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Autore: Eryca    26/01/2013    6 recensioni
Audrey era il parmigiano.
Il parmigiano che si mette sulla pasta solo per convenienza e non perché se ne ha veramente voglia. Chi mai brama disperatamente un po’ di formaggio grattugiato? Nessuno.
Se c’è va bene, se non c’è va bene comunque. Si sopravvive, senza Grana.
Audrey era il parmigiano.
Il parmigiano sulla pasta di Seth.
Se c’era andava bene, se non c’era andava bene comunque.

*
La vita di Audrey, studentessa e commessa, viene sconvolta da un bizzarro invito a bere un caffè.
Un caffè che si tramuterà in un amore senza eguali.
Corrisposto?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Seth Clearwater
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Di pelo e di zanne - Storie di Lupi '
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Nient’altro che parmigiano

 


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Blue jeans, white shirt

Walked into the room

You know you made my eyes burn

It was like James Dean, for sure

You so fresh to death and sick as cancer

You were sorta punk rock, I grew up on hip hop

But you fit me better than my favorite sweater

 

Lana del Rey – “Blue Jeans”

 

*

 

 

Bip.

Un’altra scatoletta di tonno viene sottoposta al controllo del codice a barre, prima di essere lanciata in malo modo dentro la busta di plastica, insieme ai suoi amici. Non avrebbe voluto trovarsi nei panni di quella lattina, pensò amaramente Audrey, senza mai smettere di sorridere alla cliente, intenta a imbustare i prodotti comprati con una dimestichezza che la commessa un poco le invidiava.

«Sono dodici dollari e quarantotto centesimi» annunciò Audrey, il sorriso da ebete stampato in faccia, proprio come il suo capo le aveva raccomandato, ricordandole che il motto della loro catena di supermercati era “gentilezza e risparmio, all’ordine del giorno”.

La signora prese ad armeggiare con il portamonete, in cerca di quei dannati quarantotto centesimi; probabilmente ci sarebbe voluto almeno una decina di minuti prima che la cliente trovasse i tanto agognati soldi, quindi Audrey si appoggiò allo schienale della sua seggiola, ripassando mentalmente le pagine di storia sulle quali il giorno successivo avrebbe dovuto affrontare un compito in classe. Se fosse stata una normale ragazza di diciassette anni, a quell’ora sarebbe stata nella sua cameretta, la testa piegata sul volume di “Storia Moderna – dal 1650 al 1900”. Ma lei non era una normale ragazzina di diciassette anni. Ed era quello il motivo per cui si ripeteva mentalmente le date delle guerre più significative, mentre attendeva che un’anziana con il doppio mento pagasse la spesa.

«Oh!» sospirò la cliente, vincitrice di una lunga e terribile battaglia contro il portafoglio. «Ecco qua! Mi scusi, ma questa cerniera mi fa vedere i sorci verdi!»

Audrey non capiva bene il nesso logico tra i sorci verdi e la cerniera di un porta monetine, ma, prendendo in parola lo slogan del suo posto di lavoro, si limitò a sorridere impercettibilmente, mentre incassava il denaro. Salutò cordialmente e professionalmente la signora in sovrappeso, che scomparve tra la folla impugnando le sue buste di plastica come se fossero due pistole.

Il 4 luglio 1776, dopo un lungo e acceso dibattito, il Congresso Continentale approva la Dichiarazione di Indipendenza...

«Ciao, Audrey Cameron»

...atto di nascita degli Stati Uniti di America, steso da Thomas Jefferson...

Un momento, pensò la commessa, fermando le sue mani, che ormai automaticamente afferravano i prodotti in cassa. Qualcuno l’aveva chiamata per nome. Anzi, per nome e cognome. Alzò lo sguardo, cliccando sul tasto “pausa” e fermando così la sua revisione sulla Rivoluzione Americana.

Dall’altra parte della cassa, alto e fiero, con il solito sorriso furbetto stampato sul viso angelico, stava Seth Clearwater.

Chi non conosceva il giovane Clearwater, bello come il sole, sorridente come le giornate estive, muscoloso come un body builder? Tutti sapevano chi era Seth Clearwater, lì a La Push.

La sua migliore amica, Marika, aveva sempre descritto il ragazzo come “un concentrato di sesso e bellezza allo stato puro”, trovandosi in accordo con tutte le ragazzine della Riserva, che avrebbero venduta l’anima a Mefistofele pur di finire a letto con Seth.

Il fatto era che il piccolo e dolce Clearwater era sbocciato tutto d’un tratto.

Un giorno era magrolino, di media altezza e con il visino angelico.

Due settimane dopo era muscoloso, alto e accattivante.

Era divenuto nel giro di pochi giorni la spudorata fotocopia degli ormai ventenni Jacob Black ed Embry Call – vittime senza pari dello stalking adolescenziale.

Audrey, a differenza delle sue coetanee – per non smentire il fatto che non era una normale ragazzina di diciassette anni – aveva continuato a trovarlo dolce e tenero, nonostante il fisico prestante e la bellezza. E, anche in quel momento, la sua idea rimase coerente.

«Ciao, Seth Clearwater» rispose, sottolineando il nome e il cognome, proprio come aveva fatto lui. Lo vide ridacchiare, mentre tirava fuori il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans scoloriti.

Non poteva dichiararsi neutrale al fascino del ragazzo che le stava dinanzi, ma ne subiva conseguenze diverse, rispetto alle sue coetanee: il sorriso luminoso del giovane Quileute, gli ispirava fiducia e la proiettava in un’ipotetica situazione di chiacchiericcio, non di “sesso selvaggio”, come avrebbe detto Marika.

«Da quando lavori qui al Markt’s?» Seth prese le due pizze surgelate appena comprate e se le sistemò sotto l’ascella, senza alcun accenno a domandare un sacchetto. La fila in attesa di pagare il conto lanciava occhiate infastidite a quell’alto ragazzo che non sembrava avere alcuna intenzione di levare le tende. Continuava a sorridere – con quel sorriso furbetto – in direzione di Audrey, che questa volta non indossava la maschera di gentilezza usuale, ma rideva di gusto.

«C’è gente che attende, Clearwater.» La commessa era realmente divertita da quel bizzarro ragazzo e dal suo modo buffo di sorridere; sembrava in imbarazzo, mentre anche i suoi occhi ridevano e le pizze minacciavano di scongelarsi.

«Quindi mi devo sbrigare a chiederlo.» Il ragazzo sembrava parlare più a sé stesso che alla commessa, con un’aria del tutto assente che lo rendeva goffo e tenero. Audrey alzò un sopracciglio, in una richiesta implicita di spiegazioni. Se Seth aveva intenzione di domandarle qualcosa doveva muoversi, perché i leoni in coda sembravano avere tutte le intenzione di iniziare a ruggire.

«Andiamo a prenderci un caffè» buttò lì Seth, guardandola con aspettativa, senza mai smettere di guardarla con aria complice, il sorriso vispo sempre presente sul viso.

Audrey aveva sempre pensato che nella sua vita sarebbero successe delle cose anomale: riuscire a prendere la patente dopo la quindicesima bocciatura, trovare un UFO nel giardino di casa sua, vedere suo padre smettere di tifare per i Lakers... Ma mai – mai – avrebbe supposto che Seth Clearwater l’avrebbe invitata a bere qualcosa con lui.

«Stacco tra mezz’ora» farfugliò, visibilmente sconvolta e imbarazzata. I leoni stavano pressando e, se Clearwater non se ne fosse andato di lì a poco, probabilmente lo avrebbero sbranato in un sol boccone. Un uomo di mezza età con moglie e figli stava sbuffano e commento ad alta voce che “non era quello il luogo per fare dichiarazioni”. Audrey gli avrebbe volentieri tirato in testa la padella che aveva nel carrello.

«Ti aspetto fuori.» Non aveva ancora detto di sì, eppure si erano già messi d’accordo sull’orario e sul luogo: come aveva fatto, quel Clearwater?

Lo vide voltarsi e incamminarsi verso le porte scorrevoli, con le pizze ormai mollicce sotto l’ascella. E Audrey era certa che stesse sorridendo.

 

 

*

 

Un mese dopo

 

Audrey era il parmigiano.

Il parmigiano che si mette sulla pasta solo per convenienza e non perché se ne ha veramente voglia. Chi mai brama disperatamente un po’ di formaggio grattugiato? Nessuno.

Se c’è va bene, se non c’è va bene comunque. Si sopravvive, senza Grana.

Audrey era il parmigiano.

Il parmigiano sulla pasta di Seth.

Se c’era andava bene, se non c’era andava bene comunque.

La consapevolezza la invase solamente in quel momento, sdraiata sul suo letto, la testa rivolta verso il soffitto in legno – una trave, due travi, tre travi – e l’animo così a terra da rasentare quasi l’Inferno. Se ne stava lì, senza uno scopo preciso, se non quello di contare le assi del suo tetto, mentre il resto del mondo andava avanti, lasciandola a casa.

Rise, Audrey. Rise perché si rese conto che se qualcuno avesse mai dovuto ritrarla, probabilmente avrebbe disegnato un pezzo di parmigiano reggiano.

Da quando era arrivata al punto di agire passivamente a ciò che le accadeva? Di solito, quando avvenivano cambiamenti radicali si sentivano le conseguenze: così era successo per la rivoluzione francese, per lo scisma della Chiesa anglicana, per la Guerra d’Indipendenza.

Eppure, per quanto Audrey si sforzasse, non riusciva a ricordare il momento in cui si era trasformata da donna forte ed indipendente a una scaglia di Grana Padano.

Pianse, Audrey. Pianse per la frustrazione. Come poteva non ricordare un fatto di così vitale importanza? Le lacrime scorrevano rabbiose sulle sue guance, rivendicando il loro diritto di memoria, di rinascita. Si rese conto che era avvenuto tutto senza che lei se ne accorgesse minimamente: un giorno era una ragazza con la voglia di studiare, di vivere, di crescere e fare nuove esperienze, poi, dopo un caffè preso in un piccolo bar dell’aria maltenuta, era diventata un condimento, un soprammobile esposto sopra una mensola, che tutti vedono ma nessuno prende realmente in considerazione.

E, mentre le lacrime scendevano imperterrite, come avesse potuto rimanere impassibile di fronte alle scusanti di Seth, ai suoi messaggi liquidatori, ai suoi “scusa, oggi non posso proprio, ho da fare”. E lei? Lei non aveva mai da fare, era sempre in attesa di quelle poche ore che il ragazzo le regalava, quei pochi momenti in cui riuscivano a vedersi. Quei momenti che, immancabilmente, culminavano in passione, in corpi avvinghiati l’uno all’altro, a promesse mai mantenute – sarò più presente, te lo giuro – , mentre Audrey pregava perché Seth non potesse mai andarsene.

Un mese. Era bastato un solo mese a Seth per cancellare diciassette anni di una tranquilla e soddisfacente esistenza.

Seth.

Era ridicolo pensare come un solo nome potesse avere la capacità – la forza – di chiuderle lo stomaco, tramutando quella fame che la stava divorando in nausea cronica.

Dlin- dlon.

Ci dovette pensare su qualche minuto, Audrey, prima di rendersi conto che quel suono che le appariva così lontano ed irreale era il campanello di casa sua; suo padre le aveva assicurato che sarebbe tornato tardi, quella sera, a causa di un turno di lavoro straordinario, quindi doveva trattarsi di qualche fastidiosissimo rappresentate. Se erano Testimoni di Geova avevano sicuramente voglia di essere insultati, perché quella sera l’umore della ragazza non prometteva null’altro. Si alzò controvoglia dal suo letto – a più tardi, amiche travi – e si appropinquò alle scale, scendendole gradino per gradino con la lentezza degna di un condannato a morte.

Aprì la porta ed era prossima ad un no grazie, non mi serve nulla quando si rese conto che nella figura che le stava dinanzi c’era qualcosa di troppo famigliare: forse la pelle scura, forse il fisico muscoloso e imponente, forse due riconoscibilissimi occhi a mandorla.

Trattenne il respiro, mentre Seth la guardava con l’aria di chi è consapevole di essere veramente poco gradito.

«Audrey, io ti devo delle spiega...»

«Non voglio più essere il parmigiano sulla tua pasta.»

Il giovane Quileute rimase con la bocca mezza aperta, l’espressione del viso confusa. Audrey, invece, aveva ben chiaro che cosa stesse dicendo e ciò che non aveva voglia di stare a sentire: altre mille scuse inutili, frutto di accurate riflessioni da parte del ragazzo.

«Che co-cosa?»

Perché anche da spaesato e la faccia di un fesso che vive nel mondo delle nuvole, Seth riusciva ad essere bello da far male? Doveva pur esserci una spiegazione logica a quella domanda, forse un triste scherzo del destino, la vendetta di Buddha nei suoi confronti, visto che non aveva mai avuto fede in Lui.

«Che cosa sei venuto a fare, Seth?» iniziò, arrabbiata «A dirmi che ti dispiace non avermi richiamato, oggi? Che eri troppo occupato per mandarmi un messaggio? Sono stufa di doverti vedere per poche ore, darti la soddisfazione di scoparmi e poi vederti andare via, senza sapere se il giorno dopo ci sarai oppure no.»

Gli aveva sputato tutte le parole taciute in faccia, con una forza che non era da parmigiano, ma da Audrey, quella che ricordava essere. Trattenne a stento le lacrime, che minacciavano di tornare alla carica, mentre Seth la guardava con un’espressione mortificata. Lo vide passarsi una mano tra i capelli – quelli che tanto volte aveva afferrato mentre facevano l’amore – e sbuffare sonoramente.

«Va bene, Audrey.» Le puntò gli occhi addosso, lo sguardo d’un tratto risoluto. «Basta bugie.» Si avvicinò a lei di un passo – trattenne il respiro – e le afferrò la mano con forza – trattenne un sussulto – e fece per trascinarla fuori di casa.

«Dove diavolo andiamo?»

Occhi negli occhi.

E quello sguardo, quello che solo Seth era in grado di fare, quello che mandava a puttane la teoria eliocentrica e faceva roteare il globo.

«Non voglio più mentirti, Audrey, credimi.» Sembrava che, improvvisamente, Seth Clearwater dall’aria muscolosa e forte, quello che si faceva vedere in giro con i grandi Jacob Black e Paul Lahote, fosse svanito per dare vita a Seth, il piccolo Seth dallo sguardo dolce, quello che lei aveva sempre conosciuto e amato.

Il suo Seth.

«Fammi prendere le chiavi di casa.»

Eccolo, il parmigiano. Era tornato alla riscossa, facendo sentire le sue ragioni: non si poteva non credere in due occhi così sinceri e, anche se tutto il suo sistema nervoso imprecava chiudendo i battenti – non vale la pena di lavorare con una così – Audrey chiuse la porta e si mise le chiavi in tasca, respirando il profumo di Seth.

Il ragazzo non proferì più parola, ma prese a camminare, sicuro che il suo Grana Padano lo stesse seguendo; era evidentemente agitato, continuava a grattarsi le mani, mentre i muscoli delle spalle guizzavano ad ogni suo movimento.

«Ti fidi a venire nel bosco con me?»

«Se non mi stupri...» si rese subito conto di quanto stupido fosse il suo pensiero, visto e considerato che Seth non aveva alcun bisogno di violentarla, perché l’avrebbe avuta con il suo consenso. Non del tutto, brontolò Cervello, sempre più irritato.

Seth abbozzò un sorrisetto, prima di addentrarsi nel folto della foresta. Audrey si domandò come potesse conoscere così bene il bosco: camminava sicuro, quasi sapesse perfettamente qual era la sua meta; spostava rami e si muoveva in quel luogo come se fosse il suo habitat naturale, il suo ambiente. Audrey osservava la schiena possente del ragazzo e le sue gambe allenate: se lo ricordava piccolo e mingherlino, eppure nel giro di poco tempo si era trasformato in una montagna di ragazzo. Doping? Doveva preoccuparsi?

D’un tratto gli alberi ammucchiati uno vicino all’altro si aprirono per dare lo spazio ad una grossa radura, dove sarebbe stato bellissimo posizionare una coperta di lana e rimanere a leggere per ore e ore. C’era qualcosa di magico nell’aria.

«È questo che dovevi farmi vedere? No, perché non capisco che cosa c’entri con il non dire più bugie, sai, mi viene diffici...»

Le parole di Audrey rimasero sospese nell’aria. Morirono nel vento, che se le portò in giro. Quelle parole svanirono, proprio come svanì Seth: in un attimo, un istante che nemmeno Einstein sarebbe stato in grado di calcolare.

Un solo impercettibile attimo e Seth non c’era più.

Un battito di ciglia e un diciassettenne aveva lasciato il posto ad un lupo.

No, non uno di quei semplici lupi in cui ci si può imbattere mentre si fa un’escursione. No. Un animale di dimensioni abnormi con un anomalo color sabbia, come quella che si poteva vedere a La Push.

Audrey iniziò ad indietreggiare, il fiato corto e la paura che ormai l’attanagliava, pensando che se fosse stata una protagonista di un film horror, probabilmente ora sarebbe inciampata in una radice e il lupo l’avrebbe raggiunta.

Ma il lupo in questione se ne stava seduto davanti a lei, mugolando, senza alcuna intenzione di muoversi; il pelo lucido aveva l’aria di essere morbido e setoso sotto le dita: se non fosse stata così terrorizzata, l’avrebbe anche accarezzato.

E poi vide.

Vide, in quell’enorme animale selvatico, due occhi familiari.

Due occhi umani.

Gli occhi di Seth.

Seth che, in un altro secondo fulmineo, riapparve, nudo come un verme, accasciato sull’erba umida.

L’opzione che Audrey fosse finalmente – nonché totalmente – uscita di testa non era poi così trascendentale, forse era rimasta troppo spesso chiusa in casa a contare il numero delle travi del suo soffitto ed ora iniziava ad immaginarsi ragazzi attraenti che si trasformavano in enormi lupi di colori improbabili.

Il giovane Clearwater – la sua mente continuava ad appioppargli quell’appellativo – si era rialzato e la guardava con occhi imploranti, troppo adulti per un diciassettenne, sofferenti, di una persona che aveva il terrore di perdere qualcuno che gli era caro.

Lo stesso sguardo che aveva Audrey ogni volta che lo osservava.

«Audrey...» Seth fece per avvicinarsi, ignorando completamente la sua nudità, che metteva in soggezione la povera commessa, attirata da quel corpo muscoloso. Lo fermò, alzando una mano. Il ragazzo obbedì.

«Che cos’era quella cosa che hai fatto?» Dei mille modi in cui avrebbe potuto porgere una domanda sensata e mirata al fine di ottenere una risposta, Audrey aveva sputacchiato parole confuse, esattamente come il suo stato d’animo.

Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, il viso stanco di chi sa già che cosa sta per succedere e non ha alcuna voglia di affrontarlo. «Sono un licantropo, Audrey.»

Se gli avesse detto che mentre lei aveva sbattuto le ciglia era arrivata una navicella spaziale che aveva rapito Seth per sostituirlo con un loro lupo mutante e fatto il procedimento inverso successivamente, la ragazza sarebbe stata meno sconvolta.

Licantropo. Era una definizione che faceva tanto romanzetto urban fantasy di bassa qualità oppure film hollywoodiano alla Underworld. Non era una parola che sapeva di Seth.

Lupo, invece, calzava a pennello al personaggio del ragazzo.

In effetti, aveva sempre trovato delle similitudini tra il giovane e un lupo: lo stesso modo di viaggiare in un gruppo numeroso che riteneva una famiglia, lo stesso essere sempre sull’attenti e pronti all’attacco e il modo affettuoso in cui la coccolava. Erano cose a cui non aveva mai pensato, ma che ora le sembravano evidenti.

Lupo.

«Ti posso spiegare, io...»

No. A Audrey non interessavano le spiegazioni, non in quel momento, non quando pensava di aver perso per sempre Seth e invece lui era lì e la guardava con quegli occhi adoranti e supplicanti. Non voleva starlo a sentire mentre parlava. Era stufa delle parole.

Si avvicinò al ragazzo – Seth, lupo, Seth, lupo – e gli mise una mano sul petto prima di alzarsi sulle punte dei piedi e toccargli le labbra con le sue – Seth, sapore di Seth -.

Lui la avvolse tra le braccia, premendo il suo corpo nudo contro quello di lei, che subito rispose al suo calore con più passione, con più baci, con più labbra, più pelle.

E non aveva bisogno di null’altro, Audrey, niente che non fossero le braccia di Seth che la stringevano, mentre il mondo diveniva un punto lontano e astratto; nemmeno la faccenda del lupo significava più qualcosa, non ne provava più timore, non se era stretta a Seth.

Si lasciò sfilare la maglietta dalla testa, mentre lui la fece sdraiare dolcemente sull’erba, che le provocò dei brividi lungo la schiena a causa della sua freschezza. Seth le lasciò una scia di baci umidi sul collo, prima di scendere pazientemente verso il petto coperto dal reggiseno, poi sull’addome ed infine sul ventre, dove rimase a vezzeggiare la pelle sensibile, facendo gemere Audrey.

«Davvero non hai delle domande?» mormorò lui, mentre con le mani sbottonava i suoi jeans scoloriti. Non riusciva a vederlo in faccia, concentrato com’era sulla chiusura dei suoi pantaloni, ma era sicura che ora aveva quell’espressione insicura e timida che era tipica di lui e lo faceva sembrare piccolo e dolce come le piaceva.

«Guardami, Seth.» Il ragazzo alzò la testa, incontrando i suoi occhi. E fu allora che Audrey non ebbe più dubbi: amore, scuse non pronunciate, dolore e paura si susseguivano nelle iridi scure del lupo. I suoi occhi le spiegarono tutto quello di cui necessitava, ovvero sapere che non era il parmigiano sulla pasta di Seth Clearwater. E quello le bastava.

Si alzò sui gomiti per baciarlo nuovamente e lo sentì gemere sulle sue labbra mente le sfilava i jeans con dedizione, facendole scorrere il tessuto sulle gambe.

Baci, carezze, sospiri.

Promesse, speranze, scuse.

Gemiti, pelle, bocche.

Passione, amore, complementarietà.

Seth, lupo. Seth, lupo.

Seth, lupo e Audrey.

Inarcò la schiena quando la bocca di lui si posò sul suo sesso, prendendo a vezzeggiarla e portando al limite della passione, per poi risalire lento e languido sul ventre, lasciandola insoddisfatta.

Seth, Seth, Seth.

E finalmente Audrey capiva che cos’era quell’odore particolare di foglie e muschio che sentiva ogni volta su Seth e non riusciva a classificare; quell’odore così particolare, che mai prima d’allora aveva annusato. Era il lupo.

Si lasciò andare, Audrey, a Seth che l’aveva penetrata, riempiendola completamente, facendo di loro una cosa sola, una fusione, ma si lasciò andare anche al lupo, quello che l’aveva guardata con occhi tanto umani e tanto disperati.

Si lasciò andare all’amore, Audrey.

«Ti amo, Audrey, ti amo.»

Lo mormorò sulle sue labbra, Seth, mentre stava aumentando sia il ritmo che la passione. Pronunciò quelle due parole come se non ci fosse nulla di più normale al mondo, perché lui era così: spontaneo, vero, sincero.

Fu quella dichiarazione a portare al culmine la ragazza, che si abbandonò alla passione, rotolandosi in un universo parallelo insieme al grosso lupo di sabbia, mentre il resto spariva e solo Seth rimaneva nitido.

Seth, ti amo.

Seth, amore mio.

Un bacio sulla nuca, gentile, mentre uscì da lei, per poi cingerla dolcemente e scaldandola con il calore esagerato del suo corpo – altro probabile sintomo della sua strana malattia.

Si lasciò cullare da quelle braccia gentili e forti allo stesso tempo, mentre i pensieri tornavano alla sua mente e le domande si affollavano pretendendo risposte; le scacciò ancora una volta: avrebbe avuto tempo successivamente per i discorsi, ora voleva godersi il momento di aver ritrovato il suo amore.

Lasciò che l’erba sotto di lei le stuzzicasse la pelle e il vento fresco le spettinasse giocoso i lunghi capelli castani. «Seth?»

«Hmm?» mormorò, gli occhi chiusi e il naso appoggiato sulla sua fronte.

«Ti amo anche io.»

Aprì gli occhi, il giovane Clearwater, e finalmente le regalò uno di quei suoi sorrisi raggianti, capaci di illuminare qualsiasi oscurità; ecco perché si era innamorata di lui: era in grado di trasformare ogni cosa negativa in positività, grazie alla sua allegria.

Un cucciolo un po’ troppo cresciuto.

«Vuoi le spiegazioni, vero?»

Audrey, gli occhi chiusi, lo sentì sorridere sulla sua pelle e il suo corpo rispose a quel dolce dono riscaldandosi, in una sensazione di tiepida accoglienza. Era a casa.

Tenne gli occhi chiusi. «Dopo.»

Gli posò un dolce bacio sulle labbra, pensando che qualsiasi cosa sarebbe successa dopo Audrey sarebbe stata in grado di affrontarla, perché ora sapeva, sapeva ogni cosa, non era più ignara di chi era Seth.

Era il suo Seth.

Seth, lupo. Seth, lupo.

Seth, lupo e Audrey.

«Che cosa significa che non vuoi più essere il parmigiano sulla mia pasta?»

Ebbe la decenza di arrossire, Audrey, che si era dimenticata di quella sua uscita da folle in preda alle allucinazioni. «Beh, il parmigiano è un condimento superfluo, quindi...»

«Io adoro il formaggio sulla pasta. È ciò che rende gli spaghetti gustosi.»

Rise, Audrey.

Rise, perché non aveva capito proprio nulla e si era sbagliata così tanto.

Rise e baciò Seth sulle labbra, che sorrise.

Rise e pensò che era davvero il parmigiano sulla pasta di Seth.

E non avrebbe voluto essere nient’altro.

 

 

*

 

 

 

 

Note

Questa storia è dedicata alle mie lupe – Ellie, Vì, Ania, Emi e Maria – che hanno supportato tutte le mie idee riguardanti questi licantropi focosi e abbronzati.

Ringrazio ulteriormente Vì per il suo betaggio – come sempre impeccabile – e i suoi commenti incoraggianti e lusinghevoli. <3

Spero di avervi regalato un Seth Clearwater degno, ragazze e di essere finalmente entrata nel club delle lupe. xD

 

Grazie a te, lettore, che sei arrivato fino a qua.

Questo progetto è nato così, con l’idea del parmigiano che spesso viene sottovalutato: da lì è partita tutta la storia. Ho cercato di rimanere nell’IC, senza sforare troppo, perché Seth  è piccolo e dolce.

Spero vi sia piaciuta, davvero. Lasciate un commento così saprò cosa ne pensate.

 

Un bacione,

la vostra Eryca.

   
 
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