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Autore: Blusshi    24/01/2013    2 recensioni
Estratto dal capitolo 1~
Kate- la fronte inondata di sudore- spingeva e gridava; percepiva i movimenti del bambino che si faceva strada nel canale del parto. Si augurò che andasse tutto bene e che finisse in fretta; si sentiva come una bambina spaventata anche se ormai, a venticinque anni e con due gemelli in arrivo più che imminente, una bambina non era più.
Sapeva che quella nascita stava presentando complicazioni: i dottori le stavano dicendo che il primo dei due bambini non riusciva a uscire e che di conseguenza l’altro stava soffrendo.
Ho fatto una scelta originale, narrando la storia dei due protagonisti a partire da un punto che in genere non viene scelto. Spero, davvero, di non doverla pagare troppo cara questa mia originalità :) ~ Blusshi
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Altri, Dr. Gelo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“In che senso era uguale a me?”
“Nel  senso che essenzialmente tu saresti così se potessi invecchiare, 18, non farmi ripetere cose ovvie”.
I gemelli vagavano liberamente per le strade della città.
“Quindi è per questo che sei diventato catatonico?” 18 studiò suo fratello con aria inquisitoria “perché hai visto una che mi somiglia un po’?”
“Tu non hai capito” ringhiò 17 “non ti assomigliava un po’; siete uguali”.
Pochi giorni prima, quella donna al centro commerciale gli aveva fatto un effetto talmente strano che per un sacco di tempo non era riuscito a pensare ad altro.
Era molto bella e aveva due occhi chiarissimi, molto profondi; tuttavia non era stato quello ad averlo colpito in quella maniera indefinibile.
Quando si erano guardati dritti in faccia lui si era sentito rimescolare tutto, come se un uragano gli fosse scoppiato dentro, sia nel cuore che nella testa.
Quegli occhi sembravano raccontargli storie dimenticate, le storie che qualcuno aveva voluto che dimenticasse.
Si era sentito mancare il respiro, era stato più forte di lui; non aveva voluto affrontare quella donna e il carico di emozioni che si portava dietro; per questo era scappato via, nonostante vederla gli avesse procurato una sensazione di calorosa familiarità che l’aveva riportato indietro ai tempi antecedenti al rapimento.
18 gli disse che era stato immobile e muto su quella branda per tre giorni; più ci pensava, 17, più gli sembrava di averla già vista prima.
Nella sua catalessi aveva continuato a meditare, su quando e su come l’avesse incontrata.
E poi, a raffica, gli erano venuti in mente frammenti di ricordi sparsi; e chissà come mai si era sentito la mente improvvisamente più libera dalla foschia che vi aveva permeato da quando si era risvegliato nel laboratorio del dottore.
“Non so come, ma mi ricordo di lei che mi leggeva delle storie…anche se non credo che avessi i capelli chiari. Mi ricordo di lei con i capelli neri”.
Fino a quel momento 18 aveva ascoltato suo fratello senza interesse; erano sempre fermi allo stesso punto, qualcosa cercava di farsi strada nei loro cervelli sempre meno impolverati, ma senza riuscire ad accendere nessuna lampadina.
“Con i capelli neri? Come hai detto che è?” 18 lo pregò ansiosa: quel particolare le aveva dato un flash.
Il gemello descrisse dettagliatamente la donna, i capelli biondissimi e corti, il volto fine, il naso piccolo, gli occhi grandi e azzurrissimi.
“Con i capelli neri? Ti assomigliava un po’?” il respiro di 18 si faceva sempre più flebile “per caso ti ricordi che cantava?”
“Sì scema, se assomiglia a te allora assomiglia anche a me!” rise lui “certo che cantava: mi ricordo che cantava prima di mettermi a dormire…”
Appena finì la frase e vide sua sorella con lo sguardo fisso e la bocca aperta, 17 si rese conto di tutte le cose che aveva appena detto;  uno strano lampo squarciò la barriera che gli nascondeva la verità.
Fece per parlare ma l’urlo di 18 lo assordò: “Dio santo! E’ la mamma!”
Il ragazzo la fissava, incapace di rispondere.
“E’ lei, è quella che sognavo sempre io, quella che dicevo che era uguale a te!”
La mamma…la mamma! Quella che cantava la ninna nanna, quella che raccontava della borsa magica di Mary Poppins…la mamma, Kate!
“Dobbiamo trovarla assolutamente…” sussurrò 17 non appena si riprese dallo shock, dopo che si rese conto che avevano fatto quella sensazionale scoperta in mezzo a una strada piena di gente.
“Lei si ricorderà di noi? Io non voglio che si sia dimenticata!” 18 si strinse a lui con gli occhi lucidi di agitazione. Ecco perché la città le era sembrata così familiare! Era la sua città, dov’era nata e cresciuta, dove aveva abitato con la mamma.
Anche 17 era tutto un tremito, ma si scosse e consolò la sorella: “Ehi, guarda bene, ci sono dei poliziotti che ci hanno visti. Se la mamma ci sta cercando ancora, loro glielo diranno subito. Continuiamo a girare qui ancora per un po’, poi torniamo in campagna…”
18, ripresa, si accorse delle sagome che li fissavano e seguì l’acuto ragionamento di suo fratello: con un po’ di fortuna li avrebbero pedinati e con molta fortuna li avrebbero trovati, accompagnati dalla mamma.
Era così facile con una mente capace di fare calcoli velocissimi! E soprattutto quasi libera dall’ombra in cui il pazzo l’aveva fatta sprofondare.
 
 
Kate aveva ragione. Incredibilmente ragione.
I suoi figli erano vivi e vegeti, sul serio non erano cambiati di una virgola, esattamente come aveva detto lei. Quando il detective e i poliziotti li avevano visti insieme per le vie cittadine avevano trasalito. Ai loro occhi non era passato un giorno dall’ultima volta che avevano avuto occasione di vederli.
Evidentemente Kate ci credeva davvero, per cui non si stupì più di tanto quando il detective la informò di quella folgorante novità.
“Vi siete messi sulle loro tracce?”
“Certo, li abbiamo seguiti: sono stanziati in un casolare di campagna a pochi km da qui”.
“Bene, portatemi da loro”
Appena riattaccò il telefono, Kate lasciò che il soprammobile di cristallo che teneva in mano andasse in mille pezzi sul pavimento.
 
17 aveva visto giusto: i poliziotti avevano mangiato la foglia e ora sapevano dove stavano.
Ormai i gemelli erano tormentati dall’attesa, presto o tardi lì sarebbe arrivata anche Kate.
“Cosa le diremo? Come farà a crederci? È un’umana!”
“Io penso che ci saranno talmente tante cose da dirle che…non ne ho idea” 18 si sfregò gli occhi e si distese addosso a 17.
Ognuno si stava costruendo la sua conversazione personale. Chissà che effetto avrebbe fatto parlare con la mamma dopo tutto quel tempo…
Quando sentirono un respiro affannato per la corsa, accompagnato da passi frettolosi al piano inferiore del casolare, i loro castelli crollarono di botto; il loro cuore prese a battere furiosamente, come un uccello prigioniero in una gabbia di ferro.
Lei era lì, ormai era questione di minuti…stava salendo le scale, chiamava ad alta voce…era al piano superiore, non ancora sul terrazzo, in una delle stanze.
Kate correva e non sentiva la stanchezza: lei ci aveva sempre creduto, in fondo al suo cuore la speranza non era mai morta. Un misto incerto di gioia e dolore le faceva dolere il cuore, correva mentre le lacrime le si imprigionavano fra i capelli come perle.
Avrebbe voluto gridarlo al mondo intero, scriverlo in cielo con un aereo, tutta quella speranza non era stata vana…i suoi bambini erano vivi, erano lì in quell’edificio e lei stava andando da loro. Avrebbe voluto inventare un nome per il sentimento che la stava sconvolgendo fin nel profondo del suo essere.
I gemelli non riuscivano a muoversi, ma sentivano che ogni passo che stava portando la mamma verso loro toglieva un altro pezzetto della loro barriera mentale.
Pezzo per pezzo si stava sgretolando.
Per sempre.
Avevano sempre creduto di essere svegli e coscienti da quando il dottore li aveva attivati con l’ordine di uccidere il suo nemico.
Ma la realtà era che erano stati come dei morti viventi, senza più alcuna possibilità di ricordare quella che era stata la vita vera; non si erano mai sentiti vivi, affittuari di un’esistenza posticcia  e senza legami che presto o tardi sarebbe svanita. Un’esistenza che non era la loro.
Fu in quel momento che, dopo tre anni, aprirono gli occhi.
Un respiro lieve, trepidante d’amore.
Tre paia di occhi di ghiaccio, identici fra loro, che erano uno spettacolo.
Tre cuori che battevano forte, all’unisono, che erano musica.
Kate era di fronte a loro, la barriera esplose. Finalmente erano svegli.
 
        
                                                                                     ∞
                                                                                                           
                                                                                    
                                                                                                          
                                                                                                          
 
                                                                                                            Amor che nulla hai dato al mondo
                                                                                                  Quando il tuo sguardo arriverà
                                                                                                 Sarà il dolore di un crescendo
                                                                                                 Sarà come riaverti dentro.
 
Nessuno dei tre voleva crederci a quel momento.
In un modo o nell’altro i due gemelli l’avevano sempre aspettato, così come Kate che nelle sue notti insonni non si era arresa all’oblio e al dolore.
Quando in quel crepuscolo di fine gennaio i loro occhi si incontrarono, il sole andava a morire dietro un mare di nuvole che promettevano pioggia, i pianeti si incrociavano e si allineavano seguendo le regole di quei mini iceberg, che nel loro ritrovo ardevano di puro sentimento.
Quella era la loro ricompensa, quello era il loro momento; per tutto l’amore che quella sera venne trasmesso di cuore in cuore e di occhi in occhi, beh, ci sono persone che aspettano una vita per un momento così.
Fu Kate ad avvicinarsi per prima; il sorriso che tanto piaceva a 18, di cui non si era mai dimenticata, splendeva sul suo viso e le faceva splendere gli occhi di una luce e di un amore che nessuno aveva mai visto.
Camminava lenta, sbatteva le palpebre e ogni tanto tirava su col naso, mentre tendeva la mano ai due gemelli e le labbra volevano scoprire il sorriso.
Quando la distanza fra lei e 17 e 18 fu praticamente nulla, Kate li guardò ancora e con affetto struggente accarezzò i loro visi.
“Mamma…” 17 aprì la bocca per parlare ma non ci riuscì; allora Kate lo incoraggiò annuendo e continuò a carezzargli la guancia.
“Mamma” il ragazzo mormorò quelle cinque lettere con la voce rotta, afferrando la mano di Kate e premendosela forte sul viso, mentre l’emozione gli faceva stringere gli occhi, aggrottare le sopracciglia e lo faceva respirare male.
18 aveva davanti la bellissima donna che la cullava quand’era piccola, quella a cui non aveva mai smesso di pensare.
Ormai la barriera era stata distrutta, non c’era più niente a raggelarle il cuore…lei era sua madre, quella che l’aveva davvero creata; non poteva essere vero, non riusciva a crederci.
Mentre 17 si abbandonava nell’abbraccio della mamma, la ragazza sentì che quello era il momento che aveva sognato e quando Kate l’abbracciò, tutto ciò che di brutto era successo svanì, distrutto dalla magia di quella stretta.
Erano intrecciati tutti e tre in un tenero abbraccio, seduti insieme sul pavimento.
Così stretti contro il suo petto, tutti e due così vicini e così attaccati a lei…a Kate sembrò per un istante di ritornare ad essere lei più loro, come ventun anni prima, insieme nel legame più intenso, più totale e più completo del mondo; come quando li aveva ancora dentro.
Credeva che non avrebbe mai più sentito qualcuno che la chiamava mamma; il cuore le esplodeva, piangeva e li stringeva, stringeva forte, nessuna cosa brutta glieli avrebbe ancora strappati.
17 non riusciva a esprimere le sue emozioni, sapeva solo che quello era il punto di arrivo di tutto, che Kate era la persona a cui doveva essere grato per avergli donato la vita; lei e nessun altro.
Riusciva solo a pensare di aver ancora una volta vinto contro il dottor Gelo, contro quel demonio schifoso e ignobile che aveva preteso di mettersi al posto di Kate e di fargliela dimenticare.
18 non voleva lasciare quella stretta che sembrava infuocarle l’anima di amore e di pienezza, anche se ad un certo punto l’emozione la sommerse. Un sentimento così forte da squassarla da capo a piedi, lei, 18, così forte.
Dovette abbandonare la stretta di sua madre quando l’emozione la rovesciò anche fisicamente e si sentì male.
 
 
Tre anni di vuoto, in cui ogni 13 febbraio aveva scritto delle lettere riassuntive e dei pensieri per i loro diciannove, venti…e stava preparando di già quella per i ventun anni. Tre anni non compiuti ma pur sempre tanto tempo passato a soffrire.
Adesso Kate non era più sola, in casa con lei c’erano di nuovo i suoi Eric e Alice, che sorpresi si guardavano intorno, come se facessero fatica a ricordarsi che quella era la loro casa.
“Io mi ricordo tutto adesso…quella foto là, è stata la mia prima gara con le macchine!” disse 17 entusiasta, indicando una foto incorniciata sul muro del salotto, dove c’era lui con i capelli ancora corti e la sua macchina rossa “mamma, ce l’hai ancora la mia macchina?”.
“Certo, tesoro. È nel garage”.
Kate l’aveva seguito ed era rimasta a guardarlo mentre toglieva il lenzuolo che copriva con cura la sua bella auto da rally.
“Ti porto a fare un giro!”
Kate aveva cercato di dire di no, ma con una velocità che l’aveva sconcertata suo figlio le aveva preso la mano e l’aveva praticamente infilata dentro l’auto.
Intanto 18 era corsa nella sua ex camera ed era rimasta sulla soglia, guardando il suo letto, le pareti, gli armadi. Adesso ricordava tutto!
Si era diretta verso l’armadio con un sorriso: “I miei vestiti…”
Loro due e Kate erano andati avanti ad abbracciarsi a non finire, Kate aveva raccontato tutto, di come fossero spariti, di quanto lei avesse penato.
“Adesso ricordiamo…il rapimento…” 17 era rimasto a fissare la tazza di tè che teneva in mano.
Erano già passati alcuni giorni e Kate era perplessa: le sembrava che i suoi figli fossero stati leggermente lobotomizzati. Faticavano a ricordare, quando era toccato a lei sapere tutto di loro erano diventati tristi e le avevano risposto “E’ una storia lunghissima e molto brutta. Lasciaci tempo, siamo appena tornati e stiamo iniziando adesso a ricordarci tutto, poco per volta”.
La cosa che più l’aveva lasciata di stucco era che sembravano aver dimenticato chi fossero. Quando lei li chiamava Alice e Eric loro non rispondevano, come se quei nomi non fossero stati i loro.
“Bambini miei, ho bisogno che voi mi raccontiate cosa è successo…capisco che vogliate godervi la serenità di questo momento, ma io sono stata tutti questi anni in pena…”
“Ha ragione, 17, dobbiamo dirglielo” aveva detto 18, abbracciando forte Kate.
Lei non sapeva niente. Non sapeva cos’erano diventati, di quello che aveva loro fatto il dottor Gelo, della Creatura…non avrebbe mai capito. Era rischioso ma dovevano farlo, se davvero l’amavano.
 
 
“Io ti racconterò tutto ma tu non devi dare fuori, me lo prometti?” 17 e Kate erano nella camera di lei; c’era quiete e silenzio.
“Tranquillo, ti ascolto”.
I racconti che le avevano fornito fino a quel momento avevano spiegato solamente il perché fossero spariti: ma c’era molto di più, Kate lo capiva, perché mancavano molti punti che avrebbero potuto saldare fra loro le troppe cose che non riusciva a spiegarsi: “Una cosa soltanto” scattò, prima che lui iniziasse a parlare “tu chi sei? 17? Il mio Eric? Perché fate così fatica a ricordare tutto…”
Lui scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli che gli coprivano il collo fino alle clavicole: “Mamma, sono sempre io, 17; ci sono alcune cose che sono cambiate, ma altre sono rimaste le stesse. Non devi avere paura, va tutto bene”.
Kate si alzò di colpo e si mise a percorrere la stanza in lungo e in largo: “No, non lo accetto!” sbottò “non ti ricordi nemmeno il tuo nome! Cosa ti hanno fatto…”
17 sospirò, prendendole le mani e stringendogliele con amore: “Ti giuro che sono sempre io e ti giuro che ti voglio un bene dell’anima”; Kate avverti sulle dita il calore umido del suo respiro, sentì il fremito in fondo alla sua voce.
“Tesoro mio…io non so cosa dire: lo so che sei tu, l’ho saputo subito quando ti ho visto al centro commerciale, ma nel frattempo mi sembri così distante…tutti e due, siete sempre voi ma con qualcosa di diverso”.
Il ghiaccio si specchiava nel ghiaccio: Kate lo guardava dritto in quegli occhi così belli, i suoi occhi.
“Qualcosa…” mormorò 17 come ipnotizzato, mentre si avvicinava con passo incerto al letto di Kate “io sono sempre io, ma con questo”.
Il ragazzo rivolse alla madre uno sguardo penetrante, dopodiché con una mano afferrò il letto e lo divelse dalla parete, sollevandolo sopra la testa.
Kate si sentì trasportare da uno strano timore: “Smettila! Mettilo giù, ti fai male!” urlò stravolta.
17 sogghignò e, afferrando il letto anche con l’altra mano, scrollò via infastidito le coperte e il sottile materasso.
“Eric” il ragazzo la ignorò e appoggiò il letto a terra.
“17…” lui alzò la testa in risposta e rimase a guardarla interrogativo.
“Mi risponde…quindi non lo fa apposta” pensò Kate frastornata.
17 stette ad aspettare una reazione da parte della madre e non vedendola arrivare sorrise di nuovo: fulmineo riprese il letto fra le mani e allargò le potenti spalle.
Kate non fece in tempo a gridare quando sentì il rumore stridente dell’acciaio che iniziava a piegarsi; un’espressione di angoscioso sgomento le dilatò gli occhi la massimo quando 17 inarcò lievemente le sopracciglia e serrò la morsa.
Lo scheletro martoriato del letto cigolò, mentre cadeva a terra in pezzi; l’urlo del metallo agonizzante che si deformava sotto quella pressione terribile riempiva la testa di Kate, stordendola.
Senza parole e con l’angoscia che le saliva al petto, vide una debole luce irradiare dalle mani di suo figlio e riflettersi sui resti del letto che lui ancora stringeva; la luce crebbe velocemente d’intensità, la pesante massa lucida dell’acciaio si restrinse e iniziò a gocciolare sul pavimento, mezza liquefatta; 17 la gettò a terra con uno schianto e fece un respiro profondo.
“Oh…” Kate si ritrasse contro la parete, le gambe non la reggevano.
In quel momento entrò anche 18; guardò prima la carcassa ritorta sul pavimento e poi Kate, tutta tremante rasente al muro, terrorizzata da quello che doveva appena aver visto. 18 le tese le braccia e Kate ci si rifugiò; la ragazza chiuse gli occhi e iniziò ad accarezzarle i capelli: “Mamma mamma mamma mamma….”
Quante volte Kate l’aveva fatto con lei!
“Potevi farne a meno…ma proprio davanti a lei dovevi fare il toro? L’hai spaventata a morte” disse atona a 17.
“Sicuramente avrà capito”.
18 scosse la testa: “Sei un deficiente”.
Poi si rivolse a Kate, appoggiata al suo seno con gli occhi sbarrati: “Ti porto di sotto mamma, poi ti distendo sul divano e ti copro, tu riposa e stai calma”.
18 se la caricò in spalla con un movimento fluido, poi saltò giù dalla tromba delle scale e depose dolcemente la madre sul divano. La coprì e sorrise, poi si dileguò.
 
 “Dovevi proprio spaventarla così? Sei contento adesso che ti sei fatto vedere?” urlò 18 “adesso addio, chi può dirle qualcosa…cazzo!” colpì con un calcio un pezzo di letto, 17 la fissava immobile.
Adesso come gliel’avrebbero spiegato? Sempre che la mamma si fosse ancora avvicinata a loro.
Kate aveva solo visto 17 –suo figlio- che sollevava un letto d’acciaio e lo schiacciava come una lattina di coca cola: normalissimo!
Tutte le madri che ritrovavano figli scomparsi scoprivano poi che glieli avevano trasformati in macchine inarrestabili: normalissimo, di cosa dovevano preoccuparsi?
Adesso come le avrebbero spiegato che, nonostante l’enorme potere che ormai possedevano, non erano cambiati? Ci avrebbe creduto ancora che 17 e 18 erano sempre in grado di provare e sentire esattamente quello che provavano e sentivano Eric e Alice?
Anche se per loro quei nomi restavano ancora una pagina bruciata di un libro perduto.
“E comunque…”
“Sshhh!” 17 zittì la gemella “la mamma si sta calmando, respira regolarmente”.
18 si mise in ascolto e cessò di parlare ad alta voce.
Kate intanto, dal suo divano, sentiva i gemelli discutere animatamente, anche se le parole le arrivavano attutite dal soffitto e dalla tappezzeria e lei non riusciva a distinguerle bene.
Era rimasta letteralmente impietrita: “No…quello che ho visto non l’ha fatto Eric…quello che ha fatto 17 è assurdo, non era vero!” questo unico pensiero martellava le sue tempie sfatte, mentre ancora scossa dalla paura e dalla tensione cercava di riprendersi e calmarsi.
Si snervava cercando il nocciolo di una questione totalmente folle: cos’era diventato suo figlio? E soprattutto, 17 era davvero suo figlio? Una persona normale –nemmeno un teppista, tale che era stato prima- non avrebbe mai potuto sollevare e distruggere un letto d’acciaio senza fare una piega; una persona normale non avrebbe mai potuto spostarsi con dei movimenti così veloci e silenziosi, nessuna persona normale non avrebbe cambiato aspetto in tre anni!
Era tutto così strano. A Kate sembrava di essere finita in un film di fantascienza dove i suoi figli erano due Terminator.
In tal caso cosa doveva aspettarsi? Quello che 17 le aveva mostrato era niente allora!
Eppure Kate si ricordava benissimo di quando, poco prima, le aveva preso le mani; era certa della sua stretta febbricitante e lievemente sudata, del tremito dei suoi polsi…un Terminator non si emoziona. Come dimenticare poi il loro abbraccio pochi giorni prima, lo scambio di emozioni che era avvenuto in quella casa abbandonata? Un Terminator non si emoziona davanti a sua madre –una madre non ce l’ha nemmeno!
E poi la pelle così tenera e liscia, con quel suo profumo che gli aveva sempre sentito addosso, il calore del suo alito. Impossibile, una macchina non è calda e viva.
Kate aveva percepito il tepore della vita irradiare dal corpo di 17, tutto in lui era vivo, pieno di vita come lei si aspettava che fosse.
Eppure quella carne morbida e calda era una morsa letale capace di stritolare l’acciaio senza lasciarsi sfuggire neanche la minima goccia di sangue.
Kate era ancora scioccata, ma non voleva starsene lì mentre i suoi figli erano lì con lei, dopo tanto tempo: “Tanto dormire proprio no…”
Si alzò a fatica e si diresse verso le scale; subito la porta al piano di sopra scattò e 17 e 18 fecero capolino dal pianerottolo.
“Stai lì mamma, scendiamo noi” disse lei ed entrambi saltarono giù.
“No no no vi fate male!” pensò Kate istintivamente, ma in un nanosecondo fece due più due e si trattenne “allora, non dovevano parlare?”.
“Vado io?” chiese 17; sua sorella scosse il capo: “Ecco mamma, forse è meglio che te lo diciamo in due”.
“Cosa devo aspettarmi?” chiese Kate, ancora tremante.
17 le rivolse un sorriso mesto e amorevole: “Di tutto e di più”.
 
“Perché non me ne avete parlato prima, quando ha iniziato a farvi stalking?”
Kate non ci sarebbe mai arrivata: un vecchio che per due anni li aveva pedinati per poi rapirli e portarli via. Mentre raccontavano, a 18 era ritornata in mente la sera della festa: quel ragazzo che l’aveva spogliata, l’incidente, la paura,  la loro lotta inutile contro l’intontimento, il guizzo bianco che li aveva portati fuori strada in tutti i sensi.  E si sentiva ancora più consapevole, riusciva a immaginarsi come Kate si fosse sentita non vedendoli più tornare.
“E adesso quel vecchio dov’è?”
“Morto” 17 aveva alzato le spalle “l’ho ammazzato io”.
“Che cosa?!” Kate quasi saltò sulla sedia “hai ucciso un uomo…”
“Sì. L’ho ucciso, se vuoi ti racconto anche come…”
“17 piantala!” intervenne 18.
“Posso sapere cosa vi ha fatto? Come mai vi ha tenuti prigionieri per tutto questo tempo? A cosa gli è servito?”
18 sospirò: “Sei sicura di volerlo sapere? Era quello di cui volevamo parlarti. Peccato che qualcuno abbia voluto mettersi in mostra…” la biondissima guardò storto 17.
“Sono sicurissima. C’entra qualcosa col mio letto, vero?”
17 sospirò e le rivolse uno sguardo furbescamente contrito: “Mi dispiace mamma, non volevo”.
Kate rise nervosa: “Il problema pratico è che adesso non so dove dormire”.
17 la ignorò e i suoi occhi si fecero freddissimi:  “Io ho ucciso lo schifoso perché era uno scienziato pazzo. È lui che ci ha rubato tutti i ricordi, in modo che non ci saltasse mai in mente di liberarci di lui, ma il nostro obiettivo fosse solo quello di uccidere tutti”.
Kate guardò sua figlia come per avere una conferma e la vide annuire; sentì un brivido: “…come ha fatto? Cosa vuol dire che vi ha rubato i ricordi? Vi ha drogati? E in che senso voleva che uccideste tutti?”.
Per un minuto lunghissimo nessuno parlò.
Fu 18 a prendere coraggio e a dire la verità: “Non sclerare, ti prego, non avere paura. Alice e Eric erano umani, come te. Adesso io e 17 siamo cyborg”.
 
 
Kate era confusa, molto confusa.
E anche esterrefatta.
Si ricordava che, nei momenti più difficili, si era appellata ai forum per madri disastro, era andata a sentire le conferenze e i seminari degli specialisti, si era informata su internet.
Di materiale ne aveva accumulato; li chiamava tutorial.
Tutorial per figli adolescenti; per figli adolescenti scatenati: per figli adolescenti delinquenti.
Cosa fare in questo e in tal caso, cosa significa questo e cosa significa l’altro.
Ma Kate ci avrebbe messo la mano sul fuoco, avrebbe potuto scartabellare e analizzare l’intero World Wide Web, scalare tutta l’Himalaya alla ricerca del più sapiente fra i sapienti, ma era sicura che mai e poi mai avrebbe trovato qualcuno che le dicesse cosa fare con due figli androidi.
Non era possibile, non era reale: delle cose del genere non si potevano fare nella realtà -e nemmeno in tutti i film di fantascienza.
Eppure lei aveva due Terminator per figli. Le sue intuizioni non erano campate per aria. Due Terminator di nome 17 e 18. Un numero che aveva cancellato un nome.
17 e 18 erano stati estremamente chiari, per giunta; la lucidità che avevano messo nel raccontarle tutto era incredibile e paurosa. Kate non poteva pensare che si fossero bevuti il cervello, erano appena saltati giù da almeno tre metri di scale e di certo lei non avrebbe dimenticato presto la fine del suo povero letto.
Questo e altro le era ormai chiaro, adesso capiva il perché fossero rimasti uguali: la conversione doveva essere avvenuta massimo un anno dopo il rapimento.
Chissà come aveva fatto quel pazzo che li aveva trasformati.  Kate se lo chiedeva senza sosta, per lei era una cosa inconcepibile, nel suo immaginario i robot erano così enormi tutti di ferro, non ragazzi in carne e ossa. Per lei era impossibile pensare che i suoi Alice e Eric, così normali dall’esterno, al loro interno avessero delle unità e dei processori fortissimi, dei cavi, dei circuiti… non erano più due persone.
Le sembrava stranissimo vivere a contatto con dei marchingegni di tale calibro; sembravano proprio veri, proprio vivi.
18/Alice le aveva precisato che non erano robot bensì cyborg: “Siamo sempre persone perfettamente vive, solo con delle parti meccaniche e un po’ di forza”. Un po’.
Avevano ossa, nervi e il sangue che era sempre lo stesso, polmoni per respirare, un cuore che batteva e sentiva e un cervello che ragionava; le erano subito saltati addosso quando l’avevano vista, la chiamavano sempre mamma, le avevano raccontato che il pazzo non era mai riuscito a cancellarla del tutto da loro e che perciò non le avevano mai tolto un pensiero; questo bastava a renderli persone in tutto e per tutto.
 “Cosa faccio, cosa faccio?” Kate era sola ad arrovellarsi sul suo problema: perché a lei? Come ci si rapportava con due androidi, anzi con due cyborg?
E non due cyborg qualsiasi, i suoi figli; ciò che aveva amato di più e che amava tuttora.
Si sentiva immensamente stupida: prima che le raccontassero cos’era successo li aveva trattati normalmente, come due persone.
Ma perché sono persone! Però…cyborg. Organismo cibernetico.
Con loro si sentiva ingessata, impedita. Non aveva paura che le facessero del male, ma le bastava vederli e pensava wow, ho davanti a me due androidi veri e si bloccava.
Si augurava che non ci stessero male; l’ultima cosa che voleva era proprio che pensassero che lei a loro non voleva più bene, quando invece li amava, come e più di prima.
Da lì aveva cominciato a fare pasticci, si era resa ridicola.
Cosa mangiano i cyborg?
Sempre per colpa dei film, la mattina si era ritrovata a bussare alla loro porta con in mano un vassoio.
Tra l’altro le avevano detto che il loro potere aveva una riserva di energia infinita e che quindi molto spesso non dormivano; a loro non serviva, lo facevano quando ne avevano voglia.
Una mattina Kate era andata da loro con la colazione, i gemelli l’avevano esaminata prima di rivolgerle uno sguardo piuttosto deluso: “Mangiali tu”.
“Ma se non vi ho ancora detto cosa vi ho preparato!”
“Si invece” 18 aveva additato il vassoio “ questo nei bicchieri è detersivo per me e benzina per 17, l’odore lo sente anche lo schifoso giù all’inferno”.
“Beh, credo che…”
“Vuoi farci venire il mal di pancia?”
Kate si era sentita molto stupida; come un’altra volta quando lei si era seduta a tavola a mangiare e i gemelli erano rimasti a guardarla tristi e pensosi.
“Oh scusate piccolini! Avete fame…”
Kate aveva spiegato che se avevano bisogno di ricaricarsi con la corrente c’erano le prese, anche se non avrebbe saputo dire se fossero le prese giuste.
“Giusto, dobbiamo ricaricarci come il cellulare o il rasoio” le aveva fatto notare 18 piuttosto spazientita “se proprio ci consideri degli elettrodomestici, beh non siamo così primitivi!”
Evidentemente per fame intendevano la fame seria e intendevano mettere qualcosa nello stomaco; Kate aveva proposto loro un piatto di bulloni, dadi, pezzi di plastica e persino una vecchia forchetta.
“Questo va meglio?” era convinta
“Ma fammi il favore!” 18 si era coperta la faccia con le mani, indecisa se ridere o piangere.
“Si ok, mamma, molto invitante…e croccante” aveva preso la forchetta e l’aveva triturata sotto i denti “per quanto mi riguarda, questa roba posso masticarla e anche digerirla –penso” l’aveva sputata “ma fa schifo!”
18 si rigirava un bullone fra le dita: “…mamma, è come se voi umani mangiaste l’immondizia. Tu la vorresti mai?”
Kate aveva già una collezione.
Come quando li aveva beccati che stavano andando a lavarsi: “No! L’acqua no! Volete andare in corto?”
“Ovviamente. Come il phon e il tostapane!”
“Non ti rendi conto che siamo persone?”
Ci era rimasta di sasso anche per un’altra cosa che aveva chiesto a 18: “Alice…ma il ciclo mestruale?”
Con sua enorme sorpresa la ragazza le aveva confessato che anche da cyborg aveva avuto un ciclo al mese: “Purtroppo nemmeno un genio della biomeccanica come lo schifoso può niente contro la potenza dell’ormone femminile!” le aveva detto divertita “da quello niente e nessuno può liberarci”.
Kate era allibita: “Quindi…volendo…potresti restare incinta…”
“Volendo credo di sì. Ma per ora non voglio quindi sta’ tranquilla”.
Era una persona. Una donna in grado di generare figli era una persona, punto.
“E…tuo fratello?”
18 era scoppiata a ridere: “No, lui non penso che abbia il ciclo! E nemmeno che possa restare incinto!”
 
I giorni passavano e con l’aiuto di Kate 17 e 18 recuperavano i loro ricordi; un lavoro faticoso e complesso, fatto di amore, pazienza, risate e occhi che si spalancavano o si incupivano. Erano stati loro a chiederglielo.
“Guarda, 17, eri ancora carino qui!” stavano sfogliando un album di vecchie foto, che ritraeva i gemelli durante i loro primi anni. In una che piaceva a 18 c’erano loro due ancora pelati, con due occhi enormi, in braccio a Kate che porgeva loro i seni turgidi e nudi.
“Tu invece non lo sei mai stata!”
Kate si sentiva in dovere di colmare i terribili buchi neri che quel dottore aveva aperto nella sfera intima dei suoi figli; ora riuscivano a contestualizzare i loro nomi, anche se la forza dell’abitudine faceva sì che si chiamassero ancora 17 e 18: “Voi due chiamatevi come vi pare, ma io userò i nomi che ho scelto per voi quando eravate ancora nella mia pancia” diceva Kate “e l’importante è essere riuscita a farveli ricordare e accettare”.
Non mancavano certo i brutti ricordi della Creatura che ogni tanto li visitavano, specialmente quando decidevano di dormire, ma di questo non avevano fatto parola alla mamma.
Kate a sua volta si interrogava sul destino dei suoi figli. Cosa ne sarebbe stato di loro adesso? Sapeva che non avrebbe potuto tenerli con sé per il resto della loro vita.
La risposta le venne un giorno da 18.
“Mamma, io sono stata felice di averti ritrovata e starei qui con te per sempre” mentre parlava la stringeva e sorrideva  “però c’è un ragazzo che mi aspetta. Se devo ringraziare che mi sia capitato tutto questo casino, lo farò per lui”.
Kate si chiedeva chi fosse questa persona così importante che lei aveva conosciuto durante la sua avventura. Si immaginava un uomo capace di amarla e allo stesso tempo di incuriosirla, di difenderla, di tenerle testa. Kate era convinta che 18 e Alice fossero ancora la stessa ragazza che non si accontentava mai.
“Sei convinta di questa persona?” non aveva potuto fare a meno di chiederglielo, almeno questo, ma dedusse che se davvero era pronta a partire di nuovo verso orizzonti che a lei erano sconosciuti, doveva valerne la pena. E alla fine Kate lo sapeva, doveva lasciarla andare.
“So che la mia decisione varrà per una vita” 18 aveva annuito, con un cenno deciso.
Mai Kate l’aveva vista così sicura di sé.
17 naturalmente sapeva già tutto; la notte prima della sua partenza per sicurezza avevano rifatto il rito.
“Ormai siamo più tribali delle stesse tribù!” aveva riso lei, lanciando in aria il cuscino appoggiato sul suo letto.
“No, ormai siamo dei vampiri: io avrò bevuto tre ettolitri del tuo sangue!”
Si erano guardati a lungo, poi 17 aveva rotto il silenzio mordendosi il labbro: “Sei davvero sicura? Pensi che quello ti renderà felice?”
“Io non lo penso, né lo so: lo accetto e basta”
“Cosa significa?”
“Che ho trovato il mio posto. E anche il senso che voglio dare alla mia vita”.
Si erano salutati solo con uno sguardo, prima che lei volasse via verso il futuro. Kate riuscì in minima parte a comprendere l’arrivederci lunghissimo che si erano detti in quei due secondi di sguardo. A presto, ci rivedremo, ricordati di me.
Kate non se ne era manco accorta che sua figlia sapeva volare.
Quando 18 se ne andò, 17 divenne come spento.
A nulla servivano gli abbracci di Kate; era come se una parte di lui si fosse staccata e, anche se sapeva di non averla persa, gli faceva comunque male.
Restava molto tempo a riflettere, sulle foto.
Le sue personali non aveva ancora avuto il coraggio di guardarle: troppe emozioni nelle ultime due settimane, non aveva ancora finito di assimilarle.
Fu l’ultima cosa che gli aveva detto 18 ad accendergli una sinapsi particolare: diceva di aver trovato un senso alla propria vita.
E lui? Cos’avrebbe fatto, adesso che lei se n’era andata? Avrebbe continuato a divertirsi con le macchine, avrebbe diviso la propria esistenza fra la casa della sorella e quella di Kate, avrebbe vissuto con lei fino a che non fosse morta e lui, ancora giovane e bellissimo, avrebbe ricominciato da capo e si sarebbe cercato qualcos’altro da fare.
Tuttavia le cose non erano destinate ad andare così; in tutto quel trambusto non aveva dimenticato una persona di estrema importanza, che aveva continuato a visitarlo nei suoi sogni d’amore ad occhi sia aperti che chiusi.
La ragazza dai capelli rossi.
17 si sorprese di trovare un album di foto di loro due insieme: che si scambiavano tenerezze, seduti sulla sua macchina, che ridevano e giocavano, che facevano cose buffe…ma la più bella era un’altra: una foto scattata sott’acqua, lo sfondo era una massa d’azzurro, il cielo scompariva sotto la luce riflessa e modulata dalla superficie dell’acqua.
Si stavano baciando: lui indossava un costume a fiori, lei aveva un bikini color confetto che copriva a stento un seno morbido e candido, schiacciato contro il petto abbronzato di lui.
“Ma questo sono io!” 17 sentì il cuore balzargli in gola, mentre dovette tenersi a qualcosa per non cadere: la scena gli sfilò davanti agli occhi, fresca e nuova come la prima volta.
C’erano lui e Kate. Si ricordava quel giorno, era stato un giorno fantastico, quello in cui lei gli aveva detto finalmente sì alla macchina. Erano andati insieme a sceglierla.
C’era un uomo grasso e simpatico, con i capelli fulvi e la faccia piena di lentiggini, che gli aveva mostrato le macchine e poi era andato via.
E c’era lei.
Lei, con quel sorriso timido e pudico, quegli occhi color della giada, quelle innumerevoli piccole macchiette sul viso candido, quei lunghi capelli rossi.
Il déjà- vu lo abbandonò, sudato e tremante, mentre un sorriso e un nome gli tornavano alla mente.
Adesso anche lui sapeva dove andare, sapeva dov’era il suo posto: l’ultimo tassello era stato trovato. La foto era stretta fra le sue mani, sul suo cuore che batteva finalmente libero.
“Carly. Ti troverò…”



Caari cari cari lettori e recensori!
Se siete arrivati fin qui devo farvi i miei complimenti più sinceri :)
Sono davvero contenta se l'avete fatto hahah c:
A voi, Kjria91 e Lady_Charme, i miei abbracci più sinceri per tutto <3

   
 
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