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Autore: Loda    28/01/2013    4 recensioni
Se non ti guardi allo specchio, non lo vedi che stai piangendo. Ma le lacrime ne hanno anche un altro di riflesso, che è tutto interiore, ed è più crudele di esse stesse, infinitamente.
Si tratta del sangue.
"Non si tratta di essere buoni o cattivi, non si è mai trattato di questo. Ci sono solo epoche da attraversare, scelte da compiere e personalità che crescono. Nessuno vive così poco da non cambiare volto nemmeno una volta"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ventesimo capitolo
CAPITOLO XX
DIMENTICARE







Acilia non poteva crederci che Kaeso l’avesse davvero fatto. Non poteva crederci che Lyuben davvero non ci fosse più!

Ma perché non ci credi, si diceva, non lo conosci Kaeso? Non sai di cosa è capace?
Possibile che avesse davvero rimosso ogni cosa? Lyuben era morto ed era colpa sua… Che non aveva agito subito, che si era messa a far di tutto, pur di perdere tempo! Pure uscire con un umano!
Ancora lo sguardo di Dubris non lo dimenticava.
Perché sembra che non te ne freghi più un cazzo?
Non è quello, Dubris, non è che non me ne frega più…
E’ che me ne frega troppo, è forse quello il problema?
Uscì di casa quasi correndo. Aveva avvertito Jacque ed Eike di quello che era successo. Si erano sorpresi, rattristati forse, ma non era con loro che lei voleva parlare. Doveva andare da Dubris, spiegargli ogni cosa… Lui era così addolorato, si sentiva in colpa per non aver ucciso Kaeso quando poteva, neanche riusciva a guardare più in faccia Ramona! Ramona… Cosa provava lei? Acilia neanche riusciva ad immaginare come dovesse essere amare lo stesso uomo per sei secoli…Come era possibile? Come ci si riusciva? Lyuben era un uomo fantastico e, ora, dopo sei secoli il nulla, così, all’improvviso… Come si sentiva Ramona?!
Era da così tanto che Acilia non pensava alle lacrime. Dopo così tanto tempo che non puoi piangere, te lo dimentichi com’è. Però… piangere le sarebbe servito, era proprio quello che si sentiva dentro, che non poteva uscire, che la consumava e le aveva fatto fare cose stupide! Le lacrime non le aveva, ma le parole sì! Perché le aveva tenute sempre per sé? Perché non aveva fatto che allontanare tutti e tutto, senza dire niente a nessuno?
Ormai era troppo tardi…
Uscì dal proprio vialetto, camminava veloce, senza correre o prendere il volo, perché aveva paura di incontrare qualcuno.
“Emily!” fece una voce.
Acilia continuò ad avanzare, trattenendo la voglia che aveva di andare alla sua velocità. Doveva andare subito, subito…
“Ehi, Emily!”.
Ma era lei Emily.
Si voltò di scatto, come se avesse preso la scossa.
Era Curtis quello che le veniva incontro. Era vestito con una camicia leggera e al collo aveva la sua macchina fotografica.
“Ciao!” disse.
Acilia tentò di apparire naturale. “Ciao”.
“Non hai più risposto alle mie chiamate” fece lui, perplesso.
“Io… ho avuto da fare”.
“E prima non ti fermavi… Stai cercando di evitarmi?”.
Sì.
“No”.
Non era proprio il momento! Non era mai stato il momento… Che stupidaggine, uscire con un umano! Mentre cose più importanti erano da fare! Eppure anche adesso, mentre guardava il volto umano e così normale di Curtis, provava l’impulso di gettarsi tutto alle spalle, di fregarsene, di vivere come voleva lei…
“Vai di fretta? Che ne dici se facciamo un giro?”.
Quell’impulso…
Hai delle responsabilità, Acilia.
Responsabilità era una parola dalla quale troppo spesso fuggiva.
“Sì, sono di fretta” rispose.
“Da che parte stai andando?”.
Acilia indicò dritto davanti a sé. “Di qua”. Poi avrebbe raggiunto il bosco e, lì, dietro un albero, avrebbe potuto librarsi in aria e lasciarsi indietro Curtis. Era lui, solo lui, che si doveva lasciar indietro, non…
“Ti accompagno per un po’ allora”.
Questo come poteva rifiutarlo?
Sospirò. Si trattava solo di rallentare un pelo il passo, non era così terribile.
“D’accordo”.
Del resto…Affrontare Dubris non la riempiva di gioia, allontanare quel momento, anche se di poco, di pochissimo… Non le dispiaceva. Aveva paura di quello che avrebbe potuto dire, o pensare, lui, che aveva tanta fiducia in lei…
Presero a camminare insieme.
Ogni tanto Curtis si fermava, per fare delle foto.
Acilia si guardava intorno. Era una delle solite noiose strade di Horfield. Cemento circondato da qualche chiazza di verde. Cosa c’era da fotograre?
“Se non ti va più di vedermi, basta dirlo” disse Curtis, dopo un po’, trafficando con la macchina.
Sì, digli di sì!
“Non è questo” fece la voce traditrice di Acilia. Non capiva proprio cosa lui volesse da lei, era quello il punto.
Lui sembrava stesse meditando, sempre lo sguardo rivolto alla macchina. Con il dito premeva un tasto e sfogliava le immagini sul display di luoghi già immortalati. Fermò i propri passi, e alzò lo sguardo su Acilia.
“Prova a metterti lì in piedi tra l’erba. Ci sono dei fiori, prendine in mano uno”.
Acilia non si mosse. “Perché?”. Non era abituata a fare quello che le veniva detto.
“Per favore, mettiti un attimo lì” insistette Curtis.
Il suo sguardo così sereno, così distaccato, la vergogna dei ricordi lontana. Da quanto tempo Acilia non prendeva in mano un fiore?
Forse un po’ Curtis le piaceva, per quello sorpassò il marciapiede e le sue scarpe pestarono i fili d’erba. Di solito portava scarpe nere, col tacco, ma quella sera aveva fretta, e altro per la testa. Le sue scarpe da ginnastiche bianche poco consumate si macchiarono subito, ma non le dispiacque. Intorno ai propri piedi i fiori che erano sbocciati davano un tocco di colore. Non si era mai soffermata a pensare a quanto fossero belle le stagioni calde. Non si era mai soffermata su niente, in realtà, quasi duemila anni di vita e ciò che era contato qualcosa per lei erano solo i suoi stupidi sentimenti…
“Come pensavo, stai proprio bene tra il verde. Ti risalta gli occhi”.
Acilia si chinò e circondò le dita intorno ad una margherita. Le dispiaceva quasi strapparla. Lei, che aveva strappato così tante vite, provava dispiacere a cogliere una margherita? Le veniva quasi da ridere, a lei, così crudele, lei, così ipocrita.
“Prendi un fiore, dai”.
Capiva perché Curtis amasse la fotografia. Imprimere pezzi di natura, renderli eterni, come fosse una poesia…
La sua mano arretrò dalla margherita. Le sue dita si strinsero intorno al nulla. C’era qualcun altro che glielo diceva sempre, qualcun altro vedeva magia e arte in qualunque cosa, tranne che in se stesso…
Acilia si alzò di scatto, capendo all’improvviso. Curtis stava per inserire il proprio sguardo dentro l’obiettivo e lei si spostò all’improvviso dal suo campo visuale. Lui era perplesso.
Niente foto, pensò lei, spaventata e dandosi della cretina.
“Volevo solo scattarti una foto” tentò l’uomo, confuso.
“Devo andare, sul serio” disse Acilia, a costo di apparire scortese“E poi non mi sembra neanche il caso”.
Si allontanò subito, camminando piano e sicura nella direzione opposta al bosco. Sperava che Curtis smettesse di guardarla, così lei avrebbe potuto nascondersi tra gli alberi. Ma sentiva gli occhi di lui, li sentiva dietro la schiena, come due fanali, quasi la trapassavano, come un paletto di legno, lì, dentro al cuore.


Jacque ero corso nello scantinato e stava rovistando in ogni scatolone. Vecchi vestiti, vecchi oggetti, giornali, libri, piume d’oca, candelabri, pastelli colorati, rotoli di pergamena e uno di quegli aggeggi tecnologici che servivano per ascoltare la musica. Rovesciava tutto per terra, l’intero tempo del mondo era rovesciato sul pavimento, tutta la storia, riassunta in pochi oggetti impolverati.
Sentiva Eike dietro di sé, che sbuffava piano.
“Mi vuoi dire che diavolo stai facendo?”.
Jacque si voltò, trafelato. “Aiutami a cercare” disse solo, passandogli un altro scatolone.
“Cercare cosa?” ribatté Eike, senza afferrare il contenitore.
Jacque trasse un respiro profondo. “Guanti”.
“Non abbiamo dei guanti” fece l’altro, stupito “A che ci servono dei guanti? Siamo freddi come la neve! E poi è estate, lo sai?”.
“Acilia li avrà sicuramente!” sbottò Jacque.
Ma perché?”.
Jacque andò verso una cassettiera. Aprì l’ultimo cassetto e mostrò il contenuto al ragazzino. All’interno scintillavano grosse catene d’argento.
Eike spalancò la bocca. “Perché cavolo abbiamo dell’argento?!”.
“Acilia se l’è procurato qualche tempo fa. Aveva paura che un giorno uscissi di giorno col sole”.
“E ti minacciava con queste?”.
Jacque fece un gesto noncurante con la mano.
“Avrà anche dei guanti da qualche parte”.
Eike scrollò le spalle, mantenendo fisso il suo sguardo. Poi sgranò gli occhi, facendo un passo indietro. “Jacque, accidenti, quale vampiro vuoi legare come un salame?!”.
“Nessuno”rispose l’altro, allibito. Esitò, poi disse: “Voglio solo proteggere la casa di Emily”.
Non sapeva dove cercare dei guanti e stava solo perdendo del tempo. Se Kaeso era davvero al potere, nessuno sarebbe stato più al sicuro. Kaeso lo odiava il patto del sangue! Jacque lo ricordava il giorno che lui ed Emily erano stati ad Arcangelo davanti alla Rappresentanza. Kaeso aveva votato per la trasformazione della ragazza, l’aveva vista in faccia… Quanto tempo ci avrebbe messo per…
Fissò la luce che le catene emanavano stringendo i pugni.
E lui, Jacque, come si sarebbe presentato ad Emily dopo settimane che non si vedevano? Cosa le avrebbe detto? Che gli dispiaceva, che non l’amava ma che doveva ascoltarlo perché un pazzo vampiro sanguinario sicuramente prima o poi l’avrebbe uccisa?
Non importa, pensava, non importa… Non voglio che le succeda nulla, sarebbe tutta colpa mia, devo fare qualcosa!
Alzò una mano, titubante. Si fece coraggio e con uno scatto afferrò una catena. Subito sentì un dolore lancinante al braccio e le dita bruciarono come se stringessero delle fiamme. Non riuscì a trattenere un’imprecazione e aprì la mano, e la catena cadde pesantamente a terra. Distese le dita, sulle quali si erano formate piaghe e vesciche. Lentamente, dolorosamente, quelle sparirono.
Jacque si girò ansimando verso Eike, che lo guardava attonito.
“Sei matto” disse quello.
“Non so che altro fare” si difese Jacque.
“Sei matto!” ripeté Eike “Guarda che tutti gli umani sono in pericolo, mica solo Emily!”.
“Beh”sbottò Jacque“Non possiamo salvarli tutti gli umani, da qualcuno bisognerà pur cominciare, no?”.
Eike aprì la bocca, poi la richiuse. “Stai esagerando” disse dopo un po’.
Jacque lo guardò torvo. “Sono stanco di stare a guardare senza fare niente!” esclamò “E’ quello che fanno alla Rappresentanza! Stanno lì e fingonodi fare qualcosa solo quando ci sono le elezioni! Ma chi se ne frega dei diritti, a quelli come Kaeso non può essere concesso di formare un partito, quelli come lui vanno fermati subito!”.
Eike non disse nulla e lui continuò, infervorandosi. Afferrò la catena caduta sul pavimento e digrignò i denti per non urlare, mentre parlava: “Hanno in testa solo i loro stupidi sogni… senza senso, mentre potrebbero fare…qualcosa… di più concreto”.Fece un enorme respiro mentre la pelle bruciava come l’inferno e le piaghe si riaprivano. La sua mano tremava, e così il braccio, ma li ignorò. Si buttò la catena sulla spalla, con l’altra mano la fece passare più volte intorno al braccio, finché non fu stabile. Le mani, brucianti e libere, provarono sollievo, mentre la spalla si stava infiammando piano piano, protetta dalla maglia a maniche lunghe.
Eike lo guardava senza dire una parola. Non sembrava colpito da quello che aveva detto. Sembrava stesse pensando ad altro.
“Secondo te i primi ad essere in pericolo sono quelli che hanno fatto il patto?” chiese.
“E’possibile”rispose Jacque, afferrando un’altra catena, senza aspettare che le sue mani si riprendessero. Non c’era tempo! La legò intorno all’altro braccio, stringendo occhi e labbra, ansimando fiaccamente. Era come una vampata che incendiava il sangue, che si metteva a ribollire, come se la temperatura, sempre così bassa, si fosse improvvisamente alzata a livelli improponibili.
“Allora dobbiamo pensare anche a Claire” disse Eike, serio.
Jacque lo fissò, stupito, pronto a prendere una terza catena.
“Claire?”.
“Sì, Claire! Hai presente? E’ anche lei un’umana in pericolo”.
Sì, certo ma… Che c’entrava Claire con Emily? Si trattava di una situazione completamente diversa!
“Claire ama farsi succhiare il sangue, l’ha scelto lei di fare…”.Jacque si bloccò, notando lo sguardo omicida di Eike.
“Credi che le piacerebbe morire o farsi trasformare?!” ringhiò il biondo.
“No, però…”. Jacque sospirò. Il tempo scorreva.“Eike, non abbiamo idea di dove abiti Claire, la conosciamo appena… Potrebbe essere ovunque!”.
“Sarà qui a Horfield, no?” sbottò l’altro “Siamo vampiri, siamo velocissimi! Che ci costa cercarla?”.
Jacque lo guardava poco convinto e lui continuò, abbassando la voce ma sollevando il disprezzo:“Non sei davvero un eroe se ti interessa salvare solo le persone a cui tieni”.
Jacque si sentì salire la rabbia. Non aveva mai detto di essere o voler essere un eroe, non gli piaceva stare a guardare se a qualcuno veniva fatto del male ma da lì ad essere un eroe c’era un abisso! Lui non era un eroe, non lo era mai stato, si trattava sempre e unicamente del suo senso di colpa che galoppava, che lo costringeva a cercare di rimediare, di essere migliore. Perché voleva salvare Emily? Gli importava di lei, certo… Ma era perché era stato lui a ficcarla in quella situazione, il suo senso di colpa non avrebbe retto se lei fosse morta! Si trattava solo di quello… A Claire invece non doveva niente!
“Eike”disse, cercando di mantenere la calma “Ti prometto che Claire starà bene. La cercheremo, ma ora andiamo da Emily! Aiutami!”. Indicò le catene nel cassetto.
Eike esitò per qualche attimo poi, con sguardo serio, prese una catena e, tra le grida, se la mise intorno al braccio. Era caduto sulle ginocchia, tremante, e Jacque si sentì mortificato.
“Basta quella”disse. Si fece coraggio e prese una terza catena tra le mani. L’avrebbe portata così, ce l’avrebbe fatta.“Ora andiamo, presto” digrignò tra i denti, mentre le mani velocemente si arrossavano. I due risalirono in fretta per la scala e le mani di Jacque presero a fumare. Sul pavimento cadevano gocce di sangue caldo.
Uscirono di casa e corsero velocissimamente, senza il timore che qualcuno li potesse vedere. Eike andava più veloce però, Jacque era tremendamente affaticato, e ad ogni passo gli veniva da urlare, da mollare la catena per terra. Ma tenne ben ancorate le dita intorno a quella trappola, e se il dolore cresceva, la stringeva più forte. Se avesse allentato la presa, sarebbe stato sempre più tentato di lasciarla cadere, e l’avrebbe fatto.
Ad un certo punto si mise a correre a velocità umana. Eike se ne accorse, e lo aspettò. Jacque si diceva di resistere, che mancava poco, pochissimo! Casa di Emily non era lontana, ma ora, in quel momento, sembrava così distante… La vista gli si stava offuscando, le gambe erano pesanti. Se la morte non l’avesse già esperita, avrebbe pensato che era proprio quello che gli stava accadendo.
“Jacque… Ci siamo, dai, ci siamo!”.
La voce di Eike gli arrivava come un eco confuso, ma lui la seguì.
Quando furono davanti alla casa di Emily, inciampò sui propri passi. Si sentiva talmente stanco, si sarebbe sdraiato a terra volentieri…Quasi cadde ed Eike lo aiutò a tenersi in piedi. Insieme avanzarono verso la porta e Jacque suonò il campanello. Eike gli disse qualcosa come: “Cosa credi di fare quando ci apriranno?”.
La porta di casa si aprì e Jacque scivolò dentro senza neanche guardare chi l’avesse aperta. Fece cadere tutte le catene che, con un tonfo e un tintinnio, si poggiarono sul pavimento. Si guardò le mani, che non avevano più pelle, poi alzò lo sguardo e con la vista che lentamente gli tornava si guardò intorno. Una figura bassa e grossa gli stava urlando contro.
“Ma chi sei?! Cosa ci fai qui?! Che hai fatto? Ti senti bene? Ehi… Riesci a sentirmi?”.
Jacque finalmente mise a fuoco. Era una donna abbastanza avanti con l’età, forse era la madre di Emily…
Sentì dei passi frettolosi e dalla rampa di scale lì vicino apparvero varie persone.
“Che succede, Rosie?” fece un uomo corpulento.
Accanto a lui spiccava una ragazza alta e dai folti capelli biondo scuro. Quando lo vide spalancò la bocca. I suoi occhi corsero dalle mani ustionate di lui alle catene d’argento schizzate di sangue sul pavimento.
“E’un vampiro!”gridò. Ci furono delle urla, la signora che gli aveva aperto la porta fece un salto indietro e la ragazza alzò il braccio, con sguardo rabbioso, stringendo nella mano una pistola caricata con proiettili di legno, e gliela puntava addosso, dritto al cuore, pronta a sparare.


Eliza si sforzava di mangiare ogni giorno. Non poteva lasciarsi morire di fame, non poteva farlo finché sua figlia era in vita. Non poteva assolutamente abbandonarla con quei mostri.
Spinse il piatto verso Charlene.
“Avanti, tesoro, mangia” disse, tentando un sorriso convincente.
La bambina lanciò un’occhiata alla fetta di carne spezzettata sul piatto senza dire niente. I ricci oscillarono mentre girava la testa per guardare la soglia della cucina. Un vampiro dal volto impassibile le stava tenendo d’occhio, le guardava mangiare, con quello sguardo maniacale, come se volesse anche lui nutrirsi, nutrirsi di loro.
“Charlene”chiamò Eliza, allungandosi e portando la mano alla testa della bambina“Girati, dai, mangia”.
Charlene si voltò e impugnò la forchetta. Le punte della posata inforcarono un pezzo di carne, che viaggiò lentamente verso la boccuccia della bambina. Gli occhi erano bassi, mentre mangiava. Aveva perso la sua vivacità, Charlene.
Eliza si portò una mano alla bocca, per nascondere il suo sorriso che spariva. Socchiuse gli occhi e all’internò della sua stessa mano sospirò forte.
Si sforzava di non piangere quando la paura la prendeva come una stretta soffocante, mortale.
“Mamma, quando ce ne andiamo?” chiese Charlene, la forchetta in mano con un pezzo di bistecca a mezz’aria.
“Presto” disse Eliza “Ce ne andremo presto”.
“Voglio andare a casa” insistette la bambina.
“Non ora… Ora non si può. Non si può ancora”.
Charlene ripeteva sempre le stesse cose. Ma aveva smesso di chiedere il perché.
Ci troveranno prima o poi, si diceva Eliza, verranno a salvarci. Ma quanto tempo sarebbe passato ancora? Quanto avrebbe dovuto aspettare? Cosa sarebbe successo nel frattempo?! Cosa sarebbe diventata sua figlia, una bambina dal volto inespressivo, non quello di chi ha guardato troppa televisione ma quello di chi vive il terrore e dopo un po’ non lo sente più… Cosa pensava Charlene? Cosa le aveva detto quel mostro?
La forchetta cadde e la bambina rimase a guardarla senza muovere un muscolo.
Cosa voleva lui da loro?!
“E’ finito il tempo per mangiare” disse il vampiro sulla soglia, rimanendo impassibile.
Eliza, senza una parola, si alzò, ignorando le gambe che tremavano. Prese Charlene per mano e la fece stare dietro di lei mentre andava verso la soglia. Si costrinse a mantenere il contatto visivo con il vampiro. Era basso, col capello corto, aveva l’aspetto di un ragazzo, solo un ragazzo… E’ solo un ragazzo, si diceva, non ci pensare, non ci pensare!
Quando incontrava gli occhi di quelle creature il suo labbro cominciava a tremare, e la mano stringeva più forte quella di Charlene. Cosa c’era dentro la testa di quei mostri? E loro… loro sarebbero dovute diventare come loro?! Sua figlia… la sua bambina…
Il vampiro si spostò per farle passare e le due, attraversato il corridoio, si trovarono nell’angustiante salone. Non riusciva a trattenere un qualcosa che stava tra il lamento e il grido, ogni volta che entrava.
Sul divano di pelle rossa stava il cadavere di una ragazzina mezza nuda, con la pelle pulita e livida di freddo, la bambola con cui avrebbe dovuto giocare Charlene. Svetlana, un vampiro donna, le era seduta accanto, con la sua testa nel grembo, e le pettinava i capelli con una vecchia spazzola. Rivolse loro uno sguardo altezzoso, quando entrarono. Charlene si nascondeva dietro di Eliza, si aggrappava alla sua gamba mentre Eliza le premeva la testa contro il suo fianco.
Prima che si potesse rendere conto che qualcuno aveva aperto il portone, il mostro dai capelli neri e dagli occhi blu era già in casa.
Kaeso, lo chiamavano.
“Sono tornato”salutò, con un sorriso. Qualcuno ricambiò ma Eliza lo guardava, e tremava. Non riusciva a spiegarsi come un corpo così perfettamente umano potesse racchiudere l’animo più nero… Come potevano i suoi occhi nascondere un’anima?! Perché senza anima non c’è vita… Che mostri erano i vampiri?! Quale misterioso, orribile scherzo della natura…
“Eliza” disse Kaeso, avanzando verso di lei e accarezzandole una guancia “Oggi ho una sorpresa per te”.
Istintivamente Eliza strinse più forte a sé Charlene.
“No, Eliza” disse ancora lui, continuando a guardarla negli occhi“Dovrai separarti da lei, dovrete stare separate, per un po’”.
Eliza distolse lo sguardo, ricordando che i vampiri potevano incantare. Si ritrovò faccia a faccia con gli occhi di Charlene, che la spiavano da dietro la schiena. Voleva sorridere per lei, ma non ci riusciva… Non ci riusciva… L’essere che aveva ucciso parte della sua famiglia, che aveva ucciso Ralph, la stava toccando, e lei non poteva sopportarlo… Non poteva…
La mano di lui scivolò lungo il viso e arrivò a prenderle il braccio. La sua stretta era molto forte. Le tirò il braccio e lei si mosse con lui, trascinandosi dietro Charlene.
Kaeso ridacchiò.“Attaccate con la colla”.
Si voltò verso il portone e disse a qualcuno di entrare.
La porta si aprì e un quarto vampiro – quanti ce n’erano?! – entrò, trascinandosi dietro un uomo bendato con pochi capelli, che si dimenava con aria arrabbiata.“Lasciami! Dove mi stai portando?! Che diamine!”.
Quando furono fermi, la sua voce e i suoi arti si placarono. Prese a respirare, irregolarmente, mentre, cieco, si guardava intorno.
“Voglio che la razza umana continui, Eliza” disse Kaeso, senza lasciarle andare il braccio “E tu mi sarai molto preziosa in questo senso”.
“Co…Cosa?”boccheggiò Eliza, guardando impietrita l’umano, che, udita la voce di Kaeso, si era fatto attentissimo.
Kaeso la lasciò andare e allungò una mano verso Charlene.
“Vieni, piccola, vieni con me, ora la mamma ha da fare”.
Eliza si parò davanti alla sua mano. “Non la toccherai”disse, sentendo il suo volto che si deformava in una maschera cattiva. La paura c’era, ma la rabbia, quella era tantissima…
Kaeso la guardò, seriamente.
“Comprendo la tua paura per la tua bambina, Eliza” disse “Ma ti assicuro che non le farò niente”.
“Come non hai fatto niente a Ralph?!”. La voce della donna proruppe in un pianto.
Kaeso fece un mezzo sorriso. Poi la prese per le spalle e la spostò con la forza. Lei non poté fare niente per fermarlo e lui aveva già Charlene in braccio.
“Ti sfugge una cosa, dolcezza” disse, trotterellando “Io non ho mai assicurato niente a nessuno sul destino di questo Ralph”.
Charlene non sembrava spaventata e questo rassicurò Eliza ma nulla poteva impedire quella sensazione indicibile di panico che le prendeva il cuore quando vedeva la sua bambina in quella casa, lontana da lei, in braccio a un vampiro!
“Potete andare a divertirvi, ragazzi, scegliete la stanza che volete”disse Kaeso “Potete stare anche qui, per me non ci sarebbero problemi ma… Immagino che tu, Eliza, sia una pudica, sì, lo sospettavo…”.
“Cosa…cosa…Cosa sta succedendo?!” sbottò la voce dell’umano bendato, con le braccia aperte in allerta, le gambe pronte a fuggire.
Kaeso sembrò accorgersi solo in quel momento che l’uomo aveva una benda sugli occhi. “Oh, per Polluce, toglietegli quella benda!”.
Il vampiro che aveva scortato l’umano obbedì all’istante e quello strabuzzò gli occhi, per poi guardarsi con aria spaesata intorno. Il suo sguardo intercettò il cadavere sul divano e la bocca mandò un lieve urlo.
“Chi siete?! Cosa volete?!”.
Era un uomo vestito bene, sembrava un borghese, di quelli abituati alla vita più facile e che quando si trovano davanti a una situazione non prevista si lasciano invadere dal panico.
“Dove sono?!”.
Charlene emise un singhiozzo e Kaeso le diede un buffetto sul naso, con un sorriso che Eliza avrebbe voluto a fare pezzi. Avrebbe voluto buttarglisi addosso, strappargli i capelli… avrebbe voluto fare qualcosa! Ma lui l’avrebbe uccisa. La sua vita era appesa ad un filo e lei non poteva permettere di lasciarla cadere. Che Charlene stesse bene, era questa la cosa più importante, e senza la sua mamma, in braccio a quel mostro… non sarebbe potuta stare bene.
“Lei è il signor…?”. Kaeso si era rivolto all’uomo spaventato.
“Russell” rispose quello, affrettandosi a riprendere il controllo.
“Signor Russell”disse Kaeso, affabile “Lei è stato scelto per dare un seguito alla razza umana”.
“Un seguito… un seguito a cosa?!” fece quello, allibito “La razza umana non è certo in via d’estinzione!”.
“Quello che dico anch’io” giunse una voce femminile infastidita. Svetlana aveva poggiato la spazzola sul bracciolo del divano e seguiva la scena con varie smorfie.
“Preferiamo non correre rischi” ribatté Kaeso “Deve essere tutto perfetto”.
L’uomo prese coraggio e gli si avvicinò, esibendo un dito corto e grassoccio. “Io sono sposato, ma che crede?! Ho moglie e figli! Ma chi accidenti è lei?!”.
Kaeso sembrò quasi mandare lampi di luce dagli occhi. Distese la bocca in un sorriso e dal labbro superiore spuntarono le sue zanne. Charlene emise un urletto ed Eliza fece un respiro profondo.
“Sono uno che faresti meglio a non fare arrabbiare”.
Russell subito indietreggiò con un mezzo urlo. Tremava vistosamente. “Siete tutti… tutti…”.
“Philippe”lo interruppe Kaeso, voltandosi verso il vampiro dal volto giovane“Accompagnali in una stanza, e dà loro istruzioni”.
Istruzioni?!
“No” fece Eliza con un filo di voce “No…”.
Philippe afferrò sia lei che Russell e li trascinò su per le scale. “No!” continuava a dire inutilmente. Il suo sguardo cercava disperato quello della figlia. Voleva guardarla, dirsi che sarebbe andato tutto bene, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei ma lei aveva il visetto corrucciato e abbassato e per Eliza fu come una pugnalata. Continuava a dire nomentre Philippe tirava lei e l’altro umano senza alcuna difficoltà, continuava a trattenere le lacrime, ma che utilità c’era, se Charlene neanche la guardava? Una volta che furono al piano di sopra scoppiò a piangere ma dimenarsi come faceva Russell era inutile, tutto inutile…
La razza umana non è certo in via d’estinzione!
Perché Kaeso aveva detto di non voler correre rischi?! Cosa stava succedendo?! L’intero mondo sarebbe forse stato governato dai vampiri?!
“Oh mio Dio…” si lasciò sfuggire tra in singhiozzi, mentre Philippe apriva la porta di una camera.
“Starete qui”disse, spingendoli all’interno. Si rivolse a Russell.“Hai tempo tre giorni per metterla incinta”.
Russell spalancò subito la bocca, indignato, ma Philippe andò avanti. “Se non ce la farai, saremo costretti ad ucciderti”.
“Cosa c’è dentro la tua testa?!” esplose Eliza, guardando il vampiro “Perché lo fai?! Perché siete così malvagi?!”.
Philippe la guardò perplesso. Aveva davvero l’aria di non aver compreso.
“Malvagi?”fece“Curioso. E’ così che vi definite voi quando fate lo stesso con gli animali?”.
Chiuse la porta prima che i due avessero il tempo di rispondere.
Passò qualche attimo di silenzio, poi Eliza si voltò a guardare Russell, impaurita.
Lui era sudato in volto e respirava forte, ansante.
“Non voglio morire…” fece con un flebile filo di voce. La guardava con le sopracciglia alzate, gli occhi sgranati e la bocca posta in una strana, storta smorfia, specchio del non sapere cosa dire, per la paura.
“Non voglio morire”ripeté con la voce un po’ più alta, impastata e frammentata dal terrore “Non voglio morire! Non voglio morire!”.
Russell si mise ad urlare quella stessa maniacale frase più volte, in un orribile impulso di giustificazione, ed Eliza si premette le mani sulle orecchie, per non ascoltare, scivolando giù, con le ginocchia sul pavimento, scoppiando a piangere, in attesa del suo destino.


“Lydia, no! Non sparare!”.
Emily si era buttata al fianco dell’amica, con sguardo implorante. Aveva riconosciuto Jacque, non sapeva perché fosse lì e il cuore le batteva all’impazzata. Pensare che solo premendo il grilletto, la sua vita sarebbe finita… No, era insopportabile!
Lydia si voltò allibita verso di lei, senza abbassare l’arma. “Ho detto che è un vampiro!”.
“Spara!” la incitò il signor Dixon.
La moglie si era fatta piccola piccola contro la parete, con gli occhi sgranati e un’espressione terrea.“L-lydia”balbettò, con voce mozzata dalla paura“S-spa…”.
“NO!” strillò Emily, correndo verso Jacque. Allargò le braccia e gli si parò davanti.
“Emi” fece Michael, stralunato “Ma che stai facendo?”.
La madre si era messa ad urlare e il padre le intimava di venire subito via, di allontanarsi da quell’essere mostruoso…
Emily li ignorò. I suoi occhi erano unicamente per Lydia.“Lydia, per favore… Metti giù la pistola, non ci farà del male” disse, con calma. Ma il cuore che batteva forte la tradiva.
Sentì qualcosa dietro di lei che cadde pesantemente. Si voltò e subito si chinò sul corpo di Jacque, a terra, che respirava irregolarmente, e tremava.
“Jacque”fece“Jacque…Che ti è successo? Perché avevi dell’argento addosso?”. Le sue mani… Le sue mani non avevano più pelle, erano solo pugni di sangue.
“Emily!” gridò Michael, in allarme.
Jacque?!” stava dicendo il padre, isterico “Hanno pure un nome quei cosi?”.
Emily si sentì le lacrime agli occhi, mentre vedeva Jacque così sofferente, lui così forte, come poteva stare così male… Si voltò arrabbiata verso suo padre. “Erano umani prima di diventare dei vampiri, papà! Certo che hanno un nome!”.
Suo padre era allibito e lei aiutò Jacque a mettersi a sedere. Lui la guardava quasi spaesato, gli occhi erano sofferenti, in quelle condizioni lui sembrava così…umano. Emily trattenne l’impulso di abbracciarlo e si voltò verso Lydia, per vedere se aveva abbassato la pistola. L’aveva fatto e la guardava stringendo gli occhi, con un volto strano. “Jacque? Emily…E’ lui? Sarebbe lui Jack?”.
Emily non trattenne più le sue lacrime, quelle scorrevano senza pietà sul suo viso, che sentiva come quello di una svergognata, che veniva beccata mentre faceva l’amore con un mostro.
“Che… Che cosa significa? Emily?!” stava dicendo suo padre.
Emily lo ignorò. Perché Jacque aveva fatto questo? Perché era entrato in casa sua?! Lo voleva toccare, sfiorargli una guancia, ma non ne aveva il coraggio… Lui ancora respirava fiaccamente. Ti vuoi decidermi a parlarmi, pensava Emily, cosa sei venuto a fare? Perché sei qui?!
La porta cigolò piano e un ragazzino con un’espressione poco felice entrò nella casa. Anche lui poggiò al pavimento una grossa catena d’argento.
“Eike”fece Emily, sentendo che l’ansia che prendeva il sopravvento su di lei“Che sta succedendo?!”.
“E’un altro vampiro?” fece Michael, facendo un passo avanti, con un’espressione di vivace curiosità, passata la paura.
“Michael, stai indietro!” gli ordinò il signor Dixon e il ragazzo si fermò.
Eike si chinò insieme ad Emily su Jacque.
“Ha bisogno di sangue” spiegò “Portare tutto quell’argento fino a qui l’ha stancato troppo”.
“Perché?!”sbottò Emily “Perché avete portato dell’argento? Perché siete venuti qua?”.
Jacque tossì e sputò sangue. Poi fece un enorme sospiro e guardò Emily in faccia. Le sfiorò una mano, debolmente. Lei quasi sussultò. “Mettete… Queste catene a ogni ingresso… E a ogni finestra” disse lui con voce fioca.
Ad Emily cadde lo sguardo sulle loro mani vicine. Ora anche la sua era sporca di sangue. “Scusa…Ti ho sporcato”biascicò Jacque.
“Jacque” fece lei, seria “Cosa sta succedendo?”.
“Kaeso è al potere”spiegò Eike, tranquillo. Avanzò verso gli altri, che lo guardavano atterriti. Alzò un sopracciglio.
“Sentite”disse, ignorando la signora Dixon che aveva cominciato a lanciare degli squittii“Abbiamo fatto una gran fatica a portare qui quest’argento per proteggere voi dai vampiri del PO. Il minimo che possiate fare è muovere il culo e metterlo alle finestre e alla porta, non vi pare?”.
Il signor Dixon indicò Eike con un lungo e tremante dito e guardò Emily. “Emily… N-non credi che dovresti darci qualche spiegazione?”.
Emily, seduta per terra, cercava di rielaborare quello che aveva appena saputo. Kaeso… Al potere? Questo significava…
Di scatto si alzò e andò verso la sua famiglia.
Tutti la guardavano spaventati, tranne Michael, che aveva un’espressione assolutamente incredula, quasi ilare. “Mi sembra chiaro, papà! Emily è amica dei vampiri, che forza!”.
Emily lo ignorò. Si sentiva male, malissimo. Col suo stupido articolo– tutto era partito da lì – e il conseguente patto del sangue stava mettendo in pericolo tutta la sua famiglia! E anche Lydia, che si trovava a casa sua da un paio di giorni, perché aveva litigato con Sam…
“Vi spiegherò ogni cosa” disse, con voce tremante “Ma ora mettete l’argento sui balconi. Serve per proteggerci dai vampiri”.
“A cosa serve” fece la voce di Lydia, seria e profonda, come se fosse arrabbiata “se abbiamo già dei vampiri in casa?”.
“Loro non ci faranno niente!” esclamò Emily, spazientita. Ma perché non si fidavano di lei? Comprendeva la loro paura ma… No, forse non la comprendeva. Per lei era così facile fidarsi di Jacque, e anche di Eike, si era già dimenticata il terrore che l’aveva invasa la prima volta che li aveva visti?
Michael con un balzo afferrò una catena d’argento e andò verso la finestra del salotto. Passò qualche attimo prima che i genitori imitassero il suo esempio. Lydia però rimaneva immobile, fissava Emily intensamente, come se cercasse di capirla, di capire perché… Era lo stesso sguardo con cui Emily fissava se stessa, a volte, o con cui avrei avrebbe voluto fissarsi. Uno sguardo accusatorio che le diceva che era totalmente impazzita.
“Con un vampiro, Emily?” fece Lydia, quasi disgustata “Un vampiro? Tu sei malata”.
Emily fece per aprire la bocca, indignata, ma poi qualunque possibilità di replica le morì in gola, perché non lo sapeva con esattezza cosa dire in sua difesa. Cosa poteva dire? Jacque era un morto pieno di sangue e nient’altro, e lei era malata.
Notò che Eike era arrivato al suo fianco e che guardava Lydia con le sopracciglia alzate. La ragazza sembrò innervosirsi e il vampiro estrasse le sue piccole zanne con un ghigno. Lydia quasi fece un salto all’indietro, abbandonando la sua espressione di disgusto.
“E tu sei ridicola”disse Eike. Lydia fece per allontanarsi ma lui continuò a parlare: “Prima di essere un vampiro, Jacque è un grandissimo uomo”. Si voltò verso Emily, mutando espressione da divertita a preoccupata. “Ha davvero bisogno di sangue”.
Emily si voltò all’indietro. Jacque era ancora seduto per terra, e continuava a sputare sangue.
Si girò di nuovo verso Eike, col cuore che batteva forte. “Se non beve del sangue cosa succede? Potrebbe… morire?”.
“No”disse Eike“L’argento non ci uccide, ma ci indebolisce parecchio. Il nostro corpo ha bisogno della giusta quantità di sangue per poter rimarginare le ferite”.
Emily non capiva.“E se non ne ha abbastanza di sangue?”.
“Starà sempre peggio, senza poter morire”.
Ancora lei non capiva bene, ma non poteva lasciarlo così! Non poteva assolutamente, lui era venuto da lei per metterla in guardia, le aveva portato tutto quell’argento...
Si guardò le braccia, inspirando a fondo.
“Emily, no” disse subito Lydia “Non penserai di…”.
“Devo farlo”ribatté la ragazza.
“Ma sei impazzita?!”sbottò l’amica “Si può sapere come ti salta in mente una cosa del genere?!”.
Emily si voltò verso Eike. “Quanto sangue gli serve?”.
“Ne basta un po’”disse lui, annuendo. Guardò Lydia, tentando un’espressione rassicurante, ed era strana, sul viso di Eike. “Non la ucciderà”.
Lydia aveva la bocca spalancata, sconvolta, e Emily le diede le spalle, camminando verso Jacque. Le giunse da dietro la voce dell’amica.“Emily, perché vuoi farlo?! Per cosa?! E’ un vampiro!”.
Emily si voltò di scatto, sentendo un malessere che la prendeva e la stritolava. Non era rabbia quella che le uscì dalla bocca, solo una grande frustrazione. “Lo so bene che è un vampiro!” esclamò, con le lacrime agli occhi“E’ per questo che non posso stare con lui…”.Singhiozzò, senza volere, mentre le lacrime diventavano sempre copiose. Credeva di poterlo dimenticare Jacque, ma così… Come poteva farlo? Si inginocchiò di fianco al ragazzo –perché era questo che era, un ragazzo – e gli prese il volto tra le mani, per farsi guardare.
Sentì dietro di sé Lydia emettere uno sbuffo angosciato mentre Jacque aveva solo il volto confuso.
Emily gli mise davanti il braccio. “Jacque, bevi” disse, con voce tremante. Non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe arrivata a questo… Ma non sarebbe successo niente, si diceva, quasi tutte le persone esistenti sulla Terra erano state morse, Jacque mordeva gente ogni sera per nutrirsi, e non li uccideva, non li uccideva mai! Dopo tutti tornavano tranquilli alle loro vite, avevano solo una ferita… Una semplice ferita… E poi, non sarebbe stato certo peggio del patto del sangue! Le avevano iniettato del sangue di vampiro, del veleno, nel corpo… Farsi risucchiare del sangue non poteva fare più male…
Ma Jacque non aveva neanche estratto le zanne. Scuoteva la testa. “No… Non posso farti questo”.
“Jacque, stai male! Ti prego…”.
Lui continuava a scuotere la testa e lei prese a piangere più forte, impotente. “Per favore”singhiozzò “Fammi fare qualcosa per te, lasciati aiutare da me… Per una volta…”.
Jacque socchiuse gli occhi, come se riflettesse esasperato. Ma le sue narici si dilatarono ed Emily capì che lui ne aveva una gran voglia, del suo sangue. “Potrei non riuscire… a fermarmi”.
Il cuore di Emily saltò un battito. Jacque stava talmente male, aveva bisogno di talmente tanto sangue che… avrebbe davvero potuto ucciderla? No, Emily non ci credeva.
“Ti fermerai” disse la voce di Eike, da qualche parte “So che lo farai, Jacque”.
E’vero, si diceva Emily, è vero, si fermerà…Avvicinò il braccio al naso di Jacque, decisa. Sentiva il cuore che batteva, per paura e per amore, mescolati insieme, le sue labbra tremavano, gli occhi talmente impregnati di ansia la smisero di secernere lacrime.
Jacque fece un enorme sospiro, allargando ancora di più le narici e i suoi canini si allungarono. Lydia emise un piccolo urlo ed Emily si voltò a guardarla. L’amica aveva gli occhi pieni di lacrime, sbarrati, la pistola che aveva in mano tremava, insieme al suo braccio.
Poi Emily, mentre ancora guardava Lydia, sentì qualcosa che con uno scatto crudele le bucava la pelle, gliela stracciava e lei urlò fortissimo. Strinse gli occhi e i denti, digrignando qualcosa, stringendo a sé l’altro braccio come fosse una protezione. I denti di Jacque si erano insinuati nella sua carne, ed era terribile ma poi sentì il flusso del suo stesso sangue che usciva, che spingeva verso l’esterno, tirato e risucchiato e lei provò un fortissimo capogiro, buttò indietro la testa e quasi non si rese conto che aveva ripreso ad urlare.
Insieme alla sua sentiva altre voci urlanti nelle sue orecchie. C’era una gran confusione, riusciva solo a distinguere una voce grossa. Doveva appartenere a suo padre.
Tranquilli, andrà tutto bene…
Ma la vista le si stava offuscando, tutto era sempre più caotico e strano, dentro la sua testa, e fuori, il suo braccio quasi non lo sentiva più.
“Jacque, ora ti devi fermare! Basta!” gridava qualcuno.
Il sangue continuava ad uscire e lei chiuse gli occhi, abbandonandosi al freddo torpore che la stava invadendo.
Poi sentì un rumore forte, strano. Sembrava uno sparo, un colpo di pistola. Il rumore la risvegliò per un momento, aprì gli occhi e vide il bianco soffitto.
Riuscì a rendersi conto che il sangue aveva smesso di uscire, e il dolore stava passando.
Ma poi il bianco che vedeva divenne grigio, sempre più scuro, e poi nero.


“Potevamo averlo ucciso! Potevamo averlo già ucciso!”.
“Vicky, per favore…”.
Victoire guardò Ramona con sguardo allibito.
“Vuoi difenderlo? Continui a difenderlo? Se Dubris avesse fatto quello che doveva ora Lyuben non sarebbe…”.
“Lo so!” gridò Ramona, con una voce talmente alta e arrabbiata che non sembrava neppure potesse essere sua.
Victoire tacque e tutti puntarono gli occhi su Ramona.
Quella si alzò dalla sedia, le gambe tremanti ma il volto oscurato da un’immagine di dolore. Anche i suoi ricci, sempre così perfetti, parvero essersi afflosciati.
Guardò i presenti, e così fece Acilia, seduta al suo fianco. Dubris aveva il volto inespressivo, Luca aveva l’aria di chi doveva vomitare, altri erano spaventati, altri ancora solo spaesati. Acilia e gli altri avevano deciso di aprire la porta delle loro riunioni–che non si potevano più tenere alla Sede di Arcangelo, usurpata con l’omicidio – a tutti coloro della Rappresentanza che fossero contro Kaeso, di qualunque partito fossero. Ed era così triste vedere che in quella stanza che apparteneva alla casa di Dubris erano solo in quattordici.
“So di essere la più giovane qui in mezzo, di non avere nessun’autorità e nessun potere decisionale” disse Ramona, con le labbra così incurvate verso il basso da far sembrare il suo volto coperto da una maschera teatrale “Ma so che Lyuben non avrebbe mai incolpato Dubris. Quindi, per favore, non dite nulla contro di lui…”.
Dubris socchiuse gli occhi e strinse le labbra. Acilia sapeva che lui continuava a sentirsi tremendamente in colpa. E sapeva anche che lui credeva che in realtà Ramona pensasse l’esatto contrario di quello che aveva appena detto. Altrimenti gli avrebbe parlato, si sarebbe sfogata con lui… Era come se qualcosa dentro di Ramona lottasse tra ciò che era giusto e ciò che era naturale, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la sua rabbia…
“E poi Lyuben aveva ragione” intervenne Luca “Pensare al passato è inutile”.
Nessuno ebbe da ribettere, neanche Victoire che incrociò le braccia sopra il ventre, con lo sguardo triste rivolto al pavimento.
Acilia guardò inavvertitamente Dubris, l’unico lì in mezzo che ora sapeva.
Anche lui la stava guardando. Entrambi sapevano che pensare al passato non era inutile, il passato bisognava conoscerlo, bisognava mostrarlo, imparare da esso, per poter fronteggiare il presente.
Dubris continuava a fissarla e lei capì che era giunto il momento di parlare. La notte prima, quando lei era stata da lui, l’amico l’aveva osservata senza crederle, poi l’incredulità era diventata durezza, biasimo.
Acilia si fece coraggio e aprì la bocca. L’aria le entrò subito dentro e per un momento le parve di soffocare. Ma non poteva più tacere…
“Devo dirvi una cosa” disse. La voce le usciva più bassa del solito. Timorosa, vergognosa…
Tutti si voltarono verso di lei, avidi di sapere qualunque cosa, qualunque informazione che potesse essere utile. Ma Acilia avrebbe preferito che Ramona non la guardasse così, con gli occhi tristi e spalancati. Avrebbe preferito proprio che non ci fosse, che uscisse dalla casa, che non sentisse mai quello che lei aveva da dire.
Sospirò, poi le parole le uscirono di bocca veloci, come se in realtà non avessero aspettato altro che venir fuori ed essere scoperte, per alleggerire la coscienza.
“So come poter fermare Kaeso”.



Mediolanum, 263


Non riusciva a trovarla, si era nascosta davvero bene.
Viridio accettò mentalmente la sfida, allegro. Amava giocare con Iulia, amava farla divertire. Stava nei campi intere giornate di sole, ma quando calava la sera, nonostante fosse stanco, voleva passare del tempo con sua figlia. Le cose stavano andando bene, e quella sera per cena Prisca sarebbe riuscita a preparare qualcosa di più che una semplice zuppa d’orzo. Lui e Iulia erano usciti di casa vedendola al lavoro con bietole, cipolla, lenticche e formaggio e la bambina, così magra, si stava già leccando i baffi.
Viridio passò oltre il sentiero di ghiaia, sentendo i sassolini che sbattevano contro i suoi sandali. Il suono era gradevole e l’odore che si alzava con la povere non gli dispiaceva. Fuori dal sentiero, calpestò l’erba. I lunghi fili gli solleticavano i piedi e le gambe nude e lui amava quella sensazione. Nonostante tutti gli sforzi e la fatica, sentiva di amare la natura e la vita, quella che aveva trovato in sua moglie, quella che aveva dato a sua figlia, e la sua, così misera ma così perfetta.
Cercò tra i cespugli, dietro gli alberi, rovistò tra cumuli di foglie secche.
“Iulia” chiamò, consapevole che non avrebbe avuto risposta “Dove accidenti ti sei cacciata?”.
Misurò a grandi passi il prato ma di Iulia non c’era traccia. Gli venne una brutta sensazione, di quelle che gli venivano ogni volta che non vedeva la bambina nelle sue immediate vicinanze. E se le fosse successo qualcosa? Se si fosse fatta male? Se fosse stata rapita?
Cominciò a correre e continuava a chiamarla, sempre più angosciato. Cos’avrebbe detto a Prisca se fosse tornato a casa senza loro figlia? In tutti i suoi ventotto anni di vita non aveva mai avuto paura maggiore di quella di perdere le persone più care, e da sette anni le persone più importanti in assoluto per lui erano Prisca e Iulia.
“Iulia, vieni fuori, dai!” gridava.
I sandali ora calpestavano con violenza erba e sassi, tutto, Viridio non si curava più di niente, la natura, così splendita, si era trasformata in un mostro che aveva risucchiato sua figlia…
“Ma padre… Sono qui!”.
Viridio si voltò, trafelato.
Iulia sembrava appena sbucata dal nulla e correva verso di lui ridacchiando.
I capelli scuri un po’ ruffi erano mossi dal vento e a Viridio venne voglia di prendere in braccio la bambina e stringerla.
Quella si fece sollevare mostrando un leggero ritegno. “Sei proprio una frana in questo gioco”disse, con una smorfia, puntandogli addosso due grandi occhi blu soddisfatti.
“Sono una frana?”ribatté Viridio, con un sorriso “Adesso mi nascondo io e tu mi cerchi! E vedremo chi sarà la frana, che ne dici?”.
Iulia rise e fece di sì con il capo.
Il padre la poggiò a terra e le sistemò la tunica sporca e troppo corta. Si chinò sulle ginocchia per guardarla in faccia.“Adesso chiudi gli occhi e ripeti Sono una bambina bella, brava, buona ma non riuscirò mai a trovare mio padre”.
Iulia alzò una gambetta e col piede pestò il suolo, con una mezza risata.
“No, mi rifiuto”.
“Sì, invece. Ripeterai questa frase così io avrò il tempo di nascondermi, capito?”.
“Uffa”.
Viridio le scrollò le braccia prendendola per le mani. “Forza, cosa devi ripetere?”.
Iulia sbuffò ma poi obbedì: “Sono una bambina bella, brava, buona ma non riuscirò mai a trovare mio padre”.
Viridio le diede un bacio in fronte. “Bravissima. Ora ripetilo ancora, però con gli occhi chiusi e più lentamente!”.
La bambina incrociò le braccia al petto e chiuse gli occhi. Subito lui corse via a cercare un posto dove nascondersi mentre la voce di Iulia che ripeteva la cantilena gli raggiungeva le orecchie.
Scorse delle pareti bianche dietro a degli alberi, probabilmente appartenevano a una vecchia casa abbandonata, perché lì intorno non ci abitava nessuno. Corse verso la casa e si nascose dietro di essa. Con la testa sbucò oltre la parete e controllò la figlia che, in lontananza, aveva appena cominciato a guardarsi intorno.
Ridacchiò piano, mentre la guardava correre in qua e in là.
Un respiro sommesso che sentì alle sue spalle lo fece smettere di ridere e lui si voltò di scatto.
Dietro di lui c’era qualcuno e per lo spavento emise un’esclamazione ma poi si calmò, vedendo che quel qualcuno era solo una ragazza molto giovane.
“Mi avete spaventato” disse Viridio, con un mezzo sorriso “Vi serve qualcosa?”. Notò che la ragazza aveva uno sguardo strano e neanche l’ombra di un sorriso. Anzi, sembrava totalmente inespressiva, come una bambola. Lo sguardo di Viridio scivolò giù e vide che la tunica di lei era sporca quanto la sua, ma non solo di fango e terra. C’erano delle chiazze rosse che sembravano macchie di sangue.
Alzò lo sguardo preoccupato. “Vi è successo qualcosa? Vi serve aiuto?”
Lei non rispondeva e lui notò che era anche parecchio pallida. Stava sicuramente male!
Viridio avanzò di un passo, cercando di essere cortese e di non spaventarla. “Mi chiamo Viridio. Vi potete fidare di me”.
Il suo nome per esteso era Kaeso Iulius Viridio, ma lui preferiva sempre presentarsi col solo cognomen.

Anche la ragazza avanzò verso di lui, guardandolo con quei suoi strani, inquietanti, occhi verdi.



C’erano cose che non si potevano dimenticare.

Acilia aveva seppellito in una parte di sé ciò che aveva fatto a Kaeso, e forse non era l’unica cosa.
Ma non l’aveva mai davvero dimenticato e rivedeva tutto come se vedesse un film. Non voler trasformare Miguel, non volersi innamorare di Jacque, non voler parlare di Kaeso alle riunioni, non volerlo cercare, non volerlo uccidere, cercare sempre stupidamente una scappatoia, pure nelle parole di un umano come Curtis, nei suoi occhi grigi che, la prima volta che li aveva visti, le erano sembrati blu.
Tutti la stavano fissando, col fiato sospeso. Ramona stava già mutando espressione ma lei non si poteva più tirare indietro.
Aprì la bocca, ricordando tutta la sua agitazione, ciò che provava quando vedeva Kaeso, odiandosi, infinitamente.
“Chi crea può anche distruggere. E’ che… Kaeso, l’ho creato io”.


















I pezzi stanno cominciando ad andare a posto? :) Nel corso della storia c'erano moolti indizi del fatto che Acilia avesse trasformato Kaeso, alcuni li avete notati, altri invece erano (apposta) impercettibili, quei dettagli che si notano solo ad una seconda lettura. Boh, se era troppo scontato ditemelo che tolgo degli indizi, così magari il "colpo di scena" riesce meglio.. XD
Un'altra cosa, per informazione: all'inizio del libro ho sempre detto che il nome di Kaeso era Kaeso Virnius. Come vedete, ho cambiato il nome e sto già provvedendo ad eliminare tutti i Virnius presenti nel documento.. XD

Nene, quante lacrime ç__ç Sono davvero contenta che ti abbia commosso l'incontro tra Eike ed Imma. L'intento era quello, di far commuovere, ma pensavo di non esserci riuscita troppo quindi.. ottimo :DD Per il colpo di stato già, hai ragione, Kaeso è un vero bastardo. Dici che anche i cattivi hanno una morale e ci tengono a vincere lealmente, è vero, molti cattivoni sono così. Kaeso no XD L'ho voluto rendere senza alcuna morale, un vero pezzo di cacca, un cattivo nel vero senso della parola. Eh.. quello che voleva sapere Kaeso da Lyuben riguardo alla genesi dei vampiri.. Sì, dai, gli sta bene non averlo scoperto. Ma voi lettori lo scoprirete mai? :PP Per quel che riguarda la scena di Jacque e Dubris.. Ahahhaha! Me li vedo che fanno un corso di uncinetto! Cucina meglio di no.. "Per rendere più saporito il vostro sangue!" o_O Comunque invece a me sono sempre piaciute le scene in cui due uomini discutono per una ragazza (da piccola mi emozionavo proprio) però almeno non sono arrivati alle botte, dai, quello è proprio infantilismo! Diciamo che ad ogni modo la scena serviva per spiegare ancora più esplicitamente da cosa sono nati quell'odio e quella tensione che c'è tra i due vampiri fin dai primi capitoli del libro. Grazie mille della solita bella e lunga recensione :)
Sara, devo dire che hai superato te stessa XD Eri proprio ispirata quando hai fatto l'ultima recensione, sembra di un critico d'arte u.u L'idea che Eike trovasse la scritta di Imma sul muro di Berlino è nata prima di Lyuben, sai?? XD Forse anche di Dubris.. Però non ci avevo pensato al fatto che scriverlo sul muro fosse simbolo della loro inevitabile separazione, mi suona bene :DD Non te lo ricordavi ma nei capitoli passati (uno dei primi) si capiva in maniera esplicita che ci sarebbe stato un incontro tra i due, beh, meglio, così è stata una mega surprise XD Il grande Lyuben l'ho fatto uscire con stile eh sì u.u Di Acilia hai detto esattamente quello che penso anch'io, piace tanto anche a me come personaggio ^^ E come vedi, in questo capitolo, vedi l'allegra famigliola di Kaeso, che ti interessava dopo aver letto la sua macabra filastrocca.. XD come al solito grazie per la fantastica recensione :D :poooop:

Ebbene sì, carissime, siamo a 414 pagine. Mancano ancora cinque capitoli (quindi altre cento pagine come minimo .-.) e poi sarete liibeere, forza e coraggio :DD
Alla prossima!

ps: Il titolo del capitolo fa cagare, lo so.. Ma non mi veniva niente di meglio XD
   
 
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