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Autore: Carlos Olivera    22/01/2013    4 recensioni
"Era morta nel mondo della luce per rinascere in quello dell'oscurità.
Non avrebbe potuto stargli lontano, né disobbedire alla sua volontà. Sarebbe vissuta con lui, per lui, attraverso lui.
Lui sarebbe stato il suo centro, la sua fonte di vita. Proteggendo lui avrebbe protetto sé stessa, perchè senza di lui lei non era niente.
Lei non era più un essere umano.
Era un cane.
Un Cane da Guardia"
Una fiction prequel degli avvenimenti narrati in Eric Flyer Chronicles, incentrata sul pairing Eric-Nagisa. Spero che vi piaccia!^_^
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«E questo cosa sarebbe?» domandò provocatoriamente Leon Simmons, direttore e tesoriere della sede degli Hunter di Whitechapel, mostrando ad Eric un foglio di quelli contenuti nel suo rapporto sulla missione

«Non si vede?» replicò il giovane con assoluta sufficienza «Una richiesta di rimborso spese.»

«Certo che si vede. Sto solo cercando di capire come hai fatto a spendere 4500 sterline per un lavoro all’apparenza tanto semplice.»

«L’esca ha dovuto dire di no a parecchi potenziali clienti durante l’appostamento, ed eravamo d’accorso che le avrei rimborsato tutti i mancati guadagni.»

«Non credo che il saldo degli appuntamenti mancati di una squillo di alto borgo possa andare sotto la dicitura “spese di lavoro”.

Questa è la quarta richiesta di rimborso spese al di fuori della copertura finanziaria specificata nel tuo contratto che mi porti in meno di due mesi. Hai forse deciso di mandare all’aria questa sede?».

Eric non commentò, e alla fine, come al solito, Simmons cedette, staccando un assegno da cinquemila sterline per il suo hunter apprendista. Leon a volte era una vera testa di legno, scorbutico e pedante come un vero cinquantenne inglese, ma sapeva fare il suo lavoro, e soprattutto riconosceva il talento quando lo vedeva.

Nonostante considerasse Eric un aggressivo e superficiale ragazzino, ancora immaturo e privo di un vero scopo nella vita, ne riconosceva ed apprezzava il talento, e se i capi avevano voluto mandarlo in una città da sempre problematica come Londra voleva dire che erano anche altri a pensarla così.

«D’accordo, non pensiamoci più.» mugugnò aprendo un cassetto «Ma ora preparati, hai già un nuovo incarico.»

«Ancora!? Ma di licenza non si parla neanche da queste parti?»

«Forse in Giappone, Corea e Cina potete lavorare cinque giorni a settimana con quindici giorni di ferie pagate l’anno, ma qui in Europa le regole sono diverse.

Qui l’Associazione è nata, e qui ha dovuto venire a patti con governi, potentati e dittatori vari che si sono succeduti nel corso dei secoli per poter continuare a fare il suo lavoro.

Nel caso della Gran Bretagna, in base all’accordo stipulato con la famiglia reale e il governo inglese, oltre agli incarichi convenzionali accettiamo anche lavori che ci vengono commissionati da alcune figure selezionate».

Eric, che era relativamente nuovo della sede inglese, e non conosceva molto bene le regole a cui l’Associazione doveva sottostare in un contesto così difficile e sfaccettato come quello europeo, non mancò di trovare la cosa alquanto poco lusinghiera.

«Cosa siamo, dei mercenari?»

«Proprio tu parli, che tra poco ci manderai tutti in bancarotta? Di certo non facciamo tutto quello che ci viene richiesto, e sicuramente non lo facciamo gratis. I nostri servigi costano cari, e mantenere in piena efficienza questa nostra organizzazione ha dei costi talvolta molto elevanti, come tu stesso hai più volte dimostrato.

Ad ogni modo, la sede centrale nazionale ha approvato l’incarico, quindi non puoi farci niente. Tra l’altro, cosa che non riesco a capire, il cliente ha chiesto espressamente di te per questo lavoro.

Quindi, seduto e ubbidire».

Eric respirò tra i denti, visibilmente contrariato, e recuperò il foglietto strappandolo di mano al suo superiore. C’era riportato solo un indirizzo.

«Il cliente ha pagato un extra per la priorità uno. Recati al luogo segnato immediatamente.»

«Ho capito, ho capito.» mugugnò il ragazzo girando i tacchi

«Aspetta.» lo intercettò Leon prima che potesse lasciare lo studio «Fai attenzione, e cerca di ben figurare. È un cliente… molto importante.»

«Ci proverò.» rispose sufficiente Eric.

Fuori dell’ufficio lo attendeva Nagisa, seduta ad un divanetto accanto alla porta, silenziosa e appartata; per tutto il tempo, la gente che andava e veniva lungo il corridoio le aveva rivolto strani sguardi e maliziosi ammiccamenti che l’avevano fatta arrossire ed imbarazzare.

Malgrado fossero nel luogo teoricamente più inaccessibile al mondo per qualcuno come lei, nessuno sembrava quasi fare caso al fatto che fosse una vampira.

O non se ne rendevano conto, cosa assai improbabile, o forse non la temevano, reputandola troppo giovane ed inesperta per poter essere una minaccia. Ciò nonostante quei suoi tratti gentili e quella corporatura piacevolmente minuta la rendevano molto attraente, e a ben pensarci doveva essere proprio questo il motivo di tanto interessamento.

Proprio mentre Eric usciva, poi, passò di lì Misha Loredale, un’altra aspirante Hunter, una tipa briosa ed estroversa che, oltretutto, aveva una passione sfrenata per tutto ciò che, dal suo punto di vista, potesse risultare carino.

E carina Nagisa lo era di sicuro: non a caso, ogni volta che si incontravano il copione era sempre lo stesso.

«La mia Nagiccina!» esclamò la giovane nordirlandese buttandosi sulla mini-vampira e sommergendola di baci ed abbracci «Ogni volta che ti vedo mi viene voglia di portarti via!»

«B… buongiorno, signorina Loredale.» rispose lei imbarazzata e confusa

«Eric, me la devi prestare! Assolutamente! Conosco una boutique in centro e ce la voglio portare!»

«Quante volte te lo devo dire?» domandò il ragazzo tirandola su di peso per la collottola come fosse stata un gatto «Non è un giocattolo.»

«N… no.» disse Nagisa, pur tutta rossa e confusa «Non… non c’è problema…»

«Hai sentito? E dai, Eric. Non è mica giusto che te la tieni solo per te.»

«Non hai del lavoro da fare?»

«Sei un egoista!» e detto questo Misha se ne andò sbattendo i piedi.

Eric guardò fuori dalla finestra più vicina, le cui tende erano tirate; il sole era già alto, malgrado fosse giorno solo da poco. Nulla di impossibile per lui, che in quanto mezzo umano poteva sopportare la luce molto meglio degli altri suoi simili, ma per la sua succube il sole era ormai diventato un acerrimo nemico, al quale accostarsi con molta attenzione.

Non c’era ragione di costringerla ad imbacuccarsi, tanto più che doveva solo recarsi da un cliente.

«Nagisa, tu aspettami qui.» le disse «Non è il caso che tu esca con tutto questo sole».

Nagisa abbassò gli occhi, mortificata e rassegnata.

Una ulteriore prova di quanto la sua vita fosse cambiata.

Da quasi sei mesi non vedeva la luce del giorno, se non al crepuscolo o durante giorni di pioggia, e mai più l’avrebbe potuta vedere, almeno come un tempo.

I vestiti neri che indossava continuamente non erano solo un addobbo estetico volto a darle quell’aria piacevolmente goth; il nero del tessuto assorbiva i raggi ultravioletti, evitandole di doversi rinchiudere in ingombranti cappotti ogni volta che metteva il naso fuori dall’oscurità, un rimedio che però risultava inutile se la luce del sole, come quel giorno, era troppo forte.

A dire il vero poteva ancora camminare sotto il sole se lo avesse voluto, ma per farlo era costretta a ricoprirsi da capo a piedi di una specie di olio schermante viscido e fastidioso, e piuttosto che farlo preferiva evitare di uscire.

Aveva scelto la via delle ombre per avere salva la vita, e ora doveva fare i conti con quello che era diventata.

«Sì, mio signore.» disse mestamente.

 

Inforcati gli occhiali da sole, sì da proteggere l’unica parte del suo corpo che nonostante tutto non sopportava troppo a lungo la luce del giorno, Eric lasciò la sede per recarsi all’appuntamento con il suo misterioso committente.

Al sole di aprile, Londra era più viva che mai.

Le strade erano piene di gente, anche di più visto tutti i turisti che stavano convergendo nella City per il ponte di pasqua; certo, nessuno poteva immaginare che quell’apparentemente ordinario e anonimo pub in una vietta laterale a due passi dalla cappella bianca che dava il nome al quartiere fosse in realtà la sede di una potente e silenziosa organizzazione che da secoli proteggeva la città dai vampiri che la riempivano.

Guardò l’indirizzo: SW1A, London. Per qualche motivo gli sembrava famigliare, il che stava a significare che almeno una volta doveva esserci già stato, ma proprio non riusciva a ricordare a cosa corrispondesse.

Poco male. Lo avrebbe scoperto presto.

Raggiunse la strada e alzò un braccio, fermando il primo taxi che gli capitò sotto mano.

«Mi porti qui, per favore.» disse mostrando l’indirizzo all’autista «Ho un appuntamento di lavoro.»

L’anziano lo lesse, restandone stranamente di sasso.

«Ma…» disse «Ne è sicuro?»

«Certo che ne sono sicuro. Avanti, ho fretta.»

«D’… d’accordo…».

Il tassista a quel punto, pur comprensibilmente incredulo, partì; non era certo la prima volta che qualcuno gli chiedeva di recarsi a quell’indirizzo, ma era di sicuro la prima volta che qualcuno gli diceva di doverci andare per un colloquio di lavoro. In verità Eric non riusciva a capire il perché di un tale stupore, ma arrivò infine a comprenderne la ragione quando, dopo una buona mezz’ora di viaggio, il taxi si fermò all’ingresso secondario di un edificio che tutti i londinesi e non solo ben conoscevano.

Ora capiva perché quell’indirizzo gli era così famigliare.

Non era certo la prima volta che visitava Buckingam Palace: suo nonno, che lì dentro aveva da sempre molti amici, ce lo aveva portato parecchie volte, durante l’infelice periodo che era stato costretto a trascorrere al suo fianco.

«È proprio sicuro che sia questo l’indirizzo?» domandò il tassista quasi provocatorio

«Ora anche di più.» rispose il ragazzo tenendo gli occhi fissi sul palazzo «Grazie.» e pagata la corsa scese dalla macchina.

Con passo deciso ma rispettoso, sicuro di sé, Eric si approssimò al cancello di servizio, quello usato dagli ospiti che volevano arrivare in sordina e senza scalpore, sorvegliato da un cordone di guardie reali e agenti di polizia.

Uno di loro gli si fece incontro, e lui senza timore esibì il distintivo dell’Associazione; tutti coloro che lavoravano nel campo della Sicurezza alla Famiglia Reale Britannica conoscevano bene quel simbolo, e avevano fatto voto di segretezza.

«Sono Eric Flyer. Ho un appuntamento».

Le guardie erano già state informate, e confermata l’identità del giovane lo lasciarono passare. Attraversati i giardini ed entrato nel palazzo, Eric si defilò rapidamente nell’ala interdetta ai turisti su indicazione di un attendente, ma una volta qui si imbatté in un secondo cordone di sicurezza, piazzato proprio nel centro del vasto e lussureggiante corridoio che immetteva direttamente negli appartamenti reali.

«Deponga le armi, per cortesia.» gli fu richiesto.

Non che la cosa lo entusiasmasse, ma il ragazzo si rimise alle disposizioni, lasciando nelle mani di una guardia il suo Mateba Modello 6, revolver automatico con caricatore modificato ad otto colpi e proiettili antivampiro, e il coltello da guerra che portava dietro la cintura, quindici centimetri di lama laminata d’argento.

A quel punto, Eric fu ammesso da un maggiordomo in una stanza d’attesa, nella fattispecie un elegante studio privato pieno di libri e pregevolmente ammobiliato, con un’ampia finestra che dava sul cortile dalle finestre già parzialmente e rispettosamente oscurate.

«Prego.» disse l’attendente facendolo accomodare «Il suo cliente sarà qui il prima possibile».

Eric restò solo, a guardarsi attorno.

Non era la prima volta che entrava in quello studio, dove il suo cliente, che ora immaginava chi dovesse essere, usava per accogliere i suoi ospiti riservati; e a distanza di anni, tutto era proprio come un tempo.

Tra tutte le cose che riempivano la stanza, il ragazzo notò una pregevole e riccamente decorata scatola di legno finemente lavorata, in realtà un carillon, opera sicuramente di un grande maestro; sollevò il coperchio, lentamente, e dall’interno emerse la buffa statuetta di un orso ballerino che girava su sé stesso sulle note di una piacevole melodia.

Era proprio tutto come un tempo; Eric riuscì perfino a trovare la forza di sorridere, proprio come aveva fatto la prima volta che l’aveva aperto, in un’epoca ormai lontana in cui di ragioni per sorridere ne aveva davvero poche.

Stava ascoltando la musica del carillon, lasciandosi trasportare dai ricordi, quando questa venne sormontata da un curioso ticchettio, come un qualcosa che batteva ritmicamente sul pregiato parquet della stanza.

Il ragazzo si volse, trovandosi a tu per tu con una elegante e raffinata nobildonna di età palesemente avanzata, occhi azzurri piccoli e penetranti nascosti dalle rughe che le dominavano il viso, mani ossute ma ancora forti nascoste in un paio di guanti bianchi e fisico reso asciutto dall’impietosità della vecchiaia; si aiutava a camminare sorreggendosi ad un raffinato bastone di faggio e avorio e vestiva in maniera ricercata, come ricercata era l’acconciatura dei capelli bianco argentati che contornavano il viso.

«Quel carillon ti era sempre piaciuto.» disse sorridendo e con voce roca, quasi affaticata.

Eric si diede un contegno, consapevole dell’importanza della persona che aveva di fronte.

«Vostra Maestà.» disse rispettosamente

«Suvvia, non essere così formale. Ti conosco da quando eri un ragazzino.» poi gli andò incontro, e i due si guardarono a lungo «Ne è passato di tempo, giovane vampiro.»

«Abbastanza.»

«Quando ci siamo conosciuti, tu eri un bambino con l’età di un adulto, e io una ragazza a cui era stato imposto di crescere in fretta.

Certo, guardandoti non si direbbe quasi che tu ed io abbiamo meno di vent’anni di differenza. Tu, giovane e atletico, nell’età più bella della vita, e io, un corpo rugoso che scricchiola sotto il peso degli anni.»

«Voi siete la stessa di cinquant’anni fa, mia regina.» rispose Eric ricordando la prima volta che si erano visti «Bella oggi come allora.»

«Non tentare di adularmi.» disse lei ridacchiando divertita «La bellezza se n’è andata tempo fa.» poi volle tagliare corto «Comunque, non siamo certo qui per rivangare il passato.»

«Mi è stato detto che avete un incarico da affidarmi.»

«È così. Ho fatto molti favori all’Associazione nel corso degli anni, e ho pensato fosse giunto il momento di ripagare il debito.»

«Per quale motivo avete chiamato proprio me?»

«Beh, prima di tutto per i nostri trascorsi.» disse, poi lo guardò enigmatica «E mi fido del tuo giudizio. Un vampiro con il cuore di un umano è il migliore alleato che gli esseri umani potrebbero avere.»

«I vampiri sono delle bestie. Cacciano e predano come animali, e non conoscono i sentimenti.»

«Ma tu sei uno di loro. E la prima volta che ci siamo visti, non mi era parso che tu odiassi la tua condizione.»

«Perché allora non mi rendevo conto. Non sapevo quante cose mi fossero state nascoste».

«Il conte tuo nonno non è mai stato un esempio di moralità. L’atteggiamento tenuto dai suoi confronti è stato solo uno dei suoi tanti sbagli.

Se non altro, ha contribuito a fare di te quello che sei.

Ma ora, basta con questi discorsi».

La regina a quel punto prese una foto tra quelle riposte su di una mensola a destra della scrivania, e la porse ad Eric. Ritraeva un giovane di bell’aspetto dai capelli rosso scuro e riccioluti ed una ragazza più o meno della stessa età, bella e sorridente come il sole, con lunghi capelli castani elegantemente raccolti e scintillanti occhi neri.

«Suo nipote.» disse il ragazzo riconoscendo il soggetto

«Mio nipote.» replicò la regina quasi sospirando «Edmund. E la sua fidanzata. Tra una settimana, partiranno per un viaggio ufficiale negli Stati Uniti, e vorrei che tu facessi parte della sicurezza.»

«Per quale motivo, se mi è lecito chiedere?» domandò Eric, stupito da una così strana richiesta

«Come posso spiegare… diciamo che non mi sento del tutto sicura ad affidarli solo negli mani degli esseri umani, se capisci cosa voglio dire».

Eric fece due più due ed intuì quale dovesse essere la preoccupazione della regina; del resto, ne avevano parlato molto anche i media.

«Caroline».

Sua Maestà fece un cenno di assenso.

«In questa nazione, i vampiri nobili sono molto potenti ed importanti, ma sono anche tremendamente conservatori. Il loro ideale di Famiglia Reale è rimasto indietro di alcuni secoli.»

«E immagino non vedano di buon occhio la presenza di un’americana al fianco del secondo candidato alla successione al trono».

La regina restò in silenzio, poi si avviò faticosamente alla finestra scostando leggermente le tende.

«Mio nipote ha creato tanti problemi nel corso della sua vita. A me come a tutto il casato. Scandali, malevoci, dicerie, e il cielo sa cos’altro.

Immagino che parte della colpa sia anche mia, vista la poca considerazione che ho sempre tenuto nei suoi confronti. Non ho mai fatto mistero della mia scarsa simpatia nei confronti della sua compianta madre, e credo che questo abbia accresciuto la sua ostilità nei miei confronti».

Vi fu una nuova pausa, ed Eric notò la mano di Sua Maestà stringere più forte, e tremando, l’impugnatura del bastone.

«L’altro mio nipote, e mio futuro successore, non gode di buona salute. Secondo gli ultimi medici che ho consultato, potrebbe morire prima di arrivare a cinquant’anni. E se così fosse, sarà Edmund a dover prendere il suo posto».

Poi la regina parve calmarsi, si girò e cercò di sedersi, ma dovette essere aiutata da Eric.

«Mio nipote ha fatto tante scelte sbagliate in vita sua.

Ma da quando ha conosciuto questa ragazza, sembra un’altra persona. Non mi importa da dove venga e se abbia o meno sangue inglese nelle vene. Se è stata capace di riportare Edmund sulla giusta strada, allora è la persona più adatta a lui.

Pertanto, voglio che sia protetta e al sicuro».

Eric ci pensò un momento, e per un attimo provò quasi una certa invidia nei confronti di quel ragazzo; che lusso, avere un parente così determinato a fare qualsiasi cosa per la felicità ed il bene dei propri famigliari.

Quasi voler incentivare ulteriormente un’approvazione che, oltretutto, Eric non avrebbe potuto comunque negare, la regina aprì il cassetto della scrivania e ne prese fuori due assegni; il primo, da 250.000 sterline, era il compenso pattuito per l’associazione, il secondo, da 25.000, era invece per il suo giovane vampiro preferito.

«Consideralo un piccolo omaggio personale.» disse porgendoglielo, e facendogli capire quindi che quello era tutto suo «In ringraziamento per quanto la tua famiglia, nonostante tutto, ha fatto per il Regno Unito».

Tenendo conto anche del fatto che non poteva comunque tirarsi indietro, Eric accettò l’incarico, ma anche le 25.000 sterline; non era mai stato un tipo venale, ma essere un Hunter aveva dei costi considerevoli, che spesso l’Associazione non copriva, e vista la tirchieria di Simmons un po’ di soldi per le spese fuori programma erano un toccasana.

«D’accordo.» furono le sue sole parole

«Ne sono felice. Edmund e la sua fidanzata partiranno per gli Stati Uniti lunedì. Ho già preso accordi anche con un altro tuo collega Hunter. Vista la situazione, ho preferito non far cadere tutte le responsabilità sulle tue spalle.»

«Un altro Hunter? E chi è?»

«Beh» rispose la regina dopo qualche attimo, quasi con imbarazzo «Diciamo che è un tipo… piuttosto bizzarro».

 

Calava la sera sulla scuola media di Swansea, nell’estremo sud del Galles, e quasi tutti gli studenti ormai avevano fatto ritorno alle proprie case.

Solo pochi si attardavano ancora nei cortili del collegio, che nonostante l’illuminazione pubblica era piuttosto buio e spettrale, ma c’era chi, come Ashley Harlow, alle storie dei fantasmi e degli spiriti che si diceva abitassero da quelle parti non ci aveva mai creduto.

Di tutt’altro parere era la sua migliore amica, Sarah McNeill, che ogni settimana sudava freddo al pensiero di dover affrontare le prove di teatro del mercoledì che la costringevano puntualmente ad andare via quando il sole era già calato da un pezzo, e il cortile era immerso nell’oscurità.

Quella sera però, una volta tanto, Sarah aveva altro a cui pensare; il giorno dopo si sarebbero tenute le prove per la selezione del cast che avrebbe preso parte alla rappresentazione di fine anno, e la sua testa era piena dei nomi e delle specifiche tecnico-artistiche dei potenziali candidati.

Proprio per questo, non vedeva di tornare a casa e mettersi a letto, proprio in previsione della giornata da paura che l’attendeva il giorno successivo.

«Allora, io vado.» disse alla sua amica, nonché vicepresidente del gruppo teatrale, appena lasciato l’edificio «Ci vediamo domani.»

«Ok, a domani.» rispose Ashley mentre la sua migliore amica si allontanava in tutta fretta lungo il vialetto che portava all’ingresso secondario, dove c’era la fermata del suo autobus.

Rimasta sola Ashley si diresse invece verso il cancello principale, passando accanto ai dormitori riservati agli studenti fuori sede.

C’era un silenzio stranamente inquietante tutto intorno; non più del solito, eppure per qualche motivo la ragazzina dopo poco si sentì stranamente a disagio.

La sua passione per i gialli, nonché il suo spiccato intuito, unito ad una capacità logico-deduttiva assolutamente non comune per qualcuno della sua età, le permetteva un sesto senso quasi telepatico, e ora aveva la sensazione assolutamente tangibile che ci fosse qualcuno alle sue spalle, e che questo qualcuno non fosse armato di buone intenzioni.

Cercò di calmare i battiti del cuore, e nel frattempo aumentò sempre più il suo passo di corsa, ma il suo inseguitore parve fare altrettanto, e allora persino lei non riuscì a restare immune alla paura.

Cercando di non darlo a vedere, prese a frugare nelle tasche della giacca, alla ricerca del taser che suo padre, sempre in giro per basi militari e cantieri navali, l’aveva costretta a portare sempre con sé, e che non avrebbe mai immaginato di dover un giorno utilizzare per davvero.

Attese a lungo, seguitando a camminare nella speranza che l’inseguitore si arrendesse, o di incontrare qualcuno che lo facesse desistere, ma alla fine si risolse a fare qualcosa. Fulminea, si girò, facendo scattare nel contempo la sicura dell’arma, ma come guardò alle proprie spalle restò basita nel rendersi conto che non vi era nessuno.

Tutto era solo oscurità e silenzio.

Non volle crederci, per quanto ciò la fece sentire sollevata: possibile che i suoi sensi l’avessero tradita?

Eppure era così sicura di aver sentito qualcosa.

Il sollievo derivato dal passato pericolo fu come un tappo che, nel momento in cui fece per riprendere la sua strada, saltò troppo tardi, impedendole di rispondere efficacemente alla minaccia che si trovò davanti appena cercò di tornare sui propri passi e che le arrivò ditta addosso.

Per poco il cuore non le scoppiò per la paura, vedendo comparire da un istante all’altro quel volto quasi inumano proprio davanti agli occhi, e prima di rendersene conto era già stata buttata a terra; fece per alzarsi, ma quell’uomo, se di uomo si poteva parlare, in un istante le fu sopra, bloccandole braccia e gambe; i suoi lineamenti mettevano terrore, aveva la pelle pallida e raggrinzita come quella di un morto, occhi rossi di sangue e zanne che spuntavano dalle labbra.

Con la forza della disperazione, e mentre cercava di gridare aiuto con tutta la voce che aveva, riuscì a liberare la mano che impugnava ancora il taser, sparando gli elettrodi estensibili dritti in mezzo al torace dell’aggressore; quello gemette, avvertendo forse un qualche dolore, ma non si mosse, né diede segno di sentire in qualche modo la scossa elettrica che avrebbe dovuto paralizzarlo.

Senza alcun problema afferrò gli elettrodi, se li strappò e li scagliò via assieme al taser di Ashley, che rimasta senza difese non poté far altro che osservare, impietrita dal terrore, quell’essere mostruoso spalancare la bocca come se avesse voluto morderla.

Chiuse gli occhi, terrorizzata a tal punto da non riuscire più neanche a gridare, ma d’improvviso, mentre aspettava di venire azzannata, avvertì due tremendi botti in successione, che non faticò a riconoscere come degli spari.

Passò un istante, e la stretta esercitata sui suoi polsi si allentò di colpo, dandole la forza di risollevare le palpebre.

Il mostro, o quello che era, era immobile sopra di lei, la bocca orribilmente aperta, gli occhi girati all’indietro, e il volto completamente inondato di sangue; sopra l’orecchio sinistro, due fori, quasi sovrapposti tanto erano vicini, come se chi aveva sparato avesse cercato di infilare i due proiettili uno dietro l’altro fin quasi a riuscirci.

Contrariamente a quanto accadeva con gli esseri umani, l’assalitore parve venire irrigidito immediatamente dal rigor mortis, e subito dopo, sotto gli occhi increduli di Ashley, il suo corpo divenne cenere, disperdendosi nel vento, e lasciando dietro di sé solo i vestiti vecchi e stracciati.

«Non lo sai che le donne non vanno toccate?» disse una voce gentile e, alle orecchie di Ashley, stranamente famigliare.

Dopo qualche attimo, dal buio del muro esterno di un edificio emerse un giovane uomo dai tratti vagamente europei, e di un’età approssimativa di venti o ventitre anni al massimo; i capelli, di un biondo dorato, erano lunghi e lisci, e il volto, ben delineato e dominato da un’espressione vigorosa ma pregiata, era ingentilito da due grandi e scintillanti occhi azzurri.

Vestiva in modo semplice ma elegante, con calzoni scuri, maglietta leggera rosso bordeaux e una giacca bluette, e in mano teneva un grosso fucile militare con mirino laser la cui canna fumava ancora dopo i due colpi sparati in successione.

«Non è un po’ tardi per girare ancora da queste parti, signorina?»

«Professor Eisen.» disse Ashley riconoscendo il giovane supplente di tedesco arrivato da poco alla scuola.

Tutte le ragazze o quasi sapevano chi fosse, e anche Ashley, per quanto fosse poco interessata a questo genere di cose, fin dal primo momento non era riuscita a restare indenne al suo indubbio fascino.

Il professore si avvicinò, e sorridendo le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei arrossì, imbarazzata da quel gesto così semplice e da quel sorriso così sincero, quindi timidamente accettò l’aiuto, rimettendosi in piedi malgrado tremasse ancora di paura.

«Ti ha fatto del male?» domandò Peter «Sei stata morsa?»

«Ecco… no…» balbettò Ashley faticando a recuperare la sua abituale logica

«Io ti conosco. Primo anno terza classe, vero? Aspetta… Harlow, giusto?»

«Sì, giusto.»

«A conti fatti, ci è voluto meno del previsto. Pensavo che, sapendomi sulle sue tracce, sarebbe stato più prudente.» e si appoggiò il fucile sulla spalla «Peccato. Mi stavo abituando a fare il professore».

Ad Ashley poi cadde l’occhio su quella cosa, o meglio su quello che restava di lei.

«Ma quello…» balbettò «Quello…»

«Che cos’era?» la anticipò lui «Che tu ci creda o no, era un vampiro.»

«Un vampiro!?»

«L’astinenza prolungata da emoglobina può giocare brutti scherzi, soprattutto se prima eri un essere umano. E quando uno di questi vampiri infrange le regole o diventa pericoloso, noi spediamo quel succhiasangue dritto all’inferno.»

«Noi!?»

«Credi che sia da solo? Siamo un’Associazione. Ci chiamano Associazione Hunter. Un nome fico, non trovi? Anche se io preferirei qualcosa di più epico, tipo Guardiani dell’Uomo, o Fratelli Assassini, o giù di lì».

Peter aveva tutto l’appeal ed il fascino di un attore, e infatti anche Ashley non riuscì a non arrossire incrociando quei suoi occhi così gentili e rassicuranti.

Peccato che, al di sotto di quella scorza esteriore, avesse più di qualche difetto, soprattutto per quanto riguardava la sua di dipendenza.

Si avvicinò ad Ashley, occhi fissi nei suoi, e sorriso ammaliante che mandò a mille il cuore della ragazza.

«E ora, visto che ti ho salvato, che ne dici di una piccola ricompensa?»

«Ri… ricompensa?» disse lei confusa «Ma io… non ho niente con me…»

«Io non parlavo di denaro».

Già il solo fatto che Peter stesse piegando le labbra fu sufficiente, passato  l’attimo di smarrimento, per far scattare Ashley sull’attenti, ma quella specie di allarme interiore che aveva dentro si mise a suonare a tutto spiano nel momento in cui avvertì uno strano, e decisamente insopportabile, strusciare di mano nella parte bassa della schiena.

Cacciato un urlo, menò un ceffone da antologia, che si abbatté senza pietà sulla guancia del giovane professore maniaco scagliandolo via come una foglia secca. Del resto, Peter aveva imparato tante volte a proprie spese che, se sottoposte a certi stress, le donne erano capaci di centuplicare la propria forza distruttiva.

«Razza di pervertito! Maniaco!» sbraitò Ashley per poi correre via, rossa di rabbia e di imbarazzo.

Peter dal canto suo restò tramortito per qualche secondo prima di riprendere conoscenza.

«Ma… ma perché và sempre a finire così?» balbettò contando i denti che quel manrovescio da WWE gli aveva lasciato.

Fu riportato alla realtà, e alla serietà, dallo squillare del suo telefono; si alzò, si diede una sistemata, si accomodò su una vicina panchina, quindi rispose.

«Sono io … Tutto sistemato … Sì, posso confermare. Mi sono appena liberato … Ci sarò anch’io … D’accordo … Ok … Và bene, prendo il primo aereo per Londra».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Ce ne ho messo di tempo, vero?

Il fatto è che ho avuto un piccolo problema al pc, che sono riuscito a risolvere solo stamattina, e così per tutto questo tempo non sono riuscito a scrivere, anche se in realtà il capitolo era ormai quasi finito quando sono iniziati i problemi.

Comunque, che ve ne pare? Piaciuto come primo capitolo?

Come si è intuito, questa breve fiction (che, lo ribadisco, non andrà oltre i 10-11 capitoli) costituisce un prequel generale della storia di Eric Flyer, raccontando molti aspetti della sua vita e del suo primo periodo come Hunter (ad esempio, come e perché abbia sviluppato il suo potere di rallentare il tempo, o perché sia passato da un revolver ai machete con cui appare in Eric Flyer Chronicles), ma anche esplorando un po’ più approfonditamente il personaggio di Nagisa, lasciata finora piuttosto in ombra.

Adesso aggiornerò a breve EFT (che ho già tutto in testa, basta scrivere) poi tornerò qui con il prossimo capitolo (horror e splatter a volontà)

A presto!^_^

  
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