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Autore: Aout    23/01/2013    3 recensioni
Daniel è un ragazzo come tanti.
Ha diciannove anni e frequenta il secondo anno di college, lavora per mantenersi e ama lamentarsi di qualunque cosa gli capiti sotto tiro. Vive una vita normale, anonima e noiosa e, anche se a tratti la trova seccante, diciamo che l’accetta così com’è.
Ecco… peccato che il mondo così tanto "normale" proprio non sia, peccato che di mostri inquietanti ce ne siano a bizzeffe, peccato che perfino lo stesso Daniel nasconda qualche piccolo e trascurabile segretuccio...
Ci siete?
Prendete tutti i personaggi che conoscete, tutte quelle creature soprannaturali che di vivere in pace proprio non ne vogliono sapere, prendete la sete di vendetta e pure una buona dose di calcolo strategico ed ecco che avrete la storia.
Che altro dire?
Vi aspetto ;)
(STORIA SOSPESA almeno fino a quest'estate, quando avrò il tempo di rivedere la trama, la piega che sta prendendo mi piace poco. Chiedo venia a chi mi stava seguendo, ma ritengo di non poter fare altrimenti)
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Capitolo 3
Perché sbraitare è perfettamente inutile





“Se il valore della derivata prima della funzione è minore di 0 e maggiore di 1, la funzione è strettamente crescente nell’intervallo considerato. Se invece la funzione F di X è compresa, per valori interni, tra 0 e 1…

Una strada stretta. Piove e c’è un forte vento. Un uomo con un cane al guinzaglio, cerca riparo sotto una vicina tettoia, mentre una donna, in lontananza, tenta di aggiustare il suo ombrello, divelto dal vento.

No, Daniel concentrati. Coraggio.
Cosa stavamo dicendo? Sì giusto, se invece la funzione F di X è compresa, per valori interni, tra 0 e 1, con 0 e 1 non necessariamente appartenenti all’intervallo considerato, allora la funzione è strettamente decrescente. Se infine la derivata della funzione risulta nulla nel punto preso in esame, tale punto si definisce come…

La scena si fa più veloce, le immagini non sono chiare. Un muro, una vetrata, una cappello verde e una sciarpa rossa. E ancora i contorni si confondono, presa da un vortice la scena cambia di nuovo.
Delle figure minacciose strisciano sull’asfalto. Mentre avanzano le loro ombre si distendono in modo innaturale sulle pareti in mattoni. Non si fermano.
Ancora un passo e il loro volto sta per mostrarsi, solo un ultimo, piccolo passo…

- Adesso basta! – con un grido esasperato piantai i pugni sulla scrivania e mi alzai di scatto.
Fortuna che almeno ero in camera mia, completamente solo, non in un luogo pubblico dove di certo un comportamento del genere sarebbe stato poco apprezzato.
Forse avrei dovuto anche preoccuparmi degli altri abitanti del dormitorio, quelli al di là del sottile cartongesso alle mie spalle, ma lo avrei fatto in seguito, in quel momento dovevo pensare ad altro. E disgraziatamente quell’ “altro” non era affatto il teorema di matematica che tentavo invano di ripetere ormai da svariati minuti e che continuava perennemente a sfuggirmi.
Camminavo avanti e indietro in preda a una sorta di folle delirio che non sapevo se ricondurre alla rabbia, alla paura o semplicemente all’ansia.
Erano ore che le cose andavano avanti così. Riuscivo a studiare due righe e poi, quando finalmente mi convincevo che la tortura dovesse essere finita, ecco che tutto ricominciava.
Era passata una settimana, dico io, un’ intera settimana da quando quelle… quelle “cose” erano ricomparse per la prima volta, per quale diamine di ragione non se ne andavano? Perché non mi lasciavano in pace come avevano fatto negli ultimi dieci anni?
E invece no, loro puntualmente ricomparivano. Sempre più di frequente sbucavano fuori dalla mia testa, incontrollabili, balenavano davanti ai miei occhi, oscurandomi la vista e tutti gli altri sensi.
Ormai dovevano aver deciso che evidentemente rovinare le mie dolci ore di sonno non fosse più abbastanza e allora erano venute a tormentarmi anche di giorno!
In un attimo finivo di nuovo lì, su quella strada sotto la pioggia, senza che potessi fare nulla per impedirlo. Sempre la solita strada, il solito tipo con il cane, la donna con l’ombrello, i muri, la sciarpa e poi… poi c’erano loro, ovviamente, quelle figure incappucciate e minacciose che scivolavano come serpenti sull’asfalto scuro…
DRIIN!
Lo squillo del telefono mi fece saltare. Sentivo il cuore che batteva all’impazzata e avevo il fiatone. Possibile che fossi veramente così spaventato?
DRIIN!
Al secondo, dannatissimo squillo risposi, più per far tacere la suoneria che per altro.
- Pronto? – dissi, piuttosto aggressivo.
- Daniel? Daniel sei tu? - aveva risposto una voce maschile, al momento non la riconobbi.
- Sì… chi è?
- Brian! Si può sapere dove diamine sei? Lo sai che ore sono?
Porca di quella… era sabato! E cosa facevo io il sabato al posto di andare a far festa come tutto il resto dei miei compagni?
- Cazz… scusami Brian, arrivo subito, mi ero…
- Dimenticato per caso? Oggi era il giorno dei nuovi arrivi, quindi vedi di muovere subito il tuo dannato posteriore e forse non ti farò licenziare!
Se fosse stato possibile quelle minacce a vuoto mi avrebbero fatto arrabbiare ancora di più. Ci mancava giusto lui da aggiungere al quadretto felice della mia giornata!
Gli sbattei il telefono in faccia perché ero abbastanza sicuro che non sarei riuscito a trattenermi dall’insultarlo. E in quel caso allora forse sì, che un nuovo lavoro avrei dovuto cercarlo sul serio…
Abbandonai il libro di matematica lì dov’era, Andrew si sarebbe dovuto sbrigare da solo a mettere a posto la sua stupida scrivania sempre così maledettamente ordinata.
Presi il portafoglio e il cellulare e uscii in quella fredda e fastidiosa aria autunnale.
Raggiunto lo scooter mi venne la nausea a pensare al tempo che ci sarebbe voluto per accenderlo, tuttavia lui, cosa mai accaduta a memoria d’uomo, mi sorprese e partì immediatamente.
Arrivai poco dopo e, una volta entrato, tirai dritto, senza minimamente preoccuparmi di andare a salutare Brian. Se era così impaziente di prendersela con me, che almeno si prendesse lui la briga di venirmi a cercare.
Quando varcai la porta del retrobottega ero arrabbiato nero, quando vidi le decine di scatole che mi aspettavano per essere aperte e svuotate, cominciai a vederci rosso.
Non so esattamente quanti insulti tirai dietro a quegli innocenti involucri di cartone, ma nemmeno Brian, e dico tutto, volle venire a darmi la bella strigliata che mi aspettavo, limitandosi a ordinarmi, sì d’accordo forse non con il tono più dolce di questo mondo, di finire entro il mattino successivo, per poi uscire.
Rimanere lì fino a tardi non mi sembrava nemmeno poi così terribile, o almeno non come lo sarebbe stato la settimana precedente. In quel momento la prospettiva di allontanare la mente da cose come lo studio o il sonno mi pareva meravigliosa.

Come previsto ci vollero all’incirca tre ore per finire di svuotare le scatole.
Tre lunghissime ore spese a mettere in ordine alfabetico i CD nella giusta posizione su tutti quegli scaffali che, visto la piccola cittadina, avevo la netta sensazione non si sarebbero mai svuotati.
A quel punto, e per quanto mi riguarda era di certo un fatto eccezionale, ero euforico. E non solo perché finalmente ero riuscito a finire quel lavoro inutile e sfiancate, ma perché l’attività fisica mi aveva impegnato tanto che le visioni non erano più comparse, nemmeno una volta!
Che arrivassero più frequentemente quando la mia mente era concentrata su qualcosa?
Come scoperta era particolarmente piacevole. Pensai distrattamente che forse avrei dovuto darmi al fitness, alla boxe o al pilates, qualunque cosa fosse…
Con un ritrovato buonumore, un buonumore che non ricordavo nemmeno quando avessi provato per l’ultima volta, mi avviai verso l’uscita. Il pensiero che forse quella notte avrei dormito era davvero, davvero rassicurante.
Ci misi un attimo a chiudere la porta d’ingresso con le chiavi di servizio. Constatai che aveva appena cominciato a piovere ed io, uscito quasi in pigiama, non avevo nulla con cui coprirmi. Ma smisi subito di preoccuparmi di una cosa così futile e mi avviai verso lo scooter.
Ora, ripensandoci, quante probabilità c’erano state che alla partenza si fosse acceso al primo colpo?
Pochissime, praticamente nessuna. Eppure era successo.
D’accordo, ma allora quante ce n’erano che, proprio in quel momento, proprio quando la pioggia stava aumentando, mentre io ero sempre e comunque a capo scoperto, mentre un venticello che di leggero non aveva nulla cominciava ad alzarsi e le ombre della sera erano calate da un pezzo, decidesse alla fine di lasciarci le penne?
Beh, accadde anche questo.
Accadde ed io, come uno stupido sprovveduto, dopo aver tirato qualche maledizione a quel catorcio senza neanche troppa convinzione, decisi di farmela a piedi, almeno per il primo tratto.
Dopodiché, giunto in un bar, al caldo e possibilmente con una ciotola di noccioline in mano, molto probabilmente avrei chiamato/supplicato Nicole che, dopo qualche battutina sarcastica, varie e lamentevoli preghiere da parte mia e magari anche la promessa di improbabili futuri favori, mi sarebbe venuta a prendere con la sua Station Wagon per poi trascinarmi a qualche festa a base di adolescenti in crisi ormonale nei dintorni.
Poco male, avrei anche potuto sopportarlo per una volta. Ero così di buonumore, malgrado la dipartita del mio automezzo, che magari avrei anche potuto divertirmi. Beh, magari.
Ecco, solo il fatto che in quel momento fossi felice avrebbe dovuto farmi capire che qualcosa evidentemente non sarebbe andata nel modo giusto.
E infatti, non fu esattamente questo ciò che accadde.
E non accadde perché proprio in quel momento, in quello stramaledettissimo momento, sentii il mugolio di un cane impaurito e, con la coda dell’occhio, vidi una donna vestita con un cappello verde e una sciarpa rossa che inveiva contro il suo ombrello, appena ribaltato dal vento.
Inconsciamente, un brivido lento e raggelante cominciò a salirmi su per la schiena.
Finché, ad un certo punto, non la vidi.
Nella vetrina di un negozio di antiquariato, a cui stavo passando davanti proprio in quel momento, era appesa l’insegna anni ’80 di quello che doveva essere una specie di bar. Ritraeva un profilo femminile, illuminato con una forte luce al neon azzurra, immerso in un bicchiere da cocktail dorato.
Una donna blu.
Che stupido ero stato! E cieco, soprattutto! Possibile che fossi così arrugginito nel guardare le mie visioni da aver completamente frainteso?
Mi girai, praticamente soprappensiero, ancora non in grado di realizzare cosa stesse realmente accadendo, e allora vidi anche quella casa.
Una casa in mattoni.
Era proprio davanti al mio sguardo, dall’altra parte della strada, perfettamente normale, qualcosa che si può osservare ogni giorno in ogni parte del mondo, totalmente ed inesorabilmente anonima. Ma non per me.
Appena capii, e vi assicuro che mi ci volle un po’, mi lasciai cadere sul marciapiede, ormai completamente fradicio di pioggia e con lo sguardo inebetito fisso in avanti.
Perché io lo sapevo, ci avevo messo del tempo, ma alla fine perfino io ci ero arrivato. Perché alla mia visione mancava solo una cosa.
Degli occhi rossi.






Note: Solo una cosa: NON badate alle mie speculazioni di matematica, d’accordo? Diciamo che io e lei abbiamo un rapporto piuttosto complicato, ecco, solo questo.
Vi saluto ora, alla prossima (con un nuovo e fondamentale tassello, giàgià),
Aout
  
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