Granelli di sabbia
La loro amicizia non era
sbocciata immediatamente, ma aveva avuto bisogno di tempo per mostrarsi in
tutte le sue potenzialità. Certo, James e Sirius si erano conosciuti
sull’Espresso per Hogwarts, ma il primo incontro non aveva sancito da subito il
solido rapporto che tra i due si sarebbe instaurato solo parecchie settimane
dopo.
Sirius inizialmente era
intrattabile; il suo atteggiamento appariva così distaccato e altezzoso che
James gli aveva allegramente affibbiato diversi appellativi, tra cui quello di Piccolo Lord. In realtà, quella maschera
di disprezzo verso tutto e tutti era solo il risultato della rabbia repressa
che Sirius covava costantemente in petto. I suoi genitori avevano saputo dello
smistamento in Grifondoro immediatamente ― naturalmente la cara Narcissa non aveva potuto fare a
meno di immischiarsi nei fatti altrui ― e le conseguenze non erano state
piacevoli; Sirius ricevette una lettera lunghissima ― addirittura in
alcuni punti grammaticalmente scorretta,
tanto grande doveva essere stato lo shock ― in cui sua madre definiva in
ogni sfumatura quanto grande fosse stata la delusione in famiglia. La reazione
di Sirius fu inizialmente uno stoico tentativo di imperturbabilità… che fallì. E
il fallimento aggiunse un’altra buona dose di irritazione al tutto. Quando poi,
qualche giorno dopo l’arrivo ad Hogwarts, la stizza di attutì, Sirius si rese
conto di essere rimasto isolato. Ma non era nel suo stile elemosinare alcunché,
men che meno amicizia, quindi si autoconvinse di stare bene come stava; non aveva bisogno di nessuno, lui.
James, dal canto suo, aveva
legato subito con il ragazzino insipido, Peter; le manie di protagonismo del
primo si combinavano perfettamente con i modi ossequiosi e servili dell’altro. Peter
cadeva dalle labbra di James, e James spesso se ne approfittava spingendolo ad
andargli dietro nei suoi loschi piani da combina guai. Sirius non poteva fare a
meno di provare un certo fastidio misto ad invidia quando vedeva quei due tutti
intenti a confabulare, o quando si svegliava nel cuore della notte e constatava
di essere rimasto in dormitorio da solo con Remus.
Già, Remus. All’inizio per
Sirius quel ragazzo era un mistero. Estremamente riservato, parlava solo se
interpellato e, in ogni caso, le sue risposte erano sempre vaghe ed abbozzate.
Per carità, Sirius non lo trovava irritante quanto Peter, ma il suo atteggiamento
da perfettino ― se ne stava
sempre in disparte, con la testa immersa in qualche libro del cavolo più grosso
di lui ― gli dava comunque leggermente sui nervi. Ci sarebbe voluto
ancora parecchio prima che Remus si decidesse a abbassare un po’ le difese, e,
soprattutto, prima che permettesse a James e Sirius di buttarle giù
definitivamente.
Dal versante opposto, neanche
Sirius, come lui stesso immaginava, aveva fatto un’ottima impressione. James lo
trovava parecchio scontroso, ed era questo il motivo principale per cui si
divertiva a punzecchiarlo. Battutine da niente, certo, ma una volta James, dopo
che Sirius si era sentito chiamare Il
Signorino, aveva rischiato seriamente di finire con il naso rotto. La rissa
era stata bloccata sul nascere dal fortuito passaggio di un’insegnate, ma tutta
quella rabbia scoppiata all’improvviso, quella scintilla negli occhi di Sirius,
avevano fatto capire a James l’importanza del detto non svegliare il can che
dorme. Remus, invece, trovava sia James che Sirius talmente lontani dal suo
modo di essere da sentirsi a disagio praticamente sempre, quando si trovavano nella stessa stanza. James era un
burlone, spesso spavaldo, e nonostante lo invitasse sempre ad unirsi a lui e a
Peter, Remus gli opponeva resistenza con decisione. Fortificava le sue
insicurezze autoconvincendosi che, se si fosse azzardato a dire un « Va bene,
resto con voi », quelli si sarebbero subito resi conto di quanto fosse poco
simpatico, poco interessante, poco tutto,
e lo avrebbero respinto. Ma, tra i suoi compagni di dormitorio, quello che lo
metteva più in soggezione era Sirius. A volte lo sorprendeva a fissarlo con
insistenza, le sopracciglia inarcate e gli occhi grigi che sembrava volessero leggere
tutti i suoi pensieri. Se non fosse stato Remus Lupin, gli avrebbe
probabilmente chiesto che cosa avesse da guardare. Ma lui era Remus Lupin; non mandava a quel paese, si limitava a constatare
le cose. E ciò che aveva constatato era che Sirius Black aveva quell’aria. No, non l’aria del ragazzino
viziato ― quello forse lo si poteva dire di James ―, ma comunque
l’aria di chi aveva vissuto negli agi e, nonostante Sirius sembrasse fare di
tutto per rinnegarla, l’aria di chi aveva ricevuto un’educazione raffinata,
quasi d’élite; il suo portamento, il suo modo di esprimersi e, ovviamente, il
pregio dei suoi effetti personali non mentivano. Insomma, Sirius era tutto ciò
che Remus non era mai stato e tutto ciò che non avrebbe mai potuto essere. Il
disagio del ragazzo dagli abiti rattoppati era più che giustificato.
E infine c’era Pettigrew. Non
era solo soggezione quella che Peter provava nei confronti di Sirius, era vero
e proprio timore. Quando James non c’era, il piccoletto non si azzardava
nemmeno a guardarlo, figurarsi rivolgergli la parola. Persino diversi anni
dopo, al culmine dell’amicizia fra i quattro, Sirius si sarebbe chiesto come
aveva fatto a legare con Peter. La risposta l’avrebbe trovata più in là, quando
ormai sapeva che non avrebbe più rivisto il suo migliore amico; era stato
proprio lui, James, il collante fra loro.
***
Sirius fu scosso da un brivido
e si svegliò in maniera brusca. Non era la prima volta, da quando era arrivato
ad Hogwarts, che faceva quell’incubo.
Era un sogno dai contorni indefiniti, ma che rimandava in maniera sinistra e
deformata a degli ambienti a lui familiari. Sirius non ricordava mai bene, una
volta sveglio, la trama dei suoi incubi, ma ne rimaneva turbato abbastanza da
non riuscire a chiudere occhio per il resto della notte. Quindi si mise a
sedere e si scostò i capelli dalla fronte calda e bagnata, poi si guardò
attorno.
Potter non c’è, pensò senza il minimo
stupore. Ormai era abituato alle sue assenze notturne.
Intanto la luce della luna si
faceva largo con prepotenza dalla finestra del dormitorio, focalizzandosi sul
fagotto ronfante di Peter. Sirius lo osservò per un po’, non riuscendo a
trattenersi dal pensare a quanto quel Pettigrew fosse un disastro anche mentre
dormiva. Quando poi gli vide un filo luccicante colargli giù per le labbra,
decise che avrebbe fatto meglio ad alzarsi e a fare due passi.
*
Era l’inizio di novembre, e
faceva freddo. Sirius sentiva il gelo che gli si insinuava nella pelle, ma,
siccome non aveva proprio voglia di tornare al dormitorio, continuava lo stesso
a gironzolare per i corridoi del castello, senza meta. In fondo il freddo gli
schiariva un po’ le idee.
Era sorprendente come il
castello sembrasse diverso di notte. Così, buio e deserto, aveva quasi un
aspetto spettrale. Ma Sirius non aveva affatto paura. Al contrario,
quell’atmosfera surreale gli piaceva; il silenzio riusciva ad annullare
facilmente tutti i suoi pensieri, riusciva a farlo sentire leggero.
L’idillio durò poco; Sirius
sentì qualcosa strusciare alla sua destra, e si voltò di scatto. Con un moto di
fastidio vide Mrs. Purr, la gatta del Custode, sbucare all’improvviso da dietro
una parete. Lo fissava malignamente con i suoi occhietti gialli, pronta a
scattare ad ogni suo passo falso.
« C’è qualcuno?! » urlò Gazza,
la cui voce non era molto lontana. La gatta guardò Sirius, Sirius guardò la
gatta. Cazzo, pensò. Poi, mentre alle
sue spalle rimbombava uno stridente miagolio, iniziò a correre.
*
Correre con le pantofole ai
piedi era scomodo, e comunque lo faceva sentire un po’ idiota. Ma, con Gazza
alle costole, Sirius non poteva di certo fermarsi. Anche se la milza cominciava
a dargli qualche problema.
« Ehi! » esclamò qualcuno
all’improvviso.
Sirius, preso alla sprovvista,
quasi inciampò prima di fermarsi. Aveva sentito qualcuno parlare, ma, a parte
qualche vecchio ritratto addormentato, non c’era nessuno lì.
« Ah, eccoti finalmente! »
gracchiò il vecchio Custode da lontano. « Passerai dei guai, oh,
se li passerai! »
Sirius si voltò indietro e vide
Gazza puntare verso di lui. Dimenticato il motivo per cui si era fermato, si
sarebbe rimesso a correre se qualcuno non lo avesse afferrato con forza per il
polso. Fu un attimo; prima vide la testa di James galleggiare a mezz’aria, poi
si ritrovò con lui sotto una specie di telo, o qualcosa del genere.
« Shhh! » gli intimò James tenendogli una mano premuta sulla bocca e
facendogli l’occhiolino.
Sirius lo fissò con gli occhi
sgranati. Chi pensava di fregare con uno stupido telo in testa? Ma,
sorprendentemente, Gazza passò loro davanti senza vederli. Infine, quando
finalmente si allontanò ― non prima di aver imprecato per essersi
lasciato sfuggire l’ennesimo fuorilegge
―, James lasciò andare Sirius.
« Come cavolo…?! » tentò di
dire Sirius, il respiro ancora ansimante per la corsa.
« Mantello dell’invisibilità »
rispose l’altro con un’alzata di spalle.
Sirius lo guardò a bocca
aperta. « Cosa?! Ma sono rarissimi… Chi te l’ha dato?! »
« È di mio padre, » disse
semplicemente James, « me l’ha dato lui. »
Sirius era impressionato;
persino uno come lui, la cui casa pullulava di ricchezze di ogni genere, non
aveva mai visto un autentico mantello dell’invisibilità. Qualcuno, suo zio
Alphard forse, gli aveva detto quanto fossero difficili da trovare e,
soprattutto, costosi. E adesso Potter gli veniva a dire, come se nulla fosse,
che il mantello glielo aveva ceduto suo padre! Sirius immaginò Orion nell’atto
di donargli qualcosa di così prezioso, e, colta l’assurdità del pensiero,
scoppiò in una sonora risata. Guarda
questo piccolo stronzetto viziato!, pensò divertito.
« Che ti prende? » chiese James
che, prima lusingato dallo stupore di Sirius, si era poi sentito smontare da
tutta quell’ilarità.
« Niente » rispose spiccio
l’altro, le labbra ancora increspate in un sorriso. « Quindi è così che te ne
vai in giro… »
« Be’, sì… Stanotte mi era
venuta fame, così sono andato nelle cucine a fare uno spuntino. Ormai gli elfi
domestici mi conoscono » spiegò James. « Se vuoi la prossima volta ti ci porto…
»
Ormai i due avevano quasi
raggiunto la loro Sala Comune. James continuava a parlare e Sirius si sentiva
bene, proprio come si era sentito quel primo giorno, sull’Espresso per
Hogwarts. Quando poi si trovarono davanti al buco del ritratto, Sirius si
bloccò.
« Senti― » provò a dire.
Non era bravo in questo genere di cose.
Il ragazzo con gli occhiali lo
guardò sorpreso, in attesa.
« Grazie… per prima, intendo… »
James sorrise. Quel sorriso
Sirius non l’avrebbe dimenticato mai.
Note dell’autrice:
Ringrazio veramente tanto
Dani85 e Ma_AiLing per avermi lasciato una recensione! *-* Spero che la mia
raccolta continui a piacervi!
Claire