Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |       
Autore: The queen of darkness    21/01/2013    1 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-In sala riunioni fra quindici minuti- ordinò perentoriamente Hotch, senza lasciare spazio ad obiezioni come al solito.
Reid drizzò le orecchie. Sentiva ancora il sapore del caffè mattutino in gola, ed era un po’ assonnato.
Stranamente, quella notte, aveva dormito poco: continuava a rigirarsi nel letto senza trovare pace, a fissare il soffitto o a cacciare le zone fredde del materasso, per posarci i piedi e trovare sollievo. Tutto un tramestio di coperte, lenzuola e cigolii delle reti.
Era raro che facesse degli incubi: magari si trovava spaventato durante i sogni, o al massimo provava sensazioni spiacevoli, ma il più delle volte la razionalità prendeva il soppravvento anche in uno stato d’incoscienza come il sonno.
Sospirando e stropicciandosi gli occhi arrossati come un bambino, guardò il suo capo risalire le scale e rientrare nell’ ufficio, dov’era seduta anche un’altra figura. Impossibile da lì dire se si fosse trattato di un uomo o di una donna, ma forse dal modo in cui le gambe erano accavallate si poteva presumere una presenza femminile…bah, smettila Reid, lascia perdere, si disse. Anche perché l’avrebbe sicuramente scoperto a breve.
-Ciao ragazzino- lo salutò Derek, passandogli vicino e arruffandogli i capelli già scompigliati.
Lui mugugnò qualcosa in risposta, ma l’uomo si era dedicato ad altro, come testimoniò il suo “bambolina, sempre più bella, ma quando ti deciderai a darti una calmata?”.
Era una cosa che invidiava molto di Morgan, ovvero la scioltezza con cui sapeva destreggiarsi nelle molteplici situazioni quotidiane. La semplicità con cui accettava, ricambiava e scherzava riguardo alle avances con Garcia lo lasciava stupefatto, anche se un po’ divertito dalle loro battute focose.
 Per lui sarebbe stato inammissibile, sia tenere un comportamento del genere in pubblico che ricambiare con epiteti ricchi di sottintesi. Anche perché non solo nessuno gli avrebbe mai concesso un così alto grado di confidenza, ma lui stesso si sarebbe sentito oltremodo a disagio, in quanto l’argomento “amore” gli era chiaro solo dal punto di vista scientifico. Le prove dirette tendevano a scarseggiare, come lui stesso si rendeva amaramente conto. O meglio, se solo fosse stato più presente, forse ora le cosa sarebbero diverse…
-Hey, Reid- esclamò Emily, sorridente.  Aveva fortunatamente interrotto le sue tristi elucubrazioni .
Il suo sorriso, avvicinandosi, si spense poco a poco, fino a diventare un’espressione preoccupata.
-Che hai? La tu cera non è delle migliori.
-Lo so- sospirò il ragazzo. –Ho dormito male stanotte.
Non si era accorto del sopraggiungere di Morgan, alle sue spalle, con una tazza fumante in mano. –Colpa di una ragazza?- ironizzò, dandogli una pacca sulla spalla e rendendo il suo umore ancora più tetro.
-Se per ragazza può andare bene anche la poetessa Saffo allora sì, ho dormito male per colpa di una ragazza-. Non gli andava per niente di fare spirito, soprattutto a quell’ora. In genere, dopo una nottata così, cominciava a sentirsi meno affaticato dopo qualche tempo, nella tarda mattinata.
-Interessanti i poemi lesbici?- domandò, sempre ironico, il collega.
-Abbastanza- ammise, anche se ne aveva letti pochi e solo anni addietro, -però monotoni come se si trattasse di una relazione eterosessuale.
L’uomo gli si era seduto di fronte, e lo scrutava con bonario divertimento; evidentemente si aspettava un sermone sulla Magna Grecia, lo sviluppo dell’omosessualità nell’epoca attuale, le statistiche che coinvolgevano gli adolescenti dal 300 avanti Cristo a oggi, ma non era decisamente dello stato d’animo giusto.
Sbirciò stancamente l’orologio, massaggiandosi una tempia. –Hotch ci aspetta in sala riunioni- annunciò alzandosi. Il collega era arrivato dopo, e quindi  non poteva saperlo.
-Oh- disse soltanto, posando la tazza sulla scrivania di Reid. –Un altro caso?
L’idea di un viaggio chissà dove non faceva piacere a nessuno, anche perché erano appena tornati dalla Florida.
-Non ne ho idea.
Pensava seriamente di aver bisogno di un altro caffè, più che altro per rimanere in piedi senza barcollare in modo indecente, ma non avrebbe comunque fatto in tempo.  Prese la sua cartella e si recò nella stanza, dove Rossi stava sistemando dei fogli e JJ trafficava con gli schermi.
-Giornataccia?- commentò l’uomo  vedendolo entrare.
Dio, ma era preso così male? –Già- osservò laconicamente, perché non aveva particolarmente voglia di spendere dettagli.
All’uomo sembrò bastare, in quanto si dedicò alle sue attività rivolgendo un cenno agli altri agenti che erano entrati dopo di lui.
Reid, appollaiandosi nel posto di sempre cercando di ordinare i pensieri, si chiedeva il perché di quelle riflessioni fatte all’improvviso sull’amore.
Un argomento del genere poteva citarlo a memoria centinaia, anche migliaia di volte. Aveva letto volumi improponibili sull’amore, saggi filosofici, opinioni di santi, di sregolati, di amanti e anche testi scientifici, ne aveva sempre divorati moltissimi, ma era sempre rimasto a bocca asciutta. Non sapeva ancora, se ne rese conto, che cos’era l’amore.
Perché quello studio privato e approfondito, quasi isterico, era solo un’infarinatura che celava la vera sostanza. Era sicuro di non riuscire a dare una definizione di amore e il perché era semplice.
Non era mai stato nei panni di un amante.
La cosa lo fece sprofondare nella poltrona dov’era seduto.  Era sicuro di essere arrossito: “ma cosa vai a pensare?”, si diceva.  La mancanza di sonno doveva fargli proprio male, perché era dalla sera prima, da quando aveva trovato QUELLA fotografia, che si sentiva tutto scombussolato.
A quel punto avrebbe potuto avere una chiara e precisa idea, nonché esperienza, di che cos’è l’amore, ma era stato troppo stupito e troppo attaccato a quelli stupidi libri per rendersi vagamente conto di ciò che aveva perso.
Erano anni che non tirava fuori dal portafoglio la didascalia più importante della sua vita, l’unica prova tangibile che lei non era stata solo un’invenzione della sua mente bisognosa d’affetto.
Ricordava ancora la sua voce gioiosa: “Dai, Spence, facciamoci una foto!”.
E quello che lei diceva non era mai uno scherzo vero e proprio. Aveva fermato un turista per strada, gli aveva mostrato il tasto da premere e l’aveva fatto mettere in posa davanti all’obbiettivo.
E dopo il flash, eccolo lì: un sedicenne alto e allampanato, con una camicia leggermente mossa dal vento bianca e lucente, un bel sole caldo, un sorriso timido e occhiali a fondo di bottiglia, tutti i capelli sparsi sulla fronte. Al suo fianco, tenendogli il braccio come una sorella, o forse un po’ di più, stava lei.
Bellissima, come sempre. I suoi capelli erano agitati dalla brezza, ma nemmeno una ciocca ne oscurava il volto sereno e disteso in un sorriso smagliante. La gonna corta e azzurra lasciava scoperte le ginocchia, senza lividi, per festeggiare la guarigione.
“Guarda Spence, come sono bianche le mie gambe!” aveva detto entusiasta, e lui era rimasto imbambolato a guardarla.
Era troppo impacciato persino con sé stesso per ammettere di avere una cotta per lei, e si accontentava di fare l’amico. E quel ruolo gli piaceva un sacco.
Con mano leggermente tremante, accarezzò il cuoi ammorbidito dal tempo della cartella, nel punto esatto dove si poteva indovinare la sagoma del portafoglio e, sotto di esso, il ricordo più prezioso della sua vita.
Ne avevano una copia a testa e, a meno che lei non se ne fosse liberata, era anche l’unico legame che era rimasto fra i due.
In quell’istante risentì all’improvviso il suo profumo e gli sembrò quasi di poter godere del sorriso puro e bellissimo della sua migliore amica di un tempo.
Era stato crudele a perdere l’indirizzo che lei gli aveva minuziosamente spedito, su quella carta da lettere che profumava di limoni e rosmarino. 
Non avrebbe mai potuto perdonarsi una cosa del gener….-Hey, mi ascolti?- chiese Garcia, infastidita.
Lo sovrastava, e lui sobbalzò quando si rese conto di essere rimasto assente un po’ troppo.
-S..scusami, Garcia, non stavo seguendo, mi dispiace- farfugliò, ritornando bruscamente alla stanza, alla moquette grigia e al tavolo in lucido legno bruno.
-Me ne ero accorta- sbuffò la donna, prima di accomodarsi di fianco a lui e aprire un portatile. –Ti stavo dicendo, zuccherino, che da qui a qualche giorno non mi sembri molto in forma.
Prese a zampettare sulla tastiera con dita frenetiche, migliaia di cifre riflesse sulle lenti dei suoi occhiali.
 -Non dormo molto bene la notte- disse, e se ne rese conto in quel momento.
-E’ la solitudine- osservò lei soprapensiero. Poi si rese conto di ciò che aveva detto, e arrossì. –Oh, scusami, mi dispiace, io non…
Il giovane le sorrise tristemente, ma furono interrotti da Hotch, il quale entrò e, senza troppi convenevoli, disse:- Ragazzi, ci siete tutti?
Entrambi si riscossero, e quando si fu accertato della presenza della squadra al completo, cominciò a parlare in tono controllato e deciso, come sempre.
-JJ, ve ne sarete accorti tutti, comincia a svolgere ruoli che vanno ben oltre la sola comunicazione con i media.
L’interessata arrossì vistosamente, ma non lo interruppe. –Ebbene, in questi anni sono avvenuti molti cambiamenti, ma ciò non significa che dobbiate essere più stressati di quanto non siate già. Per svolgere al meglio il vostro lavoro, dovete avere la giusta assegnazione dei compiti. E’ questo il motivo del mio discorso di oggi: da sempre dobbiamo occuparci dell’assistenza psicologica alle vittime, che spesso possono distrarre dal risolvere il caso.
La tensione nella stanza a quelle parole risultò palpabile; JJ era sempre più imbarazzata, anche se nessuno per il momento ne capiva il motivo, e le loro acute menti da profiler si stavano già arrovellando sul discorso appena prinunciato.
Fu Morgan a risolvere la questione, con la solita concretezza di sempre:- Hotch, cosa stai cercando di dirci?- proruppe.
Nessuno era abituato ai giri di parole del capo.
Lo videro abbassare la testa, scegliendo i vocaboli con cura. –Da oggi nella squadra sarete affiancati da una specialista, che ci seguirà nelle nostre trasferte e si occuperà dei familiari delle vittime e anche di esse, nel caso siano sopravvissute.
Il fiato a lungo trattenuto si librò in un sol colpo nella sala, prorompendo dai loro corpi quasi all’unisono.
Non capivano perché, così all’improvviso, volevano aggiungere un elemento superfluo all’unità che stava rafforzando rapporti già in precedenza minacciati.
-Ma è assurdo!- esplose Emily. Incredibile come il carattere suo e del collega Derek fossero simili.
Hotch cercò di dire qualcosa, ma una voce armoniosa alle loro spalle spezzò definitivamente il discorso, o meglio, lo complicò ulteriormente.
-Scusate l’intrusione-. Tutti si voltarono verso colei che aveva parlato. –Sono la ragazza che, per ordine di Erin Strauss, vi affiancherà nei vostri casi. Molto piacere di conoscervi; io sono Eva.
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: The queen of darkness