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Autore: Coke and Coffee    09/08/2007    1 recensioni
- TRATTO DA DUE STORIE VERE - I pensieri, i sogni, le paure, le speranze di due amici tanto diversi e tanto simili: il primo, gay innamorato di un etero. La seconda, ancora innamorata follemente del suo ex.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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COKE, MILK, COFFEE AND LIME

COKE, MILK, COFFEE AND LIME.

 

COKE&MILK: COSÌ SBAGLIATO!”

 

Quando me ne accorsi pensai: “Io sono sbagliato. La mia vita è sbagliata. Così sbagliata!”.

 

Mi chiamo Coke, ho 17 anni. Sono gay. Anzi, a dire il vero sono omosessuale. Trovo che tra le due parole ci sia una sottile sfumatura. I gay sono orgogliosi di esserlo. L’origine stessa della parola significa “felice”. Io non sono felice.

 

Non sono felice sia per colpa mia, che per merito suo (Non ho voluto dire “colpa sua” perché, in fin dei conti, lui non ne ha colpa). Colpa mia perché mi vergogno di essere così. Li invidio i gay. Sono felici di quello che sono. Io, invece, sono un codardo. Ma cercate di capirmi! Ho sentito di persone della mia stesse età, nella mia stessa situazione, che si sono volute suicidare pur di andarsene dall’atmosfera omofobica dove vivevano. E questa atmosfera è sempre presente. Quante volte mi è capitato, dato che fingo di essere etero, di insultare insieme agli altri quelli che, anche se nessuno lo sa, sono come me. Lo so che è una cosa brutta. Ma cercate di capirmi! Io ho paura. Paura della vergogna. Vergogna di essere così diverso. Così sbagliato.

 

L’altro motivo per il quale non sono felice è il fatto che mi sono innamorato. Innamorato di chi non potrà mai stare con me. Innamorato di chi non potrà mai provare ciò che provo io per lui. Innamorato di un etero.

 

Ho conosciuto Milk quando avevo 14 anni. Andavamo allo stesso liceo, stessa classe, e quello era il nostro primo anno. A quei tempi non ero ancora omosessuale, diciamo che ero un triste etero. Non mi stava tanto simpatico e non ci parlavo molto. È una cosa che tuttora rimpiango. È per questa ragione che reputo la mia situazione un vero innamoramento. Per la ragione che io, all’inizio, non lo sopportavo. Mi stava sempre appresso, mi seguiva, parlava con me di stupidaggini, mi faceva quei piccoli innocenti scherzi per attirare la mia attenzione (o almeno, questo è quello sembrava a me). E poi, invece…

 

Uno dei primi giorni di novembre mi venne qualche linea di febbre così stetti a casa per un giorno. Quel giorno, mi ricordo benissimo, chiamai un mio compagno per farmi dire cosa avessero fatto a scuola. Lui mi disse che la nostra professoressa aveva cambiato la nostra posizione nella classe e io dovevo da quel giorno sedermi vicino a Milk. Ricordo che non ne fui affatto felice, mentre ora pagherei per potermi sedere vicino a lui ogni giorno. Il giorno dopo tornai a scuola. Mi feci dire quale fosse il mio posto e mi sedetti. Qualche minuto dopo arrivò anche lui e si sedette vicino a me. Iniziò subito ad infastidirmi. Era… troppo gioioso per me. Ma con il passare dei giorni questa gioia che tanto mi irritava, non faceva altro che farmi sorridere. Lo guardavo e sorridevo. La sua ingenuità e intelligenza. La sua purezza e bontà. La sua felicità e spensieratezza. Furono queste cose a farmi innamorare di lui. Lo invidiavo, ma non era un’invidia cattiva. Ero così contento per lui che fosse felice. E un po’ questa spensieratezza era contagiosa. Quelli furono i giorni più sereni della mia vita.

 

Eppure… Ancora oggi non capisco perché. Mi invitava a vederlo giocare a calcio e io dicevo di no. Mi chiedeva se poteva venire a casa mia, e io inventavo qualche scusa. Oggi odio me stesso per non essere andato a vederlo giocare. Per non averlo portato a casa mia. Perché? Perché gli dissi di no? Non ricordo cosa provavo. Forse perché avevo paura. Paura di quello che stavo iniziando a provare. Sapevo che tutto questo era sbagliato e allora forse cercai inutilmente di reprimerlo. Una parte di me avrebbe voluto non conoscerlo mai. Un’altra parte, invece, vorrebbe rimanere innamorata timidamente di lui per sempre. Ad amare si sta sempre bene, anche se solo pochissimo.

 

I miei giorni più sereni finirono perché andavo male in matematica. Vi chiederete cose centrino queste cose. Centrano perché, per questa ragione, mio padre andò a parlare con la mia professoressa di matematica della mia situazione, e decise con lei di spostarmi di posto per mettermi in un banco più vicino alla cattedra. E così successe. Un paio di mesi prima della fine della scuola me ne dovetti andare da lui. Così. Senza preavviso. Non saprò mai come sarebbero andate le cose se fossi rimasto vicino a lui fino alla fine del primo anno scolastico. Probabilmente non sarebbe cambiato niente. Forse questo avrebbe solo accelerato il mio innamoramento. So che ancora non ho perdonato mio padre per questo ignaro torto. Mi fa i discorsi preparati la notte prima sulle ragazze e poi, senza saperlo, spegne i giorni più sereni della mia vita.

 

Anche se sapevo che tutte le cose belle prima o poi devono finire, non avrei mai voluto fossero finite così. Iniziate in un modo così sbagliato, e finite nello stesso modo.

  
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