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Autore: Nefelibata    27/01/2013    2 recensioni
'In lontananza scorsi il mare e per l'ultima volta provai l'impulso di scappare, ancora, di fare un'inversione a U e tornare nel mio modesto appartamento di New York, sorseggiando caffè e sfogliando il giornale, ignorando la sezione dedicata alla cronaca.'
Pairing: Larry
Note: Fisher!Louis
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcun scopo di lucro, non intendo dare rappresentazioni veritiere dei caratteri di queste persone, ne offenderli in alcun modo. Sfortunatamente nessuno dei personaggi mi appartiene.
*
Scritta in collaborazione con _larrysmoments
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The only exception

Harry: WithJustOneLook
Louis: _larrysmoments

 

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HARRY



Mi ritrovai a bussare a quella porta con le mani infilate nel giubbotto, un berretto arancione, regalo di Cora, a racchiudermi i ricci e lo sguardo ansioso.
Controllai per l'ennesima volta il bigliettino stropicciato che tenevo tra le mani con quel nome scritto in corsivo e realizzai che la porta era proprio quella giusta.
Allora perchè nessuno veniva ad aprire?
Sospirai scocciato e stavo per girarmi e ritornare sulla strada dove si stava tenendo un mercato, come ogni mercoledì, in fondo era un sollievo che nessuno aveva aperto, dalla morte di mio padre non avevo mai avuto contatti con i suoi amici.
Certo, tutti mi avevano visto al funerale, con gli occhi come di vetro e i pugni stretti, tutti erano venuti a dirmi che sapevano cosa provavo, quando nessuno poteva saperlo, e che potevo contare su di loro.
Ma io avevo preferito allontanarmi da tutto ciò che lo riguardasse, come se trovarmi nel suo stesso mondo corrispondesse solo a lacrime in più, pugnalate in più, ricordi in più.
E per fuggire al mio dolore, l'avevo addossato sulle spalle della donna che più amavo al mondo.
Proprio mentre con questi pensieri facevo i primi passi per allontanarmi una voce mi richiamò indietro.
<< Harry?! >>
Mi girai vedendo un uomo con i capelli castano scuro, occhi sottili e nemmeno una traccia di barba sul suo volto pallido.
Non c'era nulla fuori posto nell'immagine di quell'uomo, solo le leggere rughe tradivano la sua età, che doveva aggirarsi sui cinquant'anni.
Aveva qualcosa di familiare, ma pensai che era normale avendolo sicuramente già visto.
<< Si e lei è.. ? >> mi ritrovai a chiedere, tornando sui miei passi e fissando lo sguardo su quello dell'uomo non riuscendo a togliermi dalla testa un pensiero: quegli occhi li avevo già visti, quel colore l'avevo già ammirato.
La mia mente tornò immediatamente al giorno prima e feci di tutto per scacciare quel pensiero, non era il momento giusto.
Lui sorrise, parandomi la mano davanti.
<< Ciao Harry, sono Jack Tomlinson, ero amico di tuo padre, sai? >>.
Mi trattenni dallo sbuffare, usavano tutti la stessa frase, come se quello gli consentisse di trattarmi come un figlio, eppure c'era qualcosa di diverso in lui, e non erano solo i suoi occhi, era.. lo sguardo, lo sguardo di un uomo tormentato quasi quanto me.
Annuii lentamente, gli strinsi la mano con sicurezza e solo dopo mi premurai di fare la domanda che mi premeva da tempo.
<< Perchè hai voluto che ci incontrassimo, Jack? >> chiesi con un accenno di esitazione.
Non avevo idea di quanto lui sapesse, di cosa volesse, di cosa avrei dovuto fare.
Sembrava una brava persona anche se c'era quel qualcosa di severo in lui, ma io ero sempre andato oltre le apparenze, avendo capito sulla mia pelle quanto questa contasse poco, e avevo capito che la sua era solo una maschera.
Sembrava sofferente, timoroso e ansioso, come se fosse circondato dal male e avesse costantemente paura che tutto si ripetesse, come se tutto girasse attorno ad un unico incubo.
Mi resi conto che tutte le persone che mi circondavano avevano quel tormento dentro.
Avevo bisogno di personaggi allegri, qualcuno che mi distrasse, qualcuno che mi insegnasse come vivere e non come soffrire, qualcuno che non dicesse “Ti capisco” ma piuttosto “Sorridi, che ti costa?”. Forse l'unica persona che mi spronasse ad andare avanti era Cora, e non lo faceva con le parole ma con i gesti, come se non fosse mai successo nulla, come se la sua intera vita non dipendesse, come per me e mia madre, dal passato.
Senza che lo volessi nella mia mente si formò l'immagine di un sorriso, un sorriso sincero, non costruito, un sorriso che non stava a significare “La mia vita è perfetta”, solo “Il passato è il passato, il domani sarà migliore” e io sapevo dove avevo visto quel sorriso.
<< Te ne parlerò con calma, Harry. Entra, perchè non prendiamo un thè? Avremo molte cose di cui parlare. >> la voce dell'uomo mi riportò alla realtà, eppure il sorriso che trovai davanti a me non era molto diverso da quello dell'immagine, era solo più tirato.
La sua calma nel parlare contrastava con ciò che gli avevo visto dentro.
Mi accorsi di starlo studiando, senza che me ne fossi accorto, di nuovo.
Avevo occhio per i dettagli, capivo tutto da uno sguardo, un sorriso, una situazione, vedevo le emozioni delle persone trasparire da gesti e occhiate.
Piccoli segni, un tremolio, il movimento di una mano, piccole bocche che gridavano cosa passava per la testa di una persona.
Ma c'erano anche quelle persone, quelle persone che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a capire, a percepire a fondo. Le sentivo distanti, come se non provassero nulla, anche se sapevo che erano stracolme di emozioni, invisibili, impercettibili emozioni.
Per l'ennesima volta il suo nome mi offuscò la mente.
Dovevo smetterla di pensare a quel ragazzo.
Biascicai un << Grazie >> pulendomi le scarpe sullo zerbino senza che ce ne fosse bisogno e mettendo piede in casa.
Non riuscivo a fidarmi completamente delle persone, era più forte di me.
C'era quel blocco che mi impediva di sorridere a quello sconosciuto, anche se sentivo, nel profondo, che era stato davvero importante per mio padre, e sentivo di dovergli qualcosa.
Mi guardai attorno entrando in salotto.
Il camino era posto sul lato sinistro della stanza, riscaldando il piccolo ambiente, sopra cui una foto risaltava più delle altre, una foto che io avevo già visto, una foto che non smettevo mai di guardare, di nascosto, quando mi trovavo in casa da solo.
Un tavolino di legno era posto davanti a due morbide poltrone marroni, su cui contrastavano dei cuscini giallo limone e verdi, non c'era televisione ma solo un enorme tappeto persiano a coprire lo scuro parquet.
Sulle pareti erano posti dei dipinti, principalmente di ballerine e dedussi dovessero appartenere alla moglie, oltre che diplomi e attestati.
Effettivamente l'uomo sembrava molto colto, e mi stupii non poco visto lo spirito libero che era stato mio padre.
Girai con lo sguardo verso il grosso tavolo da pranzo in legno di mogano scuro che si trovava sulla destra, su cui dava colore una tovaglia giallo canarino e una fruttiera con dell'uva.
Sfiorai con le dita il muro fatto di mattoni, come quello di casa mia.
Una lunga scala portava ai piani superiori, la superai e, senza aspettare un'invito mi sedetti su una sedia davanti al tavolo.
<< Jay! >> Chiamò Jack a grande voce, richiamando una donna con i capelli corti e gli occhi nocciola.
Anche lei aveva qualcosa di familiare, ed era qualcosa che non riuscivo a spiegarmi.
<< Lui è Harry, il figlio di Tom! >> mi presentò alla donna quasi orgogliosamente, e dopo aver stretto la mano anche a lei, l'uomo ordinò il thè e aspettando che si dileguasse in cucina si rivolse a me.
Aspettavo che mi parlasse, che mi desse delle spiegazioni, che arrivasse al nocciolo.
<< Ti manca tanto, vero? >> domandò lui e io mi limitai ad annuire.
Non mi andava di parlare di lui, era una ferita che non si sarebbe mai cicatrizzata, era un qualcosa che avevo bisogno di tirare fuori solo quando ero da solo, mi piaceva fingere di essere forte, non volevo crollare davanti a nessuno.
Però sei scappato dai tuoi sentimenti, davanti a Louis.
Strinsi i pugni a quel pensiero.
<< Sai, manca molto anche a me.. >> sospirò, e solo dopo continuò.
<< Io e tuo padre eravamo molto amici, ci siamo conosciuti alle scuole elementari, e siamo sempre stati inseparabili, pur essendo terribilmente diversi.
Sai, ho sempre avuto voti molto alti mentre lui non faceva altro che combinare guai e mettersi nei pasticci. Non studiava e durante le verifiche mi implorava di farlo copiare.
Quando la maestra si arrabbiava lui rispondeva che non gli importava la matematica, non gli importava di nulla perchè lui avrebbe fatto il pescatore. Ha sempre avuto quest'idea e non se l'era mai tolta dalla testa. “Da grande sarò un pescatore” diceva a tutti.
Diceva che da piccolo tuo nonno ogni domenica lo portava al mare con lui e Tom lo aiutava, e da quei momenti aveva avuto le idee chiare su quale sarebbe stata la sua passione.
Qualche volta mi portava con lui in spiaggia, ci sedevamo davanti al mare o in fondo al pontile e parlavamo, parlavamo e parlavamo per ore, finchè le nostre madri non dovevano venire a chiamarci per la cena.
Litigavamo spesso, perchè lui cercava di spronarmi a trasgredire le regole e io cercavo di spronarlo a studiare di più. Non volevo che venisse bocciato, volevo passare ogni singolo anno con lui.
Ma alla fine eravamo inseparabili, se prima mi arrabbiavo con lui perchè aveva fatto infuriare la maestra, poi lo ringraziavo per difendermi dai ragazzi che mi chiamavano “Secchione” e mi prendevano in giro.
Le nostre strade si sono poi divise, io sono andato all'università per laurearmi e lui ha subito cominciato a lavorare qui.
Mi mancava sempre, in ogni momento, mi mancava sentire la sua risata o il suo arrivare in ritardo, sedersi affannosamente sul banco di fianco al mio, sorridermi e dire “Non hai idea di cosa ho fatto oggi..”.
Era uno spirito libero, e senza di lui mi sentivo vuoto.
Tornai qui appena laureato, e mi felicitai nello scoprire che nella nostra amicizia nulla era cambiato.
Lui coltivava la sua più grande passione, con il sorriso sempre sulle labbra e quando mi chiese di progettare per lui una barca non esitai un attimo.
Sai, teneva a quella barca quanto teneva a te, non solo perchè l'avevo progettata io, ma anche perchè diceva che non vedeva l'ora di portartici in giro, come suo padre aveva fatto con lui.

Da quando sei nato ti ho amato quanto lui, solo che poi.. >>
Fece una pausa, quasi fosse indeciso se continuare o no, poi scosse lievemente la testa e << Ci siamo persi di vista.. >> concluse semplicemente.
Mi stupii di scoprire i miei occhi colmi di lacrime, perciò avevo avuto ragione, Jack era stato importante per mio padre, era stato il suo migliore amico e stavolta mi concessi di sorridergli sinceramente.
<< Wow, non sapevo nulla del suo passato.. >> dissi solo, sinceramente sorpreso.
Arrivò Jay con il thè e dopo avermelo posato davanti e aver sorriso gentilmente tornò in cucina.
<< Sai se.. è rimasto nulla della ARY? Dopo il funerale non ho più saputo nulla e.. >>
<< No, non è rimasto nulla. >> risposi semplicemente, volendo sviare l'argomento.
<< O meglio, ciò che era rimasto ora è cenere, a causa di mia madre. >> mi lasciai sfuggire e subito dopo mi morsi le labbra.
Lui sospirò prima di soffiare sul thè bollente e << .. Come sta, adesso? >> chiese poi.
Io distolsi lo sguardo e non risposi, non volevo aprirmi a lui, non l'avevo fatto con Louis e non volevo farlo con lui.
Lui sospirò nuovamente e cercò i miei occhi << Harry.. ti capisco se non vuoi parlarne. É stato un duro colpo per tutti, io stesso ne sono rimasto molto ferito.
In verità ti ho chiamato qui perchè c'è qualcosa che vorrei mostrarti.. >> spiegò poi con l'accenno di un sorriso e io lo guardai negli occhi aggrottando la fronte.
<< .. Cosa? >>
<< Te lo mostrerò appena avrai finito il thè >> disse semplicemente, cambiando poi argomento.
Successivamente quel qualcosa tra noi si sbloccò e riprendemmo a chiacchierare di ogni cosa, facendo anche qualche battutina di tanto in tanto, mentre mi affrettavo a finire la mia tazza, ansioso di cosa avrei scoperto.


Mezz'ora dopo mi trovavo nel suo studio, piccolo e buio, disseminato di librerie oltre che progetti, foto e articoli attaccati al muro.
Una lampada da tavolo illuminava la grande scrivania, anch'essa di legno, dove il caos regnava sovrano.
C'erano fogli, lettere, disegni e documenti dappertutto e l'uomo stava da minuti cercando freneticamente qualcosa, imprecando tra se e se e mormorando di tanto in tanto un “Dev'essere qui da qualche parte”, “Sono sicuro di averlo visto qui..”, “L'ho avuto in mano proprio ieri..”.
Aprì e frugò dentro i cassetti, e arrivato al secondo sorrise vincitore e tirò fuori un cumulo di disegni.
<< Avvicinati pure.. >> mi invitò dal momento che ero rimasto fermo sulla porta.
Feci come mi aveva detto mentre si sedeva davanti alla scrivania e puntava la luce sui disegni.
<< Sai.. tuo padre, molto tempo prima della sua morte, mi chiese di progettare un'altra barca.. >>
Spalancai gli occhi. Cosa?!
<< ..Disse che avrebbe voluto regalarti il progetto una volta maggiorenne per permetterti poi di costruirla tu stesso, con il suo aiuto magari.
Non ci misi molto a fare ciò che aveva richiesto, ma con gli avvenimenti futuri non glielo diedi mai.. restò sempre qui, in questo studio a marcire.
Credimi, avrei voluto dartelo prima, ma solo qualche giorno fa ho incontrato Cora in paese che mi ha annunciato il tuo ritorno.
Avrei voluto venire a farti visita io stesso, ma non sapevo se avresti accettato di incontrarmi, così mi sono limitato a dare il tuo indirizzo a Cora. >> continuò lui, ma io mi stavo già asciugando una lacrima salata che scorreva lungo il collo.

<< .. Papà? >> lo chiamai dolcemente dal retro della barca, in cui ero andato ad osservare l'acqua.
<< .. Si? >> rispose lui.
<< Un giorno mi aiuterai a costruire una barca? Non saprei da dove iniziare.. >> domandai.
Lui, addolcito, fece una piccola risata.
<< A che ti serve costruirne una? Questa sarà tua, un giorno >> spiegò.
<< Ma io voglio costruirne una, Pà! Voglio farlo.. >> insistetti facendo i capricci che lo fecero ridere come ogni volta.
Poi tornò a sorridere e << Certo che ti aiuterò. Quando sarai più grandicello, però.. >>
Ma io non ero convinto. Sorrideva sempre e spesso non riuscivo a capire se mi prendeva sul serio o no.
<< Pà, me lo prometti? >>
<< Te lo prometto piccolo >>.

<< Ha mantenuto la promessa. >> mormorai con voce rotta dalle lacrime che premevano furiosamente per uscire.
Jack mi guardò intenerito, per poi sorridere.
<< Vuoi costruirla? >> ma con sua palese sorpresa scossi la testa velocemente.
<< No, credo che terrò solo il progetto, per me è un bellissimo regalo, grazie.. >> mormorai solo.
<< Ma.. tuo padre avrebbe voluto vederla finita, sono sicuro che sarebbe contento di vederti sul suo stesso mare, a fare ciò che amavate fare insieme. >> disse in tono quasi severo.
Mi piaceva il fatto che non provasse pena e compassione per me, come tutti gli altri, sembrava al contrario aver sofferto le mie stesse pene, sembrava portarsi dietro un grosso peso.
Ma << Io odio il mare. >> risposi, come se tutto dipendesse da quello.
<< Io non credo. Io credo solo che tu odi ciò che è successo quella notte.
Ti si legge negli occhi, daresti tutto per rivivere uno di quei momenti con lui, quelli passati insieme a ridere e scherzare sullo specchio d'acqua >> io spalancai gli occhi.
<< Come puoi pretendere di sapere ciò che provo ora? >> ero quasi arrabbiato, chi si credeva di essere?!
Ma un << Perchè sono le stesse cose che provo io >> mi spiazzò e frenò la mia irritazione.
<< Ci penserò.. >> conclusi, la voglia di fuggire da lì che mi invadeva come un gas.
<< Se decidi di attuare il progetto, torna pure. Sei sempre il benvenuto qui, Harry, e io sarò più che felice di darti una mano >> ci scambiammo una stretta di mano mentre annuivo e passai a salutare anche Jay prima di lasciare quella casa soffocante con un pacco di fogli in mano.
Fogli che, sapevo già, avrei archiviato per sempre.
Solo quando l'aria fresca mi penetrò nelle narici e imboccai una stradina deserta mi permisi di ripensare al giorno prima.
Ero scappato, ero scappato come se non riuscissi a reggere quel confronto, come se Louis riuscisse a soppesare tutti i miei pensieri, uno per uno, vedere quelle immagini, studiare quei tormenti.
Ma potevano due semplici occhi fare tutto questo?
No di certo.
Semplicemente gli stessi dubbi del giorno prima mi avevano assalito, non permettendomi di ragionare.
Nella mia testa solo acqua, acqua rossa, acqua che si infrangeva sulla sabbia intrisa di rosso, come il mio incubo ricorrente.
Avevo visto i miei occhi riflessi nei suoi e la paura di inquinarlo con i miei fantasmi aveva di nuovo perforato ogni voglia di mettermi a nudo e aprirmi a lui.
L'avevo incrociato, avevo fatto finta di non conoscerlo, e in effetti lui non conosceva me.
Avevo visto la paura nei suoi occhi, due volte.
Avevo visto la delusione nel suo sorriso mancante, due volte.
Ma non era stata solo paura, la mia.
Ero stato in procinto di andargli incontro, ricambiare il suo saluto, scusarmi, prendergli la mano e rimediare a tutto.
Ma poi i miei occhi avevano visto quella figura di fianco a lui, quel ragazzo a cui il castano sembrava essere molto legato.
E la gelosia aveva preso possesso di me.
Un unico pensiero aveva invaso la mia mente: Ha già un amico, non ha bisogno di te.
Per questo ero semplicemente fuggito, di nuovo, mentre la sua voce urlava il mio nome e io pensavo “Rincorrimi, ti prego, dimostrami che ci tieni” prima di stupirmi da solo per i miei pensieri.
Come poteva tenerci? Ci eravamo solo scambiati qualche parola.
Eppure ero sicuro di aver letto finalmente gioia nei suoi occhi quando gli avevo rivelato il mio nome.
In questo momento avrei solo voluto chiedergli scusa, perchè io volevo che cercasse di conoscermi, volevo che cercasse di abbattere le mie difese.
Mi piaceva il suo essere schietto, come Jack.
Con questi pensieri presi a correre in una direzione precisa.
C'era solo un posto in cui volevo e dovevo andare in quel momento, e casualmente era lo stesso posto che avevo evitato il più possibile.


Con non poca fatica raggiunsi lo scoglio più alto, il mio preferito.
Anche se ero ormai abituato a quella scalata, salire fin lassù non era certo facile.
Mi guardai attorno, lui non c'era.
Non ha motivo di esserci.
Sospirai di delusione, pensando che i suoi occhi mi mancavano terribilmente.
Presi la bottiglia che avevo afferrato dalla scorta presente in camera mia, non prima di aver nascosto con cura i disegni, e la solita penna che portavo in tasca e cominciai a scrivere, come amavo fare da lì a qualche giorno, con il vento profumato che mi accarezzava e la pace che regnava.
Scrissi per svuotarmi ma soprattutto per passare il tempo mentre aspettavo quel ragazzo che mi aveva colpito così tanto.
Perchè non vieni?
Lo aspettai per ore, sicuro che sarebbe venuto, come tutti i giorni, scrivendo più del solito e piangendo di tanto in tanto.
Lo aspettai seduto, con la schiena e le mani doloranti.
Decisi di aspettarlo anche quando il sole cominciò a tramontare dolcemente, regalando al cielo e all'acqua sfumature di rosa e arancio.
Ma quel giorno, per la prima volta, Louis non venne.

 

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LOUIS

Voglio tenere il tuo cuore tra le mani
La fine di una lattina di Coca Cola
E non ho piani per il week end
Dovremmo parlare ora? Rimanere amici?
- Ed Sheeran

 

Il vento soffiava più forte del previsto, ma dopo aver passato un’intera notte a spostarmi da una panchina all’altra, non mi pareva potesse reggere il confronto.
Altri quattro passi e mi trovai ancora una volta a fissare quel grosso portone in legno scuro, graffiato e rovinato dagli agenti atmosferici e beh, probabilmente anche da tutte le volte che sono scappato infuriato di casa sbattendolo alle mie spalle.
Dopo la scenata che mi ero ritrovato a fare, presentarmi lì come se niente fosse successo, non mi sembrava una buona idea, ma ero stanco, sentivo le palpebre dannatamente pesanti, il corpo era contratto dal freddo e facevo fatica a sorreggermi.
Strinsi la mano a pugno, intento a bussare. Non ne avevo il coraggio. Perché? Cosa c’era di tanto forte da fermarmi?
Avvicinai la mano pallida, così com’era il mio viso alla bocca, soffiandoci un po’ di alito caldo. Era semplicemente una scusa per riflettere, per perdere tempo. Dovevo capire quali conseguenze avrebbe portato il mio ritorno in scena, anche se ero più che convinto che non potesse essere nulla di buono.
Entrare, o non entrare?
Mentre la mia mente si aggrappava ad ogni singolo pensiero che mi vagava in testa, divorandone ogni singolo particolare, la porta di fronte a me si aprii e venni colpito da un’ombra che pareva addirittura avvolgermi.
Alzai gli occhi impaurito.
<< Louis. >> sibilò.
Uno scambio di sguardi fulminei durò diversi secondi.
<< Non avevi deciso di scappare? >> continuò quella voce.
Deglutii. La saliva pareva bruciarmi la gola.
<< Cos’è, ti sei accorto che probabilmente non hai un posto dove passare la notte? >>
Abbassai lo sguardo, in segno di sconfitta. Lui rise, una risata di rimprovero, una risata che mostrava di averla avuta vinta anche questa volta.
<< Ti diverte così tanto a vedermi in difficoltà, papà? >>
Di colpo tornò serio.
<< Louis, non azzardarti neanche a pensarlo. >> continuò alzando la mano che fermò a pochi centimetri dal mio viso stringendosi in un pugno. << Io voglio solo il meglio per te. Ma tu probabilmente non riesci a capirlo. >>
<< No papà, sei tu che non capisci. >>
<< Io capisco fin troppo. >>
<< No invece. Tu credi di sapere, ma non è così. Non sai niente di me, non sai niente di come sono davvero. E sinceramente non riesco neanche a capire perché tutta questa ostilità verso la mia passione, verso ciò che mi rappresenta. >> strinsi i denti, tentando di trattenere le lacrime.
Lui strizzò gli occhi, come se un brutto ricordo gli fosse tornato alla mente. Anche l’altra mano si strinse in un pugno, si stringeva sempre di più, ogni secondo che passava.
<< Louis, vattene. >>
Il mio sguardo di distolse da quei pugni.
<< Ho detto di andartene. >>
Lo guardai un’ultima volta. Guardai quell’espressione cupa, priva di emozioni, priva di felicità, amore, odio. Priva di ogni cosa. Era vuota, proprio come reputavo il suo cuore.
 

<< Potrebbe darmi della vodka? >>
Ero rimasto lì, vicino a quel cancello a fissare quella porta chiudersi ed io rimanerne fuori ancora una volta; non riuscivo a crederci l’avesse rifatto, mio padre aveva avuto il coraggio di battermi fuori di casa nonostante mi fossi arreso, nonostante non avessi reagito sottomettendomi alle sue critiche. Era inutile rimanere lì a contemplare la situazione, quando ero il primo ad essere convinto che niente sarebbe cambiato.
Avevo imboccato una strada a me sconosciuta, il silenzio e la quiete che si riusciva a respirare mi aveva invogliato ad intraprenderla, fregandomene di dove mi avesse portato.
Sentivo la strada sotto i miei piedi bruciare sempre di più ad ogni passo, ero stanco, le palpebre facevano un immane sforzo a restare aperte, sentivo freddo, il mio corpo era ricoperto da un brivido che non riuscivo a scacciare.
Camminavo, camminavo per quella via buia, desolata, sperduta. Il cielo cominciava ad imbrunirsi e le folate di vendo a diventare sempre più impetuose. Era come se mi sentissi abbandonato in un posto sperduto e privo anche della voglia di conoscere, di scoprire, sapermela cavare.

Delle luci immerse in una musica che rimbombava ovattata, quasi mi incantarono. Sopra la mia testa un’insegna era sorretta, luminosa quando bastava per spiccare nel buio pesto che ormai era la città.
<< Un altro per favore. >> bevvi anche quel bicchiere di vodka tutto d’un fiato.
<< Un altro per favore. >> il mio corpo cominciava a scaldarsi ma probabilmente non nel modo giusto.

Labbra serrate sul bordo del bicchiere, occhi sgranati, gola che pareva bruciare sempre di più ad ogni sorso. Mi sentivo bene, anche se sapevo sarebbe durato poco.
<< Due, per piacere. >> poggiai il bicchierino ormai vuoto sul bancone, accantonandolo vicino agli altri, che andavano a formare un semicerchio alla mia sinistra.
Afferrai il quinto bicchiere con prepotenza portandomelo alle labbra.
<< Vacci piano con quelli, ragazzo. >>
Il liquido ormai era già oltre la gola e come una fiammata di fuoco, mi fece strizzare gli occhi.
<< Faccio quello che mi pare. >> risposi scorbutico, portandomi nuovamente il bicchiere alla bocca, intento a far scendere anche l’ultima goccia rimasta.
Non mi interessava ciò che la gente aveva da dire.

<< Almeno ce l’hai l’età per bere? >>
Sbattei con prepotenza il bicchiere sul legno. << Non le farò fare il culo a strisce dalla polizia, se è qui che voleva arrivare. >> il vetro bianco vibrò tra le mie dita strette.
L’uomo sorrise divertito tra se e se, mentre con una certa sicurezza preparava cocktail dietro il bancone.
Ecco che il sesto era tra le mie mani, lo giravo e rigiravo contemplando la sua immane forza di farti sentire istantaneamente bene, ma allo stesso tempo uno schifo. Tanto potere in appena tre sorsi.
Non volevo finisse subito, volevo gustare il sapore della felicità pian piano, godendomi anche il momento in cui avrebbe graffiato ancora una volta la mia gola, facendomi sentire libero.
Primo sorso, mi sentivo leggero, secondo sorso, ne ero fottutamente dipendente. Non riuscii a resistere a questa pena, lo strinsi ancora più forte mandandolo giù di colpo.
Una lacrima mi scese sul volto, triste e sola, dettata direttamente dal mio cuore.
Il tonfo della porta d’ingresso, superiore alla musica che rimbombava tra quelle mura, mi fece sussultare costringendomi a voltare lo sguardo; un ragazzo alto avanzò di dieci passi, sedendosi all’unico tavolino libero ad un lato della stanza. Tolse il berretto in lana grigio, rivelando ricci e disordinati capelli che lasciò sistemarsi da soli con una scossa di testa.
Ero annebbiato, confuso, immobile; la mia immaginazione stava di nuovo giocando contro di me?
Sbattei più volte le palpebre, incredulo di ciò che avevo fatto: non avevo rivolto neanche una piccola parte dei miei pensieri ad Harry quella sera e già iniziavo a pentirmene amaramente.
Stavo cercando di scappare da quella che era la mia realtà, non da lui. Continuavo a chiedermi cosa avesse fatto per avermi ai suoi piedi proprio come adesso stavo facendo, impaurito del perché non stessi in città a cercarlo, spaventato del perché i miei pensieri non fossero rivolti alla purezza del suo sorriso, alla limpidezza del suo sguardo.
Il cuore prese a battermi forte nel petto, mentre senza accorgermene avevo ancora lo sguardo puntato su quel ragazzo e la sua sagoma che era la sola ad apparire in risalto ai miei occhi in tutto il pub.
Scostai di poco lo sgabello, tornando ad osservare inconscio il bicchiere in vetro vuoto proprio di fronte a me.
<< Mi scusi. >> fermai con una mano il primo barista che occupò quel posto. << Potrebbe darmi della vodka? >> volevo punirmi per come stavo reagendo, punirmi per aver perso la ragione nonostante continuassi a farlo, punirmi per non essere in grado di cambiare la situazione, punirmi semplicemente per essere nato così, sbagliato.


Barcollavo per la strada, vedevo solo un ammasso di ombre passarmi davanti, non capivo niente, ero disorientato.
L’istinto, o molto probabilmente il mio essere, la mia naturale passione mi aveva guidato fin qui, al porto.
Che cosa scontata, come posso credere di poter cambiare un giorno se poi è sempre e solo qui che riesco a sentirmi a casa?

Nonostante la mia insistente voglia di oppormi a ciò che facevo in automatico, dovevo assolutamente restare.
Questa volta oltre al forte risentimento che provavo, c’era qualcos’altro che mi frenava in modo irascibile.

Non avendo il pieno controllo delle mie azioni mi avviai verso la scogliera, dove probabilmente sarei rimasto tutta la notte. Non mi importava del vento, del freddo, del buio; era l’unico posto dove riuscivo ad intravedere la sua ombra riflessa atra le pietre frastagliate anche quando lui non era presente.
Ero sicuro che il profumo del suo dopobarba, pungente ma allo stesso tempo rassicurante mi sarebbe mancato; probabilmente non mi sarei potuto fermarmi a riflettere nella misteriosità del suo sguardo quella notte, ma non mi importava. Dovevo salire su quella scogliera e perdermi nel ricordo di ciò che mi faceva stare bene, mi faceva sentire vivo.

Non lo avrei mai ammesso ad alta voce, forse, ma sapevo perfettamente che lui aveva portato una ventata di aria fresca nella mia vita; lui era stato in grado di farmi provare ciò che io non ero mai stato in grado di donare a qualcuno.
Cercavo di dimenticare come ero ad un passo dal baratro semplicemente pensando a lui, Harry.

Alzai gli occhi a guardare il cielo stellato sopra la mia testa; era scuro, pareva ricoperto di inchiostro mentre le stelle luccicavano nelle loro diverse forme facendomi sentire piccolo come un frammento in tutta quell’immensità.
Persi per un attimo la stabilità e caddi seduto su quelle rocce taglienti tanto da essermi fatto male senza nemmeno accorgermene.
Se avessi fatto uscire anche solo un sibilo dalla mia bocca avrei spezzato quella quiete che mi avvolgeva, immischiandomi alla rabbia delle onde che sbattevano con prepotenza sugli scogli.

I pensieri presero a fare a botte nella mia mentre, il nervoso pervase ancora per molto, sentivo il mio cuore stringersi ogni secondo di più.
Mi coprii il viso con le mani, rendendomi conto che la colpa era solo mia; incolpavo me stesso per non essere stato in grado di dargli fiducia, incolpavo me stesso perché l’unica cosa che ero riuscito a fare era averlo fatto allontanare da me.
Quella sera mi aveva ignorato fingendo di non conoscere il mio nome, mi aveva evitato come se fossi stato affetto da chissà quale malattia.
Dov’è che continuo a sbagliare, e perché non me ne faccio una ragione?
Se solo lui mi desse la possibilità di stargli accanto capirebbe che non è solo come crede, e verrebbe a conoscenza del fatto che stava aiutando me anche se inconsciamente.
Steso su quelle pungenti rocce i miei occhi si chiusero, immaginando la mia realtà ideale.

 

*

Voi ci odiate. So che lo state pensando.
Cioè, tutto questo tempo senza aggiornare, lasciandovi la suspance..
Mi odio anche io, sapete?
Le persone che mi aggiungono agli autori preferiti stanno crescendo sempre di più, non so se grazie a questa long o alle mie os, e mi dispiaceva lasciarle a bocca asciutta, perciò ho provato a riscattarmi postando Get us.
Al contrario di ciò che tutti starete pensando, non è una Larry, nè una Zarry, nè una Niam o Nouis o niente di tutto ciò.
Per una volta ho voluto cambiare. Inizialmente avevo pensato ai FUN. perchè, per chi non l'avesse capito, li amo. Ma siccome manca la categoria ho deciso di buttarmi su una FemSlash e quale fandom potevo scegliere se non quello delle t.A.T.u? Cioè anche se non stanno insieme le shippo quanto i Larry, perciò mi sono detta "Facciamolo".
Ovviamente, non essendo sui 1D, ho ricevuto pochissime visite e 0 recensioni, ma chisseneimporta.
Tornando al nostro ritardo..
Mi piacerebbe dire che ce la siamo presa comoda perchè tanto abbiamo pochissimi che seguono e recensiscono la storia, ma non lo faccio.
Perchè io sono la prima a non recensire mai nessuno per mancanza di tempo/voglia per cui posso lamentarmi? No di certo.
Secondo punto, non sentirete mai dalle mie labbra (o dalla mia tastiera?) un "Se le recensioni non crescono cancello la storia". NOSSIGNORE. 
Questa fanfiction è una sfida per me, è la mia prima long, un'idea che mi balena in testa da mesi, se passerò un momento difficile la sospenderò.
E poi sapete che vi dico? Non mi importa se altre fanfiction dopo 3 capitoli hanno 54 persone a seguirle e io dopo 5 solo 25, perchè i miei pochi lettori sono i migliori del mondo.
Cioè davvero, voi siete dolcissime e non avete nemmeno idea di quanto noi siamo felici.
Alcune di voi mi hanno detto cose tipo "Mi sono affezionata alla tua long" o "Non vedo l'ora di leggere il nuovo capitolo" e queste cose per noi sono come la manna dal cielo.
Anyway.. Il punto è che io ci ho messo poco a scrivere il capitolo, ma inizialmente Sharon non ha ricevuto il mio messaggio, e poi le è venuta la febbre alta.
E vi assicuro che non ci odierete più dopo che saprete che ha scritto il capitolo solo per voi CON LA FEBBRE ALTA, e per DUE VOLTE, visto che aveva capito male una mia richiesta.
Insomma, se pensate che ce ne freghiamo, sbagliate.
Non avrei mandato un messaggio ad ognuna di voi con una richiesta di perdono, e ho notato che molte hanno apprezzato.
Il punto è che odio quando nelle seguite c'è un nuovo titolo e sclero perchè aspettavo da tanto il nuovo capitolo e poi leggo "Avviso" al posto del titolo del capitolo.
E poi il regolamento di EFP dice chiaramente che se è possibile è meglio evitare gli avvisi, altrimenti la storia finisce in cima alla lista senza una giusta ragione, e siccome avevo pochi lettori da contattare, era più che possibile per me.
Vi piace questo capitolo? A me e Sharon non soddisfa come gli altri, forse perchè non ci sono contatti Larry? Umh.. possibile.
Probabilmente dopo questo la vostra opinione sul padre di Louis cambierà, prestate soprattutto attenzione alla breve conversazione che ha con Louis.
Stavolta è Harry a cedere, arrivando addirittura a cercare un contatto con Louis, eppure rimane deluso.
La canzone è Drunk di Ed Sheeran, per ovvi motivi.
A proposito, come qualcuno avrà notato, sono finalmente riuscita a cambiare tutta la grafica del mio profilo, cancellando alcune storie, cambiando la biografia e l'avatar, oltre che la grafica in ogni singola os.
Per questa storia mi sono limitata a mettere la grafica uguale alle os.
Il più grande cambiamento è probabilmente quello che cliccando sui pezzi di canzoni che metto all'inizio dei punti di vista vi si aprirà la finestra di youtube con la relativa canzone (attenzione, dovete cliccare con il tasto destro e fare "Apri link in un'altra scheda" altrimenti vi cambia direttamente la pagina).
Se volete dare un'occhiata alle mie altre os o alle modifiche trovate tutta la "collana" in questa os: Porca vacca.
Credo di aver finito le cose da dire (per fortuna).
Mi ero accordata con Sharon per iniziare a scrivere SUBITO il nuovo capitolo e postare entro pochissimo per "farci perdonare", ma dato la sua febbre alta non mi sembra proprio il caso di assillarla ulteriormente, per cui la contatterò di nuovo tra una settimana sperando stia meglio.
Ieri le scoppiava la testa e non me la sono proprio sentita di chiederle di scrivere una nota autrice per voi.
Perciò la sentirete di nuovo nel prossimo capitolo (e nel frattempo dovrete sorbire me).
A proposito, vorrei ringraziarla un sacco perchè si vede che tiene a questa fanfiction quanto me, e fa di tutto per essere puntuale, arrivando persino a scrivere con la febbre.
Sistah, are you mad?
Sei fantastica, la migliore collaboratrice di sempre.
Detto questo vi lascio, vi amo davvero tanto.
Grazie di tutto.
Se volete contattarmi ecco il mio Twitter e se avete domande, qui c'è il mio Ask.fm.
- Nicole


 

  
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