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Autore: LightningStrike    20/01/2013    0 recensioni
...Temeva che il suo avversario potesse schiacciarla e distruggerla. Così ora, raggomitolata su se stessa come un feto, fissava la porta lucente che continuava a sibilare nelle sue orecchie di andare lì, di aprirla.
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ ostacolo


Se ne stava lì, a fissare l’impedimento che non le permetteva di proseguire: l’ostacolo.
Aveva  percorso il corridoio, ma non interamente: le mancava ancora un tratto per poter arrivare alla porta.
 La osservava da lontano, bella e lucente, che richiamava la giovane come il canto soave di una sirena.
Contemplava il pavimento che si era lasciata alle spalle. Non aveva rinunciato a nessun oro o ricchezza. Possedeva qualche piccolo graffio ma nulla di rilevante si era scagliato contro di lei durante il suo cammino. In quel momento, invece, l’ossessione dell’ostacolo l’angosciava, la disperava.
 La penombra del corridoio non le consentiva di vedere in faccia il suo nemico. Sembrava impossibile andare avanti, proseguire nel viaggio che lei ardeva compiere.
 Era sempre stato abbastanza semplice camminare: scalini, pieghe nei tappeti e ostacoli vari erano stati frequenti ma altrettanto vi era la frequente disinvoltura nel proseguire.
Scrutava così quella persona (perché quella volta di persona si trattava) che non si degnava di mostrare il proprio viso. Quella volta avrebbe dovuto scavalcare la persona per accedere al gradino che l’avrebbe magari condotta fino in cima, fino alla porta.
Le luci del corridoio erano molto distanti fra loro e non emanavano una gran luminosità, perciò tutto era appannato, avvolto da un alone di oscurità. Era sull’orlo della follia, ma lei conosceva bene il motivo.
Era l’ostacolo che voleva farla impazzire, soggiogarla e smuoverla a tal punto di avvolgerla nello squilibrio più totale. Era un gioco che il nemico sapeva fare e ne godeva di questo, amava farla impazzire. O almeno era quello che lei pensava. Si muoveva in sincronia con lei, il suo nemico. Se lei alzava un braccio, lui alzava un braccio.
 Le si nascondeva e di lui non c’era più traccia. Non aveva avuto il coraggio di affrontarlo: lo temeva troppo. Temeva che il suo avversario potesse schiacciarla e distruggerla. Così ora, raggomitolata su se stessa come un feto, fissava la porta lucente che continuava a sibilare nelle sue orecchie di andare lì, di aprirla.
Perché era quello che voleva fare, voleva raggiungere la porta, la sua porta: perché non poteva? Perché doveva essere intralciata? Mentre fissava il suo nemico posto nella sua stessa posizione si accorse di una lunga corda che pendeva da una fessura del muro candido. Quell’ostacolo andava affrontato, questo era certo. Ma lei non sapeva se aveva il coraggio o la voglia di farlo. Era tutto così assurdo. Perché continuare?
 In fondo non c’era scritto da nessuna parte che dopo la porta vi era la meta e non un altro orribile corridoio lugubre e tetro. La ragazza continuava a ripetersi quelle domande ma la porta sembrava brillare ancora di più, rischiarare l’abitacolo in cui questa risplendeva molto più delle lampade poste sul soffitto. Sorrise sornione. Prese la corda e se l’attorcigliò al collo, così fece il suo nemico.Voleva farla impazzire?
Vediamo fino a quanto avrebbe resistito. O almeno era quello che lei voleva fargli credere. In realtà era spaventata a morte, non voleva più vedere nulla.
Nemmeno il suo nemico. Ed il modo per non vedere era uno solo e quella corda sarebbe stata di aiuto.
Così strinse forte e fece lo stesso il suo nemico. Non urlò, nemmeno un po’, anzi. Si sentiva liberata, come lanciare via un grosso masso che ti opprime la schiena, farlo affondare in un fosso senza poi  guardare giù.
Continuavano a stringere entrambi.
Le corde sembravano consumarsi a contatto della pelle. Poco importava della sofferenza e della rinuncia perché la liberazione cancellava tutto. Un desiderio però si accese in lei: voleva vedere in faccia la persona che l’aveva ridotta come creta nelle sue mani, voleva vedere chi poteva essere così crudele da farle questo.
 Lei che voleva semplicemente raggiungere la sua porta, come tutti, lei che aveva affrontato ben poco, roba da nulla e ora doveva avere questa montagna che la schiacciava. Ma ora non più. No. Non più. Strinse sempre più forte la funicella e vide la luce della porta affievolirsi, come spenta da quell’incanto che sembrava avvolgerla.
Si avvicinò al suo nemico e così fece anche lui. Allungò per primo il braccio e la sua mano venne a contatto con l’altra. Ma non toccò una mano sudata o graffiata a causa dello sforzo per stringere la corda, bensì una superficie fredda e vitrea.
Con l’altro arto continuava a stringere mentre vedeva i suoi occhi riflessi svanire.
Anche lei svanì, per sempre.
E quello che lei aveva incontrato in quel corridoio non era altro che uno specchio.
   
 
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