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Autore: Flarya    21/01/2013    5 recensioni
E se durante i mesi in cui Ichigo ha perso i poteri fosse successo qualcosa, qualcosa che poi è stato dimenticato?
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le persone hanno speranza                  
perché la morte è invisibile ai loro occhi.

 

12:10 –Ichigo
   Il tempo non passa mai. I minuti, persino i singoli secondi, si trascinano infinitamente.
Nulla può riempire questo tempo infinito, questa lunga straziante attesa.
Anche i suoni da fuori sono così ovattati, si disperdono nello spazio infinito che separa me da fuori.
 
Sono stato stupido. Tanto stupido da gioire quando l’ho vista, senza pensare che per tutto questo c’è un motivo, e certamente anche un prezzo. Oh, quanto sono stato stupido a gioire per questo!
Per proteggere me, quanto stanno rischiando? Vale davvero la pena? Perché bisogna giocare con le vite di altri, per vivere la propria?

Mi sciacquo la faccia nel lavello della cucina, speravo più che altro di lavare via questi inutili pensieri che dilatano il tempo. Ma non serve a nulla. Mi siedo di nuovo sul divano.
Non ho chiuso bene il rubinetto, cade una goccia, poi un’altra, poi un’altra ancora.
Ecco, ora posso scandire il mio tempo infinito.

Plic~
 
Plic~


È quanto di più vicino alla tortura abbia mai provato.

Plic~

 
Basta, basta così. Per favore.
 
 
Nel mio campo visivo, che prima comprendeva i miei piedi, il pavimento e una penna Bic abbandonata lì da giorni, si infila un gatto. Gatto che una volta avrei percepito prima che facesse intrusione in casa mia.
«Da dove sei entrata, Yoruichi-san?»
«Dalla finestra.»
Aaah, dovrei smettere di lasciare le finestre aperte, entra sempre gente strana. Prima o poi mi porterà dei problemi.

Plic~

L’acqua continua a gocciolare dal rubinetto.
Si siede ai piedi del divano, di fronte a me, e mi guarda muovendo nervosamente la coda.
«Ichigo, stavo pensando una cosa.»
La guardo con sospetto, lei se ne accorge.
Non posso fidarmi. Tutti, proprio tutti, cercano di portarmi lontano dal pericolo, di tenermi al sicuro.

Ma non è quello il mio posto.

 
 
12:15 –Karin
Più o meno, piove.  È quella pioggerellina sottile quasi a sembrar nebbia, tanto che ho difficoltà a definirla pioggia, che però s’infila tra i vestiti e congela fino alle ossa.
 
Negli ultimi mesi ho imparato che quando qualcosa non va, quando ci sono cose che sfuggono, bisogna andare all’Emporio Urahara. Lui, Urahara-san, è una persona tanto informata quanto enigmatica, per cui non sempre è davvero utile, ma certo è meglio di niente. Comunque, è lì che sto andando.
Lo spiazzo di fronte al negozio è deserto. Di solito c’è sempre Jinta che spazza o che gioca a qualcosa di simile al baseball con i ragazzini del vicinato. Entro con discrezione, è tutto silenzioso.
«È permesso?» Faccio qualche passo scrutando tra gli scaffali, in attesa di veder comparire qualcuno. « C’è nessuno?»
«Kurosaki-saaan! ♥» Urahara-san emerge a passo lento dal retrobottega. «Desidera dunque qualcuno dei nostri prodotti? Abbiamo nuove offerte davvero imperdibili!»
«Veramente no, grazie.»
«E per quale motivo», gli occhi di Urahara-san scintillano nell’ombra del cappello «è venuta qui, Kurosaki-san?»
«Voglio incontrare gli shinigami.»
Schiude la porta scorrevole alle sue spalle con un gesto fluido, e passandogli accanto credo di vedere l’accenno di un sorriso sulle sue labbra.
Ho l’impressione che sappia tutto prima che accada.
Mi indica una porta, entro.
Seduto nel futon al centro della stanza, c’è Hitsugaya Toshiro. Guardava fuori, non appena sente la porta scorrere si gira verso di me. Noto, sotto la divisa che indossa ostinatamente, bende macchiate di sangue.
«Che è successo?»
«Niente.»
«Ah.» Beh, potrebbe anche dirmelo. Sono coinvolta, alla fine. E certo non m’impressiono.
Lo guardo negli occhi, in verità non so che dirgli. Ci sono così tante cose che non so, che magari credevo di intuire; invece non sapevo niente, davvero niente. Non so esattamente che farmene ora, di questa consapevolezza. Mi guarda a sua volta con questi occhi indecifrabili, chiarissimi quasi da essere inquietanti.
«Toshiro…» Mi inginocchio accanto a lui. Non mi viene da chiedergli “come stai” o roba del genere, sono frivolezze che probabilmente neanche apprezzerebbe. «Toshiro, non c’è nulla che io possa fare? Per semplificare le cose, intendo. Per impedire che così tanti di voi spargano sangue.»
Mi studia con sufficienza, prima di spostare lo sguardo altrove. «Non coinvolgerei mai un umano.»
«Non sono un umano!» Mi squadra di traverso, è più che eloquente. «Beh sì, ma non è quello che intendevo…» Raccolgo le idee per un secondo, poi mi tendo verso di lui per essere sicura che mi ascolti. «Siamo già coinvolti, sia io che Ichi-nii.»
Mi guarda ancora negli occhi. I suoi sono…incredibili. Non si può spostare lo sguardo, bisogna guardarli e perdersi in quel colore dell’acqua e dei ghiacci.
Non so più cosa volevo dire.
Con uno sforzo immenso distolgo lo sguardo, e lotto contro la tentazione di guardarli ancora.
 
Ero ancora in silenzio, persa in pensieri sconnessi, quando la porta si è spalancata.
 È quella donna prosperosa dai capelli chiari e l’atteggiamento gioviale. «Capitano! Yoruichi-san ha…» si ferma improvvisamente, mi fissa, poi sogghignando sposta lo sguardo su Toshiro. «Ho interrotto qualcosa? Mi spiace, torno dopo!» e si catapulta fuori.
«…Matsumoto!» Nessuna risposta. Toshiro sospira.
   Si volge verso di me e mi studia in silenzio per qualche momento. «Rifletterò su ciò che mi hai detto.» dice. «Posso fare altro per te?»
«N-no, beh, ecco…grazie. Per tutto quello che state facendo per Ichi-nii.»
«Dovere.»
               Silenzio.
«Uhm…allora, ci vediamo.» mi sento impacciata nel rialzarmi, con il suo sguardo fisso addosso. «Ciao, Toshiro!»
Infilo la porta più veloce che posso. Richiudendola alle mie spalle, tiro un sospiro di sollievo. Mi sono sentita sotto esame, come ad un’interrogazione, solo che peggio.
Mi guardo intorno, nel corridoio dove affacciano molte stanze. Vorrei davvero vedere come sta Rukia, ma immagino sia sgarbato da parte mia girovagare. Considero per un secondo di rientrare e chiedere a Toshiro dove lei sia, ma scaccio l’idea scuotendo il capo.
Poi, in fondo al corridoio, appare la mia salvatrice: Ururu, con un vassoio per il thé.
«Hey, Ururu!» Le vado incontro. «Potresti indicarmi in quale stanza è Kuchiki Rukia? …se è qui, intendo.» Perché, effettivamente, nessuno me l’ha detto. Ururu annuisce debolmente, e mi risponde in un sussurro. «Seguimi.»
Apre una porta qualche metro più avanti, ed entriamo. Nello stanzone ci sono tre persone. Rukia, seduta nel futon con aria contrariata, e seduto al suo fianco lo shinigami dai capelli rossi che ho già visto, sono sicura, ma di cui non ricordo il nome. Distesa in un altro futon, distante dagli altri due, riconosco la compagna di Ichi-nii dai capelli color miele, ed altrettanto dolce. Inoue, se non sbaglio.
«Karin!» Esclama Rukia non appena mi scorge. «Karin, tutto bene? Non vi siete fatti male? Ichigo e…Arisawa?»
Mi accovaccio accanto al rosso con l’acconciatura improbabile, e le sorrido con calma. «Tutto bene. Solo…ci siamo preoccupati molto!»
Ururu appoggia il vassoio su di un tavolino, e corre fuori per procurarsi un’altra tazza.
Rukia quindi ricambia il sorriso, più rilassata. La studio velocemente, tra le bende e gli abiti bianchi spiccano tracce vermiglie, ad un occhio distratto parrebbero magari fiori rossi, delicate decorazioni. Invece è sangue, posso perfino sentirne l’odore. Sa di metallo.
«Come stai?»
«Bene!» risponde prontamente.
Il rosso invece sbuffa. «Ahem. Sono Kurosaki Karin, piacere di conoscerla.» E lo saluto con un lieve inchino. Mi ero dimenticata della sua presenza.
«Abarai Renji, luogotenente della sesta brigata.» snocciola tranquillo, e china appena il capo. Poi, rivolgendosi a Rukia, la sua espressione cambia totalmente, assume un duro cipiglio e corruga le sopracciglia tatuate, tanto che per un secondo mi sembra di vedere Ichi-nii. «Rukia, dovresti tornare nel Seireitei.»
Evidentemente ne stavano discutendo già da un po’, perché lei gli lancia un’occhiata gelida che mi fa salire un brivido lungo la schiena. Eppure lui imperterrito insiste, come se non avesse colto. «Kuchiki-taicho non mi perdonerebbe se-»
«Renji.» Un tono così distaccato non lo avevo mai sentito da lei, e la sua espressione lo è altrettanto. «Che io torni alla Soul Society ed in quali condizioni, non è affare di tua competenza. Non ti riguarda.»
Lui rimane come congelato per qualche secondo. Senza dire una parola si alza di scatto, travolgendo una tazza di thé verde che si rovescia tristemente sul tatami chiaro, ed esce. Rukia lo osserva andar via con espressione dura, quindi osserva la macchia di thé che si estende lentamente. Poi alza lo sguardo verso di me. «Stavamo dicendo…»
«Uhm, sì. Quindi…tu stai bene davvero?» Lei annuisce con un sorriso. «Lo sai, Ichi-nii non si perdonerebbe mai se tu ti facessi male per lui.»
«Lo so, è fatto così. Digli di non preoccuparsi, e che è un idiota.»
 
 12:50 - Rangiku
Magari potrebbe essere la volta buona che il capitano faccia amicizia con una ragazza, e poi magari si addolcisca e sia meno duro con me. Beh, io continuo a sperarci.
Ho visto la piccola Kurosaki andar via con aria pensierosa. Chissà se è la stessa aria che assumerà quando saprà la strategia, o semplicemente si butterà a capofitto come farebbe il fratello.
 
Qui non è come la sede della brigata, non ci sono giardini né cortili interni per passeggiare e schiarirsi le idee. Per me, che non voglio allontanarmi tanto, è proprio una brutta cosa. Cioè, c’è effettivamente un enorme stanzone d’allenamento, sotto i nostri piedi, con tanto di cielo artificiale, ma l’ambiente è così brullo e desolato che non ci andrei neanche per allenarmi. Passeggio inquieta per i corridoi, percorrendone uno, poi un altro, e poi di nuovo il primo, avanti ed indietro.
Improvvisamente il pannello alla mia destra scorre, e uno scricciolo di ragazza vestita di bianco sguscia fuori. La piccola Kuchiki mi guarda per un secondo sorpresa, poi si ricompone. «Matsumoto-san!» S’inchina profondamente, e senza rialzare il capo continua tutto d’un fiato. «Ho un favore da chiederle!»
«Ti ascolto.» Si raddrizza e fa un respiro profondo.
«Matsumoto-san, so di non essere in condizioni perfette, di non essere forte, né probabilmente utile in alcun modo, anzi, magari potrei anche essere un peso…» mi guarda con occhi decisi, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Però per favore, mi permetta di combattere al suo fianco quando sarà il momento.»
La osservo, ma non è lei che vedo.
So che significa quando c’è qualcosa più importante delle ferite, qualcosa che ti costringe ad alzarti anche se dovesse essere l’ultima volta, più importante di tutto il resto.

Ricordo il dolore, le lacrime, il sangue.
Ricordo i confini del mondo che si sgretolavano.
Ricordo il futuro che spariva senza lasciare alcuna traccia.

«Ho capito. Te lo concedo, Kuchiki.
Combatti per ciò che è importante.»
 
13:30 –Rukia
Forse, e dico forse, con Renji ho un po’ esagerato. So che non voleva essere oppressivo, o impormi qualcosa, ma ho perso le staffe. È che si preoccupa troppo, non dovrebbe.
 
È sul tetto, seduto. Guarda il cielo nuvoloso. Pioverà ancora.
Mi avvicino a passi leggeri sulle tegole umide e scivolose, mi siedo a qualche passo di distanza da lui.
«…non dovresti andare a spasso. Né sederti sul bagnato» mormora senza rivolgermi uno sguardo.
«Ti piace parlare a vuoto, eh?» Risponde con un grugnito. «Ci sono cose che si devono fare e basta.» Dico, ma ancora non mi guarda.
«Mh. Non importa.»
«E non mi liquidare così, sto cercando di dire una cosa importante!»
Mi faccio coraggio, chiedere scusa non è mai stato il mio forte. «Renji…mi dispiace. Ti ho risposto male, non dovevo.» Rimane in silenzio, e non dà cenno d’aver sentito. «Insomma, lo so che lo fai per il mio bene e tutto il resto, però davvero non ce n’è bisogno!» Mi sporgo un po’ verso di lui per cercare di guardarlo in viso. «E poi ci sei sempre tu, no? Al mio fianco.»
Si gira, e mi regala un mezzo sorriso. «Sì.» Mi scompiglia i capelli, e si alza. «Forza, rientriamo.»
Mi metto al passo con due saltelli, e gli tiro una manica. «Renji, mi perdoni? Per essere sempre così scortese e acida?»
Mi guarda con la coda dell’occhio per un secondo. «Certo» borbotta.
 

 
 
 
 
 
 
 

 

 

 
 

≈ Chiedo scusa per l'attesa a dir poco esagerata, sono pessima.
Ecco, vi renderò partecipi delle mie crisi ortografiche. La parola "tè". Appunto, nell'ortografia italiana è il modo corretto di scriverlo. A me non piace per niente! Alcuni vocabolari accettano anche la forma the, che è ancora peggio, e tea, dall'inglese. E thé, che graficamente mi piace tanto ed è anche quella che uso ostinatamente, invece è francese. Adesso so che qualcosa del francese mi piace.
La soluzione è non scrivere mai niente sul thé.

 

*Citazione poema d'apertura volume 2.
 
   
 
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