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Autore: Charlize_Rei    27/07/2004    3 recensioni
Bellatrix Lestrange... quasi tredici anni rinchiusa nella prigione di Azkaban... Una mente forse rifugiatasi nella follia. L'adorazione incondizionata per il Signore Oscuro, affamato di potere e, soprattutto, di anime... fino a quando l'incontro con colui che tutti i Mangiamorte considerano il Traditore cambierà radicalmente le vite di molte persone, innescando una serie imprevedibile di eventi che trascineranno il mondo magico in una Seconda Guerra, il cui esito dipenderà sia dalle scelte fatte sia, in eugual misura, da quelle non fatte. Le carte si mescoleranno, la parete che separa i nemici dagli amici si farà sempre più sottile. E mentre Voldemort si avvicina all'immortalità, c'è chi lotta senza sosta per impedire l'inizio della fine.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Luna Lovegood, Remus Lupin, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Disclaimer: Bellatrix Lestrange e gli altri personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J

Disclaimer: Bellatrix Lestrange e gli altri personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J.K. Rowling e di editori come Bloomsbury, Bros, Salani. Nessuna violazione del copyright si ritiene pertanto intesa.

 

Dedico il capitolo a Ida59, Dona86, Utsuchan, , Nachan, Amechan, Federico, Gwillion&Mac, Galadwen, Shocking_ Eve, Mirtilla, Amarantha-Priscilla, Animagus88, Fleacartasi, Fuffi, Lilychang e ancora Eryn, Zelgadiss, Eliopodo, The Auror, Bellatrix_Black e tutti i Malandrini della Mappa…( come al solito spero di non aver dimenticato nessuno, anche se la mia memoria tende a fare un po’ acqua… modello scolapasta, actually.) Volevo inoltre dedicare un pensiero di affetto ed una preghiera a tutti i Madrileni vittime dell’attentato dell’11 marzo  e ricordare che la Pace è l’anima del mondo…senza di essa non ci sarà vita.

Te quiero, Madrid.

Charlie.

 

 

« Presto c’immergeremo nelle fredde tenebre;

addio, vivida luce di estati troppo corte!

Sento già cadere con un battito funebre

la legna che rintrona sul selciato delle corti.

 

Tutto l’inverno in me s’appresta a rientrare;

ira, odio, brividi, orrore duro e forzato

lavoro e, come il sole nel suo inferno polare

il cuore non sarà più che un blocco rosso e ghiacciato.

 

Rabbrividendo ascolto ogni ceppo che crolla;

non ha echi più sordi l’alzarsi di un patibolo.

Il mio spirito è simile alla torre che barcolla

ai colpi dell’ariete instancabile e massiccio. »

 

Charles Baudelaire, da “Canto d’autunno, Les Fleurs du Mal

 

Alea iacta est

- Il dado è tratto -

 

- Mi raccomando, infilate i guanti in pelle di drago prima di maneggiare l’Asfodelo, molte piante sono circondate dalle ortiche. Potreste procurarvi fastidiose irritazioni – concluse con voce gentile e decisa la professoressa Sprout, facendo scorrere lo sguardo attento sui visi chini dei ragazzi del sesto anno. – Dovreste ormai sapere bene che l’Asfodelo, con le sue radici, è un ingrediente fondamentale per la preparazione di molte pozioni – aggiunse dopo qualche momento, osservando il lavoro meticoloso di una ragazza Serpeverde intenta ad estrarre le radici da uno dei larghi vasi popolati di ortiche, quasi alla fine della serra numero due. Accanto a lei, un alto ragazzo biondo puliva distrattamente le radici dal terriccio con un pennello a setole scure, gettandole poi in uno stretto contenitore di vetro. Le sue mani lunghe e affusolate riuscivano a conservare il loro fascino aristocratico nonostante fossero brunite dalla terra, trattando i tozzi tuberi quasi con una punta di disprezzo ed altezzoso disappunto. La luce polverosa del sole invernale gli lambiva appena il capo, animando alcune ciocche chiarissime di bagliori argentei.

La ragazza china vicino a lui sembrava parlargli senza curarsi se lui fosse attento alle parole che lei gli stava dicendo. Aveva i lunghi capelli castano chiaro raccolti in una treccia spessa che si gettava continuamente dietro la schiena, aiutandosi con le spalle. Alcuni ciuffi ribelli erano però riusciti a sfuggire ed ora le cadevano davanti alle orecchie, arricciandosi quel poco che bastava a conferirle un’aria da fanciulla, che contrastava con l’inaspettata profondità che i suoi occhi nocciola possedevano. Anche il suo corpo, celato in gran parte dall’ampia cappa che gli studenti utilizzavano nelle ore di Erbologia, sembrava essere una contraddizione affascinante: magro, quasi ossuto a livello delle ginocchia, assumeva poi la morbidezza delle linee femminili lungo i fianchi e la parte alta del torace, senza però privare l’insieme di quella componente immatura, nervosa, quasi acerba, che tracciava le linee essenziali della sua persona e del viso ovale. La bocca piccola, poco più scura del resto della pelle, si muoveva in continuazione, articolando parole, frasi, periodi incomprensibili nel brusio generale che aveva invaso lo stretto ambiente, espandendosi fino al soffitto di vetro opaco.

L’attenzione dell’insegnante di Erbologia si spostò poi su altri due Serpeverde, alti e corpulenti, che al momento stavano discutendo in modo abbastanza acceso con due ragazze Corvonero.

Draco Malfoy notò a stento che la professoressa Sprout aveva alzato la voce contro Crabbe e Goyle, nell’intento di placare l’animosità dei due. Non poté comunque trattenersi dall’arricciare le labbra sottili in una smorfia di scherno… riuscire a far ragionare quei due ammassi di muscoli era impossibile quanto bloccare lo scorrere del giorno. O quanto zittire Pansy Parkinson, che imperterrita continuava a chiacchierare sull’imminente Ballo del Ceppo che quest’anno si sarebbe tenuto subito dopo Natale. Sapeva quello che la ragazza desiderava: essere invitata da lui, ancora una volta, così come era successo due anni prima… o quasi. La verità era che durante il quarto anno lei si era autocandidata come sua dama senza che lui potesse dire o fare nulla per impedirglielo. In fin dei conti non gli era importato molto, anzi… aveva lasciato scivolare su di sé l’allegria ed il generale buonumore che aveva riempito la Sala Grande quella sera, rimanendovi indifferente.

Restando estraneo.

Pansy sarebbe stata accanto a lui anche quella volta, non aveva da preoccuparsi di nulla. In fondo quasi tutti a Hogwarts li consideravano ormai una coppia, anche se non si erano scambiati neanche una carezza, un gesto d’affetto.

Aveva deciso che non gli importava.

La verità era che non sapeva se egli stesso fosse capace di gesti d’affetto.

Lo era mai stato?

Forse… forse si, da piccolo.

Tutte le volte che si era rifugiato nel lettone matrimoniale, tra le braccia di sua madre, durante quelle notti in cui suo padre era assente dal Malfoy Manor.

Tutte le volte che aveva asciugato le sue lacrime contro la seta color crema della camicia da notte di Narcissa, mentre lei lo cullava mormorandogli parole senza senso, ma dalla melodia bellissima.

Tutte le volte che aveva sentito le guance sfiorate dai morbidi capelli d’oro di sua madre e la fronte rinfrescata da un bacio lieve posato a fior di labbra dalla bocca soffice di lei.

Tutte le volte che lei gli aveva posato una mano tra i capelli, accarezzandogli la testa pallida mentre una breve e cristallina risata gli sfiorava le orecchie… il riso di sua madre, qualcosa che aveva sigillato nella memoria per poterlo sentire e risentire ad anni di distanza, senza che nessuno lo schernisse per questo… senza che suo padre gli dicesse che non era quello il comportamento di un vero Malfoy.

 

Malfoy

 

Un nome che amava ed odiava. Il suo privilegio, la maledizione che gli ingabbiava il destino.

- Draco? – la voce acuta, ma non irritante di Pansy lo strappò dalle sue inconsuete riflessioni. Il sedicenne sbatté le palpebre un paio di volte, stupito di vedere sul volto della ragazza un’espressione sconcertata.

- Che vuoi? – sbottò, pur senza volerlo.

- Ma non hai sentito? La Sprout ha detto che hai una visita! Non so chi ti stia aspettando davanti all’ingresso principale, non ho capito bene. Ma tu muoviti! -

Draco guardò Pansy come se la stesse vedendo per la prima volta.

Una visita…

Aveva una visita! Di sicuro non era suo padre, o il Castello sarebbe stato invaso dagli Auror, pensò sarcasticamente. Poteva essere solo lei

Si girò ed i suoi occhi smarriti notarono la professoressa che stava gesticolando indirizzandosi a  lui, invitandolo ad avvicinarsi verso l’uscita. Quasi incespicando nei suoi stessi passi, Draco si diresse da quella parte, pulendosi le dita sporche di terra sulla cappa verdognola che proteggeva la sua divisa.

- Signor Malfoy, venga, la stanno aspettando – esordì l’insegnante, facendogli segno di levarsi l’incerata da lavoro. Lui quasi se la strappò di dosso, restando in divisa.

- Chi è, sa dirmelo? – chiese, non senza ansia nella voce.

- Non ne sono certa, ma credo di aver riconosciuto sua madre – replicò la donna in modo almeno all’apparenza cordiale – Si sbrighi, la troverà all’ingresso. - 

 

……………………………………………………

 

- Ooh, posso prenderne uno? – esclamò all’improvviso Luna Lovegood con voce sognante, vedendo un gruppetto di bicchieri ricolmi di un curioso liquido porpora sull’ampia scrivania nell’ufficio circolare di Dumbledore.

- Certo, miss Lovegood, sono lì apposta per lei! Succo di ribes con cipollina, vero? – asserì gentilmente Dumbledore, inclinando la testa da un lato, gli occhi azzurri e tersi fissi in quelli grandi ed argentati della quindicenne Corvonero. Luna lo guardò, ancora più stupefatta del solito:

- Come faceva a sapere che fosse la mia bevanda preferita? – gli chiese, prendendo un bicchiere e cominciando a girare il succo di ribes con il bastoncino di legno sulla cui sommità era infilzata una cipolla grossa quanto una noce. Senza che l’espressione sognante svanisse dai suoi occhi, la ragazza afferrò il bastoncino, lo capovolse, intinse la cipolla nel liquido denso e prese a succhiarla con evidente soddisfazione. Dumbledore si limitò a sorriderle, scorgendo alla periferia del suo campo visivo l’espressione di puro ed adamantino disgusto che aveva disposto il volto di Snape in una smorfia schifata. Luna parve improvvisamente ricordarsi della presenza del professore di Pozioni, perché si voltò di scatto verso di lui, dando incurante le spalle al preside:

- Ne prende una anche lei, professore? – gli chiese serenamente, nonostante il ghigno dell’uomo avrebbe dovuto comunicarle tutt’altro.

- No. - si sforzò di rispondere Severus. La ragazza continuò a sorridergli per alcuni lenti istanti, apparentemente ignorando il tono stridente del monosillabo uscito graffiando dalle labbra strette di Snape. Qualsiasi altro studente avrebbe avuto l’impressione di frantumare cubetti di ghiaccio sotto i denti nel sentire la risposta dell’uomo, ma la giovane Corvonero sembrava non essere minimamente infastidita dalla scontrosità del suo carattere, della sua voce, del suo atteggiamento scabroso.

Lei invece gli sorrideva, gli occhi argentei spalancati, fissandolo come se stesse contemplando un sogno vivido e a colori brillanti.

Eppure lui si sentiva come una macchia di nero denso su uno sfondo legnoso.

- Se lo desideri, Severus, per te c’è qui un po’ di gin… come al solito – disse il preside, indicando alcuni stretti ed eleganti calici colmi di un liquido trasparente. L’uomo scosse appena la testa, ma il suo diniego fu chiaro e deciso. Dumbledore si limitò a stringersi nelle spalle, indicando un paio di sedie imbottite materializzatesi all’improvviso a poca distanza dalla cattedra. Invitò gentilmente entrambi ad accomodarsi, sedendosi per primo dietro la scrivania.

Non appena i due si furono seduti, con un movimento elegante il preside fece apparire anche una terza sedia. Snape stava per domandarsi chi Dumbledore stesse aspettando, quando un rumore di passi alle sue spalle lo fece voltare. La porta dell’ufficio si aprì, rivelando l’alta e pallida figura di Remus Lupin.

L’uomo fece un cenno di saluto al preside, poi spostò il suo sguardo dorato prima su Severus, gratificandolo con un sorriso gentile che Snape non aveva richiesto, poi sulla magra ragazzina che lo stava fissando con quei suoi occhi immensi e sporgenti, la bocca socchiusa nella vaga forma di una “O”, le sopracciglia chiare inarcate dallo stupore. La vide posare il bicchiere che aveva in mano sulla cattedra, alzarsi e dirigersi velocemente verso di lui, quasi saltellando, con i lunghissimi capelli biondo sporco che le oscillavano contro i fianchi sottili.

- Professor Lupin!! Che bello rivederla! Come sta? – gli chiese, fermandosi a poca distanza. Per un attimo Remus ebbe l’impressione che lei volesse gettarsi al suo collo. Evidentemente ci aveva ripensato.

- Oh, ciao Luna. Sto abbastanza bene, grazie, e tu? – replicò, sorridendo.

- Io sto molto bene, sarà l’aria di Natale, credo. Ma lo sa che mio padre ha scritto sul Quibbler articoli su di lei, qualche tempo fa? Li ha letti? -

Lupin scosse la testa, incuriosito. La ragazza continuò, come se non aspettasse altro:

- Dovrebbe farlo, sa? Daddy ha scritto che non è per niente giusto che lei sia stato licenziato da Hogwarts solo perché è un, beh, Lupo Mannaro! Una volta poteva esserci pericolo, è vero, ma adesso, con le nuove pozioni che sono state scoperte, lei è praticamente innocuo… oh, ma immagino che questo lo sappia già. Daddy è anche venuto a parlare con il Preside, ma non c’è stato niente da fare… - la ragazza si voltò verso Dumbledore, poi guardò Severus che la stava fissando come se l’avessero inchiodato su quella maledetta sedia – Peccato che il professor Snape sia stato così… sbadato a lasciarsi sfuggire il suo problema, signor Lupin, anche se sono sicura che non l’abbia fatto apposta! – concluse, voltandosi nuovamente verso Remus, le mani che giocherellavano con una bizzarra collana di tappi di Burrobirra che aveva cacciato da sotto la sciarpa nera e azzurra, il sorriso che le andava da un orecchio all’altro, gli occhi immensi e sognanti che riflettevano le luci cremose delle candele disposte lungo i muri incurvati dell’ufficio.

Lupin non sapeva se ridere o far finta di niente. Non ebbe il coraggio neanche di spiare che forma avesse assunto la faccia di Snape e per questo continuò a guardare alternativamente Luna e le punte sdrucite delle sue scarpe marroni. Ma la voce di lei lo riscosse ancora una volta.

- Oh, professor Snape, perché è arrossito? – domandò, con il tono più candido di questo mondo.

Severus, i cui occhi neri e freddi come lo spazio si erano ristretti in due fessure alle prime parole di Luna, si ritrovò a deglutire molte volte di seguito, esercitando uno straordinario autocontrollo che vietava al suo furioso imbarazzo di esplodere ed investire quell’insignificante ragazzina dalla lingua vergognosamente lunga.

- Oh, credo proprio sia per il troppo caldo che emana il camino – intervenne Dumbledore, con deliziosa sincerità. Snape si accigliò, ma non disse nulla, seppur notando che, nonostante il volto del preside conservasse un’espressione quieta, i suoi occhi azzurri brillavano di risa soppresse.

- Miss Lovegood, Remus – aggiunse Dumbledore cortesemente, rivolgendosi ai due ancora i piedi – Vogliate sedervi… grazie. -

I due si accomodarono sulle sedie di fronte al preside e ai due lati di Severus.

- Credo sia il momento giusto per… parlare degli eventi recenti che vi hanno coinvolti e che, stando a quello che ho potuto intuire, sono in qualche modo collegati… dico bene, professor Snape? -

 

La mente di Dumbledore era incredibilmente sottile.

 

Snape l’aveva sempre saputo, sin dal suo primo anno a Hogwarts, appena undicenne. Ma non avrebbe mai immaginato che il vecchio preside arrivasse a stabilire un legame tra quello che era accaduto a lui nella Terra del Non Realizzato e lo Spirito che vegliava su Luna. Si voltò appena verso la ragazza seduta accanto a lui, gli occhi sporgenti che sembravano riflettere l’aura argentata che la sua Morte, rimasta in disparte in precedenza ed ora in piedi vicino a lei, emanava costantemente. Dumbledore sembrava non averla notata… nonostante la sua potenza fosse indubbia, Snape era certo che né il preside né Lupin, che osservava sia lui che Luna con interesse, fossero in grado di scorgere lo Spirito.

Rivolse nuovamente lo sguardo sul volto calmo del vegliardo. I suoi occhi chiari, dietro gli occhiali a mezzaluna, erano penetranti, ma non intrusivi.

Non invadenti… L’opposto dello sguardo infuocato del Lord Oscuro, si disse.

A Snape venne quasi da sorridere… la gentilezza di Dumbledore risultava essere, alla fine, la sua arma più tagliente.

Respirò piano.

Gli avrebbe rivelato quasi ogni cosa. In fin dei conti, non era la prima volta che accadeva, anche se ora l’avrebbe fatto in presenza di altre due persone, un membro dell’Ordine… ed una strana, irritante ragazzina che sembrava essere un po’ tocca.

Si, quasi ogni cosa. Ma nel suo racconto, sarebbe stato solo.

Snape si preparò, relegando l’immagine di lei negli angoli più bui della sua mente.

 

………………………………………………

 

La neve abbondante era stata ammucchiata in diversi cumuli ai lati del viale, in modo da lasciare libero il passaggio. Bellatrix osservò l’acqua grigia nelle pozzanghere che costellavano la strada, cercando di tenere la mente sgombra dai troppi pensieri che si mangiavano a vicenda, preparandosi all’incontro con suo nipote.

Il primo incontro dopo quindici anni.

Non aveva visto il figlio di Narcissa da quando era un bambino di un anno e mezzo. Lo ricordava appena, rammentava il visetto chiaro, i capelli biondissimi identici a quelli del padre, lo sguardo grigio come quello di Lucius, tuttavia negli occhi di Draco lei vi aveva potuto scorgere anche l’azzurro intenso di sua sorella, che picchiettava le iridi del figlio intorno alla pupilla.

Fissò per un istante la sua immagine riflessa dall’acqua: le pesanti vesti di velluto amaranto, il mantello bordato di ermellino, i capelli di sole che le lambivano la schiena all’altezza dei gomiti. Si sentiva strana con l’aspetto di sua sorella… quella luminosità che Narcissa sembrava irradiare da ogni centimetro della sua figura non era adatta a lei.

Preferiva l’ombra… la notte. Il gelido nero dei suoi capelli, dei suoi occhi, la carnagione scurita dalle sabbie e dal sole del Sahara.

Quella luce la faceva sentire nuda.

Vulnerabile.

 

All’improvviso lo vide… e la sua meraviglia fu grande.

Verso di lei stava venendo non un ragazzo, ma un uomo. Alto, slanciato, il manto nero della divisa che si muoveva alle sue spalle come se animato da vita propria, il portamento fiero, altero, le diedero l’impressione di rivedere Lucius ai tempi della scuola. Tuttavia, anche se la somiglianza con il padre era strabiliante, Draco in qualche modo era molto diverso da lui. Non c’era solo il sangue dei Malfoy nelle sue vene, anzi, sembrava che la grazia fredda e aristocratica della casata di Lucius si fosse illuminata della nobile e calda eleganza dei Black.

Si, Draco era figlio di sua madre.

Il ragazzo le venne incontro lentamente e Bellatrix ebbe come l’impressione che lui stesse attentamente calibrando i suoi movimenti, non lasciando nulla al caso, o all’istinto. Le fu chiaramente percepibile il motivo di tale atteggiamento, perchè era così… innaturale. Che l’educazione ricevuta da Lucius avesse intaccato e forgiato a proprio piacimento persino l’affetto che un figlio poteva nutrire per sua madre, intrappolando l’irruenza della giovinezza nei rigidi dettami del portamento che un Malfoy necessariamente doveva avere?

La donna confinò le domande in un recesso della propria mente, accorgendosi che non voleva dare una risposta.

 

 

Succedeva sempre.

Tutte le volte, ogni volta.

Si sentiva come se qualcuno stringesse tra le mani le redini della sua volontà, della sua personalità. Non sapeva cosa lo trattenesse dal correre verso sua madre e gettarsi tra le sue braccia come un bambino. Non sapeva cosa stesse frenando i suoi passi, facendolo avanzare piano verso di lei… lei, bellissima nel suo abito di velluto scuro che rubava dal sole e dalla neve circostante riflessi color prugna… le braccia lungo i fianchi, una borsetta di medie dimensioni stretta nella mano destra.

Lei, che lo stava guardando senza evitare che lo stupore ingrandisse i suoi occhi celesti.

 

 

- Draco… - mormorò Bellatrix piano, quasi temesse che le sue parole potessero in qualche modo dissolvere nell’aria dicembrina l’immagine di lui, fermo a qualche metro di distanza.

- Madre – rispose il ragazzo, regalando a quell’appellativo così rispettoso e formale una nota colorata di tenerezza. La donna sorrise appena, incurvando lievemente le belle labbra:

- Vieni qui – disse, accompagnando la richiesta con un gesto accennato della mano libera. Lui si avvicinò ulteriormente, fino a che Bellatrix non poté sfiorargli con la punta delle dita una ciocca di capelli chiarissimi che gli ricadeva sulla fronte bianca, guardandolo dal basso verso l’alto.

- Sei diventato un uomo, ormai… - sussurrò lei, accarezzandogli una guancia con il dorso delle dita, notando comunque la sua espressione stranita, come se quello che stesse facendo fosse per Draco motivo di smarrimento, stupore… di incredulità.

Distolse per un istante gli occhi dal volto del ragazzo, sincerandosi che nessuno l’avesse seguito, e all’improvviso sentì qualcosa bagnarle la mano: riportò l’attenzione sul nipote, dischiudendo la bocca in un’espressione sorpresa quando vide le lacrime morire nella lana della sciarpa verde-argentea del ragazzo. Stava per chiedergli cosa avesse, ma si bloccò in tempo, mentre la comprensione si faceva strada verso di lei, accompagnata dal dispiacere.

Soltanto ora capiva in pieno le parole di sua sorella… “Dì a Draco che lo amo”, aveva detto Narcissa.

Sulle prime Bellatrix aveva pensato che fosse una frase abituale che la sorella dicesse a suo figlio, ma le lacrime trasparenti sulle gote candide del ragazzo le stavano facendo comprendere un’altra verità… più profonda, più nascosta, più dolorosa.

Lei gli aveva fatto una carezza, un gesto spontaneo, quasi banale per la maggior parte degli esseri umani.

Una carezza che aveva scombussolato quel giovane uomo che tentava inutilmente di controllare anche il pianto, serrando le mascelle in un’espressione ingannevolmente dura.

Da quanto tempo Narcissa non gli dimostrava l’amore che provava per lui con tutta se stessa?

 

“Dì a Draco che lo amo”

Non glielo avrebbe detto, glielo avrebbe dimostrato.

Con i gesti, con le mani. Era più facile credere alle mani che alle parole… e non gli avrebbe detto che in realtà lei era sua zia, non voleva infliggergli nuova sofferenza.

Bellatrix lo trasse a sé, sollevandosi sulle punte dei piedi e baciandolo sulla fronte, tenendogli il viso tra le mani.

- Le lacrime portano via il dolore, Draco… lascia che vadano via da te – mormorò con dolcezza materna, senza sapere come avesse fatto a donare alla sua voce quel timbro così rassicurante.

Il giovane annuì, poi, si svestì delle sue catene.

E abbracciò quella che credeva sua madre, poggiando la testa bionda sulla spalla di lei, singhiozzando sommessamente.

Anche Narcissa meritava tutto questo, pensò Bellatrix. Sua sorella aveva bisogno dell’amore di suo figlio, come lui necessitava l’amore di lei.

- Draco – disse dopo un po’ Bellatrix, parlando sommessamente – Devo parlare con Severus Snape. Puoi farlo condurre a me? -

Il ragazzo si staccò da lei, gli occhi ancora lucidi di pianto, le guance appena arrossate dall’aria invernale. Annuì ancora una volta e le sue labbra si incurvarono in un sorriso sincero.

 

……………………………………………………

 

- Ho visto quella strana figura avanzare scintillando verso di me… era vecchia e giovane allo stesso tempo, un volto chiaro e sfuggente, non credo di poterlo descrivere altrimenti. Poi… -

Severus Snape guardò le proprie mani intrecciate in grembo prima di proseguire il suo racconto. Dumbledore attese pazientemente che l’insegnante riprendesse la parola. Di fronte a lui e ai lati di Severus, sia Luna sia Lupin parevano non perdersi una sola sillaba di quella affascinante e misteriosa storia. Snape rialzò lo sguardo pungente, fissando direttamente il suo interlocutore negli occhi cerulei:

- Poi lei mi ha detto di essere la Mia Morte, spiegandomi che sono le Morti che si occupano delle anime dei trapassati, accompagnando però l’esistenza anche durante la vita, nonostante l’uomo sia incapace di vederle. -

Seguì una lunga pausa, spezzata a tratti dal frusciare delle scarpe di Luna, che aveva inconsciamente ricominciato a dondolare i piedi. Tuttavia i suoi occhi avevano perso quell’espressione sognante che li copriva come una pellicola: la ragazza fissava attentamente l’insegnante di pozioni con una serietà che forse metteva ancora più a disagio della sua solita aria perennemente stupita.

- Morti? Vuoi dire che ogni uomo sulla Terra ha come custode la propria morte? – domandò Remus, non riuscendo a trattenersi oltre. Snape si voltò verso di lui, gli occhi gelidi stretti in una minaccia non tanto velata, tuttavia si ritrovò ad annuire, anche se controvoglia.

- Allora è questo che sono! Le Morti! Daddy non ci crederebbe mai… non è come per gli Eliofanti, in questo caso non c’è alcuna evidenza che loro esistono davvero! – esclamò vivacemente Luna, gli occhi sporgenti accesi dall’eccitazione.

Con tutta probabilità non aveva udito il ringhio di Snape nel momento in cui aveva accostato le parole “Eliofanti” ed “evidenza”, perché continuò, imperterrita:

- Ed io che lo chiamavo “Angelo d’argento”… beh, dopotutto lui mi ha parlato solo qualche volta, dicendomi di essere forte e che Mummy sarebbe stata sempre accanto a me, così io l’ho detto anche al mio papà, povero Daddy, quando è morta la mamma non sapeva proprio che fare per cont~ -

- Luna – la interruppe gentilmente Dumbledore, riuscendo in un impresa che a Snape pareva impossibile – di chi stai parlando? Vedi qualcosa? – le domandò con un mezzo sorriso.

- Ooh, certo!! Vedo la… come l’ha chiamata il professor Snape? Ah si, la “Mia Morte”, ma non sono mica la sola, anche il professore riesce a vederla! -

- E’ così, preside – mormorò Severus, girandosi verso la ragazzina e fissando per un lungo istante la figura argentea che baluginava accanto a lei. – Riusciamo a vederla entrambi – sussurrò, senza distogliere lo sguardo e dando l’impressione a Lupin e a Dumbledore di star osservando il muro.

- Interessante… estremamente interessante, Severus. – si limitò a commentare il preside, passandosi una mano sulla barba fluente.

- Non è tutto – aggiunse Snape, ritornando a guardare l’anziano – La mia Morte ha detto che dobbiamo agire in fretta perché… l’Oscuro Signore ha intrappolato dentro di sé la sua Morte per poter conquistare la vita eterna. Così facendo egli ha divelto l’equilibrio del cosmo, invertendo la direzione naturale delle cose: se questa non verrà ristabilita, sarà la fine di tutto. – concluse, scemando pian piano il tono di voce.

- Ora capisco molte cose, Severus – mormorò il preside, più che altro rivolto a se stesso – Voldemort è riuscito a sopravvivere incorporeo per tredici lunghi anni non perché ha bevuto sangue di unicorno, o perché è vissuto dentro i ricordi di un diario o ancora perché ha condiviso il corpo e la mente di un professore sventurato… E’ sopravvissuto perché ha costretto la sua vita a proseguire, fin quando non ha riavuto un corpo. -

- Quindi Voldemort deve aver intrappolato la sua Morte da almeno… quindici anni! – esclamò stupefatto Lupin, guardando ora Severus, ora Dumbledore.

- Dal trentuno luglio di sedici anni fa – dettò una voce profonda, dal sesso indefinito, ma chiara ed inequivocabile.

- Hai parlato! Finalmente hai parlato! – saltellò Luna sulla sua sedia, al culmine della contentezza. Severus si girò verso la Morte della ragazza, trattenendosi a stento dallo spalancare la bocca. Lupin si guardò istintivamente intorno, sebbene sapesse con certezza che non avrebbe visto niente. Dumbledore invece si limitò a guardare la giovane Corvonero che aveva ripreso a succhiare la sua cipolla immersa nel succo di ribes.

- E’ la data di nascita di Potter – disse Snape in un soffio.

- Esattamente, Severus. Questa è un informazione fondamentale che temo non avremmo trovato in nessuna Profezia – replicò il preside con un sospiro.

- Non l’avrei mai immaginato… - mormorò Remus, stupefatto.

- Non è tutto – riprese a parlare la voce incorporea – Molti credono che il Velo nel Dipartimento dei Misteri esista da sempre, invece non è così. E’ pur vero che quel Velo è in quel posto da secoli, ma per molto tempo esso non è stato che un passaggio per un’altra terra, sempre appartenente a questo mondo. Soltanto da poco tempo è diventato qualcos’altro… Il Varco per il Regno delle Ombre. La via del non-ritorno. E’ da quel luogo che io provengo e a nessun essere umano è dato di varcare la Soglia. -

A Dumbledore non sfuggì il dolore che invase gli occhi ambrati di Lupin, scolorandogli le gote già troppo pallide…

… Sirius Black era caduto in quel dannato Varco…

Il vecchio preside non permise alla tristezza di ottenebrargli la mente: - Da quando, per la precisione, il Velo è diventato il passaggio verso il tuo Regno? – chiese con cortesia all’aria trasparente dinanzi a sé.

- Nella notte di Ognissanti, quindici anni fa. – rispose pacatamente la Morte.

Un lungo silenzio calò tra i presenti e Snape ebbe quasi l’impressione di essere lambito dalla stoffa gelida e nera di quel Velo.

- E’ la notte in cui Lily e James sono stati uccisi – mormorò alla fine Remus, stringendo il tavolo tra le nocche, fino a farsele sbiancare. – La notte in cui Harry ha sconfitto Voldemort -

- Siamo alla svolta – asserì saggiamente il preside dopo un istante.

- E’ così – parlò ancora una volta quella voce profondissima – Ma questo non è che l’inizio del viaggio. -

- Viaggio? – sibilò Snape di scatto, improvvisamente conscio a quale “viaggio” si riferisse la Morte di Luna.

- La tua mente è sorprendentemente veloce, giovane mago – gli disse la figura argentata, e a Severus parve di scorgere l’ombra di un sorriso su quel volto di ogni Tempo – Hai compreso che tu e Luna dovrete varcare la Soglia. -

- Davvero? Che bello! – esclamò tutta felice la ragazzina. – Io ho già sentito le loro voci! E anche Harry! -

- Voci? Quali voci? – non poté fare a meno di chiederle Remus, ma Luna non gli prestò attenzione.

- Non dovete temere per la vostra incolumità – proseguì la Morte, notando l’espressione di puro sgomento sul volto magro dell’uomo – Noi vi accompagneremo… perché il vostro compito non sarà facile. -  

- Noi? – sussurrò Severus, fissando poi Luna come se soltanto in quell’istante riuscisse ad intravedere la verità dietro i veli delle apparenze. – Di quale compito stai parlando? -

- La tua Morte ti attende già nel Dipartimento dei Misteri, Severus Snape. Solo quando avrete oltrepassato il Varco saprete cosa fare. –

 

 

Continua…

 

Siamo arrivati alla fine di un altro capitolo (un capitolone!) del progetto (vasto, lo ammetto) che ho nella mia testa sciroccata… spero di non avervi sconvolto troppo con la storia del Velo (ancora non sono arrivata alla parte del Regno delle Ombre, quindi preparatevi^_^)

Un paio di notucciedevo ad Amechan la descrizione che ho fatto di Pansy Parkinson: è grazie a te e alla tua one-shot, Raffy, che sono riuscita ad immaginarmi la figura della nostra Slytherin dal fisico acerbo. Ti ringrazio tanto! (A proposito, consiglio caldamente a tutti la lettura di “Verità Supposte”!)

Ammetto anche un’altra cosa: come direbbero gli inglesi…

I’m growing absolutely fond of Luna Lovegood!

Per quanto riguarda il rapporto di Draco con Narcissa ( anche se in questo caso si tratta di Bellatrix), ho voluto approfondire quanto scritto dallo stesso Draco nella lettera indirizzata a sua madre di qualche capitolo fa (ve la ricordate, vero?)

Infine vi anticipo una chicca del prossimo brano… Severus incontrerà Narcissa-Bellatrix: posso dire che le fan della ship Severus-Narcy saranno contente*_* ( almeno è quello che spero^_^)

Alla prox! Vi adoro!

Charlie.

  
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