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Autore: Floramoss    22/01/2013    12 recensioni
Il piccolo Harry vive da sei mesi con Piton, il suo tutore. Sono i primi contatti fra i due, una conoscenza e intimità che crescono giorno dopo giorno, nelle difficoltà di Severus e nel bisogno d'amore del bambino. Questa breve ff continua la serie delle slices of life. Diciamo a volte di più con i gesti che con le parole. Il linguaggio silenzioso offre l'opportunità di confessare emozioni e sentimenti a chi non riesce a farlo con le parole.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Severus Piton
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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e con le mani amore x le mani ti prenderò

e con le mani amore x le mani ti prenderò

e senza dire parole nel mio cuore ti porterò...

(F. De Gregori)

 

 

Harry osservava rapito le mani del pozionista. Lavoravano incessantemente e con meticolosità alla preparazione di un composto: tagliavano, sbucciavano, spremevano, lasciavano scivolare mollemente polveri e granelli nel recipiente, mescolavano a diverse velocità. Erano unte e sporche. Qualche volta Harry aveva visto Severus massaggiarsele con la crema: alcune pozioni potevano rovinare la pelle, Severus gli aveva proibito assolutamente di toccarle. Tornò a concentrarsi sul lavoro del suo tutore: era incredibile come le dita sapessero sempre quanto materiale dosare, i polsi quanta forza esercitare: quelle mani sapevano come tenere i mestoli, quali recipienti scegliere, come maneggiare ogni tipo di materiale. Al banco dei preparati per pozioni il professor Piton non aveva rivali. Harry seguì il profilo di quelle mani lungo le braccia, fino alle spalle per poi fermarsi sul volto dell’uomo: era sempre molto concentrato, lo sguardo fisso sul contenuto del recipiente. Harry si chiedeva a volte se respirasse: i movimenti erano ridotti al minimo, come a non voler sprecare energie inutili. I capelli talvolta gli scivolavano davanti al viso ma nemmeno quelli si prendeva il disturbo di spostare. 

Il bambino aveva ottenuto di assistere al lavoro del suo tutore. Doveva rimanere però in silenzio, appollaiato sull’alto sgabello e a distanza di sicurezza dal tavolo. Se aveva domande avrebbe potuto formularle solo al termine della seduta. E se in un primo momento Harry di domande ne avrebbe fatte a cascata tanto era rimasto meravigliato da tutto quello che passava sotto ai suoi occhi e che finiva inevitabilmente dentro un calderone a cuocere a fuoco lento, sbuffando ogni tanto fumate a colori, alla fine aveva desistito perché non voleva perdersi un attimo di tutta quell’insolita attività . Quindi memorizzava le domande che poi, una volta giunta la sera e l’ora della lettura del dopo cena avrebbe posto. Che il professor Piton lo avesse ammesso nel laboratorio era per Harry un fatto straordinario. Quando viveva dai Dursley gli era assolutamente vietato mettere piede nei quartieri privati di zio Vernon: box auto e rimessa degli attrezzi da pesca. Invece il suo nuovo tutore gli aveva dato il permesso di guardarlo lavorare in quella stanza piena di cose strane chiuse dentro vasi e vasetti. Un bel passo avanti per il piccolo Potter, che solo da sei mesi era entrato prepotentemente, benché non di sua volontà, nella vita di Severus Piton. Mentre guardava con crescente curiosità delle cose tonde che potevano essere occhi di qualche strano animale si sentì improvvisamente interpellare: - Potter invece che startene lì impalato come un gufo impagliato potresti darmi una mano. – Gli aveva chiesto di aiutarlo? Il bambino sbarrò gli occhi per la sorpresa. Toccare quelle cose?

- Potter non mi pare che dall’ultimo controllo medico il tuo udito fosse diminuito. –

- Oh sì signore, certo signore. – Per l’emozione quasi cadde dallo sgabello.

- Senza ucciderti possibilmente. –

Il bambino posò i piedi a terra e si avvicinò all’uomo.

-Cosa devo fare? – Guardava il professore da sotto in su. Il professore era sempre tanto serio. Aveva sempre gli occhi imbronciati, con quella pieghetta fra le sopracciglia che lo rendeva ancora più torvo.  Harry non sempre ne capiva il motivo, a lui sembrava di non aver fatto niente di male e niente di sbagliato, però poi pensava che il signor Piton era sempre così, a qualsiasi ora del giorno, forse era così anche quando dormiva, quindi non poteva essere sempre colpa sua. Qualcosa doveva turbarlo. Forse i suoi studenti: lo sentiva spesso borbottare quando correggeva gli elaborati. Aveva capito che quelli che chiamava Tassorosso e Grifondoro erano i peggiori. Venne riscosso dai suoi pensieri dal rumore sordo di qualcosa che si stava avvicinando al tavolo. L’uomo aveva fatto una magia, aveva chiamato una piccola pedana e la piccola pedana era arrivata. Faceva spesso così il suo tutore quando gli occorreva qualcosa. Diceva “Accio”, almeno gli sembrava che quella fosse la parola magica.  Harry pensava che era una cosa davvero forte, perché potevi prendere tutto quello che ti serviva senza quasi muovere un dito: davvero comodo! Se avesse potuto fare lo stesso quando stava dai Dursley si sarebbe risparmiato un sacco di fatica.

- Allora, questi sono semi di magnolia maxima Li devi aprire a metà, così, togliere l’interno con molta delicatezza e metterlo in questa ciotola. Le bucce invece le metti in quest’altra. Hai le mani piccole, dovresti fare meno fatica di me. Stai attento a non romperli, perché rotti non servono a nulla. Non ho nessuna intenzione di andare a Diagon Alley almeno fino al prossimo novilunio per procurarmene degli altri. Tra l’altro rilasciano un odore sgradevole che ti si appiccica alle mani. –

Harry sulla pedana arrivava comodamente al tavolo da lavoro: adesso era dalla parte opposta a quella del pozionista. Severus da quella posizione poteva tener d’occhio il bambino alzando semplicemente lo sguardo. Harry si sentiva importante: sapeva che le pozioni che il professore preparava erano preziose e usate per tantissime cose.  Durante le loro chiacchierate serali, che adesso si erano fatte più intense rispetto ai primi giorni nella sua nuova casa, il mago gli aveva parlato del suo lavoro e ad Harry dispiaceva da morire non poterne far parola con i compagni. A parte Ron ovviamente, ma Ron era come lui, un piccolo mago, e i suoi fratelli più grandi andavano a scuola lì al castello, proprio dal professor Piton. Però non sembravano esserne particolarmente entusiasti. Harry lo capiva: non era certo un simpaticone il professore. Però era bravo. Non gli faceva mancare niente. E’ vero, non gli faceva carezze e nemmeno gli dava il bacio della buona notte ma tanto c’era abituato: quelle erano cose che facevano i genitori. Lui era il suo tutore. Che adesso gli faceva anche preparare i semi di magnolia.  Tutte cose che nella vita precedente nemmeno si sarebbe mai sognato.

Il bambino apriva i semi e ne divideva involucro e anima. Era talmente concentrato che non sembrava nemmeno respirare. Proprio come il suo maestro. Forse per preparare le pozioni bisognava proprio fare così. Severus lo osservava con frequenza: non era un lavoro pericoloso, solo noioso. Però il piccolo sembrava procedere bene. Era sorpreso positivamente da Potter, doveva ammetterlo. Faceva ancora molta fatica a relazionarsi con lui ma le cose erano migliorate rispetto ai primi giorni di convivenza. Harry era curioso, faceva un sacco di domande e per ora era sempre riuscito a dargli una risposta. Almeno finché non fossero arrivate domande più difficili, che lo avrebbero coinvolto troppo personalmente. Poteva dire ora che vivere col bambino era diventato tollerabile.

- Signore… ne ho rotto uno… -

- Uno è perdonabile. –

- Mamma mia che puzza… -

- Ti avevo avvisato. Vieni qui. –

Harry scese dalla pedana e raggiunse Piton che nel frattempo si era avviato al lavello per sciacquarsi a sua volta le mani. Harry vide che erano molto arrossate, quasi come se le avesse scottate. Il pozionista attese che anche Harry lavasse le proprie poi gliele frizionò con una spugna molto porosa. Nessuno si era mai preso cura di lui, quel gesto fece ad Harry uno strano effetto. Fissò Severus.

- Perché mi guardi così? Non dirmi che ti sto facendo male. –

- No signore… la spugna mi fa un po’ il solletico. –

- E’ profumata. Annusati le dita adesso. –

Era vero, l’odoraccio era sparito. Al suo posto sentiva un buon profumo, sembrava quasi il profumo di un giardino.  D’istinto prese una mano al suo tutore.

- Cosa fai Potter?! –

- Le fanno male le mani signore? Sono tutte rosse, perché non usa la spugna anche lei? –

Se per Harry era una novità che qualcuno si prendesse cura di lui, per Severus era una novità che qualcuno che non fosse Silente si preoccupasse per lui. Rimase per un attimo stordito dalla gentilezza del piccolo, e forse ancor di più dal tocco fra le loro mani.

- Le mie mani sono a posto Potter, grazie! – Gli aveva risposto un po’ bruscamente, ma lo aveva fatto senza intenzione questa volta, come fosse un riflesso incondizionato. Sapeva di essere burbero con Harry, era una strategia e un mezzo di autodifesa. Sapeva anche che Poppy lo bacchettava proprio per questo. Ma lui riteneva di avere già fatto un enorme sforzo ad accogliere il piccolo in casa.

- Torniamo al lavoro. – Si tolse così dall’imbarazzo crescente che quella situazione gli stava provocando. Il lavoro terminò senza ulteriori incidenti. Severus si complimentò col bambino.

- Ottimo lavoro Potter. – Per risposta lui corse via contento a prepararsi per la cena.

– E non correre, che al bagno ci arrivi lo stesso! – fiato sprecato. Gli era così insolito veder qualcuno correre in quella casa. Ma si trovò a pensare che alla fine non era poi tanto terribile.

 

Due giorni dopo Harry era a letto con quasi 40 di febbre. Non erano stati i semi, era stata l’epidemia che aveva decimato la sua classe: anche Ron subiva la stessa sorte. Severus non aveva mai dovuto badare ad un bambino malato. Quando succedeva ai suoi alunni lui se ne accorgeva solo vedendo i posti vuoti o dalla richiesta di particolari pozioni curative proveniente dall’infermeria. Avrebbe dovuto capire che Harry non stava bene ed evitare di mandarlo a scuola già dal mattino. Invece se lo ritrovò febbricitante alle 4, quando davanti alla tazza di tè e ai biscotti si accorse che qualcosa non andava: Potter aveva gli occhi lucidi, lamentava un mal di testa e, cosa che non era mai successa dal suo arrivo, rifiutò la merenda. Risultato: una gola in fiamme e una fronte talmente calda da poterci scaldare del grog. Preso un po’ alla sprovvista decise di fare una breve incursione via camino a casa Weasley: quando Percy vide la faccia del professore spuntare fra le fiamme per poco non si strozzò col succo di zucca che stava bevendo.

- Vorrei parlare con sua madre signor Weasley. –

- Gliela… gliela chiamo subito. –

Molly raggiunse l’ospite dopo qualche minuto e lo informò sulla situazione. Aveva fuori uso anche i gemelli per lo stesso motivo oltre che Ron, era normale routine, i suoli rimedi consistevano in tanto riposo, in un regolare cambio d’aria delle stanze, in una buona minestra e nell’unguento di Nedong*.

- Usi quello? –

- Certo, lo prepari tu! A cosa pensavi servisse? –

- So benissimo a cosa serve, ma credevo gli propinassi dello sciroppo, o qualcosa del genere. –

- Devi spalmargli l’unguento. E’ più efficace, agisce direttamente sull’infiammazione ed Harry se non sbaglio ha già un apparato respiratorio provato… -

- So benissimo anche questo. –

- E allora perché sei venuto fin qui se sai tutto? – Uhhhh quella donna era peggio di un incanto snervante.

- Volevo un confronto… non ho certo la tua esperienza con bambini malati. –

- Per la barba di Merlino tu ti stai confrontando con me? Per il bene di Harry? 

- Il mio è semplice scrupolo, non mettermi in bocca cose che non ho pronunciato!-

- Oh sì certo, mi perdoni professore per aver messo in dubbio la sua fama di mangiabambini…. –

- Di certo è quella che mi si addice meglio. –

- Non lo sarà ancora per molto. –

- Cosa vorresti dire, che mi sto rammollendo solo perché ho un bambino che tra l’altro nemmeno volevo che mi gira per casa? –

- Esattamente quello. –

- Potter non farà altro che confermare e acuire il mio “talento naturale”. –

- Ci risentiamo fra qualche mese professore…. –

- Quante volte? –

- Quante volte cosa? –

- Quante volte devo mettergli l’unguento! –

- Due volte al giorno. Spalmare fino al completo assorbimento… sono indicazioni del pozionista. –

- Molto divertente signora Weasley . – Sparì fra le fiamme e non vide il ghigno di soddisfazione che Molly aveva dipinto sulla faccia.

Pessima donna… e aveva pure generato…più di una volta come se non bastasse. Severus aveva avuto il piacere di conoscere il peggio della famiglia Weasley durante le riunioni dell’Ordine alla Tana e già sentiva crescere l’acidità di stomaco  al pensiero dell’arrivo dei gemelli ad Hogwarts. Perché diavolo non si era rivolto a Poppy…già perché? Gli era venuto spontaneo interpellare la Weasley. Spontaneo, sì, era la parola esatta per descrivere il suo insolito comportamento. Insolito, perché di spontaneo Piton non aveva e non faceva più nulla da un sacco di tempo. Non voleva credere che fosse un segno di cedimento e tornò a concentrarsi sul problema urgente: la febbre.

Trovò l’unguento nella sua fornitissima dispensa e si avviò verso la camera del bambino. Lo sentiva tossire violentemente e pensò che se andava avanti così gli sarebbero esplosi i polmoni. Quando lo vide non poté non provare pena: i colpi di tosse non gli davano pace, gli squassavano davvero il petto e non respirava bene. Sentì urgente il bisogno di alleviare il tormento: non sopportava di vedere il bambino in quello stato.

- Potter adesso ti spalmo un balsamo che ti farà stare meglio. Mettiti bene sulla schiena. – Gli sollevò maglia e canottiera scoprendo la pelle bianchissima. Intinse indice medio e anulare nel vasetto: le mani del pozionista iniziarono a spalmare l’unguento sul petto del bambino. Harry le osservava: facevano movimenti circolari sulla sua pelle e sentiva il fresco dell’unguento, che aveva un odore molto forte cui non riusciva a dare un nome. Al fresco seguì una sensazione di calore: l’odore adesso gli ricordava le arance. Ma quello che gli faceva più bene era quel massaggio, il contatto di quelle mani che aveva guardato così tante volte e che adesso lo accarezzavano. Era una sensazione così strana e piacevole. Avrebbe voluto che non finisse più. Come durante la preparazione delle pozioni il professore era concentrato su ciò che faceva. Harry chiuse gli occhi immaginando che ad accarezzarlo fosse suo papà, anche se non si ricordava nemmeno che faccia avesse…Finito sul davanti Severus fece sedere il bambino e ripeté l’operazione sul dorso. Il massaggio diede quasi subito i suoi effetti: Harry si addormentò appena tornò ad appoggiare la testa al cuscino. Non aveva spiaccicato parola in quell’ultimo quarto d’ora, cosa strana perché il giovane Potter si era rivelato essere un chiacchierone, a dispetto dei primi giorni di silenzio. Quelli erano stati giorni di studio del nuovo ambiente e del suo inquilino: da quasi subito gli era tornato il dono della parola. E alla fine Severus aveva iniziato a farci l’abitudine.

Piton non lo sentì più tossire per qualche tempo. Aveva già predisposto tutto per l’indomani: avrebbe lasciato il piccolo con un elfo fino all’ora della merenda. Ah, e avrebbe avvisato, ma solo per correttezza, madama Chips: non voleva che si dicesse che sottovalutasse l’infermità di Potter. Però lo avrebbe curato a modo suo: non aveva intenzione di sorbirsi le prediche in modalità “psicologa gabbana” da parte della bellicosa medimaga. Prima di coricarsi tornò da Harry con l’unguento. Ma questa volta non riuscì ad estraniarsi: si sentiva osservato. Mentre procedeva con il massaggio il piccolo lo fissava, avido di attenzioni e di intimità. Harry sembrava cibarsi di quel contatto, come a voler placare una sete perenne. Severus era un uomo intelligente, non dovette faticare a capire il perché. Ma sebbene la sua anima più scura e riservata  gli suggerisse di interrompere quella sorta di incanto si ritrovò vittima a sua volta dello stesso sortilegio: due solitudini si erano incontrate in una carezza.

Durante la notte la tosse tornò, in compagnia della febbre. Severus si alzò più volte: alla terza decise che avrebbe dormito sulla poltrona accanto al letto del bambino. Iniziava a preoccuparsi: non era medico e quella tosse insistente, così tenace a dispetto di tutto quello che stava somministrando lo impensieriva.

- Potter se ti fa male da qualche parte devi dirmelo. – Harry però sembrava inebetito, la temperatura era salita di nuovo a livelli preoccupanti e il pozionista iniziò a ponderare seriamente di portarlo in infermeria. Ma appena accennò ad alzarsi il piccolo lo pregò di restare.

- Resti qui? – E gli cercò la mano.Ancora quel lieve contatto che fece trasalire l'uomo.

- Mi fa male la gola. Tantissimo. – Ed effettivamente aveva la bocca tremendamente impastata. –Mi fai la magia? –

- Quale magia Potter? – Severus non aveva sottratto la mano e Harry allora se l’era portata sul cuore.

- Ah,quella magia… non è magia Potter e comunque ti ho messo l’unguento poco tempo fa, non posso ripetere adesso l’applicazione. – L’uomo notò che la sua voce si era intenerita: diede la colpa a quella situazione così avulsa dalla sua natura, non aveva mai assistito prima d’ora un bambino ammalato, aveva invece assistito la madre quando veniva maltrattata da Tobias. Ricacciò in fondo alla mente il ricordo pungente e guardò la mano appoggiata sul petto bambino. Contatto fisico, il bambino ne aveva bisogno. Quindi, dopo aver mentalmente maledetto Silente, rimase in quella posizione e per il resto della notte Potter non tossì più.

Quando la mattina lasciò le sue stanze per raggiungere l’aula di pozioni si raccomandò almeno una decina di volte che l’elfo di servizio non lasciasse mai solo Harry e che lo chiamasse se la temperatura si fosse ancora alzata sopra i 39 gradi. L’elfo lo rassicurò. Ma non ci fu verso di restare sull’attenti durante le prime due ore di lezione perché il pensiero andava continuamente al  bambino: lo disturbava sapere di non essere lì ad occuparsene. Nella pausa tra la terza e la quarta lezione si decise a scendere nel sotterraneo. Trovò Harry addormentato con l’elfo che lo vegliava, come da accordi. Si sentì un po’ stupido ma anche più tranquillo. Senza usare la bacchetta, col vecchio e consolidato sistema della mano sulla fronte si assicurò della temperatura e fu lieto di percepire che si era sicuramente abbassata. Ma scoprì anche che il piccolo era tremendamente sudato.

- Ha dormito tutto il tempo? –

- Sì signore ma il signor Potter era parecchio agitato signore. –

- E’ zuppo, per forza che la febbre è scesa. Procurami un pigiama pulito. – Si ritrovò così a cambiare Harry facendo attenzione a non svegliarlo. Gli sembrava di maneggiare del preparato per esplosioni: cautela e delicatezza. Lo asciugò, gli mise biancheria e pigiama puliti. Facendolo lievitare leggermente cambiò anche le lenzuola sotto lo sguardo dell’elfo che in tanti anni di servizio non aveva mai visto il suo padrone prendersi cura così di qualcuno.

- Il signor Potter parlava nel sonno signore. Chiamava la mamma, signore.–

Bene, il colpo di grazia era alfine giunto. Severus si incupì ancora di più. Tutti i bambini hanno bisogno di una madre. Tutti i bambini hanno diritto alla presenza e alle cure di una madre. Lui era un estraneo per Harry ma non era stato estraneo alla morte di Lily. Al vecchio e consolidato dolore se ne aggiunse uno nuovo: l’arrivo di Harry nella sua vita non aveva fatto altro che nutrire il suo rimorso e la lancinante sensazione di impotenza di fronte a ciò che era accaduto e che nessuno avrebbe mai più cambiato.

Per quel giorno prese i pasti nelle proprie stanze lasciando vuoto il suo posto in Sala Grande, cosa che fu notata ovviamente dal Preside. Si assentò anche dalla riunione settimanale dei capo casa. A questo punto Albus non poté non fare un giro nei sotterranei.

- Entra Albus. – Il preside varcò la soglia e trovò Severus in poltrona, davanti al camino. Non stava apparentemente facendo nulla.

- C’è qualche motivo particolare Severus perché tu abbia disertato i tuoi colleghi tutto il giorno? –

Il pozionista continuava a fissare il fuoco.

- Potter è ammalato. –

- Oh, mi dispiace. Hai tutto sotto controllo? –

- Albus non so per quanto potrò portare avanti questa farsa. -

- Pensavo fosse un discorso chiuso. –

- Per te sicuramente lo è Albus. Quando tu decidi una cosa il discorso è sempre chiuso. –

- Posso vederlo? –

- Accomodati. – Il sarcasmo e la durezza nella sua voce giunsero freddamente alle orecchie di Silente che sembrò ignorarle: l’anziano mago si rendeva conto benissimo invece dello scompiglio che aveva causato all'animo del suo pozionista.

Scivolò silenzioso nella cameretta: l’ultima volta che l’aveva vista era spoglia, fredda, quasi come la stanza dell’infermeria. Sorrise nell’intravedere qualche giocattolo, dei disegni alle pareti, e una lavagna. C’era del colore in quella stanza: il piumone patchwork, il porta lume, lo scendiletto. E c’era una piccola libreria. Notò, sul comodino, il barattolo in vetro viola contenente l'unguento di Nedong. Lo prese in mano e lo aprì, lo annusò: gli era sempre piaciuto, da bambino aveva desiderato anche mangiarselo qualche volta. Immaginò Severus alle prese con l'unguento e gli scappò un sorriso. Pensò che Harry viveva lì da soli sei mesi e già aveva causato significativi cambiamenti. Indugiò al lato del letto: sprofondato nel cuscino non sembrava nemmeno un bambino ammalato. Il pensiero che per sei anni aveva avuto per giaciglio quattro assi e un vecchio materasso nel sottoscala fu un inevitabile. Gli fece una carezza sulla testa poi tornò da Severus.- Non sembra stare tanto male. –

- Invece sta male Albus! – il pozionista alzò la voce e si levò dalla poltrona. – L’influenza passerà, ma non il resto! E tu ti ostini a lasciarlo con me! –

- Severus se avessimo il corso di drammaturgia ti proporrei per la cattedra. –

Il mago lo guardò in cagnesco.

- Perché minimizzi tutto! Sai cosa succederà uno di questi giorni? Che mi chiederà di sua madre e di suo padre. E io che storia gli racconterò? Quel bambino non ha bisogno di un pozionista, ha bisogno di un genitore! –

- Sì certo Severus, quel bambino ha bisogno di affetto, di una casa, di qualcuno che si prenda cura di lui. E ce l’ha. -

- Perché mi fai questo? - Severus sentiva di non aver più munizioni. Crollò sulla poltrona.

- Perché tu hai bisogno di lui come lui di te anche se ti ostini a voler dimostrare il contrario. Le tue non sono più le mani di un Mangiamorte: forse col cuore ancora non ci riesci, ma con le mani sì. -

- A fare cosa se mi è concesso di capire. -

- Ad amare Severus. - E senza dargli possibilità di rispondere lasciò la stanza in silenzio come era arrivato.

Severus siguardò le mani: avevano torturato. Avevano preparato veleni. Adulato il signore Oscuro. - Vecchio folle, credi sia davvero facile cancellare il loro operato? - Una vocina lo fece sussultare.

- Severus? signore ho sete. - Si voltò e vide Harry appena dietro di lui. Era spettinato, con gli occhi assonnati, ma il colorito era roseo.

- L'acqua nella caraffa sul comodino è finita signore. -

- Non dovresti essere fuori dal letto. Avanti, corri subito in camera, ci penso io all'acqua. - Seguì il piccolo che come un fulmine tornò sotto le coperte.

- Aguamenta.- pronunciò l'incantesimo e la caraffa fu presto piena. Ne versò subito un bicchiere al bambino che bevve senza nemmeno prendere fiato una volta.

- Grazie signor Severus. -

- Fammi vedere la gola.- Harry spalancò la bocca mentre Piton faceva luce con la punta della bacchetta. 

- Molto bene. Le tonsille hanno ripreso una dimensione accettabile. Domani puoi iniziare a mangiare qualcosa di solido. E da solo.-

- Ma io mi sento ancora debole signore. Non sono proprio guarito guarito. -

Severus sapeva che quel bisogno di attenzioni che Potter esprimeva senza tanto pudore era sacrosanto. In quell ultime ore lo aveva accudito, lavato, cambiato, imboccato. Per il bambino era tutto una novità, non poteva certo biasimarlo.

- Certo che non sei ancora guarito... ma non sei moribondo...-

- D'accordo signore. - rassegnato Harry pensò che essere ammalati col signor Piton era stato bello, anche se aveva avuto la febbre alta da non vederci, una tosse tanto forte che gli aveva fatto venire male alla pancia e una gola così gonfia e dolorante da rifiutarsi di deglutire.

- Severus? -

- Dimmi Harry. - Oh... l'aveva chiamato Harry... sì era davvero felice di essersi ammalato in fin dei conti.

- Quando sono guarito posso ancora aiutarti a pelare i semi nel laboratorio? -

Severus  annuì. Le mani del pozionista rimboccarono le coperte del bambino, poi indugiarono qualche attimo sulla sua testa, come incerte se fare o meno una carezza. Decisero di giocare un pò con i capelli del bambino, nel mascherato tentativo di pettinarli.

- Hai i capelli di tuo padre... e gli occhi di tua madre... -

sapendo di aver detto anche più di quello che avrebbe dovuto e notando lo sguardo interrogativo del piccolo si alzò dal letto:

- Uno di questi giorni ti racconterò di loro. - Sapeva che era giusto così. Lasciò la stanza senza spegnere il lume, come di consueto. Nella penombra Harry seguì l'uomo allontanarsi nelle sue lunghe vesti nere mentre i suoi pensieri di bambino correvano a quei volti di cui non serbava ricordo.   

 

Harry osservava le mani del pozionista: sfogliavano un album di fotografie, quelle fotografie strane dove le persone non sono immobili. Si era abituato adesso, non ne aveva più timore. I polpastrelli del professore sollevavano gentilmente la carta velina che le ricopriva: una per pagina, piene di ragazzi e ragazze. Erano le foto degli studenti dei tempi passati, divisi per annate e per Case.

- Ecco Potter, questo era tuo padre. – L’indice del pozionista indicò un giovane con i capelli arruffati e gli occhiali, magro e con lo sguardo da lazzarone . Da lazzarone buono, pensò Harry. Non come suo cugino Dudley. Il giovane teneva un braccio attorno alle spalle di un ragazzo che il bambino giudicò bello, più alto di suo papà, con i capelli lunghi.

- E lui chi è? -

- Si chiama Sirius Black, era il suo migliore amico. – Ma Harry vide che Severus aveva stretto la sua mano a pugno. E aveva uno sguardo per nulla rassicurante.

Harry si sentiva emozionato, era la prima volta che poteva dare un volto a suo padre.

- E la mamma? Non c’è? -

- Tua madre… è qui. – L’ultima sillaba fu appena percettibile.

Harry vide una ragazzina con i capelli rossi e lunghi, sorrideva e teneva un libro in mano. Gli parve bellissima, sembrava che sorridesse proprio a lui. Si sentiva strano, era felice e triste al tempo stesso. La mamma gli mancava, gli mancava davvero e vederla lì gli fece salire le lacrime agli occhi.

- Era bella signore… - ma l’uomo sembrava aver perso la parola. La sua mano adesso era poggiata lievemente sull’album e il suo sguardo era fisso, perso chissà dove.

- Sì Harry… - guardò finalmente il bambino e si accorse che adesso piangeva, silenzioso.

- Voglio mia mamma signore… -

Severus sentì che non poteva sopportare oltre tutta quella tensione, gli stava esplodendo il cuore, era come se tutte le tempeste del modo si stessero scatenando dentro di lui.

- Non possiamo farla tornare. –

- Neanche con la magia? – Harry continuava a piangere sempre con dignità.

Il piccolo sentì la mano del pozionista sul viso: col pollice gli stava togliendo le lacrime.

- No, la magia non può far tornare in vita le persone. Non sarebbe una cosa buona ma non pretendo che tu lo capisca adesso. – Severus chiuse e l’album e lo rimise al suo posto, in una teca di quella stanza piena zeppa di trofei.

- Però posso farti avere una copia delle fotografie. –

- Grazie signor Severus. –

I due ripresero la strada dei sotterranei senza dire più una parola. Ma la mano del pozionista cercò, trovò e strinse quella del bambino. 

 

 

*Nedong è un villaggio Tibetano.

  
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