Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: aniasolary    27/01/2013    15 recensioni
(Storia da revisionare)
Young Adult con elementi sovrannaturali e di Mistero.
In un pomeriggio assolato, le urla di una bambina oscurano il cielo; lei è un'arma, lei non potrà mai vivere, lei non può fare altro che nascondersi.
Anni dopo, un ragazzo trova la sua fotografia fra i documenti di suo padre. Un padre assente, troppo lontano da tutto e da tutti, così preso dai documenti fra cui c'è quella fotografia.
Sei appena venuto a conoscenza della presenza di un burrone. Vai a vederlo. Non ti aspetti che ci cadrai dentro.
Quella ragazza.
Quell'arma.
Quel ragazzo.
Il suo mondo.
Sogni spezzati.
L'amore difficile.
Vite in sospeso.
Amicizie distanti.
Vite rimaste indietro.
Vite in pericolo.
Buio.
Speranza.
Ed un uomo nell'ombra.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
until 5

5. 

I giorni

Sono passati un po’ di giorni. 

O forse no, sono passati i giorni

I giorni in cui mi sono guardata allo specchio e non ho distolto lo sguardo, perché guardarmi non faceva più così male. I giorni in cui ho risposto, domandato, parlato. I giorni in cui ho sorriso, almeno un po’… quel movimento fatto di labbra e guance che si stirano. I giorni in cui ho riempito il mio taccuino delle cose più disparate, forse senza senso. I giorni in cui ho chiesto in prestito una penna alla lezione di Francese. I giorni in cui ho aiutato un ragazzo a fare un esercizio di matematica. I giorni in cui ho esalato qualche nota, per cantare una canzone alla radio.

I giorni.

«Pierce?»

Mi fermo. Seguo la voce e vedo una ragazza bionda, giubbotto aderente e jeans attillati,  stringe fra le mani una catenella per tenere a guinzaglio il cane che è vicino a lei.

È Yvonne Stewart.

Faccio un piccolo respiro e mi stringo lo zaino in spalle. «Ciao.» le dico, e comincio a camminare verso di lei. Sono veloce, non me ne ero mai accorta prima.

Il suo cane sembra avere il pelo morbidissimo, respira con la lingua da fuori e i suoi occhi marroni sono lucidi. È tutto da abbracciare. Corre via prima che mi ci avvicini.

«Anche tu arrivi presto a scuola?» le chiedo.

Yvonne mi lancia un’occhiata, gli occhi nocciola socchiusi. «Sono solo andata a compare il cibo per il mio cane.»

«È bellissimo…»

«Sì… l’ho salvato dal canile della quarantunesima strada.»

«Come si chiama?»

«Bob, ma…»

«Abbiamo altri corsi in comune, oltre a Artigianato?»

«Che ci vede in te, Martin Scott?»

Martin ha gli occhi verdi, sfumano nel grigio sotto le ciglia lunghe. La mascella squadrata gli si contrae, quando si concentra. Gli si alza prima l’angolo destro della bocca, quando sorride. Ha una risata gutturale, calda, sembra provenire dalle spiagge calde tanto lontane da qui.

La mia domanda resta ferma a mezz’aria, mentre le sue parole volano, una alla volta, fino a me. Mi sento la gola secca e, davvero, non so cosa dire. Martin Scott è il ragazzo del bus. È quello che mi ha chiesto come stai? con la voce preoccupata. È quello che mi ha tolto via le parole con le pinze quasi fossero denti, ma senza dolore.

Che ci vede in te, Martin Scott?

Riprende a parlare. «Ti consiglio di aprire gli occhi. Ti ha abbordato da sobrio, e o ha una libidine incontenibile o vuole provare esperienze nuove… sai com’è… a non tutti capita di incontrare Sarah il mostro.»

Parole in caratteri cubitali. 

Giornali, prime pagine. 

Il mio nome. 

Sarah Pierce.

Cinque anni.

Mostro.

Una sua amichetta l’ha chiamata per giocare e lei le ha fatto bruciare il cervello.

«Per favore, non…»

Niente parole, solo mormorii. Niente sorrisi, solo smorfie di disgusto. Risate di scherno, fughe.

La mia vita come titoli di giornali nella mia testa.

Sarah, sola. Sarah, sola. Sarah, sola.

E poi Martin mi ha guardata.

«Chissà… magari vuole vedere di cosa sei capace.» continua. 

Mi irrigidisco. Sento ogni mio tendine drizzarsi, brividi sulla nuca, una lieve pizzicore allo stomaco che aumenta, aumenta, aumenta, mentre il calore diventa freddo, acqua gelida, ghiaccio.

Come quel giorno.

Dico qualcosa, non sento nemmeno cosa. E poi scappo, prima di farle del male.

 ***

Sono passati un po’ di giorni. I giorni. 

I giorni in cui ho aperto gli occhi e le orecchie, e mi sono guardato dall’alto, come se quel ragazzo un po’ più alto della norma fra tanti non fossi io. 

Ecco, quel ragazzo fra tanti aveva lezione di Storia, dopo quella di Artigianato, e Sarah era dappertutto. 

Sarah è dappertutto in questi libri, nelle parole, nelle voci degli altri, nell’aria fredda, nell’acqua calda, nelle matite mordicchiate, negli spintoni, nei quiz alla televisione. Il segnale non prende bene. C’è la sua sagoma ovunque. 

Ovunque la senta, la ascolto. 

«Ehi, Martin, Venerdì sera a casa mia.» mi soffia Cameron due banchi più in là. 

Annuisco. «Ok.»

Ovunque sia, la guardo.

«… procura una sindrome di irradiazione acuta causando vomito nelle prime ore; altri sintomi dopo qualche giorno di latenza sono: febbre, emorragie, infezioni… tutto ciò produce una massiva distruzione delle cellule dell’organismo. L’apparato digestivo e il midollo osseo (quella parte che produce le cellule del sangue: globuli rossi, globuli bianchi, piastrine) sono i più sensibili alle radiazioni. Dolore in ogni parte del corpo.»

Non sopporto il dolore.

L'inchiostro della penna mi colora il dorso della mano, mentre prendo appunti. Forse dovrei chiederle che cosa intende, esattamente. Dolore fisico o psicologico? Cose d’amore o robe così? Le ragazze sono sensibili… a queste cose. Forse dovrei chiederglielo? Ormai mio padre lo sa, prendo ogni giorno il pullman.

E lei è bella.

Bellissima.

«Che cosa fa, Scott?» Alzo gli occhi dal foglio e incontro quelli della professoressa Denver, già pronti a sparare nocive radiazioni gamma.

Ah, allora ho capito sul serio!

«Prendo appunti.» dico. Mi prende il foglio dalle mani, si mette gli occhiali che teneva appesi alla camicia e tossisce un po’. Sospiro e mi distendo sulla sedia, domani c’è la seconda lezione di Artigianato, e devo ancora vedere che cosa combinare. Non so fare niente, ho le mani grandi, non riesco a… fare un cazzo. Ah, ma forse sì, un cazzo! Cameron sarebbe felice di me. Ma accanto a Sarah? No, non importa… 

Dio, ma che cazzo. È solo una ragazza.

Pericolosa? Puah.

Le prese della corrente per i bambini piccoli sono pericolose. Le buche in strada per chi va a trecento all’ora. Le nocciole tritate per chi è allergico.

Sarah mi fa un altro effetto.

Che effetto, eh?

«Bene, Scott… sembra che si stia impegnando, questa volta.»

Torno al mio mondo, seduto ad una sedia con la professoressa che mi osserva. Tutti mi fissano.

«Ehm… sì.»

Suona la campanella.

 

***

Mi metto a correre, nel corridoio. È la prima volta che lo faccio. Chi se ne importa di arrivare in ritardo? Tanto ai consigli di classe leggono il mio cognome e tutto il resto scompare, passo l’anno come passa l’acqua in un canale. Anche se lo ammetto, agli ultimi test dell’anno studio un casino perché ho paura di essere bocciato. Alla fine.

Eppure ora corro.

C’è una folla, vicino alla porta che apre sull’aula del professor Morgan. Rallento, mi avvicino, Sarah, Sarah, Sarah è fra gli ultimi della fila, si stringe i libri al petto.

«Ciao.» le dico.

Lei mi sorride, sembra che l’abbia fatto d’istinto. I capelli castani lisci sulle spalle, gli occhi azzurri che sono come l'acqua profonda e le guance più colorate.

Colpito.

«Ciao.» risponde, la voce limpida, tremula un po'. 

Ok, ci sono. Sei bella. Sì, ok, ora che lo abbiamo ulteriolmente costatato mi guardo un po' intorno. La porta dell'aula è chiusa e tutti gli altri ragazzi sono fuori con noi.

«Che succede?» le chiedo.

«Ragazzi.» La professoressa Strause si avvicina a noi, composta come sempre. «Oggi il professor Morgan è assente, quindi avete un’ora di buco. »

Bello!

Mi volto verso Sarah. Si morde le labbra, guarda per terra. 

«Va tutto bene? » le chiedo.

«Sì.» Si passa una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sì, tutto bene.»

Mi mordo la guancia dall’interno. «Non vedevi l’ora di vedermi indossare quel grembiule bianco, non è così?»

Le strappo una risata. «In realtà, a me piace proprio la lezione… la aspetto per tutta la settimana.»

«Davvero? »

Per me?

Aspetto la sua risposta. Cerco di tenere a bada la voce che mi parla nella testa.

«Sì, è così.» Gli altri ragazzi si disperdono, c’è chi prende il corridoio verso l’uscita e il cortile, chi va dalla parte opposta per raggiungere la biblioteca. Ci passano vicino, mi sfiorano. Sarah si stringe nelle spalle, a farsi ancora più piccola ed esile di quanto non lo sia già. Sembra che qualcuno che odia la stia costringendo a stare ferma, abbracciandola da dietro. 

Quando tutti sono andati via, torna a respirare normalmente.

Sorride con gli occhi.

«Allora, io ho fame.» dico.

«Abbiamo già pranzato.»

«Ah.» Credo di avere una faccia sconvolta. «Per il mio stomaco non conta. Vado a… prendere qualcosa, vieni anche tu? »

Mi sento mancare l’aria per un istante. L’ossigeno che viene risucchiato da un qualche aspirapolvere gigante che annulla tutto quello che ho intorno, tranne me e lei. Deglutisco.

«No… non importa. Vado casa.»

Sbam. Il rumore che fanno le auto quando si scontrano con un palo della luce. C’è un rumore simile, dentro me stesso. E non so bene perché.

«Ti accompagno?»

«No… meglio di no.»

«Perché?»

«Non avevi fame?»

«Vado a mangiare e poi ti accompagno, ok?»

Certo che so proprio essere rompicoglioni, eh?

«O-Ok.»

Ok.

«Ok.»

Ok.

Credo che sia la mia parola preferita.

***

Il McDonald c’è sempre quando lo stomaco brontola, credo che se fosse una persona, sarebbe Doreen.

«Allora, un cheeseburger, patatine con solo ketchap, Una porzione di crocchette…»

La cameriera scrive su un foglio di carta la mia ordinazione, illusa che io non dica altro. «Mcnuggets e una bir… anzi, una cocacola. Con due cannucce.»

La cameriera se ne va, sembra shoccata.

«Da quanto tempo non mangi? » mi chiede Sarah.

«Sono un maschio adolescente.»

«Non mi hai risposto.»

«Sì che ti ho risposto.»

Ride, solo un po’. In questo modo timido che ho capito essere solo suo, uno degli elementi della tavola che la compone.

«Quindi, Artigianato è la tua materia preferita.» butto lì.

Lei giocherella con il polsino della felpa. «Mi piace tanto. In generale… mi piace tutto.»

«Ti… piace studiare?»

«In genere sì.»

«Non ci credo.» Stendo un braccio lungo il tavolo e quasi la sfioro, riesco a toccare il bordo di un libro che ha poggiato. Lo prendo e lo sfoglio. «Come può piacerti?»

«Credo che studiare migliori le persone.» Poggia il mento sulla mano. «Quando conosco qualcosa in più, sto meglio con me stessa.»

«Ma tu non devi migliorare niente.» Non riesco a guardarla negli occhi. Ok, devo darmi una calmata altrimenti sembro proprio sfigato.

«Non è vero.» Scuote la testa. «Io ho tante cose che non vanno.»

«Tipo?»

Socchiude la bocca, fa per dire qualcosa, ma la voce le si smorza in gola ed io immagino le mie labbra che sfiorano le sue e poi premono, piano, pianissimo, lente, lentissime, le mie mani sul suo collo.

Non risponde. 

«Ecco, niente.» dico io.

Ho vinto.

«Quindi a te non piace.» Si passa una ciocca dietro l'orecchio.

«Non è che non mi piace, è che il mio cervello rifiuta le informazioni nocive.» Chiudo il libro fra due mani e passo le dita sopra il titolo, Grammatica Francese per quarto anno.

«Magari potrei aiutarti.»

Un rumore metallico.

La cameriera ha portato la mia ordinazione, e adesso si allontana con fare non curante. Magari potrei aiutarti.

Aiutarmi. 

Stare insieme.

«Sono senza speranze.» la avviso.

«Anch’io.»

Apro la lattina di cocacola, prendo le due cannucce e le infilo dentro. Mi alzo, faccio il giro del tavolo e ignoro quella strana sensazione alla pancia che assomiglia a un lieve solletico. Possiamo cercarla insieme, una speranza.

Mi siedo accanto a lei e reprimo quella strana voglia di spostarle quella ciocca che le è caduta di nuovo sull'occhio sinistro. Lascio che lei beva per prima la cocacola e non so come, mi sembra di aver dimenticato qualcosa, il motivo per cui sono qui, il motivo per cui mi sono iscritto a quel corso, il motivo per cui l’ho guardata per la prima volta. Non lo so. 

Così, scambio con lei tutto il cibo che ho preso e mi sento felice, sì. Felice. Mi dice che mi darà i soldi di metà di questa roba ma se si permette potrei anche fargliela pagare in un altro modo, scema. Glielo dico proprio, sei una scema, e le guance le si colorano di rosso. Sei bellissima, vorrei dirle. Lo sai che sei bellissima? Ma lei mi mette sul palmo quelli che devono essere settanta cents, è tutto quello che ho, ma poi ti darò il resto. Ti odio, Sarah, sul serio. Non andare mai via. 

Ha un orologio in plastica rosa, sul polso. Che ore sono? La uso come scusa per toccarla, e mi accorgo che la sua pelle è proprio come la immaginavo, liscia, morbida, fresca d’inverno.

È tardissimo, usciamo dal locale correndo come se potesse davvero cambiare qualcosa.

Ma io sento che qualcosa è cambiato.

In me, almeno, sì. Come se fossi io stesso un orologio, con gli ingranaggi un po’ arrugginiti. Adesso vanno tutti veloci, come l'organo che mi pulsa in mezzo alle costole.

***

«Martin! Martin, aspetta! » gli grido, mentre corre verso l’altro isolato. Sono cinque minuti che non facciamo altro, ininterrottamente, ed io avrei tanto voluto fermarlo ma la sua risata è liquida, porta in superficie tutto quello che incontra.

Al suono della mia voce si ferma, le sue spalle ampie si irrigidiscono sotto il giubbino scuro, e allora lui si volta verso di me. Ogni cosa si riflette sul suo viso, il nero del giubbino nel verde dei suoi occhi. Sta ancora sorridendo.

«Che c’è?»

«Non arriveremo mai in tempo.»

«Mi stai chiedendo di marinare la scuola, eh?» La sua bocca si muove in una specie di ghigno, quello che farebbe un bambino che ha appena rubato un giocattolo. «Non eri tu quella a cui piaceva studiare?»

Sbuffo, il soffio che mi nasce dalla bocca mi alza i capelli. Sbuffare? Ne sono capace? Forse perché ho visto tante volte lui, fare così.

«Arrivare in ritardo mi piace meno.» Al solo pensiero mi vengono i brividi. Tante piccole siringhe per ogni vena delle mie braccia.

Dieci anni. Sarah Pierce. Il mostro colpisce ancora. Solo per uno sgambetto, sono caduta, ho sentito un bruciore al ginocchio e poi… e poi è successo di nuovo.

«D’accordo. Non ci andremo.» dice Martin, e mi riporta qui, in questa strada grigia con la neve sciolta sui lati, i palazzi alti che graffiano il cielo e le nuvole spumose.

Annuisco, mi sento sollevata. Lo guardo, indugio sulle labbra, sui capelli biondi che si arricciano sulle orecchie, ciocche che si schiariscono sulla fronte, le ciglia lunghe e dello stesso colore.

«Ok.» dico.

«Ok.» 

Siamo in un centro commerciale. Le cassieri ci ignorano, sento Martin che mi tocca la spalla – ha le mani salde, grandi, tengono forte – è una sensazione che mi fa sentire i rumori nello stomaco.

«I biscotti Oreo.» dice, poi prende in mano una scatola di biscotti.

Guardo un po’ in giro per gli scaffali. «Questi sono scontati.»

«Ma sono sottomarca.»

«Il gusto è uguale.»

«Nah, non è per niente vero.» Si passa una mano fra i capelli e non dà per niente segno di voler lasciare la scatola di biscotti. «Io sono di marca. Mi paragoneresti mai a un ragazzo sottomarca? »
Mi mordo la guancia dall’interno. Riesco a riconoscere quando sto per ridere, ne sento il sapore, metà amaro e metà dolce, che parte dalla gola e poi scoppia dalle labbra in quello che è un piccolo pezzo di felicità.

Così, succede ora. Ma che domande fa? Come fa il suo cervello… a fare paragoni con se stesso e i biscotti? Scuoto la testa… per un maschio adolescente deve essere normale, anche se quando ha lo sguardo concentrato, con quelle spalle larghe e i muscoli delle braccia, il filo di barba che aveva l’altro giorno, sembra tutt’altro che un adolescente.

«Be’, quindi?» fa ancora. Vuole proprio che gli dica qualcosa.

Lascia che la mia lingua scorra da sola. «Mhm… tu sei scontato?»

«Io sono gratis, oggi, ma non dirlo in giro.»

«Sono stata fortunata.»

«Non puoi nemmeno immaginare quanto. Anzi, dovresti saperlo. Tutte lo sanno.»

«Tutte chi?» 

No,no,no,no. Dov’è un telecomando? Rewind sulla mia faccia bianco latte. Ho bisogno di cancellare questa cosa e sostituirla con un’altra.

«Molte ragazze. Sì. Davvero Molte.» 

Imbocco un altro corridoio, non mi va gi guardarlo in faccia. Mi supera, si ferma, mi accanto. Quella faccia. Non mi piace, è… strafottente.

«Ho fatto qualcosa di male? »

«Di male? Niente.»

Mi calmo. Sì, certo che mi calmo. Lo guardo. Ha gli occhi luminosi e il sorriso bianco, da vicino sento il profumo della cocacola e di fresco, non so da dove provenga. Lui starà bene, non gli farò mai del male.

Continuiamo a camminare.

Sorride al punto da farmi venire il nervoso. Mi trovo davanti al reparto dei materassi. Ci sono poltrone e letti e panche e…

Martin si stende su un letto a due piazze.

«Ah… sì. Questo è comodo.» Si mette le mani dietro la nuca, incrociate. Mi avvicino a lui, la maglietta verde militare gli si è alzata, a mostrare la pelle scoperta. Guardo altrove, delle signore ci fissano.

«Martin, dovresti alzarti.»

«Perché?»

«La gente ci fissa.»

«Nah. » Si mette di lato, una mano a sostenersi la testa. Potrebbe essere uno di quei ragazzi che si vedono nei cartelloni pubblicitari. «Scommetto che la mia presenza aumenta le vendite. »

Mi stringo nelle braccia. «Io penso che ci cacceranno.»

«Venderei di più se fossi nudo, è vero.»

Mi mordo le labbra e guardo oltre il letto su cui è steso, c’è una poltrona bianca con un ricamo a fiori, sì, a fiori… non capisco perché… Martin nudo… dio, perché spara simili scemenze? Mhm… quella poltrona piacerebbe a mia nonna.

«Ehm… tutto ok?» mi chiede Martin, e la sua voce suona incerta, quasi tremola.

«Sì.» Vorrei sedermi vicino a lui. Poi mi ricordo che questo è un letto e ci ripenso. Non so bene perché, anche se Martin non sembra reale, steso in questo modo, a guardarmi con quell’espressione.

«Dai, vieni, ti lascio il posto. Io vado alla cassa a pagare i biscotti e poi torno.» Si mette in piedi, veloce.

«Tu… vuoi ancora mangiare? »

«Sono…»

«Un maschio adolescente, lo so. Ma non una discarica.»

Si avvicina a me con fare inquisitorio. «Questi biscotti Oreo sono originali.» mi soffia contro.

Trattento una risata. «Ok.»

«Ok. »

Mi siedo sul letto, mentre lui fa qualche passo in direzione della scala mobile. Si gira leggermente.

«E non scappare, eh! »

«Sono qui.»

Sono dove sei tu.

***

«Sei tornato tardi.»

«C’era la fila. »

Martin si stende vicino a me, in uno dei letti che ho provato mentre lui era via. A separarci, una tenda trasparente che dovrebbe nascondere meglio quello di cui sono sicura: il mio rossore sulle guance, ora che lui è così vicino a me.

Alza la tenda trasparente.

«Biscotti?»

«Grazie.» Ne prendo uno e comincio a mordicchiarlo. Il cioccolato mi si scioglie sulla lingua, pastoso. È vero, questi biscotti sono diversi dagli altri.

 «Una volta, Doreen prese un’altra marca di biscotti ed io mi rifiutai di fare colazione. Ci tenevo troppo.»

Viziato. 

Cerco di prendere un altro biscotto, non ci riesco, sento le dita di Martin sfiorarmi il polso.

«Chi è Doreen? » Alzo il capo dal cuscino e incontro i suoi occhi. Colore di foglie, verde luminoso e pagliuzze grigie dai contorni irregolari. Onde nelle sue iridi.

«La donna della mia vita.» La sua voce è seria. Poi scuote la testa e si mette a ridere, mentre io non so come ma smetto di inalare aria nei polmoni. «Va be’, meglio non parlarne.»

Deglutisco a fatica. «Perché? »

«No… così. »

«Così come? »
«Niente. »

«Ha qualcosa a che fare con la tua ragazza?»

Si mette siede all’improvviso, le sue spalle si alzano e si abbassano al ritmo del suo respiro. «Chi ti ha detto che ho la ragazza?»

Mi metto seduta anch’io, lui mi fissa attraverso il velo della terra. Avvicino le dita alla stoffa e lo guardo meglio. «Non mi sembri un ragazzo che se ne sta da solo. »

«In che senso? »
«In ogni senso.»

Riesco solo a sospirare.

Non sembri uno che se ne sta da solo eppure sei qui con me.  Martin digita qualcosa sul suo cellulare, d’istinto prendo il mio e vorrei non averci pensato, visto che al confronto quello che ho in mano sembra una pietra dell’età preistorica.

«…No, non ho credito. E ho finito i soldi. Grande.» sbuffa.

Guardo il mio cellulare. Blu, enorme, che si piega in due. «Forse il mio… » Alza gli occhi verso di me e me lo prende dalle mani. Sta trattenendo una risata, si vede.

«Ma dove l’hai preso? »

«Mi è stato regalato.»

«Quante vite fa?» Mi mordo le labbra. Mi dà fastidio, perché non la smette? «È un pezzo da restaurare, sai?» Voglio fargli male. No, non troppo male, ma abbastanza. Basterà qualche pugno?

«Dai, ridammelo.» gli dico.

Spinge i tasti. «Ma è morto? »

«No. » riesco a prenderlo. «È scarico.»

«Doreen penserà che sono stato rapito da una compagnia sfruttatrice di modelli e che non tornerò mai più a casa.»

Giro la testa e rimetto il cellulare nello zaino. Non può guardarmi.

«E invece?» gli chiedo.

«E invece sto con te.»

Sento che lui riesce a vedermi lo stesso, anche se sono voltata.

Sorrido.

 

***

Nell’atrio del portone non ci sono i riscaldamenti, eppure ho quel genere di caldo che si sente solo in caso di febbre.  Pigio sul tasto per chiamare l’ascensore e aspetto. Aspetto.

Arrivo al mio piano e suono il campanello. Quando sento la luce colpirmi il viso alzo lo sguardo e vedo che la porta si è aperta, il mio stomaco è tutto un formicolio.

«… Sarah, mi hai fatto preoccupare. » Mia nonna mi guarda. I capelli grigi raccolti e il viso rugoso come le foglie che cadono in autunno. Non ascolto niente a parte l’euforia che mi scorre dentro, il cuore che mi affoga le parole, la pancia che mi si contorce. La abbraccio.

«Ciao, nonna.»

Entro in casa e chiudo la porta per lei. Devo fare almeno tre tentativi: dobbiamo aggiustarla ma la pensione del nonno questo mese non è bastata per chiamare un falegname. Ma poi riusciremo a fare anche questo, alla fine.

«Stai bene, tesoro?» mi chiede.

«Sì.» E mi accorgo per la prima volta di dire la verità. Deglutisco. «Sì. »

I suoi occhi marroni dicono che mi crede. Lascio cadere lo zaino, vado in soggiorno, «Ciao, nonno.» gli schiocco un bacio sulla guancia come faccio solo ai compleanni e accendo la televisione. È vecchia e ci mette almeno cinque minuti per caricarsi e fare vedere l’immagine.

Mi chiudo nella stanzetta, prendo il taccuino dal cassetto e comincio a scrivere.

Ogni giorno mi costringo a imparare qualcosa di quello che mi sta intorno, anche se tutto quello che posso capire vive solo nella mia immaginazione.

Fuori sta piovendo.

Sospiro, mentre i tratti della penna si fanno pesanti.

Un pensiero si fa strada nella mia mente, mentre prende forma su carta.

Vivere.

*

*

*

*

Eccomi qua <3 La scuola non mi dà tregua, ma spero comunque di continuare ad aggiornare una volta ogni due settimane perché questa storia deve proseguire ** Allora, vi piace? Vi dico che la svolta si avvicina e che questo cpaitolo serviva per tastare il terreno, diciamo. Di Sarah si sa qualcosa in più o aumentano i misteri? Come ragiona Martin? Succederà qualcosa fra i due? Spero davvero che continuerete a leggere per scoprirlo e spero che mi lascerete un parere <3 <3 <3

Grazie mille a tutti voi <3 <3 <3 E a chi mi sostiene e mi sprona a fare sempre meglio. Grazie <3

Un bacione

Ania <3

   
 
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: aniasolary