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Autore: Virginia Of Asgard    22/01/2013    8 recensioni
Prendiamo una ragazza decisamente omosessuale. Prendiamo il teddy boy, John Lennon, e prendiamo l'odio fra di loro.
Lui la vuole per se, è una questione di principio.
Lei lo vuole morto, le ha dato della Lesbica davanti a tutti, ora il mondo conosce il suo segreto.
Cambierà mai qualcosa nel modo femminista di pensare di Giselle Smith? John riuscirà a farle assaporare l'altra sponda?
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri, Slash, FemSlash | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina mi alzai di mal’umore. Non avevo alcuna voglia di sapere che settembre era il mese in cui ricominciava la scuola. Non volevo riprovare nuovamente la sensazione di essere l’estranea, ma, diamine! Ci avevo fatto l’abitudine, ora mai! Da quando ero nata, per motivi di lavoro, i miei si spostavano da una città all’altra, da uno stato all’altro; da un continente all’altro. Tanto che non mi sarei stupita se – nonappena fosse stata scovata una nuova forma di vita – avessero deciso di trasferisrsi sul pianeta Saturno!
Quest’anno sarei rimasta a Liverpool, da mia nonna. Lei viveva nella casa affianco a quella della mia “famiglia”, quindi se avessi avuto bisogno di qualunque cosa, ci sarebbe stata lei.
Mi alzai di malumore, e corsi – sotto la pioggia incessante – a controllare la cartella della posta. Nemmeno una lettera dal Taghikistan, luogo attuale in cui si trovavano i miei genitori.
Scrollai le spalle, e bagnata fradicia tornai in casa. Decisi che come primo giorno di scuola, all’istituto d’arte, mi sarei vestita diversamente del mio solito – odioso – stereotipo: Gonna e camicetta. Facevano molto “Brava ragazza”, cosa che ero in tutto e per tutto. Ma con incoerenza!
Presi una maglia bianca, dei jeans piuttosto stretti e fuorimoda, una giacca di pelle e delle scarpe con giusto due centimetri di tacco. Giusto appunto, per farmi raggiungere il metro e settanta.
Nonostante fossero basse, mi sentivo un dannato gigante – Non che mi dispiacesse!
Presi la ventiquattrore in quoio ed uscii. Decisi di prendere l’autobus, anche se per sole due fermate. Era il primo anno della mia vita in cui mi dedicavo al mio hobby più grande: L’arte. Ho sempre amato l’arte in goni sua singola forma. L’arte è perfezione, L’arte è tutto ciò che non riusciamo ad esprimere con le parole ed i sentimenti, l’arte racchiude il lati più oscuri dell’essere umano.
Come io nascondevo alla perfezione il mio lato più oscuro. Non capii mai, se ci ero nata, così. O se fosse stato a causa del troppo tempo passato in un colleggio femminile. Forse non si nasce, omosessuali. Forse lo si diventa, eppure io lo ero. E non avevo il coraggio di confidarlo a nessuno al mondo, se non i miei dipinti. Lo specchio della mia anima non erano gli occhi, ma la carta-cotone, la graffite, gli acquerelli Winston&Newton scavati dall’acqua, le tempere completamente asciutte, i pastello a cera, l’arte greca.
Arrivai a scuola e sospirai.
“Ben Fatto, Giselle, dovrai nascondere le tue due facce per un altro anno!” pensai sarcastica. La scuola era tuttavia enorme. Mi sentii dannatamente in panico, copa dell’Agorafobia e della sociofobia o meno, volevo dissolvermi in tanti pezzi e scomparire. Per sempre.
Odiavo la sensazione di essere “quella nuova”.
Mi incamminai verso l’aula F5, l’aula di Discipline Grafico Pittoriche, o più comunemente chiamata Disegno dal vero. I grandi banchi bianchi – spaziosi e mobili, appositamente per disegnare – occupavano a ferro di cavallo tutta la grande aula, al centro di essa vi erano cinque statue di gesso bianco, lievemente rovinate da gli anni, poggiate appositamente per essere riportate in scala reale sul foglio Effe quattro.
«Ciao! Sei la tizia nuova, vero?» una voce cordiale alle mie spalle apparve all’improvviso. Mi sentii sudare, ed il cuore cominciò a battere talmente forte che non riuscii a capire se fosse in moto, oppure fermo. Mi voltai lentamente, ed un’incantevole – a dir poco – ragazza da gli occhi scuri ed i capelli biondi, si presentò al mio fianco.
«Chyntia Powell, molto piacere!» disse stringendomi la mano. Sperai che non fosse sudata, maledizione!
Era davvero bella! Il cuore batteva ancora più agitatamente di prima. Posai il mio sguardo sulle sue grazie, ma senza farmi notare troppo – Ero abituata a nascondere i miei sguardi, da sempre.
«Giselle, pi… piacere mio!» balbettai confusa. Imbambolata, più che confusa. Maledizione, se i miei genitori non mi avessero rinchiusa in quel convento di ragazze, non sarei mai cresciuta in questo modo. Avrei imparato avedere le donne, solo come amiche, e gli uomini come compagni. Invece il mio cervello aveva letteralmente invertito i ruoli.
«Hey Cyn, ti cercavo!» esclamò un ragazzo alle sue spalle. Era molto alto, snello – ma non troppo – e con un inconfondibile stile da Teddy Boy.
Il due si scambiarono un tenero bacio. Fissai il pavimento imbarazzata. Ed io che speravo…-
«E quella chi è?» domandò scorbuticamente il ragazzo. Feci una smorfia contrariata.
«Mi chiamo Giselle!» esclamai fulminandolo. «John, Giselle; Giselle, John!» ci presentò Chyntia. Porsi la mano, educatamente, ma questo non la strinse. Anzi, stette femo dov’era.
«Io ti ho già vista, da qualche parte. Forse al club di football a prendere a calci qualche Checca, eh?» domandò sornione. Deglutii a fatica. “ a prendere a calci qualche checca” risuonarono le sue parole, nella mia psiche. “CheccaIo ero una checca. Mi sentivo ancora più a disagio.
«Perché dovrei picchiare qualcuno?» domandai infastidita, mentre il mio cuore aumentava di un battito.
« Quella giacca di pelle, è da maschio. E i pantaloni? Sei un Teddy Boy, percaso?» domandò il ragazzo stuzzicandomi.
« Scusami??» intonai una domanda, al culmine del fastidio.
« Sei forse un uomo?» domandò scoppiando a ridere. Ecco come interpretavano qui, il tentativo di rinnovo dello stile di una ragazza.
«Brutto pezzo di merda! Sono una donna, coglione!» Mi alzai in piedi, puntandogli il dito addosso.
«Hey, hey voi due, a cuccia!» Esclamò Chyntia, al quanto sconvolta. Si sarebbe sapttata un atteggiamento più da cascamorto, con una ragazza nuova. Forse aveva iuntuito la mia omosessualità.
Il ragazzo scoppiò a ridere aspramente « sei proprio un maschiaccio, eh?»
Tentai di tenere i nervi a freddo.
« Fatti i cazzi tuoi, femminuccia!» ringhiai. In quel momento il silenzio calò, e tutta la classe stette a fissare la ragazza nuova ed l’idiota di turno. Pronti a fare rissa davanti a tutti.
«Posso tirarti un calcio nelle palle in zero punto due secondi, senza che tu te ne accorga, e sarai dolorante al pavimento, ad implorare che la mammina venga a refrigerarti le palle con il ghiaccio, se non vuoi rischiare di fare la fine di un cane che viene castrato!» continuai. OK. Ammetto che lo stavo lievemente provocando. Volontariamente. Aveva offeso la mia fottuta virilità femminile. (?)
« Mia madre è morta, figlia di puttana!» a quella dichiarazione si sentirono delle voci di sottofondo, imitare versi come “Ooh” oppure  “Poverino!”, ma non mi diedi per vinta.
« Mia madre mi ha abbandonata in un fottutissimo orfanotrofio, perché non voleva il peso di una figlia sulle spalle, quindi sì. Sono una figlia di puttana!» ringhiai nuovamente. Il ragazzo sgranò gli occhi. Ora gli stessi versi uditi in precedenza, vennero fatti per la mia esclamazione.
« Hai proprio una bella facciatosta, e la tua femminilità? Dov’è andata a finire? Se ne è andata con tua madre, quando ti ha abbandonata?» domandò. Allora non ci vidi più, e gli tirai un pugno dritto in faccia, facendolo cadere a terra violentemente.
« E ringrazia Gesù , che non ti ho tirato un calcio sulle palle, stronzo!» esclamai, andandomene.
“Non male, come primo giorno di scuola!” pensai sarcasticamente, mentre attendevo che la preside Hoffmann mi ricevesse nel suo ufficio. Il giorno stesso in cui avevo cominciato a frequentare quella scuola.
 
«Signorina Smith, ha un carattere parecchio colorito, eh?» domandò la donna, elegante, seduta su di una scrivania di mogano antico.
«Ha cominciato lui!» dissi indicando il ragazzo al mio fianco, che – dolorante – teneva una borsa di ghiaccio sul suo povero naso.
« Preside Hoffmann, guardi come mi ha conciato!» rispose mugugnando.
« Lennon, lo sappiamo tutti che non sei un santo, scommetto che c’è un motivo se la signorina, qui presente, ti ha colpito così brutalmente, giusto?» domandò la donna, rivolgendosi a me. Deglutii a fatica. Volevo urlare con tutte le forze, ma mi trattenni.
« Mi ha dato del Maschiaccio, in pubblico ed ha offeso me e mia madre.» dissi, nel pieno controllo della mia irrascibilità
«Anche lei ha offeso mia madre!» Sbottò indicando la preside, adirato. Questa posò una mano sul dito del pazzo, e lo fece calmare.
« Non ho intenzione di metterci il dito, Fra voi. Risolverete da amici, le vostre divergenze. Vi condanno ad una settimana di lavori forzati » scoppiò a ridere, mentre i nostri occhi si riempivano di preoccupazione;
« Resterete d’ora in poi, al di là dell’orario scolastico, ed svolgerete il lavoro che di solito svolgono gli addetti alle pulizie. Quindi vedete di non sporcare troppo, perché pulirete voi! Ah, e poi… Fatemici pensare…» disse sogghignando maleficamente, « Organizzerete un evento a scopo pacifico, in cui dovrete rendere pubbliche le vostre idee riguardanti la pace. Voglio che sia un super-congresso, organizzato da adulti, e non da dementi!» esclamò, battendo una mano sulla cattedra scura, prepotentemente. Il volto le si era imbrunito. Nessuno dei due osò fiatare.
« E ora via, via dal mio ufficio! Ho faccende più importanti da sbrigare!» Gridò, concludendo con un sorriso pacifico. Io e John ci guardammo negli occhi, per la prima volta con un sentimento di complicità che univa i nostri terrori in un'unica preoccupazione.
« Ma… signorina Hoffmann, io ho le prove con il gruppo, questo mese!» Trovò il coraggio di lamentarsi;
 «John Lennon, mio caro. Credi davvero che mi interessi qualcosa del tuo gruppo? Potrei interessarmi del Baseball, potrei iniziare a seguire programmi Thriller alla radio, potrei interessarmi alla vita privata di William Shakespeare, iniziare a bere ilo caffè, leggermi una soap opera, andare a fare un viaggio in Turkmenistan, ma non credo che mi interesserei mai del tuo maledetto gruppo, ed ora, se permetti; Sloggiare da qui!» esclamò facendoci letteralmente scappare da quella stanza degli orrori.
« Stronzetta!» lo sentii ringhiare.
« Coglione!» risposi io. « è solo colpa tua, vaffanculo, cazzo!» Sbottò. Sorrisi furamente e feci spalluccie.
« Non ti conosco nemmeno, e ti odio già!» continuò, ed io proseguii dritta per la mia strada, silenziosamente. « Sei fastidiosa, petulante, arrogante e brutta!» Lo sapevo anche io, di essere “Fastidiosa, petulante, arrogante e anche brutta!” Non avevo certo bisogno che un certo John Lennon venisse a rinfacciarmi tutti i miei lati peggiori! Restò il fatto che continuai ad ignorarlo.
« Sei stupida, o cosa?» domandò irritato.
Ignorarlo fu la scelta più giusta, anche perché sbottò poco dopo con-
« MI VUOI SPIEGARE PERCHE’ DIAVOLO NON REAGISCI??» Fu solo allora che scoppiai a ridere, causando un blocco istantaneo del suo sistema nervoso, che venne urtato dalle mie silenti provocazioni.
“Così si fa, Giselle!” mi incitai, dentro di me.









Il mio Fuckin' Angolo!
Salve a te, lettore. Un altra cazzata è uscita dalla testa di Amelye_
Che dici, ho esagerato troppo questa volta?
E' solo che cerco l'originalità e la ricercateza :/ non posso farci nulla D':
   
 
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