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Autore: vannagio    25/01/2013    13 recensioni
E se Bella avesse scelto Jacob?
[Prima classificata al contest "Una compagna per Edward Cullen", indetto da jakefan]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”







La lucciola e la stella




Atto I
-Principe Azzurro-



«Edward, dove sei?».
Il distributore automatico di carburante fece plin. Con il cellulare incuneato tra la spalla e l’orecchio, Edward chiuse l’imboccatura del serbatoio e mise a posto l’erogatore. L’insegna lampeggiante del distributore illuminava solo una piccola porzione di asfalto e alberi. Più in là, il brusio di parole e pensieri proveniente dal bar sembrava il ronzio incessante di un alveare.
«Da qualche parte tra Baton Rouge e New Orleans». Edward inarcò un sopracciglio. «Perché lo chiedi a me? Dovresti essere tu la veggente della famiglia».
«È proprio questo il punto. Quando penso a te, vedo solo una lucciola che orbita intorno a una stella. Mi sono spaventata».
Edward si appoggiò alla fiancata dell’auto, sospirando. Pessima scusa, Alice.
«Ho soltanto bisogno di stare un po’ solo».
«É morta, Edward. A novantadue anni, circondata da figli, nipoti e amici. Ha avuto una vita umana, piena e soddisfacente, proprio come hai sempre voluto per lei. Smettila di comportarti da vulvetta lamentosa e torna a casa. Siamo tutti in pensiero per te».
«Non ho intenzione di andare in Italia, se è questo che temete».
«Mi conforta sentirlo, ma…».
È inutile che scappi, topolino.
Edward si guardò intorno, aggrottando la fronte. Da dove proveniva quel pensiero?
«Edward? Edward, mi stai ascoltando?».
Tanto ti prendo.
Forse dal bar?
«Scusami, Alice. Ti richiamo dopo».
«Aspetta un secon-».
Edward interruppe la telefonata. Si diresse verso l’ingresso del bar come in trance, spalancò la porta e contemporaneamente aprì la mente al suo potere. Venne travolto da una valanga di pensieri, ma in quel vortice psichedelico di immagini e parole due menti in particolare spiccavano sulle altre come un faro nella notte.
Scappa, scappa, topolino.
Occhi da cerbiatto, castani e sbarrati. La ragazza si guarda indietro mentre corre, inciampa ovunque, cade, si rialza a fatica.

Edward attraversò la massa brulicante di avventori senza esitazioni, aggirò i tavoli, scansò i camionisti rissosi e le cameriere puzzolenti di fumo, ignorò il proprietario del bar che gli chiedeva dove cazzo pensava di andare e uscì dalla porta di servizio sul retro. Il neon traballante rischiarava a stento l’oscurità su un piccolo spiazzo sterrato circondato da alberi.
«Qualcuno mi aiuti! Vuole uccidermi!».
Le urla provenivano dal bosco, lontane e ovattate.
La ragazza si è appiattita contro un albero. Gli occhi da cerbiatta sono gonfi di lacrime. Le ciocche castane le ricadono scomposte sul viso.
Non intenerisci nessuno, topolino.

Edward si tuffò nella boscaglia, alla massima velocità di cui era capace. Si mosse in linea retta per guadagnare tempo, abbattendo gli alberi e frantumando i massi che gli intralciavano la corsa. Seguì la scia di terrore e morte come un segugio, con la mente ubriaca di quegli occhi castani, di quel volto ovale, candido, innocente, così simile a… Ebbe appena il tempo di scorgere tra gli alberi una sagoma bianca, alta e slanciata, dalla chioma rosso fuoco, che era sul punto di avventarsi su Bella. Sembrava quasi un deja-vù.
Edward spiccò un salto e le fu addosso.
Rotolarono sulla sterpaglia, in un groviglio di vestiti strappati, denti che affondavano nella carne, artigli che graffiavano, ruggiti spaventosi, ciocche rosse, pensieri sconnessi fatti di sangue, corpicini cianotici… Edward si ritrovò a inchiodare al suolo una vampira dagli occhi gialli e selvaggi, che ringhiava e scalciava come una gatta nel tentativo di liberarsi.
«Cercati un altro topolino da mangiare, pezzo di merda, lei è mia».
«Non ti permetterò di farle del male!».
La vampira sgranò gli occhi e per lo sbalordimento smise di dimenarsi.
«Tu vorresti... salvarla?».
Passi incespicanti sul fogliame.
Edward si voltò verso Bella, e quella distrazione gli costò cara. Il manrovescio arrivò velocissimo e lo scaraventò contro un albero. Schegge di legno piovvero in tutte le direzioni, mentre la vampira si lanciava in avanti e sbarrava la strada a Bella.
«Dove credi di andare, topolino?».
Prima che la vampira potesse aggredirla, Edward si era materializzato davanti a Bella, in posizione d’attacco, facendole scudo con il suo corpo. Inaspettatamente la vampira scoppiò in una risata selvatica. Edward sentì una zaffata pungente di urina mista a terrore arrivargli da dietro.
«Cazzo, tu vuoi davvero salvarla!», esclamò tra una risata e l’altra la vampira. «Il principe azzurro corre in soccorso della damigella in pericolo. É la prima volta che incontro un uomo come te». E disse uomo intendendo l’intera categoria: umani, vampiri, forse anche licantropi. Una carrellata di visi attraenti e mascolini si susseguirono velocemente nella sua mente. «Purtroppo questa damigella non è innocente come sembra. Diglielo, topolino. Di’ a Principe Azzurro cosa hai fatto».
Non fu necessario che Bella aprisse bocca.
Bambini vestiti di stracci, strappati alle loro famiglie. Il lettino di in una sala operatoria. Un bisturi insanguinato, nella mano di Bella. Un contenitore per organi.
Edward abbandonò la posizione di attacco e si girò. Fu come svegliarsi nel bel mezzo di un sogno, e scoprire di vivere in un incubo.
L’essere umano che aveva di fronte, raggomitolato su se stesso come un verme, non era Bella. Le somigliava, ma non era lei. Il mento era troppo appuntito, i capelli troppo scuri, gli zigomi troppo alti, il castano degli occhi troppo opaco. Non era Bella, Bella era morta. L’essere che piagnucolava ai piedi di Edward era solo un rifiuto, della peggior specie.
«Non fatemi del male. Non volevo, mi hanno costretto. Quei poveri bambini… mi dispiace tanto. Andrò dalla polizia, denuncerò i miei complici. Farò tutto quello che volete, ma non fatemi del male, vi prego».
«Sì, esatto. Ti costituirai».
«Che cazzo stai dicendo?».
Edward ignorò il brontolio minaccioso della vampira.
«Se non confesserai tutto, lo saprò e lascerò che lei…». Edward indicò la vampira e la ragazza si coprì gli occhi con le mani, come una bambina che ha paura del buio. «…faccia di te quello che preferisce. Siamo intesi?».
La ragazza annuì, strisciò fino ai piedi di Edward e gli abbracciò le gambe per ringraziarlo.
La solita sfiga. Il cazzone moralista proprio a me doveva capitare?, fu il commento della vampira.


Edward si era appena lasciato la stazione di polizia alle spalle, quando la vampira emerse dalla boscaglia, silenziosa e guardinga come un felino. Indossava ancora gli stessi abiti di quando si erano azzuffati: shorts sbrindellati, una camiciona di flanella aperta su una canotta scollata, un paio di camperos e tantissima pelle nuda.
Mi devi un umano per il mio complemorte.
«Mi nutro di animali».
«Lo sapevo, cazzo!», esclamò vittoriosa la vampira. «Lo sapevo che riuscivi a leggere nel pensiero! Conosco un altro vampiro capace di farlo, ma ha bisogno del contatto fisico. E, per la cronaca, anch'io mi nutro di animali». Edward le rivolse un’occhiata scettica e lei sorrise in un modo che lo irritò parecchio. «Una volta sono stata con un uomo, un ex-alcolista. Conservava in cantina una bottiglia di Bourbon invecchiato dodici anni. Ne beveva un bicchiere, uno solo, quando compiva gli anni, e gli bastava per il resto dell’anno. Se ci pensi, è un buon compromesso».
Edward scosse la testa.
«Uccidere non è mai un buon compromesso. E tu non mi piaci».
«Tu invece sì. Sei un coglione, ma mi piaci. Hai quest’aria da bravo ragazzo che…». Frullò le dita in aria, squadrandolo dalla testa ai piedi, senza riuscire a spiegarsi, così gli si piazzò davanti e gli porse la mano. C’era del terriccio sotto le unghie. «Tanto piacere. Mi chiamo Evangeline».
«Non voglio avere nulla a che fare con te».
La mamma ti ha detto di non dare confidenza agli estranei, per caso?
Di nuovo quel sorrisetto irritante, che lo faceva sentire un ingenuo dodicenne.
«Ascolta, Principe Azzurro. Questo è un giorno del cazzo per me, va bene? Di solito bevo per dimenticare, piangermi addosso non è il mio sport preferito, ma tu…», gli piantò l’indice nel petto, «…mi hai messo il bastone tra le ruote, perciò devi rimediare».
Edward stava per ribattere con un’imprecazione di cui si sarebbe immediatamente pentito ma che, ne era certo, avrebbe reso Emmett molto fiero di lui, quando nella mente di Evangeline scorse qualcosa che avrebbe preferito non vedere: immagini sfocate intraviste già nella mente di Rosalie ma che, da bravo vigliacco, lui aveva sempre cercato di ignorare.
Quando Evangeline se ne accorse, era ormai troppo tardi.
«Okay, il giretto nella valle delle lacrime te lo sei fatto, credo sia giunto per me il momento di squagliarmela».
Edward la trattenne per un braccio, prima che lei riuscisse a dileguarsi.
«Neanche per me è un periodo felice, questo».
Evangeline ringhiò. Non sono in cerca di pietà.
«Nemmeno io. Cacciare da solo non è divertente, ti andrebbe di farmi compagnia, stanotte? Non posso offrirti un umano, ma so dove trovare orsi molto cattivi e combattivi».
La comparsa del sorrisetto irritante, ancor prima dei suoi pensieri, gli fece capire di averla convinta.
«Hai proprio la sindrome del principe azzurro, tu, eh?».




Atto II
-Brontolo-



«Alice?».
«Sì, Edward?».
«Va… va tutto bene?».
Alice era china sul cofano della Ferrari, lo accarezzava a palmo aperto con l’espressione di chi sta salutando un vecchio amico che non rivedrà mai più. Nel frattempo la sua mente cantava a volume spacca-timpani Smoke on the Water in arabo.
«Le sto dicendo addio, Edward. Non abbiamo avuto la possibilità di conoscerci bene, Ferrari ed io, ma mi mancherà tantissimo. Devi per forza prendere lei, questa sera?».
Edward le rivolse un’occhiata preoccupata, mentre si allacciava i gemelli ai polsini.
«Sei strana, Alice. Più del solito».
«Ti presto la Porsche nuova, se vuoi».
Edward scosse la testa.
«Evangeline vuole provare la Ferrari, adora le auto d’epoca. L’idea non mi entusiasma, ma non ho saputo dirle di no».
Alice sospirò affranta, c’era qualcosa di ineluttabile nel suo sguardo, come se si fosse aspettata quella risposta. E probabilmente, nel suo caso, era davvero così. Diede un ultimo buffetto affettuoso al tettuccio dell’auto, poi aiutò Edward con i gemelli. Lui provò a sondarle i pensieri, nel tentativo di capirci qualcosa, ma la sua mente era suddivisa in compartimenti a tenuta stagna e all’interno di ciascuno di essi smoke on the water, fire in the sky squillava in una lingua diversa.
«Dimmi cosa hai visto, Alice».
Lei si limitò a rivolgergli un sorriso serafico e a raddrizzargli il farfallino.
«Sei uno schianto con questo smoking, Edward».
«Stai eludendo la domanda».
Lo baciò sulla punta del naso. Lo so.


«Allora, come sto? Non sono mai stata all’opera, dici che va bene?».
Evangeline non era una donna bellissima.
O meglio, era bella se paragonata a un essere umano, come qualsiasi altro vampiro, ma in confronto a quella di Rosalie, o di Alice, la sua bellezza era nella norma, quasi anonima.
Evangeline era alta quanto Edward, aveva un fisico atletico, legnoso e spigoloso, forme appena accennate, il naso importante del prozio Herbert, e un mento pronunciato. Una volta gli aveva raccontato di non essere mai stata un granché da umana (“Diciamoci la verità, ero un vero cesso”), con gli incisivi storti e il corpo ricoperto di lentiggini (“E non sto parlando di una spruzzatina sexy sul naso, eh? La mia pelle era a chiazze, capisci cosa intendo? Dio, quanto le odiavo quelle cazzo di lentiggini!”). Ciononostante, l’aspetto fisico non era mai stato un problema per lei (“Il mio vecchio diceva sempre che ci si deve vergognare solo se si disobbedisce alla legge di Dio. Tu sei una ragazza onesta, ed è l’unica cosa che conta. E poi i miei denti storti non mi hanno mai impedito di trovare qualcuno con cui scopare”). Anzi, da quando era una vampira, Evangeline si sentiva una vera (“Strafiga. Puoi usarla questa parola, Edward. Non andrai all’inferno, te lo garantisco!”) bellezza.
Edward non aveva mai dato importanza all’aspetto esteriore. In Evangeline non vedeva il mento pronunciato, le spalle larghe, le braccia muscolose, i fianchi larghi e squadrati. In lei vedeva una bellezza selvaggia, primitiva, grezza, che lo affascinava più di quanto volesse ammettere, con gli scatti felini durante la caccia o la linea spigolosa del mento quando buttava la testa indietro e scoppiava a ridere.
Perciò, quella sera, quando lei apparve sulla soglia di casa, Edward non si accorse che l’abito lungo, rosso e dal decolleté profondissimo sarebbe stato meglio addosso a una donna dalle forme più morbide e femminili. Edward vide solo Evangeline, sgargiante e appariscente come i suoi pensieri.
«Sei perfetta».
«Oh, meno male. Perché la tizia a cui ho rubato il vestito aveva le tette più grosse e quindi…».
«Prego?».
Evangeline sorrise.
«Non fare il Brontolo della situazione, adesso. Non avevo nulla da mettere e poi la proprietaria dell’abito è straricca, ti assicuro che non ne sentirà la mancanza».
«Non mi piace che rubi. Rubare è sbagliato».
«Non sempre». Evangeline gli scompigliò il ciuffo sulla fronte. «Immaginami come una moderna Robin Hood: rubo ai ricchi per dare ai poveri. La povera sarei io, a scanso di equivoci».
Edward le aprì la portiera per permetterle di salire in macchina, perché sapeva che a lei faceva molto piacere. «Il fine non giustifica i mezzi», disse dopo essere salito a sua volta. Lei roteò gli occhi, esasperata.
«E dai! Mi stai dicendo che non ti piace Robin Hood?».
Il motore ruggì e la Ferrari partì sgommando.
«Esatto».
«Non è possibile, Edward. Robin Hood piace a tutti. Che infanzia di merda hai avuto?».
«La mia infanzia risale agli anni dieci del millenovecento, Evangeline».
«Non è questo il punto».


«Ti senti bene?».
Evangeline annuì, senza distogliere lo sguardo dal palco. Sotto di loro, Violetta stava cantando un’appassionata Amami Alfredo e lei, appoggiata alla ringhiera del balconcino, non se ne perdeva una nota. Si mordeva il labbro inferiore, per trattenersi dal singhiozzare, e i suoi occhi erano velati da una patina di commozione. Ciononostante sorrideva, ed era radiosa.
Edward la prese per mano.
«Sei sicura?».
Vorrei solo poter piangere. Ho un cazzo di groppo allo stomaco che… cristo santo, sei uno stronzo, Edward. Avresti dovuto avvertirmi che l’opera è così fottutamente coinvolgente.
«Ti chiedo scusa, non ti ci porto più, te lo giuro».
Evangeline si voltò all’improvviso verso di lui.
«Stai scherzando, spero!». Si tappò la bocca e si guardò intorno spaventata, rendendosi conto di aver parlato a voce troppo alta. Edward ridacchiò. Dobbiamo rifarlo, gli disse con il pensiero, ricomponendosi. Domani, tra una settimana, o un mese. Non importa quando. Basta che lo rifacciamo. Me lo prometti?
Edward sorrise.
«Certo, tutto quello che vuoi».
Ottimo. E adesso fa' silenzio, mi hai distratta abbastanza.
Mentre Evangeline tornava a commuoversi per Violetta e Alfredo, Edward non poté fare a meno di pensare a Bella. Fin dall’inizio, erano stati sempre e solo loro due: loro due nella stanza di Bella, loro due nella stanza di Edward, loro due in classe, loro due sul divano davanti a un dvd. Non avevano mai fatto nulla, insieme. E non è che si fosse mai lamentato di ciò, a lui era andata benissimo così, convinto che la cosa più importante fosse trascorrere del tempo insieme, a prescindere da cosa si facesse o non facesse.
Adesso, però, frequentava Evangeline, che era un fiume in piena di idee e che non gli permetteva di stare un attimo fermo. Aveva fatto più cose con Evangeline in tre mesi, che con Bella in un anno. E non è che si stesse lamentando di ciò, a lui andava benissimo così, convinto che la cosa più importante fosse sì trascorrere del tempo insieme, ma a patto che, come diceva Evangeline, quel tempo venisse speso bene.
Edward?
«Sì?».
Dimmi che non muore nessuno. Mentimi, ti prego.
Lui preferì rimanere in silenzio.
Oh, merda. Dovremo fare qualcosa di molto divertente dopo, per farmi tornare il buon umore. Ne sei consapevole, vero?
Come volevasi dimostrare.


«Dai, cazzo! Più veloce!».
«Ancora? Stiamo andando a più di duecentodieci chilometri orari».
«Hai paura di morire schiantato contro un albero, per caso? Schiaccia quel fottuto pedale!».
Edward alzò gli occhi al cielo, ma non poté fare a meno di sorridere, quando la lancetta del contachilometri schizzò alle stelle e la risata roca di Evangeline riempì l’abitacolo. Alcune ciocche rosse, sfuggite allo chignon, le ricadevano scomposte sul viso e la lunga gonna dell’abito da sera era stata sollevata fino a metà coscia (“Non sono abituata ad avere tutta questa stoffa intorno alle gambe”). Nonostante fosse un’impresa davvero ardua comportarsi da gentiluomo, Edward fece di tutto per non mancare di rispetto a Evangeline.
«Quest’auto è un gioiellino, non capisco perché la lasci arrugginire in garage».
«È troppo appariscente».
Stai mentendo. Ti ricorda lei, non è vero?
Edward mantenne lo sguardo fisso sulla strada, nella speranza che Evangeline capisse l’antifona e lasciasse cadere l’argomento. Speranza vana, ovviamente.
«Una volta sono stata con un uomo». Il clic della cintura di sicurezza (puramente ornamentale) che veniva sganciata lo mise in allerta. «Sosteneva che era possibile sostituire un ricordo sgradevole con uno nuovo e felice».
Il fiato fresco di Evangeline gli solleticava l’orecchio, la sua mano vagava sotto la giacca in cerca di bottoni da far sgusciare fuori dalle asole, il suo seno attraverso i vestiti gli sfiorava il braccio. Gli sarebbe bastata un’occhiata fugace alla sua destra per guardarle dentro la scollatura. Autocontrollo era la parola chiave. Edward serrò le dita intorno al volante, che scricchiolò.
«Non si possono sostituire i ricordi, è una sciocchezza».
«Travor, così si chiamava lui, ha fatto l’amore con me sul suo divano. Lo stesso divano sul quale aveva trovato la sua donna con il suo migliore amico».
Le dita di Evangeline avevano sbottonato la camicia e si stavano insinuando sotto la cinta dei pantaloni. Intanto la sua gonna si era arricciata ancora più in alto, e adesso l’orlo di pizzo delle autoreggenti era fin troppo visibile. Edward serrò la mascella.
«E ha funzionato?».
«Non lo so, ma possiamo fare un tentativo anche noi».
Dall’autoradio le note di Smoke on the Water si diffondevano in tutto l’abitacolo. Fuori dai finestrini, il mondo schizzava via a una velocità nauseante. La lampo dei pantaloni venne abbassata, la Ferrari sbandò leggermente a destra e per un soffio non sfiorò il guard rail.
«Evangeline, per favore!».
Le sue dita giocherellavano con l’elastico delle mutande.
«Per favore, cosa?».
«Smettila. Non credo nel sesso prima del matrimonio, ne abbiamo già parlato».
«Ed io non credo nell’esistenza di Babbo Natale, ma questo non significa che non mi piaccia ricevere dei regali a Natale».
«Evangeline…».
«Zitto, e continua a guidare. Al resto penso io».
Accadde tutto in un attimo.
Le dita di Evangeline che lo stringevano, il volante che si staccava e gli rimaneva in mano, la macchina fuori controllo che sbandava, sfondava il guard rail, spiccava il volo, le loro teste che sbattevano contro il tettuccio, il tettuccio che si ammaccava, l’impatto con l’acqua.
Rimasero lì sotto, a contemplare l’acqua che a poco a poco riempiva l’abitacolo, per diversi minuti, troppo sconvolti per fare qualsiasi altra cosa. Poi Evangeline scoppiò a ridere.
Fu come venire svegliato da uno schiaffo in pieno viso.
Edward sganciò la cintura, ruppe il parabrezza con un pugno e nuotò fuori dall’auto fino alla riva del fiume. Si lasciò cadere supino sui ciottoli fangosi, il cielo sopra di lui era trapunto di stelle.
«Sei messo proprio male, Edward, se per così poco finisci fuori strada».
Evangeline si sdraiò al suo fianco. Si era sciolta lo chignon, i capelli fradici sembravano rivoli di sangue che le colavano sul viso, sul collo, nel solco tra i seni. Il rosso acceso del vestito, invece, era diventato porpora e le si era incollato addosso come una seconda pelle.
Edward rimase in silenzio.
«Grandioso, è tornato Brontolo». Evangeline si girò su un fianco. Facendo leva sul gomito, si sporse sopra di lui per scompigliarli il ciuffo bagnato sulla fronte. «Non essere arrabbiato per la Ferrari. Guarda il lato positivo, era solo uno spreco di spazio e adesso non hai più bisogno di sostituire il tuo ricordo sgradevole».
Edward ci provò a rimanere serio, ci provò sul serio, ma non ci riuscì. Rise come non faceva da tanto tempo, tenendosi la pancia. Rise così tanto, che se fosse stato umano sarebbe morto soffocato. Ben presto la risata da gatta selvatica di Evangeline si unì alla sua, ed Edward dovette ammettere che era uno dei suoni più belli che avesse mai udito in tutta la sua esistenza.
«Ti propongo un compromesso, Edward», esordì più tardi Evangeline.
«Lo sai come la penso sui tuoi compromessi».
Evangeline gli diede uno scappellotto sullo stomaco.
«Zitto e ascolta, Brontolo! Ti prometto che non ruberò mai più…».
«Non male come inizio».
«…ma tu in cambio dovrai rivedere la stupida regola sullo scopare prima del matrimonio».
«Ah, ecco. Avevo cantato vittoria troppo presto».
Evangeline si mise a cavalcioni sul suo petto.
«Qual è il tuo problema, Edward?». Da quella posizione, con la gonna arrotolata intorno alla vita, le cosce muscolose che lo intrappolavano a terra, le autoreggenti sfilacciate e la matassa di capelli spettinati che le ricadeva davanti agli occhi, era ancora più bella. «Perché da quello che sento qui sotto, non mi sembra che tu sia frocio».
Edward distolse lo sguardo e se avesse potuto sarebbe arrossito.
«Ho fatto la brava per tre mesi, ma sono una donna e ho i miei bisogni. Lo sai che questo è in assoluto il periodo di tempo più lungo senza sesso della mia non-vita? Vuoi che mi rivolga a qualcun altro?».
Edward ringhiò e ribaltò le posizioni, schiacciandola al suolo.
«Questo non è un compromesso, è un ricatto!».
Evangeline si strusciò contro di lui come una gatta. Forse era impazzito, ma gli sembrò addirittura di sentirla fare le fusa.
«Diventerà un ricatto solo se tu continuerai a fare il difficile. Non ti sto chiedendo di scopare per forza, ma ci sarebbero altre cose che potremmo fare… se capisci cosa intendo. Sta’ tranquillo, procederemo per gradi, in modo tale da evitare altri incresciosi incidenti. Sarò una brava maestrina, te lo prometto. Allora, accetti il mio compromesso?».
Il sorrisetto che tanto lo irritava faceva bella mostra di sé sulle labbra di Evangeline. Edward dovette baciarla per farlo scomparire dalla sua vista.
Lo prenderò per un sì.




Atto III
-Mr. Tockins-



«Crema o panna?».
«Uhm?».
«Per le pareti della tua stanza, crema o panna?».
«Le pareti della mia stanza stanno bene come stanno, Alice».
«Non ne sarei così sicura, vedo profumo di rinnovamento nel vento».
The answer, my friend, is blowin’ in the wind, the answer is blowin’ in the wind.


«No, non ci credo».
Edward spostò lo sguardo dal libro che stava leggendo alla finestra spalancata. Una sagoma pallida era accovacciata sul davanzale come una gatta che punta la preda, una gatta dagli occhi gialli e maliziosi. Edward si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
«Imparerai mai a usare la porta, Evangeline?».
«Senti chi parla», borbottò lei. «Tu piuttosto… stamattina, quando sono andata via, ti ho lasciato seduto su quella poltrona a leggere. Torno dodici ore dopo e dove ti trovo? Sulla stessa poltrona, a leggere lo stesso libro?».
«L’ho quasi finito».
«Ottimo, questo significa che possiamo dedicarci ad altre attività».
Evangeline si mosse nella penombra della stanza in direzione di Edward, lasciandosi dietro una scia di orme di fango misto a sangue e di abiti più succinti del solito, sbrindellati, sporchi di terriccio. Adesso che ci faceva caso, l’odore di sangue rattrappito era molto forte ed Evangeline sembrava aver fatto a pugni con un tornado. Edward mollò il libro e le si materializzò davanti.
«Uh, non così in fretta, tesoro!».
«Cosa ti è successo? Qualcuno ti ha fatto del male?».
Evangeline sgranò gli occhi, incredula, poi mise il broncio e incrociò le braccia al petto.
«Scusa un attimo, Edward. Sono qui che improvviso uno spogliarello e l’unico dettaglio che noti è la mia mise leggermente disordinata? Sei senza speranze».
«Leggermente disordinata? Evangeline, sembra che tu abbia ingaggiato una lotta contro un licantropo, mi sono preoccupato. E poi si può sapere perché ti stai spogliando? La porta è aperta, potrebbe passare qualcuno della mia famiglia e vederti mezza nuda!».
Evangeline sospirò.
«Primo: era un orso, non un licantropo, avevo un certo languorino. Secondo: davvero ti sei preoccupato per me? È tremendamente cavalleresco, e cazzo se mi piaci quando ti comporti da cavaliere senza macchia e senza paura, mi fai sentire una principessa, ma credimi se ti dico che so badare a me stessa. Terzo: mi sto spogliando perché volevo usufruire della tua doccia e chiederti di lavarmi la schiena, mio caro Mr. Tockins».
«Non mi piace la disinvoltura con la quale giri per casa mezza nuda».
«Non sto girando per casa, sono nella tua stanza!».
«Nella mia stanza, ma con la porta aperta!».
Eccheccazzo, Edward!
Evangeline sparì, riapparve accanto alla porta. La chiuse facendo tremare i cardini. Sparì e riapparve nuovamente accanto a Edward, con i pugni puntellati sui fianchi e un’espressione furiosa sul viso.
«Se il Mr. Tockins che è in te non ha nulla da obbiettare, ti andrebbe di lavarmi la schiena?».
Bada bene, non ti conviene rispondere no.


«Odio il tuo autocontrollo del cazzo, Edward. E odio che tu riesca a resistermi con tanta disinvoltura».
Edward rise di gusto, l’avvolse nel grande accappatoio bianco e infine la baciò sulla fronte.
«Non credo che quello che è appena successo sotto la doccia possa definirsi resistere con disinvoltura».
«Non è questo il punto. Ogni volta che ci lasciamo andare e penso che sia arrivato il momento giusto per spingerti oltre al limite, tu mi freghi mettendo su la faccia da bravo ragazzo e facendo no con la testa. Hai una vaga idea di quanto sia frustrante tutto ciò?».
«Pensavo ti piacesse la mia faccia da bravo ragazzo».
Edward le passò il braccio destro sotto le ascelle, quello sinistro sotto le ginocchia, e la sollevò da terra come si fa con una sposa. Era così leggera… ma al tempo stesso così solida, così vera, tra le sue braccia. Nel frattempo, lei gli aveva cinto il collo, sulle labbra un sorriso raggiante.
«Infatti, la adoro. Così come adoro le tue buone maniere e i tuoi modi da perfetto gentiluomo. Devi capire, però, che non sono abituata ad avere a che fare con i bravi ragazzi. Di solito mi imbatto in stronzi bastardi, e di solito gli stronzi bastardi in cui mi imbatto non aspettano più di un’ora per saltarmi addosso. Noi ci frequentiamo da quasi sei mesi. Sei mesi, cazzo! Ti rendi conto? Una volta sono stata con un uomo che prima mi ha scopata, e poi mi ha chiesto come mi chiamavo… solo per farti capire quanto tutto ciò sia una novità per me».
Edward smise di sorridere e lasciò andare Evangeline in mezzo alla stanza. Lei lo fissò dritto negli occhi, poi gli accarezzò la fronte scompigliandogli il ciuffo.
«Perdonami, a volte do fiato alla bocca senza pensare».
«Sto solo cercando di trattarti con rispetto, Evangeline. Mi dispiace se questo delude le tue aspettative».
«Non fare il melodrammatico adesso, Mr. Tockins. Ci sarà pure una via di mezzo tra “solo seghe e ditalini sotto la doccia per non mancarti di rispetto” e “ti fotto senza pietà a novanta sul tavolo”, no?».
«Non mi piace che usi questo linguaggio con me».
«Be’, questo è il mio modo di parlare, questa sono io. Accetta tutto il pacchetto oppure mandalo a ‘fanculo come hanno fatto gli altri stronzi bastardi della mia via. Delle due una, Edward».
«Non voglio mandarti a… non voglio mandarti via, io non sono come gli altri, Evangeline. Ti ho perfino proposto di vivere insieme a me e alla mia famiglia, e cosa ho ottenuto in risposta?».
Evangeline gli diede le spalle.
«È troppo presto».
«Esatto. È troppo presto per vivere sotto lo stesso tetto, ma non troppo presto per…».
«Scopare».
«…fare l’amore».
Rimasero in silenzio, immobili in mezzo alla stanza, per un tempo indefinito.
Poi Evangeline lasciò cadere l’accappatoio sul pavimento, sempre senza dire una parola, sempre dandogli le spalle. Il fruscio della spugna sulla pelle pallida, quella schiena lunghissima e flessuosa che si ergeva dall’accappatoio come un giunco dal terreno, il sussulto di Evangeline quando lui le raccolse i capelli rosso fuoco su una spalla… gli ricordarono i dipinti di Klimt, di quando da ragazzino ne aveva ammirato le stampe sui libri d’arte, con il sangue che bruciava nelle vene. Dal quel frangente in poi, nulla sarebbe stato più erotico per Edward di un accappatoio che scivola via silenzioso e le sue fantasie sarebbero state sempre colorate e sgargianti, come i quadri di Klimt, come Evangeline.
Lì per lì non seppe far altro che stringere a sé quella donna così solida, così vera, respirare a pieni polmoni quel profumo selvaggio come se fosse ossigeno e, finalmente, smettere di pensare per la prima volta in tutta la sua esistenza.


Ore più tardi erano ancora sdraiati sul pavimento. Il vento entrava dalla finestra spalancata, gonfiava le tende come le vele di un veliero e portava con sé un profumo che sapeva di rinnovamento. Edward fissava la parete color avorio con sguardo trasognato, Evangeline invece si era accoccolata sul suo petto come una gatta sazia e sonnacchiosa.
«È stato… decisamente meglio di tutto quello che abbiamo fatto finora».
«Eh, buongiorno! Poi non dire che non te lo avevo detto».
Edward ignorò la sua battuta e continuò a fissare la parete color avorio, giocherellando distrattamente con una ciocca rossa di Evangeline, fin quando non venne folgorato da un’illuminazione.
«Crema o panna, Evangeline?».
«Credo che i giochetti erotici con il cibo ci siano preclusi, mi spiace».
Edward scattò a sedere all’improvviso ed Evangeline rotolò sul pavimento bestemmiando.
«Siamo giunti a un altro compromesso, è lampante!».
«Non credo di seguirti», disse lei sedendogli di fronte a gambe incrociate.
«Io ho fatto l’amore con te, quindi adesso tu vieni a vivere con me. È un compromesso, non puoi negarlo».
Evangeline sbatté le palpebre un paio di volte, poi proruppe in una fragorosa risata.
«Pensavo che ti saresti inginocchiato e che mi avresti offerto l’anello di famiglia, sono quasi delusa».
«L’ultima volta che ho chiesto a una ragazza di sposarmi non è finita molto bene. Penso sia meglio non ripetere l’esperimento».
Lei lo afferrò per le spalle e lo costrinse a sdraiarsi sulla schiena.
In compenso, c’è un altro esperimento che ripeterei molto volentieri.
«E riguardo al nostro compromesso?».
Evangeline si distese su di lui e lo baciò come se volesse mangiarlo.
Adoro i compromessi.




Atto IV
-Grillo Parlante-



«Saresti dovuto andare con lei».
«Per guardarla commettere un omicidio? No, grazie».
Edward era in piedi di fronte alla grande vetrata che sostituiva la parete est del soggiorno e fissava la foresta notturna, un oceano dalle acque profonde e nere che si estendeva a perdita d’occhio sotto il cielo stellato. In sottofondo si udiva soltanto il tip tap delle dita di Alice sulla tastiera del computer.
«Almeno non saresti qui a guastare la serata al resto della famiglia, con il tuo muso lungo».
«Un essere umano sta per essere ucciso dalla donna che amo. Scusa tanto se non sprizzo gioia da tutti i pori».
«Un essere umano che si è macchiato di crimini orribili. Evangeline ha scelto bene la preda di quest’anno, l’ho previsto. Non puoi vedere il mondo sempre e solo in bianco e nero, Edward: ci sono tanti colori bellissimi e sgargianti nel mezzo. Pensaci bene, è anche merito della stravagante tradizione di Evangeline se vi siete conosciuti, non tutti i mali vengono per nuocere in fondo».
«Stravagante è un eufemismo».
Alice sbuffò.
«Cambiamo discorso, che è meglio. Qual è il fiore preferito di Evangeline?».
Edward sorrise e chiuse gli occhi. Pescò un ricordo che non era suo, il ricordo di una bambina dai capelli rossi che correva in un mare di trifogli e la voce di un uomo che le diceva di fare presto, che il pranzo era in tavola e si freddava.
«Il trifoglio, perché è forte e attecchisce dappertutto. Proprio come lei».
«Oh, dai, rendermi le cose un po’ più facili no, vero? Mi spieghi come diavolo si fanno degli addobbi con i trifogli? Hai idea di quanto siano corti i loro gambi? Anche solo comporre un mazzo sarà un’impresa».
Edward si voltò, inarcando un sopracciglio.
«Di cosa stai parlando?».
Ovviamente Alice non si degnò di rispondere, gli occhi fissi sullo schermo del computer, un sorriso misterioso sulle labbra, mentre la sua mente diabolica cantava senza posa…
And then, one morning, another spring is there outside my door. Things are blooming, birds are singing, and suddenly, yes well, I ain't sad, ain't sad no more, ain't sad no more.


Le dita di Edward correvano rapidissime sulla tastiera del pianoforte, picchiavano i tasti, rendendo la melodia originale più squillante e stridula. La canzone che Alice aveva canticchiato mentalmente per tutta la notte gli ronzava da ore nelle orecchie come un insetto fastidioso, forse scaricarla sul pianoforte lo avrebbe aiutato a cacciarla via. Fuori dalla vetrata, pennellate di rosa e giallo annunciavano il sopraggiungere dell’alba.
Nina Simone l’aveva pensata meno rabbiosa, credo.
Bastò un’energica stretta sulle spalle… le dita si annodarono tra di loro e l’arpeggio si trasformò in un groviglio indistinto di note. Certe volte Edward odiava l’effetto che Evangeline aveva su di lui: anche se era arrabbiato con lei, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il tocco di quelle dita sulla sua pelle e al fatto che quelle dita erano state lontane per cinque lunghissimi giorni.
«Profumi di lavanda», disse mentre Evangeline lo baciava sul collo. «E il tuo alito sa di menta».
«Pensavo che sarebbe stato più facile per te, se non avessi sentito l’odore del sangue».
«E perché nella tua testa vedo solo immagini di pantere, orsi canterini e bambini?».
«Prima di tornare a casa mi sono sparata circa una ventina di film della Disney. Per evitare di pensare a…».
«Non lo dire, per favore».
Evangeline si sedette sullo sgabello, accanto a Edward.
«Quando sei preoccupato, o arrabbiato, o semplicemente pensieroso, ti si forma una profonda ruga proprio qui, lo sai?». E gli picchiettò la fronte con l’indice. «Mi piacerebbe cancellarla così», gli scompigliò affettuosamente il ciuffo che gli ricadeva davanti agli occhi, «con un semplice gesto della mano. Come si fa con uno scarabocchio sulla lavagna. Ci provo ogni volta, anche se so già che non funzionerà. Il mio vecchio mi rinfacciava sempre di essere una gran testona». Aspettò che lui dicesse qualcosa, ma Edward rimase in silenzio e tenne lo sguardo fisso sui tasti. «Perché non mi guardi in faccia?».
«Non mi piace il colore dei tuoi occhi».
Evangeline sospirò, sembrava esausta. Dovevo farlo.
Edward si voltò di scatto e non poté fare a meno di ringhiare, quando si scontrò con quegli occhi arancioni da assassina.
«Nessuno ti ha obbligato a uccidere quell’uomo».
«Certo che no. Intendevo dire che… lo dovevo a me stessa. È il compromesso con la mia natura di vampira, con il mio passato. Tu sai cosa mi è successo, sai perché una volta all’anno scelgo un criminale. Quindi, invece di sputare sentenze da perfetto Grillo Parlante, prova a metterti nei miei panni».
Edward scosse la testa.
«Non sei neanche un po’ pentita».
«Esatto. Perché io, a differenza tua, non odio quello che sono. Se quel vampiro non mi avesse trasformata, sarei morta a venticinque anni, per colpa di uno stronzo bastardo. Perciò perdonami, Grillo Parlante, se sono felice di essere una fottuta vampira e se una volta all’anno mi comporto come tale».
Da qualche parte, Alice stava canticchiando ain’t sad no more.
«Ci conosciamo da un anno, e conviviamo da sei mesi. Sapevi che questo giorno sarebbe arrivato. Non ti sto chiedendo di cambiare per me, solo di accettarmi per la donna, per la vampira, che sono. Devi fare una scelta, Edward. Accettare quest’ennesimo compromesso, accettare tutto il pacchetto oppure…».
«…oppure mandarti a ‘fanculo».
Evangeline annuì.
Things are blooming, birds are singing, and suddenly, yes well, I ain't sad.
Edward tornò a strimpellare, cercando di seguire la voce di Alice e adattarsi al suo ritmo.
«Ho cercato di plasmare Bella secondo il mio ideale di donna, e lei ha scelto un altro». Edward si alzò dallo sgabello e prendendola per mano invitò Evangeline a fare altrettanto. «Non voglio commettere lo stesso errore, non voglio perdere anche te. Tuttavia…». Edward sorrise, era la prima volta che vedeva un’espressione così corrucciata sul volto di Evangeline. «Tuttavia ritengo ingiusto che sia soltanto io ad accettare un compromesso».
E sempre tenendola per mano, le s’inginocchiò di fronte.
Evangeline sgranò gli occhi, poi il sorrisetto irritante sbocciò sulle sue labbra.
Non dire altro, Edward. La mia risposta è sì. Sì sì sì, cazzo!
I ain't sad, ain't sad no more, ain't sad no more.


«Se celebrassimo il matrimonio in giardino, potremmo far crescere i trifogli ai lati della navata fino all’altare. Per gli altri addobbi, invece, si potrebbero usare dei vasi, nei quali coltivare i trifogli, da disporre dove più ci piace. Una volta stavo con un uomo che faceva il fioraio, avreste dovuto vedere i capolavori che riusciva a comporre con dei semplici fiori di campo. Che ne dite?».
Alice applaudì entusiasta.
«Ottima idea, Evangeline. So che funzionerà! Anzi, potremmo coltivare un intero prato di trifogli. Oh, sì, già lo vedo, un enorme tappeto bianco e rosa, sarà bellissimo!».
«Suggerirei anche di metterle qualche trifoglio tra i capelli». Rosalie prese un trifoglio e per prova ne assicurò il gambo dietro l’orecchio di Evangeline. «In mezzo a tutto questo pel di carota che ti ritrovi in testa, il bianco del trifoglio spicca che è un piacere».
Evangeline si rimirò allo specchio con espressione soddisfatta.
«Mi piace».
Edward l’abbracciò da dietro.
«Non devi assecondarle sempre. Ti faranno impazzire, se allenti troppo la corda».
«Non dire cazzate, Edward. Mi sto divertendo come una matta. Il mio sarà il più bel matrimonio che il fottuto mondo dei vampiri abbia mai visto».




Atto V
-Ray-



Fate buon viaggio, fratellino. Salutate Isola Esme da parte mia, ma non dimenticate di usare le precauzioni, mi raccomando.
Edward rise e abbracciò Alice più forte che poté.
«Niente canzoni, oggi? Non hai visioni da nascondermi?».
Alice ghignò. È tardi per i ripensamenti, Edward. Avresti dovuto pensarci prima che Padre Malcolm vi dichiarasse marito e moglie.
«No, nessun ripensamento. Mai, nemmeno per un istante». Edward storse la bocca in una smorfia. «Anche se devo ammettere che quel prete-vampiro mette i brividi».
Lei gli assestò uno scappellotto scherzoso sulla spalla.
Vuoi che Malcolm ti incenerisca per purificarti dai tuoi peccati prima della luna di miele?
Edward lanciò un’occhiata preoccupata al pastore anglicano grosso quanto Emmett, che chiacchierava allegramente con Evangeline. I suoi pensieri indugiavano troppo sul vestito scollato di sua moglie. Si chiese se quel Malcolm fosse un altro degli uomini da aneddoto con cui lei era stata. Due istanti più tardi decise che era meglio non saperlo.
Edward, sei ancora su questo pianeta?
«Sì, sì. Mi stavo solo domandando…».
«Cosa?».
Edward si grattò la nuca, imbarazzato.
«Ricordi il giorno in cui ho conosciuto Evangeline?».
Alice annuì. Come se fosse ieri.
«Avevi previsto qualcosa, una visione su una lucciola che orbita intorno a una stella. Non si è mai avverata. Possibile che tu abbia male interpretato? Forse non riguardava me».
Alice baciò Edward sulla punta nel naso. Io non sbaglio mai.


Edward aveva appena ormeggiato il motoscafo al piccolo molo di Isola Esme, quando l’imbarcazione traballò pericolosamente e quasi nello stesso momento si udì un tonfo. Si voltò e di Evangeline non era rimasto altro che l’abito Armani da viaggio appallottolato sul sedile e un paio di Liu-jo tacco dodici. Intorno alla barca l’acqua era increspata per il tuffo.
«Avanti, Edward. Cosa aspetti? Tuffati anche tu!».
Uno schizzo d’acqua lo colpì sulla schiena. Evangeline sorrideva, immersa dal mento in giù. Gli occhi gialli scintillavano di malizia mentre lo puntavano.
«Non vuoi vedere la villa, prima?».
«Togliti quei fottuti vestiti e poche storie».
Per fortuna i vampiri non arrossiscono. Gli occhi da gatta di Evangeline promettevano molti graffi e tanti morsi. Sulle sue labbra campeggiava il solito sorrisetto irritante, quello che lo faceva sentire un dodicenne inesperto, quello che spariva solo se veniva baciato.
Edward cominciò a sbottonarsi la camicia.
«Non mi piace quando sorridi in quel modo».
Il sorrisetto si arricciò ancora di più in corrispondenza degli angoli della bocca.
«Una volta sono stata con un uomo, uno schianto d’uomo, a essere onesta… non faceva altro che rinfacciarmi cosa non gli piacesse di me».
La camicia andò a fare compagnia al vestito Armani sul sedile.
«Credo di conoscerlo».
«Avrei voluto chiedergli perché cazzo continuasse a scoparmi, visto che non gli andava bene niente», continuò Evangeline, mentre la cintura e le scarpe cadevano sul fondo della barca in tre tonfi sordi. «Ma me la facevo così sotto dalla paura, che ho preferito rimanere col dubbio».
Edward si lanciò pantaloni e boxer alle spalle, poi si tuffò, afferrò Evangeline per le caviglie e la trascinò sott’acqua. Tornarono in superficie che ancora si stavano baciando, le gambe di Evangeline avvinghiate intorno ai fianchi di Edward.
«Sai, credo di poter rispondere io alla tua domanda», disse lui, interrompendo il bacio. «Penso, anzi sono sicuro, che a lui piaccia tutto di te». Le strattonò una ciocca di capelli in modo che lei gli offrisse il collo e la morse sulla cicatrice, in corrispondenza della carotide. «Anche quello che non gli piace». Evangeline gli artigliò le spalle, e questa volta Edward non ebbe dubbi, stava facendo le fusa. «Soprattutto quello che non gli piace».
«Questo significa che posso girare nuda per casa quando voglio?».
«Se lo farai durante la luna di miele, ti prometto che non mi lamenterò».
«A quanto pare ti ho istruito bene nell’arte dei compromessi».
L’acqua venne smossa bruscamente. Evangeline buttò il capo all’indietro, gemendo, e i riverberi argentati delle onde divennero un diadema di diamanti intorno al suo collo.
«E non solo in quella».


Il corpo di Evangeline, spolverato di sabbia bianca e bagnato dalla luce lunare, era liscio e opalescente, scolpito nell’alabastro. Lei teneva gli occhi chiusi ed Edward ne approfittava per ammirarla in tutta la sua selvaggia bellezza.
Addormentarmi dopo una bella scopata.
«Come?».
«Addormentarmi dopo una bella scopata. È ciò che mi manca di più dell’essere umana». Evangeline aprì gli occhi e sorrise. «A te cosa manca, Ray?».
«In questo momento nien-». Edward aggrottò la fronte. «Come mi hai chiamato?».
Evangeline gli scompigliò il ciuffo sulla fronte, per rassicurarlo.
«Ray. Ti ho chiamato Ray. Scusa, è colpa del regalo di nozze di tua sorella».
«Che regalo?».
«Ha scoperto, grazie ai suoi superpoteri, la mia passione per i cartoni animati d’epoca. Ed è riuscita a trovare il dvd originale del cartone animato Disney La Principessa e il Ranocchio. Lo cercavo da una vita! Credo di amare tua sorella per questo, non sei geloso, vero? In ogni caso, in questo cartone animato c’è una lucciola di nome Ray, ha pure il ciuffo rosso come il tuo, che è innamorato di una stella».
Edward sgranò gli occhi.
«Una lucciola e una stella, hai detto?».
«Proprio così. Lucciola Ray e Stella… ti faccio un pompino se indovini il suo nome!».
«Insomma, Evangeline!».
Lei scoppiò a ridere. Indovinato!




Epilogo
-Evangeline-



Di tre cose ero del tutto certa.
Primo, Edward era un bravo ragazzo.
Secondo, una parte di lui - chissà quale e quanto importante - avrebbe continuato a rompermi i coglioni, anno dopo anno, per come festeggiavo l’anniversario della mia morte.
Terzo, ero totalmente, incondizionatamente innamorata di lui.







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Nota autore:
Questa fanfiction si è classificata prima al contest Una compagna per Edward Cullen, indetto da jakefan sul forum di EFP.
L’obbiettivo del contest era molto semplice: in un ipotetico universo What if? di Twilight, in cui Bella Swan ha scelto Jacob Black, creare ex novo la compagna perfetta per Edward Cullen. Evangeline è la mia proposta.
Passiamo ai credits.
Le canzoni presenti nel testo, in ordine di comparsa, sono: Smoke on the water dei Deep Purple; Blowin’ in the Wind di Bob Dylan; Another Spring di Nina Simone.
I personaggi dei cartoni Disney citati, invece, sono: Brontolo, uno dei sette nani di Biancaneve e i Sette Nani; Mr. Tockins, l’orologio a pendolo de La Bella e la Bestia; Grillo Parlante, la coscienza di Pinocchio; Ray, la lucciola innamorata di una stella de La Principessa e il Ranocchio.
Dotte citazioni.
Il naso importante del prozio Herbert viene direttamente da questa storia di OttoNoveTre.
La scena in cui Edward ed Evangeline sono all’opera potrebbe ricordare a qualcuno la scena di Pretty Woman, in cui Edward (!!! Caso? Coincidenza? Destino?) e Vivien vanno all’opera. Pretty Woman è uno di quei film che ho sempre visto a spezzoni e che tendo, ogni volta, a rimuovere quasi del tutto. Perciò, ve lo giuro, la scena della mia ff è nata prima che in tv ritrasmettessero per la ventordicesima volta il film e che Dragana, Santa Subito, me ne facesse la cronaca in diretta. Quando ho scoperto la somiglianza tra le due scene, ho capito che era destino e che quella scena doveva essere inserita a tutti i costi. Che vi posso dire? Il subconscio gioca brutti scherzi.
Per la vulvetta lamentosa ringraziate Loki.
Grazie a Dragana per il betaggio e per avermi aiutato a far nascere Evangeline; a jakefan per aver ideato questo bellissimo contest, perché mi sono divertita come una matta a caratterizzare Evangeline; a tutti voi, ovviamente, che continuate a seguire e leggere le mie storie con tanta costanza.
A presto, vannagio







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Ecco il giudizio della giudice (che troverete presto anche tra le recensioni):




Premessa
Sarebbe poco sportivo ridurre il giudizio a “Era esattamente quello che volevo leggere”, quindi cercherò di impegnarmi in una stesura più approfondita.

Forma
Manca veramente niente alla perfezione. Ti ho segnato qualche errore di battitura e poi ti ho indicato qualche (discutibile) imprecisione lessicale. Ho fatto un betaggio più che una correzione, proponendoti qualche piccola modifica, perché non c’era poco e niente da correggere.
Anche l’impaginazione è chiara, curata e piacevole alla vista, con la suddivisione in atti e titoli divertenti ed appropriati.

Struttura
Hai praticamente dribblato alla grandissima tutti i rischi in cui sono inciampate le storie che ho corretto prima della tua, che era l’ultima. Hai scelto un punto di vista esterno, che osserva da una posizione privilegiata l’interazione di Evangeline ed Edward, il punto di vista migliore secondo me per una commedia romantica, come l’occhio di una telecamera. Mi piace la sequenza che hai scelto per le scene e il modo in cui hai preparato e gestito i vari passaggi: succede molto, ma non suona mai affrettato o ingiustificato o prematuro.

Caratterizzazione dei Protagonisti
E qui ti becchi assolutamente il massimo dei voti. Credo siano il tuo capolavoro in questa fanfiction: non ti piacerà sentirtelo dire, forse, ma Edward è così perfetto, così lui, così trattato con amore, che quasi non mi sembri nemmeno tu XD Hai l’aria di conoscerlo e di amarlo anche più di tante fangirl che lo rinchiudono in un ruolo stereotipato e talmente già visto da diventare una macchietta. Il tuo Edward invece è vivo e ancora più Cullen di quello meyeriano, ma trattato come la creatura complessa che è, con pregi e difetti esaminati da un occhio acuto e intelligente. Davvero, non avrei potuto chiedere di meglio.
E vogliamo parlare di Evangeline? L’ho sempre pensato che ad Edward serviva una donna, non un’adolescente piena di complessi, e tu gliel’hai servita su un piatto d’argento. E la adoro perché è vera, viva, originale ma soprattutto - visto che prima ancora che di lei stiamo parlando di scrittura - è un personaggio che buca il foglio. Ha un corpo, un aspetto fisico ben definito, una volta tanto non è perfetta ma ha una bellezza da donna reale; è volgarotta, mi fa morire dal ridere quando parla, non cambierà mai ma le piace il fatto di stare con il principe azzurro, non frigna sulla spalla di Edward e convive con i suoi fantasmi come può. Come facciamo tutte. Non fa la diversa a tutti i costi, si gode il matrimonio e chiama i pompini con il loro nome. Che vogliamo di più? Potrei continuare per ore a parlare di lei.
Mi è piaciuta da matti anche Alice, che una volta tanto viene dotata di cervello: invece di correre cinguettante da Edward a dirle che con la nuova Miss Perfezione sarà davvero felice, fa di tutto per non interferire.
Tu pensa, mi è piaciuta persino la schifosa trafficante d’organi iniziale, che fa solo una comparsata.

Gradimento personale
Sono stufa di scrivere giudizi, sono tre giorni che quasi non faccio altro, perciò sfrutto quel che ti ho detto all’inizio e mi ripeto: è esattamente quello che volevo leggere e, senza offesa per nessuno, sei stata l’unica a fare bingo.
PS.: e mi sono piaciute pure le citazioni di Loki e di Pretty Woman!
   
 
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