggermente verso il
pacchetto
colorato.
«Grazie
mille, Atsushi-san.»
Era
strano sentire parlare Mizu Kagami.
Aveva una voce dolce e sottile, davvero delicata. Era appena udibile,
gentile
ed educato, tranquillo con appena una nota di timore quando parlava con
una
persona molto più imponente di lui o qualcosa lo spaventava
particolarmente.
Dopo
avergli sorriso e accarezzato una
guancia, l'ex giocatore dello Yosen si rivolse alla bambina che
affiancava
Taiga tenendolo per mano.
«Tu
invece preferisci la cioccolata, vero Pikari?
Tieni, questa l'ho presa apposta
per te.»
Si
abbassò al livello della bimba e gli porse
una barretta di cioccolato bianco, che aveva scoperto qualche mese
prima essere
molto apprezzato dalla simpatica testolina rossa.
Poi
tornò a Taiga, facendogli cenno di
trovare una scusa per allontanare i più piccoli. Doveva
parlargli.
«Hikari,
Mizu, perché non andate di sopra a
vedere le vostre stanze? Sono sicuro che Atsushi ve le ha
già preparate!»
Grazie
al tono allegro che aveva usato non
destò alcun sospetto ai piccoli, che corsero verso le scale
appena ricevettero
le indicazioni necessarie per raggiungere le camere in cui avrebbero
alloggiato.
Appena
rimasti soli, Kagami non tardò a
rivolgersi al suo coetaneo.
«Siamo
soli. Che devi dirmi, Murasakibara?»
«Perché sei tornato in Giappone? Per allontanarti
dalla vipera bastava
cacciarla di casa, no?»
Aveva
un tono severo, assolutamente lontano
dal suo solito atteggiamento. Era
preoccupato per lui?
«È
pur sempre la madre dei miei figli, non
sono così stronzo da lasciarla di punto in bianco senza un
tetto sulla testa.»
«Ma non hai risposto alla mia domanda: perché sei
tornato in Giappone invece di
restare in America?»
Taiga
non sapeva che rispondere. “Me ne
torno in Giappone” era stato il
suo primo pensiero nel momento in cui aveva deciso di divorziare, non
si era
chiesto neanche lui perché volesse tornare lì.
Lo diceva il suo cuore, e lui agiva sempre d'istinto, seguendolo.
«Perché
sentivo di doverlo fare.»
Murasakibara
lo guardò storto, non capendo
pienamente quelle parole. Kagami lo notò, ma non sapeva
proprio come spiegare
ciò che voleva dire.
«C'entra
per caso il fatto che in Giappone ci
sia Kuro-chin? Ieri mattina dopo la
tua telefonata Muro-chin l'ha ipotizzato.»
Non
sapeva perché, ma quel “Kuro-chin”
gli fece sentire qualcosa
dentro, precisamente una dolorosa fitta al cuore.
Kuroko che c'entrava in tutto quello?
Lui non aveva assolutamente sentito l'impulso di tornare in Giappone
per
rivederlo, proprio no!
O forse sì?
No, non poteva proprio essere.
O almeno, Kagami cercava di convincersi in ogni modo che non fosse
così. Per
fortuna aveva davanti Murasakibara e non Himuro, il ventiquattrenne
avrebbe
sicuramente capito quale tempesta di quesiti senza risposta e
sentimenti
contrastanti stava attraversando la mente del rosso in quell'istante.
«Comunque
non mi importa, se hai deciso di
tornare hai i tuoi motivi e non devo mica farmi i fatti tuoi... tanto a
quello
ci pensa Muro-chin. La tua stanza è al primo piano, seconda
porta a sinistra,
subito dopo il bagno. Quelle di Mizu-chin e Pikari sono vicine alla
tua. Buon
riposo, Ka-chin!~»
Dopo
aver insidiato il dubbio in Kagami,
l'aveva liquidato come nulla per andare a svaccarsi sul grande divano
del
soggiorno, davanti alla tv, in compagnia di ogni tipo di schifezza
reperibile a
Tokyo e dintorni.
“Certo
che è un tipo strano.”
Taiga
non poté che prendere le valigie che
aveva appoggiato precedentemente a terra e dirigersi verso la stanza
indicata,
non senza gettare una fugace occhiata nelle stanze dei suoi bambini per
trovarli addormentati sul loro letto con ancora tutti i vestiti addosso
per la
stanchezza. Dodici ore di viaggio erano pesanti per chiunque,
figuriamoci per
due bambini piccoli.
Gettati
i borsoni in un angolo si gettò sul
letto anche lui, senza però riuscire a chiudere occhio.
Stava
pensando a Tetsuya, non riusciva a
levarselo dalla testa.
Ricordava
di aver avuto lo stesso problema
quando si era fidanzato con Kinoko: per logica sarebbe dovuta essere
lei il
centro di tutti i suoi pensieri, invece non poteva fare a meno di
pensare al
proprio compagno di squadra, in ogni istante della giornata.
A quei tempi la prese molto alla leggera, era assolutamente convinto di
amare
la sua fidanzata sopra ogni altra cosa, che il problema potesse essere
risolto
semplicemente vedendo di meno Kuroko. Fu anche per questo che quando la
ragazza
gli chiese di trasferirsi a Los Angeles, perché a lei il
Giappone proprio non
piaceva, acconsentì subito.
E
in effetti il problema sembrava risolto,
aveva smesso di pensare al ragazzo dai capelli azzurri e si era
sposato. Aveva
anche avuto una figlia poco tempo dopo, tutto andava per il meglio.
Poi nacque Mizu, e il problema si ripresentò appena questi
fu in grado di
mostrare qualche tratto della propria personalità.
Tranquillo, riflessivo,
quasi invisibile ai propri coetanei. Il collegamento con lui
fu
inevitabile.
E ora il suo istinto lo portava in Giappone appena firmate le carte del
divorzio.
E
tutto gli sembrava fin troppo giusto.
«Taiga?»
Una
voce irruppe nel silenzio della stanza,
destando il ragazzo in questione che era perso nei propri pensieri
ormai da
qualche ora. Questi si sedette quindi sul letto, invitando l'altro a
entrare.
«Scommetto
che sei qui per farti i fatti
miei, Murasakibara mi aveva avvertito.»
Sospirò,
rassegnato. Non si sentiva pronto ad
affrontare la situazione, ma sapeva che Himuro non l'avrebbe
risparmiato per
questo.
«Non
proprio. Sono qui solo per avere una
conferma di ciò che ho cercato di farti capire per
anni.»
Aveva
il tono seccato di chi ha ripetuto lo
stesso discorso per decine di volte senza che il proprio interlocutore
sia riuscito
a capirci una parola.
Sembrava un po' una presa per i fondelli, ma Kagami cercò di
non farci caso.
«Di
cosa si tratterebbe?»
«Del fatto che tu non abbia mai amato Tsubaki,
ovviamente.»
«Ma che stai-»
«Eri innamorato di un'altra persona e lo sei
tuttora.»
Definirlo
sconcertato era riduttivo. Era
stato sposato con quella ragazza, l'aveva sicuramente amata!
«Non
dico che tu non abbia provato nulla per
lei, ma non era amore. Il vero amore ce l'avevi sotto il naso e non sei
riuscito a vederlo nonostante tutto.»
Parlava
come se fosse certo di tutto ciò da anni e non
fosse mai riuscito a dirlo, e forse era davvero così.
«E
chi sarebbe?»
Gli
era venuto naturale chiederlo, perché se
Tatsuya credeva ciò che aveva appena detto aveva sicuramente
un nome da dire.
«Questo
non te lo dico, anche perché se ci
pensi bene riuscirai a risponderti da solo.»
E
se n'era andato, esattamente come aveva
fatto il suo ragazzo qualche ora prima.
Avevano intenzione di farlo impazzire con tutte quelle domande senza
risposta
che lo stavano spingendo a porsi.