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Autore: C h i a r a    22/01/2013    3 recensioni
Questa è una ff di genere Young-Adult. Eleonora è una ragazza di Livorno che non ha amici. A molti la situazione starebbe scomoda, ma a lei no, non vuole interagire con nessuno.
(la storia si svolge a Livorno, ma luoghi e persone sono puramente inventati, ogni riferimento è puramente casuale)
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno dopo, Mercoledì: Alessio prova a iniziare una conversazione. Con un’occhiataccia lo stronco sul nascere.
Giovedì: Alessio mi racconta degli allenamenti di calcio del giorno prima. Sorrido e annuisco. Dico a mia mamma che esco con lui, chiede dove vado, rispondo in modo confuso. Ovviamente sono in biblioteca.
Venerdì:  mamma sembra sempre più strana. Continua a chiedere di Alessio, a pranzo chiede informazioni sulla sua famiglia e sulla sua vita. Riesco a rispondere grazie ai dettegli non chiesti che lui mi dà sempre su sé stesso.
Sabato: “Esco con Alessio” subito dopo aver mangiato. La biblioteca è chiusa di sabato pomeriggio, vado all’Hero, e leggo. Sabato è il giorno libero di Stephanie.
Domenica: La mattina messa, il pomeriggio guardo il mio film preferito “Inception” sarà la quindicesima volta che lo vedo, e non capisco il finale.
Lunedì: Alessio mi chiede del mio fine settimana, stranamente gli rispondo. Anche a lui piace Inception, e nemmeno lui capisce il finale.
Martedì:
Sono a cena con i miei, oggi pizza. A un certo punto mia mamma, senza introdurre il discorso o altro, fa una proposta, se si può chiamare così  una cosa già decisa.
«Invita a cena Alessio, Alice e Sara. Sabato. Mangiate la pizza in mansarda e poi guardate un film.»
La pizza mi si incastra in gola «Come scusa?»
«Hai capito bene. Sabato. I tuoi amici qui.»
Faccio una risata forzata «Vuoi controllare se esistono vero?»
Il suo volto è impassibile «Si.»
«Ti sembra che io possa inventare della persone? Ti rendi conto di cosa stai dicendo?»
Finge di non aver sentito. «Che film volete vedere?»
«Ok.» sospiro «Invito Alessio.» almeno lui esiste. Le altre due non saprei chi invitare.
«Alice e Sara?»
«Abbiamo litigato.»
«Posso sapere perché?»
«Dicono che da quando esco con Alessio non sto più con loro. Ora posso finire la mia pizza senza dovere subire un interrogatorio su chi è mio amico e chi non lo è?» quando si mente è meglio troncare la discussione, per evitare che la bugia si ingigantisca sempre di più.
«Si.»
Riprendo a mangiare la mia pizza, e nel frattempo cerco il modo per dire ad Alessio che è costretto a mangiare la pizza e vedere un film con me.
Il giorno dopo arrivo a scuola, lui è già al posto, come al solito mi saluta con il sorriso. Oggi lo saluto anch’io. Aspetto la fine della scuola? Meglio di no. Via il dente via il dolore, glielo dico, mi ride in faccia e la chiudiamo qui.
«Alessio, devo chiederti una cosa.»
Si gira con tutto il corpo verso di me, e mi sorride a 32 denti. «Dimmi tutto.»
«Sabato vieni a casa mia? Mangiamo la pizza e guardiamo un film.» inizio a tormentarmi l’interno della guancia destra, come sempre quando sono ansiosa.
Lui resta senza parole per qualche istante, ma poi fa un altro dei suoi ampi sorrisi «Certo. A che ora?»
Rimango a bocca aperta, non mi ha riso in faccia. «Davvero? Sei sicuro?»
«Sicurissimo.»
«Vieni per le 7, ecco l’indirizzo.»
Scarabocchio l’indirizzo su un foglio di carta e glielo passo.
«Vai sempre al Jukebox Hero, vero?»
«Come fai a saperlo?»
«Anch’io faccio quella strada per andare a casa, ti vedo ogni giorno.»
«Quindi tu finita scuola mi segui sempre? Inquietante, non credi?»
«È l’unica strada che posso fare per andare a casa.»
«Mmmm... Vabbè.»
Finita scuola vado verso l’Hero come al solito. Ma mi sento afferrare il braccio, mi giro e mi trovo davanti Alessio.
«Facciamo la strada insieme? Così nessuno penserà che io sia uno stalker.»
«OK. Ma sappi che non ho niente da dire, se hai intenzione di parlare.»
«Non ho intenzione di farlo.»
Così per la prima volta Alessio mi accompagna all’Hero, non parliamo, ci salutiamo e mi augura buon pranzo. Il giorno dopo mi accompagna di nuovo, anche quello dopo, e quello dopo ancora.
Sabato...
Sto seduta sul divano a gambe incrociate. Oggi per la prima volta nella mia vita ho dovuto pensare a cosa mettermi, alla fine ho scelto dei leggings neri e una maglia grigia oversize, ai piedi ho le mie pantofolone a forma di birra. Anche se non voglio ammetterlo sono agitata, è la prima volta che presento qualcuno ai miei genitori, e sono estremamente in imbarazzo. Dentro la mia testa si ripetono all’infinito tutti i modi in cui la serata può andar male. Sto guardando la tv senza realmente vederla quando suona il campanello. Mi precipito alla porta, prima che abbia il tempo di farlo mia mamma. Ed ecco Alessio, è un ragazzo di statura e corporatura media, ha la carnagione olivastra, i capelli corvini ricciolini spettinati, gli occhi color nocciola. Ha la camicia di jeans con le maniche arrotolate a 3/4, i pantaloni neri con il risvolto appena sopra le Nike. Il suo sguardo cade sulle mie pantofole, e ride. Lo faccio entrare sussurrando un saluto, entra sorridendo e porgendomi un bellissimo mazzo di fiori. Lo sto per prendere, quando si infiltra mia mamma.
«Quindi tu sei Alessio?»
Lui le sfoggia uno dei suoi migliori sorrisi «A quanto pare.»
«Finalmente ti conosco. Mia figlia parla spesso di te.»
Mi guarda con uno sguardo sorpreso e un po’ divertito, sento il sangue salirmi alle guance. «Davvero?»
«Sì. Con tutte quelle volte che siete usciti. Come si chiama il bar?»
Sto per rispondere io, ma lui mi parla sopra «Jukebox Hero.»
Mia mamma annuisce. Pensava, e sperava di coglierlo impreparato. Ancora non crede che sia mio amico.
«Andiamo in camera mia.»
Prima che abbia il tempo di dire qualcosa afferro Alessio per il polso e lo porto in camera.
«Però. Mi porti subito in camera tua. Non sei timida come pensavo.» dice alzando un sopracciglio.
Gli tiro un pugno al braccio. «Taci. Era per liberarti da mia mamma. Fosse per lei saresti rimasto lì tutta la sera a rispondere a domande.»
Sorride. «Adesso che facciamo?»
«Tu fai quello che vuoi. Come fossi a casa tua. Lì c’è il computer, lì la tv e lì lo stereo. Divertiti.»
Mi sdraio sul letto, in posizione fetale, praticamente in bilico sul lato destro, dandogli le spalle. Come dormo di solito. Aspetto di sentire qualcosa accendersi, invece sento le molle cigolare, poi percepisco il suo braccio contro la mia schiena. Mi faccio appena più in là, in modo che non ci sia contatto fisico.
«Perché ti faccio così schifo?» chiede dopo qualche secondo di silenzio.
«Non sei te. Sono i ragazzi in generale. Pensate solo al sesso.»
«Non tutti siamo così.»
Mi viene un’idea. Giusto per prenderlo in giro, ma dovrei andare contro ogni mio principio. Spero nessuno entri in camera nel prossimo minuto.
Prendo un respiro, poi di scatto mi giro. Prima che possa avere una qualunque reazione, mi metto a cavalcioni su di lui e lo bacio. Il mio primo bacio l’ho dato, quindi non mi interessa se questo non è fatto con sentimento. Mi aspetto che mia spinga via, invece la sue mani iniziano a scorrere lungo la schiena senza sapere dove fermarsi. Ripeto tre volte dentro di me “Mississippi” e poi stacco le labbra dalle sue.
«Vedi che voi ragazzi pensate solo al sesso?»
«Sei tu che mi sei saltata addosso.»
«Sei tu quello che sta cercando di slacciarmi il reggiseno.»
Sembra accorgersi solo in quel momento di avere le dite che giocano con i miei ferretti. Le toglie da lì e la alza in segno di resa. «Touchè»
Mi rimetto al mio posto «Sai vero che questo non significa nulla?» grugnisce in segno di assenso. E stiamo lì, sullo stesso letto, ma nettamente separati da una linea immaginaria.
Dopo un po’ arrivano le pizze, finito di mangiare guardiamo un ESP-fenomeni paranormali, horror che non fa realmente paura a nessuno dei due. Verso le 11 lo accompagno alla porta. Mia mamma è lì che ci osserva di nascosto. Ringrazia della bella serate e ci diamo due baci sulle guance. Ovviamente non faccio in tempo a tornare in camera che sono placcata da mia mamma, chiede com’è andata la serata e cose varie. Il suo sguardo si sofferma un po’ sul letto disordinato.
«No mamma, non abbiamo fatto niente.»
  
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