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Autore: Kanchou    13/08/2007    5 recensioni
C’è sempre stata una tensione “non professionale” tra Alex e Sophia. Ma ora sembra che stia prendendo il sopravvento su di loro…
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alex Rowe, Sophia Forrester
Note: Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Luce dalle crepe


di Kanchou



1.
Risveglio



La divisa è grigio-nera, stesso colore del carbone, in contrasto con l’argento dei bottoni, dei gradi e delle decorazioni di colletto e giro-vita, che il comandante ha voluto lineari, senza fronzoli. La parte di sotto è una gonna a tubino che sale quasi fino all’altezza del seno, la parte di sopra un corpetto corto: gonna e corpetto sono stretti non per esaltare le forme ma per contenerle.

Sophia Forrester si sveglia molto presto la mattina, si lava rapidamente ma con accuratezza, e non apre mai la scatola del trucco. All’uscita dalla doccia passa davanti allo specchio e per un attimo sulla superficie vede riflessa l’immagine bianco latte del suo corpo snello ma formoso. A volte, per una debolezza della quale dopo si vergogna, indugia sull’immagine più del dovuto e si trova a guardare il proprio corpo come attraverso gli occhi di Alex, soffermandosi impudicamente sulle gambe lunghe, i fianchi femminili, la vita stretta, il seno abbondante, di cui si è sempre un po’ vergognata.

Fascia bene il seno perché non rompa la linea austera della divisa, indossa calze spesse, corpetto e gonna, poi gli stivali di cuoio. Rimangono i capelli. Sono la cosa più importante. Sophia sa che la vista dei suoi capelli lunghi, setosi, e del loro colore caldo, simile a quello delle foglie d’autunno, sprofonda il comandante nella malinconia. Sophia non può modificare il proprio viso né il corpo né la carnagione e nemmeno il taglio delicato degli occhi. Non può cancellare la propria somiglianza con Yuris, sua cugina, inghiottita per sempre dal Grand Stream dieci anni prima. Ma può mascherare lo splendore dei capelli: li imprigiona in due trecce che avvolge intorno alla testa, come una corona, e chiude a chiave la prigione con un fermaglio, sopra la nuca. Il fermaglio è la chiave: un giorno Alex, se vorrà, non dovrà fare altro che usarla.

Quanto al resto, la divisa, gli occhiali da maestrina e l’atteggiamento rigido e professionale possono essere sufficienti a evitare ad Alex quella parte di sofferenza di cui lei è responsabile. Sophia è pronta. E’ trasformata. Il vice-comandante della Silvana può uscire dalla cabina.



§§§



Quella mattina, mentre Sophia ancora nel letto apriva gli occhi, nella cabina del comandante Alex si svegliò di soprassalto. Come non gli accadeva da tempo, era riuscito a dormire per qualche ora, finché tra le immagini confuse e oscure dei suoi sogni si era formata quella di Yuris, la donna che amava. Per la prima volta da anni non era tornata a lui mentre moriva, mentre gridava precipitando nel vortice del Grand Stream. Alex aveva sognato la luce e l’erba alta, e Yuris che lo avvolgeva, come la prima volta, e la spirale profumata e incandescente dei suoi capelli che gli cingeva il corpo e le sue gambe atletiche intorno ai fianchi e il suo seno turgido contro le labbra e l’odore della sua pelle, leggero, fresco, distillato dal vento, dalle nuvole, dal cielo di cui la sua carne pareva composta come la pioggia a primavera.

Il cuore era affondato in un sentimento di gioia disperata.

La sensazione di lei era diventata sempre più viva, ma proprio nell’attimo in cui un’onda violenta gli aveva scosso il corpo, dai capelli di Yuris era emerso un volto diverso, al posto degli occhi scuri di lei, gli occhi verdi di Sophia. Alex aveva sentito una vertigine di piacere immenso e di terrore nello stesso istante e si era svegliato così, sconvolto e spaventato.

Qualcuno aveva detto che soltanto i morti non sognano. Forse per questo Alex aveva smesso da tempo di sognare, a parte l’incubo del Grand Stream che divorava Yuris, Hamilcar, George e il ragazzo idealista e appassionato che era stato lui.

Ma quella visione? Da quale assurda parte del suo cervello era spuntata?

Alex non voleva pensarci, non voleva sapere. Cercò di cancellare sotto il getto della doccia ciò che era successo. L’acqua gelida scorreva sulla testa, sulla nuca, sulle spalle, sul ventre e lavava via tutto. Così doveva essere.

Dopo, quasi senza accorgersene, si fermò davanti allo specchio. Alex si sentiva più vuoto, più estraneo del solito all’immagine riflessa. Dai capelli una goccia scivolò perfidamente alla base del collo. La seguì con lo sguardo. Lì, in quel punto preciso, tra la clavicola e il petto, lei amava baciarlo dopo aver fatto l’amore. Rivide, come un lampo doloroso, la sua mano bianca sopra la propria pelle bruna.

Dieci anni. Un’eternità. Inghiottita dal tempo. Come tutti i morti, come se non fosse mai esistita.

Dopo dieci anni, che cosa era rimasto di lei? L’immagine di quella mano, la traccia sbiadita del suo sorriso. Ricordi sparsi, scintille di luce che sprizzavano nel buio inaspettatamente, a tradimento. E lui, che cosa sentiva per lei? Era amore? Era ancora quell’amore? O soltanto il rimorso che si dimenava nelle sue viscere come un mostro rabbioso?

Si accorse di stringere i denti, di tremare. Fissò l’uomo nello specchio e lo vide così inerme e solo e giovane, ancora troppo giovane per quei dieci anni, per tutto quanto.

Un gemito sordo dal fondo del petto. Non era bene, non era da lui.

La divisa color carbone era già sul letto, pronta per essere indossata. Era il suo doppio disteso dove dormiva lui, l’unico Alex possibile, non quello che aveva sognato Sophia, non quello paralizzato davanti allo specchio e nemmeno quello affamato del corpo di Yuris e del suo amore. E dell’amore, qualsiasi amore che fosse puro, buono, appassionato.

Le brache, la camicia immacolata, la giubba attillata, gli stivali che l’attendente puliva e ingrassava con cura maniacale, cintura, bandoliera, pistola. La cintura e la sua fibbia, il lucchetto che chiudeva a chiave i sentimenti, le emozioni e tutte le maledette tracce della debolezza, della lesione profonda e segreta dell’anima. E i guanti neri. E la corazza impenetrabile del mantello, il tintinnio del fermaglio d’argento che lo assicurava alle spalle e dava il colpo di grazia a ciò che non doveva esistere.

Strato dopo strato, il comandante Row riprendeva forma. Non c’era esitazione nel suo passo, mentre lentamente abbandonava la cabina.



Segue capitolo 2…

  
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