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Autore: obliviate_    27/01/2013    3 recensioni
Sfidavano la sorte, Harry e Madison.
Loro, che avevano iniziato la loro vita insieme, convinti che il loro amore fosse abbastanza forte.
E se la vita tentasse in tutti i modi di separarli che succederebbe?
Il loro amore sarebbe abbastanza da tenerli uniti, da non lasciare che si spezzino?
O sarà la vita a vincere, costringendoli a ricominciare da capo l'uno senza l'altra?
"Stavo per correre giù per le scale, per cercare di raggiungerti, fermarti, dirti: ho capito. Ho guardato l'orologio ed erano già passati tantissimi minuti, da quando te n'eri andato."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4.
"15 e 19."






 

Madison.

Un brusio la fa uscire da quel sogno nero avvolto nel fumo.
La testa le pulsa ed i muscoli sono intorpiditi, come dopo un lungo sonno.
Sbatte due o tre volte le palpebre ed il bianco la invade.
Non le ha mai fatto così paura come ora, il bianco.
Richiude gli occhi.
Tutta quella luce brucia incredibilmente dopo quel sogno buio, senza sole o lampadine.
-Madison, tesoro-
-mamma, che.. che è successo? dove sono?-
Jane McCalister inizia a piangere singhiozzando senza ritegno.
Si sfoga, mentre bagna le lenzuola bianche di quello che Madison capisce essere un ospedale, pieno di stanze bianche, piene di letti bianchi e di pazienti fasciati in pigiami bianchi.
-mamma, mi spieghi che succede? Perché sono qui?-
chiede un po' alterata la ragazza, mentre la donna cerca di ricomporsi.
-Vedi, bambina mia- dice faticosamente, pesando le parole -ti abbiamo trovata svenuta in camera l'altra sera e così ti abbiamo portata qui- si tampona gli occhi con un fazzoletto stropicciato mentre la figlia la guarda in attesa -e ti hanno fatto degli esami..-
Jane si avvicina, le prende la mano.
-ti hanno diagnosticato il diabete di tipo uno Madison.-

Sai Harry, mi è impossibile impedirmi di pensare a te, anche con tutto questo dolore, in parte causato da te, perchè tu sei una costante della mia vita, la variabile impazzita che mi governa il cervello.
Sai, pensavo che è assurdo che proprio adesso che abbiamo un posto per ogni cosa ma non cose per ogni posto penso alle cose e ai posti di quando ero bambina. Il recinto scuro della sala da pranzo, steccato non di assi ma di enciclopedie, cigni di legno e di cristallo, fotografie in cornice. I gomitoli, i ferri, la macchina da cucire: i bottoni.
In fondo, assomigliano a me i bottoni.
I bottoni hanno bisogno di fili, hanno bisogno di asole, così come io ho bisogno di te per tenermi salda qui, sull'orlo della vita.
Guardo l'orologio.
Sono le 15 e 19 e questa è l'ora in cui mi manchi di più e, senza di te, è un'ora che sembra lunga un giorno, lunga come la tua ombra che si piega sulla mia, e non mi risco a spiegare perché io senta ancora la tua mancanza.
Sai, una volta mi hanno detto che nostalgia significa letteralmente "sofferenza per il mancato ritorno", che poi forse me l'hai detto tu.
Ed io, quindi, non posso fare a meno di chiedermi come mai la provo ancora questa maledetta nostalgia nei tuoi confronti, in un tu che non è più tale, ma indica un'altra persona, con gli occhi più opachi, con le fossette meno profonde, e con un amore diverso, un amore che non prevede più Harry e Madison insieme.

-Chiamalo, mamma.-

 

Harry.

E' un peso quasi insopportabile la consapevolezza di aver distrutto una cosa bella.
Soprattutto se la cosa bella siamo noi.
Perchè, alla fine, cosa sarei io senza di te, Madison?
Guardo l'orologio.
Sono le 15 e 19 e questa è l'ora in cui mi manchi di più e mi mancheresti così anche se fosse solo un'ora, così come mi manchi, così tanto anche se le ore sono poche, da contarsi sulle dita — chiedo poco, la tua voce in ogni stanza, le tue dita nei capelli, i tuoi sospiri nelle mie orecchie.
Lo sapevo che un giorno te ne saresti andata via, ma non avrei mai immaginato di essere io a farti scappare, a lasciare che piano piano scivolassi via, che di te restasse solo un ricordo, una fotografia ingiallita in una pila di altre fotografie ingiallite, segnate dal tempo e dalla nostalgia.
Già, la nostalgia, quel dannato dolore per un mancato ritorno, il ritorno nelle tue esili braccia, nella mia casa.
Sai, è la prima volta che riesco a considerare "casa" una persona.
E' una cosa bella.
Ma con te tutte le prime volte sono cose belle.
La prima volta che ci siamo parlati è un momento bello, la prima volta che ho sentito il tuo naso freddo e la tua bocca che sapeva di menta —perchè si, sappiamo di menta io e te; di menta, amore e desiderio.
Che poi tutto è più bello con te: la sera a cena che sembrava di essere in un film e il viaggio di notte, le destinazione e ancora un minuto, la nebbia, il calore di un bar a parlare e stupirsi dela gentilezza degli altri, la tenda in albergo, dormire abbracciati, aspettarti e saperti tornare.

Simon guarda il ragazzo attraverso la porta a vetri, il viso teso in una maschera di sofferenza, di nostalgia.Prende un respiro profondo e apre la porta con decisione.
-Harry, vieni, devo parlarti-
e si volta, non riuscendo a sostenere lo sguardo carico di emozioni indefinite e di lacrime mal celate — ma mai versate — del ragazzo.

  
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