Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Markrat    22/01/2013    0 recensioni
La Profezia della Nuova Rivelazione annunciava che un giorno sarebbe nata una ragazza. Questa ragazza, al compimento del suo diciasettesimo compleanno avrebbe scoperto di essere la figlia del Supremo. Al compimento dei suoi diciasette anni avrebbe scoperto i misteriosi poteri che possiede. La sua esistenza è fonte di speranza... ma anche di guerra.
Assistiamo alle vicende di più personaggi. Sono molto distanti tra di loro ma una cosa gli accumuna, la ragazza. C'è chi la cercherà per salvarla, chi per proteggerla, chi per catturarla e chi per ucciderla. Ma la ragazza troverà protezione in un uomo che dallo stesso Grande Inquisitore era stato incaricato di cattrarla. In un mondo fatto di guerra e morte, speranza e determinazione, amori e tradimenti, vari personaggi si muoveranno per guidare una guerra... e per impedire che dilaghi.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Uno Scopo

 

-Ha detto che Kalad di Gothfresh, uccisore di Inquisitori e di Gorvashor, Possessore della Spada di Fuoco e Assassino di Marxal L'Arciere... non si fa uccidere tanto facilmente.- disse il Discepolo.

Nodamor guardò il Discepolo. Era seduto su una specie di trono che i suoi nuovi alleati avevano fatto costruire. Al suo fianco stava Athamor, attento a ciò che succedeva.

Nodamor aveva lo sguardo perso nel vuoto.

-Marxal... è morto.-

Il Discepolo abbassò lo sguardo.

-Si... si, mio signore.-

Athamor si agitò nel suo seggio.

-Oh che i Cieli lo abbraccino... così giovane.-

Nodamor sentì una fitta colpirlo allo stomaco.

Ricordò gli occhi di Marxal arrossati per la morte di Allyma, ricordò il suo sorriso spavaldo. In quel momento l'invidia che aveva provato nei suoi confronti sembrava una stupidaggine infantile.

-Questa guerra ci porterà altra morte e sofferenza, Nodamor. Dalla guerra non si ricava niente di buono.- disse Athamor.

Nodamor strinse i braccioli del trono.

-è stato Elomer stesso a decidere... metti in dubbio la sua scelta?-

Athamor scosse la testa.

-No no no, non lo farei mai.-

Nodamor sospirò.

-Dovresti invece. Ah non siamo gli artefici del nostro destino, mio vecchio amico. Non più, almeno.- poi guardò il Discepolo. Era ferito ma aveva ricevuto subito delle cure. Aveva detto di essere stato il più fortunato.

-Parlami di questo Kalad. Voglio sapere chi è colui che ha ucciso il Dio degli Arcieri.-

-Come mi comanda, mio Signore. Egli è un uomo piuttosto giovane. Possiede una spada di fuoco. Non so come sia possibile. La spada... era incandescente, come se fosse stata immersa nella lava Vurkaniana e ne fosse uscita indenne. Ha gli occhi marrone chiaro e il suo sguardo è terrificante. Durante la battaglia gli occhi erano più chiari, sembravano quasi brillare. Sembrava un lupo.-

Nodamor sbuffò.

-I lupi sanno essere più nobili di quel vile.-

-Ha ucciso quattro Discepoli e un Dio da solo, mio signore.-

-è abile, non lo metto in dubbio. Ma rimane pur sempre un uomo, un uomo ferito. Non può muoversi ancora a lungo.-

-Io... se fossi in voi lo temerei di più. Egli ha ucciso da solo un Gorvashor, è un Deicida!-

-Uccidere un Dio non fa di te un Deicida. È un uomo qualunque, diventato improvvisamente importante per la pazzia di difendere una lurida sgualdrina.-

Athamor si porse vicino a Nodamor.

-Le sue gesta sono indiscutibili, non mancherà molto che la voce si sparga. Qui già molte persone hanno sentito tali parole. Quel Kalad è un guerriero da temere, Dio del Coraggio.-

Nodamor sorrise.

-Sono ben altri i nemici da temere. È il grande Inquisitore da temere, è Datfen Holdar e Argon Falltayer. Non quel tale... Kalad di Gothfresh.-

Con un gesto liquidò il Discepolo, poi si alzò. Aveva le gambe dolenti. La tempesta era finita e iniziava a tornare il sole. Si alzò anche Athamor, le sue vecchie ossa faticarono a metterlo stabile in piedi.

Nodamor sospirò.

-Sono troppo vecchio per ciò, Athamor. Ho combattuto troppe guerre. Ho visto troppi amici morire. E ora pure Marxal...-

Athamor si mise al suo fianco.

-La vita è dura anche per un Dio, anche per una persona messa al di sopra degli altri. Ma nella tua carica sta il significato.-

-Dio del Coraggio? Ah, inizia a mancarmi, ormai. Tempi troppo bui si profilano all'orizzonte. E ora questa notizia.-

-Tu sei Nodamor, il Dio del Coraggio. Tu sei lo spirito che da forza al cuore degli uomini, sei l'energia, sei la... Linfa Vitale... che fa muovere gli uomini, che li fa agire, che li fa combattere per qualcosa, per qualunque cosa.-

Nodamor mise la sua mano sulla spalla dell'amico.

-Sei un amico, vecchio mio. La tua Sapienza mi è sempre stata di conforto. Ma cosa accade... quando anche il Dio del Coraggio dimentica per cosa combatte?-

-Questo non sta a me dirlo, sei tu che devi capirlo.-
Nodamor si focalizzò sul pavimento.

Per cosa combatto?

Non riuscì a darsi una risposta perché arrivò al suo fianco Emakoon, l'anziana guida dei loro nuovi alleati. Emakoon era un vecchio che nella sua vita aveva affrontato varie vicissitudini, parte della sua famiglia era stata uccisa dall'Inquisizione. La famiglia di Emakoon aveva continuato a venerare i Celestiali andando contro il volere del Supremo. Emakoon era riuscito a fuggire grazie alla protezione di suo nipote, un giovane di nome Irash. Irash era un giovane biondo dalla grande forza d'animo. Abile con la lancia e molto intelligente.
Il carisma di Emakoon lo aveva portato a formare un gruppo di fedeli ai Celestiali chiamati Ferventi. Erano un gruppo numeroso che si era situato in quell'enorme crepa sul terreno. Avevano trovato degli antichissimi scavi. Erano enormi e risalivano forse agli anni del Grande Gelo. I Ferventi erano migliaia, anche donne e bambini, ma soprattutto giovani nel fiore dell'età e pronti a dare tutto per i loro Dei.

-Mio Signore.- disse Emakoon.

-Dimmi.-

-Ho parlato con i miei compagni e crediamo di essere pronti per marciare.-

Nodamor lo guardò. Era vecchio, molto vecchio. I suoi lunghi capelli erano bianchi e la sua pelle piena di rughe. I suoi occhi diventati grigi per il passare degli anni.

-Sei sicuro? Ti senti pronto?-

-Ho affrontato cose ben peggiori di una marcia sotto il sole! E poi è il volere di un Dio e chi sono io per rifiutare?-

-Non voglio che tu muoia là fuori, vecchio amico.-

-Mio Signore io seguo ciecamente il vostro volere. Ma i Ferventi hanno bisogno di me. Hanno bisogno della Voce.-

Nodamor si accigliò.

-La Voce?-

-Io sono la Voce dei Ferventi, ciò che loro vogliono viene detto da me.-

Nodamor sorrise.

-Un modo corretto. Si eviterebbe di sentire la parola di certi idioti.-

Emakoon rise. Poi si fece serio.

-Noi Ferventi abbiamo deciso di avviare la Veglia Funebre di Dio Marxal, è necessario onorare la sua memoria.-

Nodamor annuì. -è vero.-

La veglia funebre avvenne nel più totale e religioso silenzio. Anche i bambini smisero di giocare e i vecchi di tossire. Non si udiva nemmeno il suono dei respiri. In un muro vennero disegnati dei graffiti, da un ragazzo giovane e dalla mano ferma. Vennero disegnati l'arco, l'aquila e la freccia. I suoi tre simboli. Vennero bruciate delle erbe e il fumo dall'odore acre li avvolse. Emakoon si inginocchio davanti ai tre graffiti.

-Un nostro Dio è morto. Il Dio degli Arcieri, Marxal. Ucciso dalla spada di un Soldato Inquisitorio. Un soldato traditore del suo stesso popolo e anche nostro nemico. Egli ha commesso un atto ignobile... uccidere un Dio, un fatto che non avveniva da duecento anni. Ma noi, noi ferventi, noi servi degli unici e veri Dei marceremo per impedire che ciò accada di nuovo. E con i nostri corpi e le nostre armi di ferro difenderemo i nostri Dei.-

Non ci fu alcun tipo di esultanza, solo un tacito consenso.

Athamor fece un passo avanti.

-Marxal era giovane... e inesperto. Ma nella sua inesperienza aveva dimostrato di essere più valido di molti altri Dei. Con lui... se ne vanno molte speranze e buoni propositi. Ma... la morte non è un limite. Non dobbiamo vederla come un muro e non dobbiamo aver paura di schiantarci contro di esso. Siamo in guerra e la morte si muove dietro di noi o al nostro fianco. Non dobbiamo temerla perché è là che tutti gli esseri viventi finiscono, in un modo o nell'altro. Possiamo provare ad aggirarla certo, ma sarà solo uno spreco di tempo. Perciò io vi dico... non temete la morte, non temete di perdere tutto. Perché morirete per una giusta causa. E poi... ci rincontreremo tutti, prima o poi.-

Nodamor perse il suo sguardo nel vuoto.

Morirete... per una giusta causa.

Ma quale causa?

Nodamor rimase fermo spostando il suo peso da un piede all'altro. Si sentiva come un bambino che stava per dire di aver fatto una marachella alla madre.

Si sentiva un idiota.

Poi finalmente fece un passo. Sentiva la gola secca e mandare giù la saliva era come ingerire un sasso.

-Marxal...-

Athamor gli pose la mano sulla spalla.

-Marxal era... un giovane dal grande cuore. Presuntuoso e... pieno di sé. Scavezzacollo e anche un grande idiota.- si rese conto che stava stringendo con forza il pugno.

Athamor si accigliò.

-Ma era anche... un mio amico. Era fiero, orgoglioso ma mai in modo esagerato. Era la giusta mistura di presunzione e saggezza. Era... come molti di noi dovremmo essere. Aveva uno scopo, era giovane e voglioso di fare la sua parte. Aveva uno scopo... e sono certo che è morto per una giusta causa. Quale intendesse lui per giusta causa non lo so dire. Ma ho sempre saputo che lui aveva le idee chiare. Lui sapeva, sapeva, perché combatteva. Perché uccideva. Sapeva qual'era la sua causa. Lui lo sapeva. Lo sapeva...-

Riuscì quasi a sentire i pensieri di Athamor.

Sta perdendo la forza. Sta perdendo la retta via.”

E se lo stava pensando, stava pensando il vero.

Stava perdendo la retta via.

Era sceso dalla Città Volante con l'intento di prendere la ragazza e portarla là su. Dove poi sarebbe stata giustiziata. Marxal c'era andato vicino, ma era morto nell'impresa. Era morto. Un'altra vita strappata, un altro Dio morto.

Aveva affrontato troppe guerre, visto troppo sangue. Era stanco. Molto stanco.

La guerra civile, la Guerra Santa e ora questa. Il coraggio diminuiva e provava paura di uscire alla luce del sole e marciare. Iniziava a temere la morte.

Ma morendo... potrò rivedere Allyma.

Spalancò gli occhi.

Rivederla. Avrebbe dato qualunque cose per stringerla, anche solo un'altra volta, tra le sue braccia. A volte, nella solitudine della sua stanza, la vedeva al suo fianco, intenta a cantare una dolce sinfonia. Una di quelle che era solita cantare in cima alla torre di Konderham, scaldata dal suo abbraccio. E appena cercava di toccarla, di accarezzarla... spariva e si rivelava per ciò che era.

La sua immaginazione.

Anni di guerre avevano affievolito il suo spirito combattivo. Non era più il giovane dio che era cresciuto durante la guerra civile. Non era più il condottiero esperto e preparato e anche arrogante della Guerra Santa. Era il vecchio e stanco Nodamor della folle Guerra del Grande Continente.

Il funerale finì com'era iniziato.

Nel più assoluto e totale silenzio.

Le parole di Nodamor erano state fredde e allo stesso tempo cariche di rammarico.

Rimorso per non aver potuto salutare Marxal, rimorso per non aver potuto guidare l'esercito.

Rimorso per non aver chiesto scusa per la sua stupidità.

 

-Sapete... ero piccolo quando sono venuto qui.- disse Devan.

Nodamor si volse e lo guardò.

Devan gli sorrise.

-Avevo dodici anni. Ero venuto qui con una spada in mano, e con quella spada in mano... era finita anche la mia infanzia.-

Devan passò la mano sulla ruvida roccia che li circondava.

-Mi sono dovuto far rispettare dagli altri ragazzi. Sono stato picchiato e ho picchiato. Sono stato offeso e ho offeso. Ho anche ucciso. Ma c'è stata una cosa che mi ha sempre accompagnato... il coraggio.-

Nodamor osservò attentamente Devan.

Devan era un giovane uomo dal fisico atletico, dagli occhi verdi con sfumature marroni, i capelli lunghi biondi legati in una treccia e un pizzetto curato. Indossava una divisa rossa.

Nodamor ricordava quella veste.

Era la divisa che indossava Thelam, il suo Primo Discepolo.

I Primi Discepoli erano i compagni dei Celestiali che avevano il compito di accompagnarli e di appoggiarli nelle faccende politiche e non solo. Era alla stregua di un Primo Sacerdote. Thelam era stato il suo Primo Discepolo molti anni fa. Un uomo fiero e saggio. Un guerriero formidabile. Combatterono fianco a fianco durante la Guerra Santa. Ma Thelam venne ucciso nella battaglia delle Steppe Nere, a confine con Vurkan.

Le fiamme divampavano ovunque, le urla erano assordanti. I Cavalieri del Braccio sbaragliavano le difese. Cercò di trovare Thelam, ma un Cavaliere fu più veloce. La lama tagliò la gola del suo Primo Discepolo e le steppe nere si tinsero del rosso sangue del suo amico.

Ogni volta che ripensava alla Guerra Santa, ripensava anche a tutti gli amici che aveva perso.

Anche Thelam era un suo amico e anche lui era morto.

Devan era identico al suo trisavolo. Aveva lo stesso spirito combattivo e anche la stessa saggezza, per quanto fosse ancora molto giovane.

E soprattutto, dentro di lui ardeva un indomabile coraggio.

-Assomigli molto al tuo trisavolo, Devan.-

Devan sorrise.

-Mio padre mi parlava spesso del mio trisavolo. È stata la figura più di spicco della nostra famiglia. È sempre stato un esempio per me, ho sempre voluto diventare come lui.-

Devan sospirò e poi guardò il muro. Passò le dita sui graffiti. Erano i simboli sacri a Nodamor. Un uomo rosso stilizzato stava sopra una montagna, con levata verso il cielo una lancia. L'uomo rosso, la lancia e la montagna. Quei simboli, in quel momento, non gli parevano avere alcun tipo di significato.

-Voi siete stato un altro esempio per me... il principale. Mi svegliavo la mattina sperando di incontrarvi, di rivolgervi la parola. Ho combattuto contro i soldati dell'Inquisizione per sopravvivere con l'obbiettivo di incontrarvi. E ora che ho coronato questo mio sogno... ho un altro obbiettivo. Servirvi con tutto me stesso. Il mio trisavolo aveva dato la vita per difendervi e io continuerò la sua opera, vi difenderò con tutto me stesso.-

Anche lui aveva un obbiettivo.

-Perché lo fai? Perché vuoi sacrificare la tua giovane vita per difendere me?-

-Perché siete il mio Dio. È così che funziona la religione, no? Si deve essere disposti a morire per il proprio Dio e per ciò che rappresenta.-

Nodamor toccò la fredda roccia. Era gelida, nonostante le torce attaccate su di essa.

-Spiegati.-

-Rischiare la proprio vita per un altro essere vivente è il più grande atto di coraggio che esista.-

Nodamor annuì.

Se si potesse trasmettere la divinità di certo la darò a lui, pensò Nodamor. Almeno lui sa per cosa combatte. Ha una motivazione, uno scopo. Almeno lui è coraggioso.

-Devan.- disse Nodamor.

Devan lo guardò curioso. Ogni cosa che Nodamor diceva o chiedeva era come oro colato per Devan.

-Per te che cosa rappresentano questi simboli? L'uomo rosso, la lancia levata in cielo e la montagna. Hanno un significato per te?-

Devan ci pensò, osservando attentamente il graffito.

Nodamor attese la risposta in trepidazione.

-Per me... per me rappresenta il coraggio. L'esempio più lampante di coraggio.-

Nodamor lo guardò perplesso.

-Definisci il concetto.-

-Salire su una montagna troppo alta, con in mano una lancia troppo affilata, rischiando la vita. Ma quando arriva in cima, dopo che ha usato tutto il suo coraggio... non si riposa... ma solleva la lancia e incita il popolo ad essere coraggioso e a non avere paura.-

Nodamor sentiva il cuore battere forte.

Una montagna troppo alta, una lancia troppo affilata.

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Markrat