Videogiochi > Final Fantasy XII
Segui la storia  |       
Autore: Quebello    10/08/2007    2 recensioni
"Coloro che desiderano la pietra, a loro volta sono da essa stessa desiderati."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


"Viva gli sposi!"

Tutto era iniziato così, o almeno questo si sarebbe detto poi.

Ma per lei niente aveva senso, quel giorno, non era capace di accorgersi di nulla... non ancora. Lei era solo bellissima carne, bellissima pelle, bellissimi occhi, offerti come dono di pace alla dinastia di Nabradia. Ma non passiva merce di scambio: al contrario, era perfettamente consapevole e fiera del suo ruolo nel mondo.

Niente aveva senso quel giorno, se non gli occhi di lui, il sorriso di lui, la mano di lui nella sua. Invece della parata, invece della tempesta festante che rombava intorno a loro, avrebbe potuto benissimo esserci una strada vuota, e un silenzio assoluto. Non le importava.

Quello era il giorno perfetto, il giorno della festa, dell'alleanza, della pace, dell'amore, della gloria, tutti suggellati da unico patto, il loro, che sottoscrivevano con quel primo bacio tanto atteso.

Lui respirò a fondo, gli occhi chiusi, mentre le sue labbra toccavano quelle di lei. Respirò i suoi profumi dalmaschi che ricordavano mirra e incenso e rose, suoi capelli ed i suoi occhi color sabbia, la sua pelle lattea, la sua timidezza, il suo sorriso. E lei fece lo stesso con lui, e si riempì dei pungenti aromi dei pini mosforani, dei suoi colori che accennavano all'albinismo come tutta la sua gente, l'apparenza delicata, il viso da bambini.

"Nel nome di nostro padre, ed in presenza delle reliquie santificate, vi dichiaro marito e moglie da questo momento all'avvenire. Gli dei benedicano e illuminino il vostro cammino, in eterno. Faram" disse il kiltias, e rimbombò nel silenzio della chiesa. Il matrimonio era una realtà.


******************************************************************************************


Erano passati pochi mesi, e lei li avrebbe sempre ricordati come splendidi. Ma nei volti dei fratelli maggiori e di suo padre, Ashelia B'Nargin, principessa di Dalmasca, aveva riconosciuto molte volte l'angoscia. Una angoscia che le veniva taciuta, perchè provarla non le competeva.

Il matrimonio era stato un tragico errore, si cominciava a dire ora per le sale del palazzo reale di Rabanastre. Dopo Landis, caduta quasi vent'anni prima, Dalmasca,  Nabradia e Bhujerba erano gli ultimi regni indipendenti tra i due Imperi contrapposti. Avvicinandosi all'Impero di Rozaria, e cercando poi delle nozze politiche con Dalmasca, Nabradia aveva creato dei motivi di astio nell'opposta Arcadia. Una alleanza debole, appena accennata, ma sufficiente a mettere in allarme il Senato Arcadiano.

Ashe camminava per le sale del palazzo reale seguendo i complessi intrecci di figure mitologiche formate dai marmi color ocra, girasole, e sabbia, che si formavano sotto i suoi piedi. Ma non perchè non conoscesse già quelle figure a menadito, quanto per evitare lo sguardo accusatorio dei dignitari di corte che regolarmente incrociava, e che con i loro occhi sembravano dire che l'avrebbero volentieri nascosta in un vecchio baule come un cimelio di pessimo gusto.

Lei non era più il dono che consacrava un'unione perfetta, era invece la prova vivente di una mossa politica ingenua e forse suicida.

La guerra arrivò di lì a poco, ma non interruppe le visite Rassler Heios Nabradia, suo marito, che regolarmente tornava nel letto di lei appena si liberava dagli infiniti impegni. Regolarmente la accarezzava e la baciava in ogni centimetro di pelle, a lungo, e poi la possedeva lentamente, il suo sguardo dolce fisso in ogni istante in quello di lei, il suo sguardo così diverso da quello di tutti gli altri consumati politici che frequentava di solito.

"Che faremo?" si azzardò a chiedere una volta, consumata la loro passione, guardando il suo consorte negli occhi. Stava quasi per aggiungere delle scuse, per aver osato sconfinare nel campo degli affari di stato, lei, una ragazza di appena sedici anni.

Ma lui non si infastidì minimamente per quella invasione di campo da parte di lei. .

"Non devi temere niente, Ashe. Nabudis è nata e vive come fortezza. Non temiamo la battaglia." rispose per tenerla distante, ma con garbo ed eleganza.

Era vero. Nabudis, immensa città-palazzo che svettava per molti piani, come una pagoda, sulle circostanti terre paludose. Gli uomini-anfibio, che chiamavano sè stessi bacnamus, emergevano dagli aquitrini con maschere respiratorie e armi rudimentali, e cercavano da sempre, da quanto si poteva ricordare, di assediare e colonizzare la capitale regia di Nabradia, per farne una tana a sua volta. Arroccati nelle mura, gli abitanti di Nabudis difendevano la bellezza della loro terra dalla decadenza esterna e facevano di questa continua lotta il senso della loro vita, il fulcro della loro cultura. Un popolo di aristocratici guerrieri, marchiati dai colori candidi. Sì, non temevano la battaglia.

"Eppure non bisogna neppure amarla" osò controbattere lei, ma di nuovo lui le permise questa intrusione.

"Arcadia capirà presto il prezzo di una inutile guerra. Finirà presto, mia sposa. E noi saremo ancora uniti."


******************************************************************************************


Rassler seguiva le elucubrazioni dello stratega dalmasco insieme con Raminas B'Nargin, il suo suocero da poco acquisito, con la massima attenzione. All'elaborazione di un piano doveva seguire il suo urgente ritorno a Nabudis per comunicarlo al Re, suo padre.

Nabradia si trovava ad essere uno scudo per Dalmasca, ma uno scudo fatto di case, villaggi, vite. Uno scudo che Dalmasca doveva sostenere con le forti braccia della sua economia mercantile, e mandando alla morte un simbolico numero di soldati, perchè il dolore di Nabradia fosse condiviso. Lo scudo doveva reggere finchè l'ultimo colpo non fosse stato vibrato, infatti era fuori questione anche solo pensare di sconfiggere l'Impero di Arcadia. Chiedere l'aiuto di Rozaria, poi, avrebbe comportato una guerra mondiale.

Non restava nient'altro che una resistenza disperata che durasse fino al logorio degli aggressori. Una guerra iniziata da pochi mesi, ma destinata a durare anni. O così Rassler credeva.

Bastarono pochi secondi a separarlo da quest'idea.

Quasi incomprensibile, stonata, fuori posto, fu per lui l'apparizione del capitano Von Ronsenburg. I lunghi capelli castano chiaro, di solito tenuti all'indietro come una criniera ferina, erano arruffati come da un violento tifone, anneriti e irrigiditi dalla fuliggine, l'armatura argentea dell'esercito dalmasco aveva preso una brutta sfumatura scura e i contorni erano indistinti, come avesse subito un intenso calore.

All'apparizione non servì molto tempo per avere gli occhi di tutti i presenti su di lui. Lui, uno dei preferiti del Re, l'incarnazione stessa di ciò che l'esercito dalmasco doveva essere era ora un'indecorosa personificazione della disfatta, che perdipiù si manifestava nel bel mezzo di una riunione strategica. Solo il suo sguardo restava quello di sempre, fermo e deciso.

"Nabudis è caduta." disse senza smettere di camminare verso il consiglio, come se da giorni marciasse solo per arrivare lì a sputare quelle parole.

"Impossibile!" reagì il Re, quasi urlando.

La mente di Rassler per un attimo non fu più lì.

Fu nel lungo ponte di Nabudis che dalla città-palazzo, scendeva verso i boschi, sormontando le paludi. Quel ponte che aveva percorso di fretta, senza nemmeno salutare la sua patria con un'ultima occhiata. Il glorioso Castello Smeraldo, chiamato così per l'associazione dei pavimenti di pietra verde scuro al fogliame della vegetazione ornamentale. Le bandiere bianche, con al centro il mazzo di gigli dorati che simboleggiavano la dinastia di Heios, sventolate in suo onore. Bambini che correvano ridendo per i giardini interni, e si fermavano a guardarlo ammirativi, come vedessero in lui il loro destino di guerrieri. Lo sguardo di suo padre, quando lui aveva domato il primo mesmerize, lo aveva costretto a galoppare con i suoi tempi, lo aveva ammansito, aveva imparato a riconoscere i suoi nitriti come saluti e a chiamarlo con brevi fischi.

Tutto questo era come risucchiato da una voragine oscura, al centro della quale stavano quelle parole: E' caduta. Chiare e implacabili come fossero scritte in un enorme foglio.

"Mio padre?" chiese, incapace di fare altre domande la cui risposta poteva ben essere più dolorosa.

Gli occhi del capitano Von Ronsenburg caddero in basso, il suo tono perse molto vigore.

"Non lo so. Mi dispiace." stava per aggiungere qualcosa, ma il Re lo interruppe.

"Se davvero Nabudis è caduta, solo il tempo li separa dai confini dalmaschi. Niente li fermerà. Rinforzate il forte di Nalbina, immediatamente."

"Andrò" rispose il capitano, da sempre noto per il linguaggio semplice e conciso.

"E con lui andrò io!" Rassler aveva aggiunto senza neanche rendersi bene conto di cosa diceva, trascinato da un istinto prima che da qualsiasi altra cosa. Solo un istante dopo il pensiero di Ashe gli balenò in mente, ma restò insufficiente, da solo, a farlo desistere.

Lasciò la sala senza aggiungere altro, seguendo il capitano che non si era scomposto.

"Capitano!" chiamò.

"Principe." rispose lui fermandosi e chinando il capo come gli usi imponevano.

"Non sarete voi a cadere proteggendomi. Combatteremo come compagni!" per la verità, gli tremava leggermente la voce.

"Certo. Se volete così." disse l'altro evitando le solite formule di rito riservate ai nobili, probabilmente perchè non le conosceva. Ma a Rassler non dispiaceva la semplicità di quell'uomo, la sua mancanza di maniere così in contrasto con il suo valore in battaglia, che invece era determinante.

"Un'altra cosa mi preme sapere, capitano. Come è caduta la mia città?" e sottolineò l'interrogativo con una eloquente occhiata al suo aspetto.

Il capitano reagì in modo sorprendente a quella domanda: il suo volto si fece smarrito e angosciato.

"Una grande esplosione, poi come un vento incandescente." descrisse un semicerchio in aria come volesse ridisegnare quanto aveva visto "Le mura non hanno retto, nè le truppe. Io combattevo all'esterno, e quindi-"

"Un'arma sconosciuta di Arcadia?" si chiese Rassler.

"Non direi. Forse un potente incantesimo andato male... perchè le truppe di Arcadia sono state spazzate via allo stesso modo."

"Un avverso destino dunque, niente di più?"

"Non lo escludo." tagliò corto il capitano, reputando inutile spendere parole per fingere di sapere ciò che ignorava.

Gli occhi del principe recuperarono forza in un attimo, e ribattè: "Insieme lo affronteremo comunque."

"Certo."


******************************************************************************************


Il risveglio notturno di Ashe non fu diverso da molti altri. Abituata com'era a ricevere suo marito a quell'ora, i suoi sensi la svegliavano per riflesso condizionato, che lui venisse o meno.

Si godette per un pò la vista della Luna Maggiore che illuminava Rabanastre, la via principale, la Piazza della Quattro Porte, e infine le bancarelle dei bazaar che, smontate, diventavano linee metalliche che si affollavano sulla strada, appena appena visibili per il riflesso lunare. Lo sguardo andò oltre la città, e lo sconfinato deserto, fino a un filo d'argento che spaccava il deserto in due: il fiume Nebra, lungo il quale si insediavano innumerevoli villaggi di pescatori. Il silenzio usuale della notte nella capitale regia gli sembrò inquietante, senza ragione specifica, e sentì il bisogno di conforto.

Aprì un grande armadio, dove due grosse crioliti mantenevano magicamente il freddo. Delle numerose pietanze, scelse una vaschetta di gelato. Era aromatizzato con la più pregiata spezia del regno, il cacao, e con i migliori frutti degli aranceti dalmaschi. Rassler usava dire che suppliva al mal d'amore, per poco tempo. E difatti lei così lo usava, assaporandolo lentamente mentre contemplava la città, silenziosa e spaventata da quei tempi difficili.

Rimase così, il suo corpo acerbo nudo alla luce della Luna Maggiore, a mangiare gelato come una bambina. Quando Rassler la vide così la prima volta, commentò incantato che tutte le donne condividono la stessa essenza, bambine e anziane, principesse e serve. Si chiese cosa mai volesse dire.

Qualcosa interruppe il suo rito solitario intorno alla terza cucchiaiata. Come una monella colta sul fatto, nascose immediatamente il gelato al primo bussare e coprendosi come meglio poteva andò ad aprire. Per un attimo, irrazionalmente, si rallegrò alla possibilità che fosse lui, e si diede della sciocca per essersi rivestita con foga.

La faccia del capitano Von Ronsenburg non necessitava spiegazioni.

Aveva sempre avuto sentimenti contrastanti verso di lui, arrivato alla capitale su una carovana mercantile, ferito quasi a morte, profugo della rovinata Landis. Subito arruolato, e subito preso in simpatia dalla truppa, la sua carriera nell'esercito era stata più veloce di molti nobili che Ashe avrebbe ben potuto sposare, e le sue umili origini lo rendevano anche amato dal popolo, un distintivo che il Re poteva esibire come prova di vicinanza alla sua gente. Molti altri a corte, tra cui lei, lo consideravano invece una pericolosa eccezione alle regole della vita a palazzo.

Da un'altro canto, lo considerava in qualche modo liberatorio, per il suo modo di fare così diretto e così diverso da quelli affettati cui era abituata, per la sua fierezza e onestà che ispiravano fiducia; era intimorita e affascinata da ciò che quell'uomo rappresentava, era come suo marito distante dalla nobiltà dalmasca, ma di qualche passo in più.

Persino in quel momento, non aveva neppure bisogno delle parole per esprimersi. Si fissarono a lungo, ed in silenzio.

Quando lei sentì i suoi occhi bruciare, ed inumidirsi, si rese conto di quanto poco dignitoso sarebbe stato piangere in presenza d'altri, e specie di un capitano di umili natali. E lui la capì, e delicatamente chiuse la porta.


******************************************************************************************


A quanto pare, la torre con la scudolite era stata assediata da un manipolo di assassini. Uccisi i maghi e spezzato il cristallo, la barriera magica intorno a Nalbina si era dissolta e i bombardieri arcadiani erano volati sulle loro teste. Non c'era bisogno di aprire il fuoco, una resa incondizionata era l'unica scelta sensata.

In groppa ai chocobo, il respiro pesante, il piumaggio giallo arrossato per le ferite ricevute, il capitano e il principe si erano fatti strada tra i nemici, verso la torre, ma si erano visti la barriera scomparire sulle loro teste.

"E' finita." aveva constatato il capitano, deciso ad una ritirata che risparmiasse altre morti inutili.

"Per mio padre! Per mio padre!" aveva urlato il principe, ma prima che il capitano potesse dissuaderlo da un attacco suicida una freccia lo aveva raggiunto al cuore.

Ironicamente, a palazzo si diceva che Ashe aveva avuto la "fortuna" di vedersi riportato il cadavere del marito, grazie al capitano Von Ronsenburg che lo aveva trascinato in spalla. Quasi nessuna moglie poteva vantare lussi di questo genere.

Nella stessa chiesa dove aveva ricevuto il suo primo bacio, Ashe indossava ora un velo nero e pregava, con gli occhi chiusi. Il kiltias usava dire che gli dei manipolano il destino e il destino era rivelato nei sogni. Lei pregava loro affinchè le dessero un destino nuovo, uno che lei potesse sognare.

Non era più un ambito e felice dono, solo i resti di qualcosa che non avrebbe dovuto essere. Ma non si sentiva in colpa, non per aver amato Rassler, per aver amato suo padre, per aver amato il suo regno, nè per aver reso ufficiale il suo amore.

Tutto ciò che sentiva, l'unica emozione che distingueva con chiarezza, era un odio sempre più grande verso chi le aveva tolto tutto ciò.


  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy XII / Vai alla pagina dell'autore: Quebello