Ehilà! Ecco un nuovo
capitolo per voi… Vi rubo
un minuto per ringraziare le meravigliose persone che apprezzano la mia
umile
storiella, ovvero tutti voi che l’avete messa tra le preferite/seguite,
e in
particolar modo un grazie alle tre ragazze che mi hanno lasciato una
recensione,
mi fa sempre piacere sentire un parere su ciò che scrivo :) Basta con
le
chiacchiere, adios e buona lettura!
A FUNNY THURSDAY
NIGHT
S.
Giovedì
era arrivato e con lui anche una sorta d’ansia. Da ore mi stavo
arrovellando
per trovare una scusa convincente per uscire dalla Sala Comune senza
che
Michael e gli altri mi facessero il terzo grado. Un giretto sulla scopa
era da
escludere, avevo fatto quel pomeriggio l’allenamento ed ero tornato
imprecando
e lanciando vestiti a caso per la stanza. In più sarei dovuto tornare
nel
dormitorio con la scopa, per essere credibile, e non mi andava proprio
di
correre fino al campo a quell’ora della sera.
Avrei
potuto fingere un appuntamento con una ragazza, ma se mi avessero
chiesto chi
era cosa avrei detto?
Un’idea mi
folgorò, semplice e geniale. Inattaccabile.
Quella
sera, infatti, sotto gli occhi sorpresi di Patrick Goyle, misi nella
tracolla un
pettine, un paio di prodotti per il bagno e un asciugamano, anche se
non c’era
bisogno, per nascondere il libro di Trasfigurazione.
Mi avviai
verso la porta, ma Patrick non sembrava intenzionato a farmi uscire
senza
spiegazioni.
“Scorpius,
ma a cosa ti serve l’asciugamano?” chiese con la sua voce ottusa.
“Magari
per asciugarmi?” risposi, sarcastico.
“Si, ma…”
“Vado a
farmi un bagno nella vasca dei prefetti” tagliai corto “Per le prossime
due ore
non ci sono per nessuno”.
Afferrai
la maniglia della porta con forza e me la sbattei alle spalle. Sapevo
che
nessuno mi avrebbe cercato: non era il caso di disturbarmi, se il mio
nervosismo raggiungeva un livello tale da farmi avere bisogno di un
bagno
rilassante. Quella era una delle prime regole per andare d’accordo con
Scorpius
Hyperion Malfoy.
Giunto al
quinto piano mi infilai subito nella classe vuota. Era una vecchia aula
con
banchi corrosi dalle tarme, una grande vetrata che dava sul retro del
castello
che non la rendeva adatta a contenere una scolaresca scalmanata. Rose
non c’era
ancora…
Mi sentivo
inquieto, anche se non ne capivo il motivo, avevo tutti e cinque i
sensi
all’erta, in modo da captare subito qualsiasi movimento intorno a me.
Mi
ritrovai a pensare di non aver intrattenuto una conversazione faccia a
faccia
con Rose da circa un mese, pensiero che mi mise ancor più a disagio. Di
cosa
avremmo parlato? Probabilmente ci saremmo limitati a considerazioni
sulla
scuola, in fondo non ci conoscevamo affatto, io di lei conoscevo solo
l’immensa
e famosissima famiglia, la grande bravura a scuola e il carattere
incomprensibile… che a pensarci bene, proprio perché incomprensibile,
non
valeva molto come informazione. E lei? Cosa sapeva di me? Senza ombra
di dubbio
conosceva la mia famiglia, discendenza di Mangiamorte, i commenti
astiosi dei
suoi cugini nei miei confronti, la mia fama di ragazzo freddo e
arrogante… Ma
in fondo, se aveva deciso di avvicinarsi un minimo a me, qualcosa di
positivo
doveva pensarlo…
In
quel momento Rose
Weasley entrò,
trafelata, scarmigliata, con una borsa colorata sulla spalla. I capelli
mossi
le volavano in ogni direzione e qualche gocciolina di sudore le
imperlava la
fronte, chiaro segno che aveva corso.
“Sera” esalò,
cercando di regolarizzare il respiro. Mentre la salutavo raggiunse il
centro
della stanza e poggiò la borsa su uno dei banchi, provocando un
sinistro
clangore metallico. Guardai allibito quella sacca di tela, chiedendomi
cosa
potesse mai averci infilato dentro.
“Incantesimo
Estensivo Irriconoscibile” spiegò lei, notando il mio sguardo “Me lo ha
insegnato mia madre, è utilissimo, una donna ha sempre bisogno di un
po’ di
spazio in più in borsa… non so se l’ho eseguito bene però” aggiunse
pensosa.
Con un dito tracciò i contorni della borsa, che mostrava rigonfiamenti
innaturali
qua e là.
“Ma cosa
ci hai messo lì dentro?” interruppi la sua meditazione.
“Non si
indaga sulla borsa di una signora, lo sai?” ribatté, piccata. Rimanemmo
in
silenzio per un po’, impegnati a scrutare due punti diversi dell’aula.
Il mio
sguardo vagava sullo strano bagliore della luna riflesso sul muro,
informe e
etereo.
“Beh,
quindi… iniziamo?”
“Ma certo!”
esclamò, raggiante. Estrasse dalla borsetta una miriade di strumenti da
pozionista, pugnale, bilancia, fialette, i più svariati ingredienti…
Io la osservai
sempre più perplesso dalla mia postazione, mi chiesi se mi stesse
prendendo in
giro o se fosse davvero così ingenua. Insomma, nessun essere umano sano
di
mente avrebbe sprecato la nottata a preparare una pozione intera,
considerati i
tempi di fermentazione e tutto il resto. Poi, senza preavviso, prima di
tirar
fuori il calderone, Rose si bloccò, una mano a mezz’aria in posizione
innaturale e la bocca semi aperta.
Il suo
sguardo infine si posò su di me, sembrava confusa.
“Qualche
problema?” chiese innocentemente. Mi trattenni dallo scoppiare a
ridere. Le mie
sopracciglia, se avessero potuto, si sarebbero unite ai capelli da
quanto erano
inarcate.
“Rose, non
per essere offensivo, ma…” cercai di utilizzare tutta la mia gentilezza
per
dirglielo “tu volevi davvero preparare una pozione intera
stasera?”
La rossa
chiuse la bocca, non sapendo cosa rispondere.
“Voglio
dire, potrebbero volerci ore ed ore, e le pozioni più brevi le sanno
fare anche
i bimbi di seconda”
Un lieve
rossore si sparse sulle guance della ragazza, mentre borbottava
qualcosa di
simile a un ‘non ci avevo pensato’.
“Potremmo
ripassare qualche pozione fondamentale, avevo pensato di insegnarti
qualche
trucco e…”
“Forse è
meglio iniziare da trasfigurazione” mi interruppe, nuovamente animata.
Con un
colpo di bacchetta cacciò tutto l’armamentario nuovamente in borsa, poi
con un
saltello si sedette sul banco e fece un ampio gesto con la mano,
abbracciando
tutta la stanza.
Impugnai
la bacchetta, deciso a mostrarmi preparato e capace. Attesi che la mia
improvvisata insegnante mi desse qualche indicazione, ma lei non
sembrava avere
intenzione di rompere il silenzio. Si limitava ad osservare un punto
imprecisato dietro di me, una ruga di concentrazione le solcava la
fronte
candida. Impenetrabile come al solito.
Dopo un
paio di minuti di stasi, però, cominciai ad essere infastidito. MI
schiarii la
voce, prima piano, poi in modo sempre più eloquente, ma Rose non diede
segni di
vita. Infine persi la pazienza e sbottai.
“Allora?
Mi dici cosa devo fare o no?”
Il suo
sguardo saettò verso di me, e con mia enorme sorpresa il volto si aprì
in un
sorriso mite.
“Ecco uno
dei motivi per cui non riesci in Trasfigurazione: non hai pazienza, non
mediti…
E’ un tipo di pazienza diverso da quello necessario per altri
incantesimi,
quando Trasfiguri qualcosa devi pensare con tutto te stesso ad ogni singola
caratteristica sia dell’oggetto di
partenza sia del risultato”.
Mi
accigliai, incerto se prenderla per pazza.
“E tu hai
aspettato cinque minuti solo per dirmi questo?”
“Almeno te
lo ricorderai sicuramente”
Aveva un
modo di ragionare a dir poco stravagante, ma incredibilmente efficace.
Evitai
di ribattere e attesi in silenzio.
“Bene.
Direi di iniziare con un po’ di ripasso, tanto per fare esercizio…
trasfigurazione animale, per esempio. Mi sapresti trasformare quella
sedia in
un cigno?”
“Ma certo,
professoressa”
Sbuffai. Pur
non essendo mai stato un asso, il programma del terzo anno me lo
ricordavo. Mi
concentrai sulla sedia di legno, osservandone bene le gambe affusolate,
la
seduta rigida e lo schienale. Mi concentrai in particolar modo su
quest’ultimo,
da cui avrei dovuto ricavare il collo lungo e snodato del cigno, e
sulle gambe
posteriori della sedia, che si sarebbero tramutate in ali piumate.
Agitai la
bacchetta e pronunciai l’incantesimo. La sedia fu avvolta da una luce
violetta
e le sue forme mutarono. Comparve uno splendido cigno nero, dal
piumaggio
perfetto ma le zampe un po’ legnose –sperai che Rose non se ne
accorgesse-.
Gli occhi
della ragazza guizzarono di curiosità, mentre squadrava il mio cigno.
“Splendido!
C’è qualcosa che non mi torna però… potresti ritrasformarlo in sedia?”
Annuii,
sicuro di me, e ripetei l’incantesimo inverso. Il cigno tornò sedia, ma
sulla
tavola di legno rimase un sottile tappeto di piume. Imprecai,
incredulo.
“Ma come,
era perfetto!” esclamai. Rose scosse la testa impercettibilmente. La
luce della
luna le rischiarò per un attimo il volto.
“E’ un
errore minimo, ma letale”.
Si
affiancò a me, afferrandomi il polso tra le dita sottili. A quel
contatto uno
strano formicolio mi percorse il braccio, una piacevole scarica
elettrica, che
mi allertò tutti e cinque i sensi.
“Devi
tenere il polso più rigido, così” mosse il mio braccio insieme al suo
“prima
hai lasciato volteggiare troppo la bacchetta”.
Rimasi a
fissare ipnotizzato il mio braccio che si muoveva in autonomia dal mio
corpo.
Era strano stare in piedi in un aula vuota dai mobili acciaccati, alle
dieci di
sera, con quella ragazzina quasi sconosciuta, tanto minuta da arrivarmi
a mala
pena alla spalla, ma che in quel momento si era impossessata di un mio
arto con
naturalezza.
Forse mi
ero attardato troppo nel fissarla, o forse anche lei era stata colta da
chissà
quali contorti ragionamenti, perché Rose in un attimo tornò alla sua
postazione
sul banco, veloce come se si fosse scottata. Inspirò rumorosamente, poi
batté
il palmo di una mano sul pugno chiuso dell’altra.
“Ok.
Riproviamo”
***
R.
Le
ripetizioni con Scorpius si rivelarono ore piacevoli, in cui oltre a
consigliarci a vicenda sullo studio ci intrattenevamo con lunghe
chiacchierate.
L’ora tarda e il fatto che dovessimo ogni volta inventarci una scusa
per
allontanarci dal dormitorio aggiungevano pepe agli incontri.
Durante
quelle ore imparai un sacco di cose su Scorpius Malfoy. Era un ragazzo
dalle
molte facce, socievole solo in apparenza, mostrava il suo vero
carattere solo
con una cerchia ristretta di persone. Con gli estranei si limitava
all’indifferenza, altre volte indossava una maschera di sfrontatezza
che usava
come autodifesa contro gli attacca brighe. Tutte queste cose ovviamente
non me
le confessò apertamente, ma i comportamenti parlavano chiaro. Cominciai
anche a
sospettare che il modo in cui si mostrava agli amici più stretti non
fosse il
suo vero Io. C’era qualcosa di più dietro quello sguardo di ghiaccio.
Cominciai
ad analizzare Scorpius sin dalla prima lezione. Mi aveva incuriosito il
fatto
che, trasfigurando la sedia, avesse pensato a un cigno nero, invece che
il più
comune esemplare bianco. Senz’altro possedeva una mente atipica.
Un'altra
volta mi trovai a fissarlo stupita, dopo un suo commento
particolarmente
profondo su un libro babbano che pensavo neanche conoscesse. Ma il
momento in
cui percepii davvero di aver catturato qualcosa di lui fu durante una
conversazione apparentemente banale, un mercoledì sera di marzo.
Eravamo
nella solita aula dimenticata dal mondo, fuori la tempesta scuoteva le
vetrate
e agitava gli alberi. Ogni tanto qualche fulmine illuminava a giorno la
stanza,
seguito dal rombo del tuono provocato dalla caduta. Scorpius mi aveva
messo al
lavoro, stavo preparando una pozione veloce ma piuttosto complicata,
che il mio
maestro aveva scovato in un libriccino della biblioteca. Richiedeva un
dosaggio
precisissimo degli ingredienti e estrema attenzione nel regolare la
fiamma.
Per
l’ennesima volta lessi le istruzioni sul libro, controllando di non
aver
dimenticato nulla. Il procedimento mi sembrava corretto, ma la pozione
non
accennava a diventare verde acqua come descritto, preferendo un blu
scuro molto
intenso.
“Devi
seguire l’istinto” le stava dicendo Scorpius “ascoltare cosa ti
suggeriscono i
sensi, certe volte solo così puoi riuscire a rimediare alle
imperfezioni”
“Ma se i
sensi non mi dicono altro se non: questa pozione puzza di formaggio
stagionato?”
“Vuol dire
che non sai ascoltare. Lascia stare le regole per un attimo, fidati… ho
passato
una vita intera inscatolato dentro rigide norme e regole di etichetta,
e niente
mi è stato più utile che infrangerle tutte”.
Mi fermai
con un braccio a mezz’aria. Era la prima volta che sentivo Scorpius
fare un
riferimento così esplicito alla sua vita privata, al mondo in cui
viveva fuori
da Hogwarts.
Il biondo
rimase in silenzio per un po’, sembrava colpito dalle sue stesse
parole, ma il
suo volto rimase una maschera perfetta e priva di emozioni. Era bravo a
mascherare i suoi pensieri.
Poi con la
testa fece un cenno nella mia direzione, precisamente verso il mio
braccio, il
quale, mi accorsi, era rimasto a
fluttuare per aria stupidamente per tutto quel tempo.
“Bel braccialetto”
commentò Scorpius.
Irrazionalmente
arrossii, lieta del complimento, poi la razionalità mi impose di far
tornare
lungo il corpo quello stupido braccio, se non volevo sembrare una
marionetta
senza cervello.
“Grazie.
Me l’ha regalato Al per Natale, ne va molto orgoglioso”. Il bracciale
era
formato da una semplice catenina d’oro bianco, con due ciondoli
attaccati agli
antipodi, raffiguranti il sole e la luna. Secondo Al rappresentava al
meglio il
mio carattere volubile.
Notai che
alla parola Natale il volto di Scorpius si era rabbuiato un poco, per
poi
tornare impenetrabile come prima. Gli spiegai diffusamente la teoria
del
bracciale, come al solito lui ascoltò attentamente. Era uno dei pochi
esemplari
maschili che ascoltassero con interesse ogni discorso, dal più futile
al più
profondo.
“Tuo
cugino deve conoscerti proprio bene”
“Beh si,
dopo tutto è il mio migliore amico. Però non sono così lunatica come mi
descrive”
“Per
quello che posso vedere lo sei eccome”
“Ehi! Non
è vero!”
“Ti hanno
regalato qualcos’altro di interessante?” cambiò prontamente discorso
lui. Mi
lanciai in un resoconto dettagliato di tutti i miei doni, sentendomi un
po’
ridicola: chissà cosa aveva ricevuto lui, che viveva in un castello e
vestiva
con abiti di seta.
Trasportata
dal discorso raccontai dei miei rituali natalizi, della stanza dei
doni, del
pranzo infinito di nonna Molly, della mia baraonda di cugini. Mi
accorsi, però,
che più Scorpius ascoltava le mie parole più il suo volto si riempiva
di
sorpresa, mista ad altre emozioni che istintivamente avrei identificato
come
tristezza e invidia. Pendeva dalle mie labbra, ogni tanto commentava
con
esclamazioni entusiaste qualche particolare aneddoto, e talvolta
azzardava
anche qualche domanda. Sembrava un bambino che
ascoltava la sua favola preferita.
“Wow… il
tuo Natale è davvero spassoso” commentò infine.
“E’ la
festa principale dell’anno, è un giorno felice per antonomasia” dopo
aver
pronunciato queste parole, però, me ne pentii subito: Scorpius si
rabbuiò,
fissandosi le dita intrecciate.
“Vorrei
che i miei la pensassero come te”
Rimasi in
silenzio a lungo, incerta se indagare più a fondo. Mi sentivo curiosa e
inopportuna, ma il suo tono sconsolato mi convinse a parlare.
“Tu… non
festeggi con la famiglia?” chiesi, impacciata.
“Oh si,
festeggio, se così si può dire”
Fece una
pausa, come a valutare le sue parole. Un tuono rimbombò nell’aula,
facendoci
voltare in sincrono verso la finestra.
“Come
definiresti una riunione di parenti affettati e altezzosi che si
scambiano
false cortesie e sane frecciatine da una parte all’altra del tavolo? O
un
pranzo raffinato cucinato da elfi domestici, ma adatto più a far figura
che a
sfamare una decina o più di persone? O i regali costosi, il più delle
volte
scelti secondo il gusto del mittente e non del destinatario?”
Scorpius
mi fissò e intuii che si aspettava una risposta a quelle che avevo
interpretato
come domande retoriche.
“Ehm… in
effetti non è un granché come festa”
“Il mio
Natale fa schifo, Rose” mi corresse.
“Mi
dispiace”.
Lui fece
spallucce. “Già, anche a me… ma sono abituato”. Si sforzava di apparire
normale, ma il suo disappunto era evidente per me.
“Ne hai
mai parlato con i tuoi?” azzardai. Scorpius sbuffò.
“I miei?
Non servirebbe a nulla, sono più invischiati di me nelle regole del bon
ton
nobiliare. Li hanno cresciuti così, non oserebbero mai distaccarsene.
Ma non
sono loro il problema, in fondo sono genitori affettuosi… sono tutti
gli altri
che mi tolgono l’aria”.
“Gli altri
chi?”
“Nonni,
zii, amici, cugini…”
Mi sentii
ribollire dentro. Per me sarebbe stato inaccettabile vivere in una
famiglia del
genere, il solo pensiero mi dava i brividi.
“Chissà,
magari il prossimo Natale lo potrai passare da noi” dissi
scherzosamente,
mettendo a tacere quella parte di me che avrebbe voluto esser seria.
“Si certo,
io te e i fratelli Potter che cercano di accopparmi per avere tutta per
se la
coppa di Quidditch” rispose lui con un ghigno. Ci guardammo e in
sincrono
scoppiammo a ridere. Nello stesso momento, però, un sibilo acuto ci
fece
sobbalzare e nell’attimo di un battito di ciglia la pozione esplose,
inondandoci dalla testa ai piedi.
“Maledizione,
mi sono dimenticata la fiamma accesa”
“Colpa
mia, ti ho distratta… stavi andando bene”
La pozione
aveva creato delle bizzarre macchie cangianti e fosforescenti sui
vestiti e sui
capelli, ma per fortuna sulla pelle non aveva effetto.
“Che
palle, la divisa nuova è già da buttare!” commentai, nell’esatto
momento in cui
lui si lamentava “I miei capelli! Cazzo!”
Ci
voltammo a fissarci, mentre la poltiglia danzava di colore in colore
come un
semaforo impazzito; eravamo ridicoli. Scoppiammo a ridere di nuovo, più
fragorosamente di prima, e non riuscimmo più a smettere.