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Autore: Princess of Dark    28/01/2013    7 recensioni
Incontrare Johnny Depp è il sogno di tutte noi donne, o almeno era il sogno di Denise.
E lei credeva di stare veramente sognando quando lo incontrò.
Denise ha un lavoro noioso, una migliore amica un po' pazzerella, una vocina maligna nel suo cervello, un "fidanzato" e un sogno nel cassetto. Johnny sarà lì per renderlo vero.
ATTENZIONE:Johnny Depp dovrebbe essere illegale, ma visto che non lo è, va preso come minimo preso a piccole dosi. E' veramente rischioso per la vostra salute una meraviglia così!
Se anche voi lo amate, questa è la ff giusta per voi...aspetto le vostre recensioni!!
Booktrailer: https://www.youtube.com/watch?v=rLHOJc3yhPM
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I vetri appannati per il gelo mi facevano distinguere a malapena il vialetto sulla nostra destra, circondato da qualche centimetro di neve candida.
 «Per favore, torniamo in dietro», sussurrai a testa basta, ricacciando dietro le lacrime che non volevano saperne di stare al loro posto. Johnny frenò bruscamente e la cenere della sigaretta andò a finire sui suoi pantaloni neri. Mi guardò incredulo, con la bocca spalancata in una smorfia di stupore. Soltanto quando alzai lo sguardo notai i suoi occhi che cercavano una spiegazione. Scossi il capo.
«Ma… eravamo quasi arrivati…»
«Non ce la faccio. Non mi sento pronta», scossi il capo, asciugando frettolosamente la prima lacrima. Johnny mi guardava con la stessa espressione di prima: ancora non aveva capito perché –arrivata quasi sotto casa di mia madre- volessi tornare indietro.
«Cosa c’è?», mormorò due secondi dopo, sistemandosi sul sediolino mentre si scrollava la cenere da dosso.
«Io… ho paura che sarà lei a non voler perdonare me», farfugliai. Mi scostò un ciuffo di capelli, accarezzandomi il volto.
«Un genitore non riesce a non perdonare un figlio», mi disse, ed io gli credevo perché chi meglio di lui poteva saperlo.
«Volevo togliermi questo peso ma… non mi sento ancora sicura per poterlo fare. Quando arriverà il momento giusto andrò da lei, le chiederò scusa e… ci sarai tu. Ti presenterò», sussurrai con decisione. Vidi una strana espressione sul volto di Johnny, qualcosa simile al terrore puro di qualsiasi ragazzino che sta per conoscere i genitori della sua ragazza. La sua mano strinse la mia e sentii tutto il suo calore.
«Saprai da sola quando verrà il momento giusto. Sai che ti dico? Ora andiamo a comprare un grosso albero di natale», mi fece l’occhiolino, ingranando la marcia. Risi, osservandolo, mentre quel triste viale che mi aveva provocato una fitta allo stomaco diventava un puntino sempre più lontano.
«Mi stai trattando come se fossi una bambina», mugolai due secondi dopo. Lui alzò un sopracciglio, scettico.
«Ah si?», borbottò sarcastico, prendendomi in giro. Gli diedi una pacca sulla spalla e la macchina sbandò verso sinistra per qualche istante, mentre ridevamo.
L’albero di natale. Lo trovavo la cosa più bella, una delle tante che mi piacevano di più. Il mio non aveva mai superato il metro e trenta ed era di plastica mentre ora Johnny stava scrutando un fusto di due metri esposto fuori e parlottava circa gli addobbi con il negoziante. Io, che ero rimasta a fissare alcune statuette luccicanti raffiguranti degli angeli, mi voltai quando lui mi chiamò.
«Che ne dici di questo?», sorrise infine, indicando l’albero enorme davanti a sé con un sorriso gigante. Uscii fuori dal negozio, affondando i piedi sulla neve fredda e candida, per affiancare i due uomini. Alzai il capo per guardarne la sommità e Johnny scrollò della neve da uno dei rami verdi.
«Non sarà troppo… grande?», mormorai perplessa. In realtà morivo dalla voglia di comprare un albero gigante come quello: l’avevo visto fare molte volte nei film, avevo sognato spesso anche io di divertirmi ad addobbarlo con una scala.
«Nient’affatto! Ho preso le misure dal pavimento al soffitto di casa: ci entra perfettamente!». Il sorriso mi si allargò sul volto.
«È  stupendo!», esclamai. Due minuti dopo un furgoncino ci seguiva per portare l’albero a casa assieme a dei bustoni con le decorazioni. Entrammo in casa e ci aiutò a sistemarlo, poi se ne andò dopo averlo pagato. Johnny si posizionò ad un paio di metri di fronte all’albero e mise le mani sui fianchi.
«Ora ci tocca addobbarlo», sospirò a metà tra lo sconcertato e il divertito.
«Io vado a fare una bella cioccolata…», accennai ma lui mi prese per un braccio e mi puntò un dito contro.
«Tu invece non vai da nessuna parte! Non farò da solo tutta la fatica», borbottò scherzoso. Risi, gettandomi su di lui e facendolo barcollare. Mi diede un bacio affettuoso sulla tempia prima di allontanarsi per aprire gli scatoloni. Tirò fuori una serie di lampadine luminose, dei festoni argentati e delle buste di palline rosse e dorate.
«Guarda un po’ che mi tocca fare alla mia età», bofonchiò mentre saliva sulla scala in legno per arrivare in cima e sistemare le luci. Dalla parte opposta salii io per montarci la grossa stella.
«Un po’ di esercizio ti fa bene altrimenti ti viene l’artrite», lo presi in giro, arrivando ad essere della sua altezza. Lui mi fissò in tono minaccioso.
«Aspetta che abbia finito di sistemare l’albero e che abbia rimesso il piede a terra», sussurrò, afferrandomi per il mento prima di lasciarci un lieve bacio. Risi, canticchiando mentre facevo su e giù per appendere le palline.
«Mantieni un po’ qui», bofonchiai, appendendo attorno al collo di Johnny uno di quei festoni. «Ti dona», aggiunsi divertita.
«Smettila e passami quei cosi lì!», esclamò ridendo. Tra le varie scatole notai una custodia rigida che Johnny aveva preso dalla sua auto e portato in casa. Con curiosità la aprii e guardai sorpresa la chitarra all’interno. Guardai la schiena di Johnny che, dandomi le spalle, borbottava qualcosa in francese perché non riusciva a sistemare come voleva le lucine. Afferrai la chitarra per il manico, mi sedetti sul divano e sfiorai le corde che iniziarono a vibrare. Johnny si voltò e mi vide con la sua chitarra tra le mani. Sorrise.
«Ehi, Joh?»
«Mmh?»
«Mi suoni qualcosa?», chiesi guardandolo curiosa e speranzosa mentre scendeva e si avvicinava a me. Rise imbarazzato.
«Magari un’altra volta…»
«Dai! Non ti ho mai sentito suonare!», lo implorai con voce lamentosa da bambina, guardandolo implorante con il muso inferiore sporgente. «e neanche cantare», aggiunsi.
«Io non canto!», esclamò ridendo di nuovo, mentre si sedeva accanto a me e afferrava lo strumento.
«E ti aspetti che me la beva? Lo so che sei bravo a farlo!»
«Solo un pezzo», farfugliò, iniziando a sfiorare le corde sottili. Johnny era un maestro del recitare così come era un mago della musica. Chiusi gli occhi, poggiandomi alla sua spalla e dedicando all’ascolto attento di quella melodia così perfetta. Iniziò a canticchiare qualcosa che a dir la verità non conoscevo, ma aprii di scatto gli occhi per guardarlo in volto. Lui mi sorrise, continuando a cantare mentre sfiorava le corde. Risi, iniziando a canticchiare con lui, una volta appreso il semplice ritmo e le parole ripetitive.
«Mmh dovremmo pensare di esibirci insieme se falliremo nel cinema», scherzò Johnny, posando la chitarra di lato.
«Uhm-uhm», farfugliai, giocando con il lembo della sua camicia.
«Ah, Denise, lo conosco quello sguardo!», esclamò quasi spaventato.
«Davvero?», sussurrai, avvicinandomi sempre di più alle sue labbra mentre allungavo le mani verso le sue parti basse. «Non credo proprio!», esclamai infine, sgattaiolando via di corsa e lasciandolo con un bacio sospeso a mezz’aria. Da lontano, osservavo la sua espressione confusa e ridevo. Lui si leccò le labbra e mi guardò sorridendo scetticamente.
«Invece penso di sì», replicò, alzandosi dal divano e divorando la distanza tra di noi con grandi passi. Risi, gettandomi tra le sue braccia ancor prima che fosse lui ad afferrare me, baciandolo.
«Grazie», farfugliai. «Mi hai reso ancora una volta felice»
«Stavo per dire la stessa cosa», sussurrò mentre mi stringeva al petto.
Tra un po’ vomito zucchero. Tutti avrebbero dato ragione a Ginevra.
 
 
«Sopresa!», esclamarono Keira e Marylin quando aprii il campanello di casa. Risi, abbracciando prima Mary e poi Keira per qualche secondo in più.
«Oh Dio, da quanto tempo», sussurrai ad occhi chiusi, stringendola.
«Mi sei mancata!!». La tosse di Orlando ci fece separare e corsi ad abbracciare anche lui.
«Come stai?»
«A meraviglia, tesoro», mi fece l’occhiolino.
«Charlie!». Due secondi dopo ero anche tra le braccia di quello che un tempo era il mio autista personale nonché amico fidato. Ci era voluto il cenone di capodanno per riunirci, ma alla fine ce l’avevamo fatta. Dopo aver passato uno splendido natale in compagnia di Johnny e dei suoi bambini, avevamo deciso di festeggiare insieme la fine del 2012 così: avevamo invitato per il cenone Marylin e Charlie, Keira e Orlando, Tim e Helena con i loro figli. Helena non avevo ancora avuto modo di conoscerla, ma ci sarebbe stato molto tempo anche per quello e non vedevo l’ora di incontrarla. Keira mi fece i complimenti per il mio vestitino da cocktail rosso, prettamente natalizio, ed io notai che anche lei indossava un bel vestito blu. Marylin stava già iniziando a delirare perché aveva appreso che tra poco sarebbero arrivati gli altri ospiti e non vedeva l’ora di conoscere il suo regista preferito. Charlie, Orlando e Johnny stavano già parlottando tra di loro, era da tanto tempo che non si vedevano. Charlie lo ringraziò per avergli messo buona parola per Tim, Johnny sorrise.
«Wow! Quest’albero è magnifico!», esclamò Marylin a bocca aperta dinanzi all’abete illuminato.
«Un regalo di Johnny», sorrisi, accostandola. Keira ci raccontò che mentre lei e Orlando addobbavano il loro ci erano cascati sopra e avevano dovuto rifarlo daccapo. In pochi minuti l’allegria in quella casa era alle stelle, assieme alla confusione ovviamente. Mentre ancora ridevamo immaginando Keira e Orlando avvolti tra i festoni stiracchiati sull’albero di natale, il campanello bussò. Stavolta, stranamente, piombò il silenzio assoluto. Charlie stava già lavorando per Tim da una settimana, quindi si era abituato a lui, Keira e Orlando non lo conoscevano molto bene ma parevano comunque tenere sotto controllo la situazione, io invece ero un po’ nervosa perché avevo incontrato Tim una sola volta, Marylin stava invece per morire con un infarto. L’unico che sembrava a proprio agio era Johnny che, posato un bicchiere di vino bianco, stava per andare ad aprire con un bel sorriso sulle labbra per l’arrivo dei suoi migliori amici. A passi svelti arrivai accanto a Johnny per accogliere gli ospiti in casa mia. Spuntò la chioma riccioluta di Tim e poi il suo volto sorridente, tenendo le mani poggiate sulle spalle di un ragazzino di circa dieci anni mentre la sua bambina più piccola, dell’età di cinque anni, era tra le braccia della compagna. Helena aveva i capelli vaporosi lasciati liberi sulle spalle e un trucco leggero che esaltava il suo profilo. Un bel sorriso luminoso accompagnava un elegante gesto dell’alzarsi un po’ la gonna per avanzare.
«Ehi!», esclamò Johnny, abbracciando Tim, dando due baci ad Helena e due pizzicotti affettuosi ai figli. Restai a fissarli con un sorriso da ebete sul volto.
«Ciao Denise, è bello rivederti! Ti trovo in forma», mi fece l’occhiolino Tim, abbracciandomi affettuosamente.
«Anch’io ti trovo bene», risi.
«Ti presento i miei angioletti: Billy Ray e Nall»
«Ciao!», esclamai, accovacciandomi per essere all’altezza del bambino che mi sorrise imbarazzato.
«Mi chiamo Nell», squittì invece la bambina, attirando la mia attenzione. Osservai la piccolina dall’aria così dolce, con la punta del nasino e le guance arrossate dal freddo.
«Lei invece è la mia colombella: Helena»
«Tim!», rise la donna ed io con lei.
«È un onore per me conoscerti, non sai quanto ti ammiro!», esclamai entusiasta.
«Ah che tesoro! Già mi piaci», sorrise.
«Volete restare lì fuori?», borbottò Johnny e la famigliola entrò in casa, lasciando il gelo di quella serata fuori dalle quattro mura.
«Buonasera!», esclamò Orlando e anche gli altri li salutarono.
«Ehi, voi due, lo sapete che avete un’altra fan qui?», esclamai, mentre Marylin mi dava una gomitata.
«Questo è un sogno», squittì lei entusiasta, quando le strinsero la mano amichevolmente.
«Mettetevi a tavola che inizio a servire», sorrisi, scomparendo in cucina. Sentii il chiacchiericcio confuso in salotto, distinguendo la voce profonda di Tim e quella a trombetta di Keira, poi quella di Marylin ed Helena che parlavano.
«Posso darti una mano?». Johnny mi venne incontro, con le mani nelle tasche.
«No, tranquillo, ce la faccio», sorrisi.
«Sicura?»
«Sì! torna di la», borbottai, spingendo scherzosamente Johnny fino al salotto. Dopo due secondi lo sentii ridere assieme agli altri contemporaneamente, probabilmente perché Tim aveva raccontato una delle sue barzellette.
«Ehi, serve un aiuto?». Mi sorpresi ad avere accanto Helena che si scorciò le maniche e afferrò due piatti.
«Posa immediatamente! Sei un’ospite, non azzardarti a mettere piede in questa cucina», scherzai. Rise, facendomi una linguaccia mentre tornava di là e alla fine finì con l’aiutarmi a portare i piatti in tavola.
«Ho sperato a lungo in una ragazza come te per Johnny», mi confessò, mentre prendeva una bottiglia di vino rosso dal frigorifero. La guardai con curiosità. «Ci sono state talmente tante persone inutili e dannose nella vita di Johnny… dopo Vanessa, il mio timore e quello di Tim era che perdesse la testa per un’altra stronza», disse schietta. Accennai un sorriso divertita.
«Uhm, lo faccio rigare dritto, tranquilla»
«Ne sono sicura», mi fece l’occhiolino. «Bisogna trattarli con il battipanni questi maschiacci», aggiunse mentre servivamo gli ultimi piatti.
«Dio è squisito», farfugliò Tim a bocca piena. Erano passate le undici, le ore volavano quando si stava bene! Tutto quello che avevo sempre desiderato: tanta gente a cui volevo bene e che mi volevano bene attorno ad un’unica tavola per festeggiare. Tutti quanti avevamo la giuste dose di allegria che aleggiava nella stanza. Nell sonnecchiava già da un’ora sul divano con il segno del rossetto di sua madre sulla guancia, Billy Ray era incollato accanto a lei con lo sguardo sul display del videogame.
«Ragazzi, prima che venga la mezzanotte devo farvi un annuncio», sospirò Marylin alzandosi all’improvviso dalla sedia, mentre stavamo sgranocchiando degli stuzzichini. Ci zittimmo tutti quanti, confusi e curiosi. Charlie sorrise e si alzò per afferrare la sua mano. Marylin mi guardò negli occhi e in quel momento non seppi cosa leggere. Per la prima volta, dopo vent’anni, non sapevo cosa le passasse per la testa e la cosa quasi mi diede fastidio. La ragazza sorrise.
«Io è Charlie aspettiamo un bambino. Ci sposeremo a marzo», sussurrò. Quelle parole mi investirono come una doccia gelata. Era stato d’effetto a tutti, ma non quanto a me. La mia migliore amica stava per diventare mamma? La mia migliore amica che si sposava? Sentii una fitta al cuore mentre sentivo scivolare giù lacrime di gioia e commozione.
«Santo Cielo Mary!», esclamai, abbracciandola forte, ancora più forte. Lei rise, stringendomi. «Sono strafelicissima per te», aggiunsi, mordendomi le labbra per frenare le lacrime. Sentimmo un altro paio di mani e di braccia, quelle di Keira che aveva istaurato con Marylin un rapporto speciale. Johnny, Orlando e Tim invece si congratularono con Charlie, poi quando ci fummo staccate ci s”scambiammo” per qualche secondo e feci i miei auguri anche al futuro papà.
«Che bella notizia!»
«Direte così, poi voglio vedervi tra qualche anno», farfugliò Tim.
«Ma piantala! Non c’è cosa più bella di un figlio», sorrise Johnny. «Sono d’accordo», annuì Orlando sorridente. Come se non fossimo già così felici, iniziammo a parlare di Marylin e Charlie, dei loro progetti, del loro futuro. Io osservavo quella donna dinanzi a me che rideva stretta al suo ragazzo e non potevo fare a meno di pensare a quella bambina con due codini dagli elastici colorati che picchiava sempre i bambini che mi rubavano le bambole per dispetto, quella ragazzina che dopo dieci anni continuava a difendermi da quel bastardo di Fred e quelli della sua razza, quella donna che ancora dieci anni dopo mi aveva sostenuta come una sorella maggiore nelle scelte difficili della mia vita. Lei, una delle persone più importanti, stava per costruirsi una propria famiglia. Lei, che aveva sempre detto di non volersi sposare per dare spazio alla carriera, stava per diventando una madre di famiglia. Se ci ripensavo, mi venivano i brividi.
«Perché non me l’hai detto prima?», sussurrai sorpresa, quando mi disse che non se n’era accorta questo giorno.
«Volevo farvi una sorpresa: avevo già programmato di annunciarlo oggi», sorrise.
«Ecco perché leggevi quel libro sui bambini in biblioteca!», borbottai e due secondi dopo la stavo già abbracciando di nuovo. Provavo anche un po’ di invidia nei suoi confronti ma senza alcuna cattiveria, io che avevo in mente di avere un figlio da Johnny.
Mezzanotte meno due.
Johnny mi aiutò a prendere i bicchieri per il brindisi, ci alzammo tutti all’in piedi e ci mettemmo vicini: Orlando circondava da dietro i fianchi di Keira, Charlie stringeva Marylin per le spalle, Helena e Tim erano l’una accanto all’altro con i loro pargoletti tra le braccia e si guardavano negli occhi come due piccioncini al loro primo appuntamento, Johnny mi stringeva la mano, sfiorandomi i capelli col mento. Iniziammo il conto alla rovescia, partendo da quindici.
In quella manciata di secondi mi passò davanti tutto il mio 2012: dalla proposta di matrimonio di Fred, all’incontro con Johnny, il mio primo giorno di lavoro, il primo bacio con lui, i nostri litigi, il supporto dei miei amici, lo scontro con Vanessa –che non era ancora del tutto terminato-, Lily e Jack, la nostra prima volta in quell’albergo, l’incontro con Tim, il nuovo albero di natale… avevo fatto tesoro di tutte queste esperienze e le ricordavo come se fosse ieri.
Ti sei scordata di me!
Cinque secondi.
Quest’anno è stato il più bello di tutta la mia vita, forse lo ricorderò per sempre. Quasi mi veniva da piangere, ma in quel momento bisognava festeggiare, di lacrime ce n’erano state e ce ne sarebbero state già abbastanza. Ringraziavo Dio per avermi dato la possibilità di costruirmi i castelli in aria che mi ero fatta, ringraziavo Johnny che stringeva la mia mano a volermi dire “Non ti lascerò mai, anche se gli anni passeranno incommensurabilmente”.
Due secondi.
Un secondo.
Stapparono due bottiglie di champagne che avevano portato i nostri ospiti e urlammo felici. Euforica, mi guardai intorno per iniziare a dispensare gli auguri. Incontrai gli occhi di Johnny, poi mi attirò a sé e mi baciò impetuosamente stringendomi forte.
«Buon anno nuovo, amore mio», sussurrò al mio orecchio. Lo baciai ancora.
«Buon anno nuovo», sorrisi. I successivi cinque minuti furono un caotico susseguirsi di abbracci, baci e parole, poi ognuno prese un calice di champagne e brindammo al nuovo anno. Sarebbe stato meraviglioso, me lo sentivo. Un nuovo anno ricco di emozioni mi attendeva.
Quando andarono tutti via, la casa si svuotò di qualsiasi suono. Io ero sfinita dopo aver cucinato così tanto, Johnny pure desiderava il suo letto e lo leggevo nei suoi occhi. Ci guardammo, immobili nel bel mezzo della casa, tutto sottosopra. Avrei pulito domani mattina. Lui mi sorrise e mi porse la mano, io ricambiai e mi avvicinai fino a incastrare le dita nelle sue. Mi trascinò dolcemente nella nostra camera da letto.
«È stata una bellissima serata»
«È stato un bellissimo anno», mi corresse lui sorridendo, osservando la mia schiena nuda. Gli stavo dando le spalle per sfilarmi il vestito e infilare il pigiamone extralarge. Le sue mani si posarono bollenti sui miei fianchi mentre infilavo le maniche. Sussultai, accennando una risatina e lui mi baciò il collo, massaggiandomi le spalle e scorrendo lungo le mie braccia sfilandomi le maniche del pigiama.
«Davvero vuoi passare la prima notte di questo nuovo anno dormendo?», sussurrò al mio orecchio. Fissando un punto nel buio davanti a me, sorrisi impercettibilmente, concentrandomi sulle labbra di Johnny sulla mia pelle e i suoi baffi che mi solleticavano.
«Puoi farmi cambiare idea», mormorai ingenuamente, prima di voltarmi e gettarmi sulle sue labbra. Affondai le mani tra i suoi capelli, arruffandoli, mentre mi stringeva per far aderire il mio seno al suo petto. Mi abbassai a giocare con l’orlo dei suoi pantaloni prima di tirarli giù. Lo sentii ridere, mentre mi spingeva sul letto e mi faceva adagiare al cuscino.
«Dimmi che mi vuoi, Den, ho bisogno di sentirmelo dire», sussurrò rauco con la bocca incollata sulla mascella, massaggiandomi la coscia. Sorpresa dalle sue parole e travolta dalla voglia, boccheggiai per trovare le parole giuste. Non uscirono.
«No, non ne hai bisogno. Perché è passato un anno ma ti voglio ancora, ti desidero con tutta me stessa come dal primo giorno che ti incontrai», farfugliai. Lo vidi sorridere anche nel buio, perché i suoi occhi brillarono, un secondo prima che entrasse dentro di me e mi facesse di nuovo sua.
 



Ci ho messo un po' di tempo sorry xD
In realt mi ero un po' rotta di tutta quest'aria natalizia in pieno gennaio/quasi febbraio >.<" Ma si sono messa al pari con i tempi: per Denise e Johnny il capitolo finisce al 1 gennaio 2013! cercherò di andare al pari passo coi tempi xD
Lo so che vi siete rotte con tutti sti momenti di gioia, questo capitolo era necessario ed è venuto contro la mia volontà più lungo del previso, dato che doveva essere solamente un pezzettino per poi passare a narrare i fatti interessanti u.u
Però vi prometto che nel prossimo cpaitolo avremmo un po' di azione e - per la felicità di tutte- un bel po' di guai!! Dopo questo periodo di stabilità ci vuole proprio qualcosa per smuovere le acque u.u *confessa che aveva pensato di far finire la storia qui ma Ginevra è comporsa con un fucile per scacciare quei maligni pensieri*
Spero di non avervi annoiate e ovviamente un enorme GRAZIE a tutte... a presto! <3 P.S Visto che siamo nella tematica del natale, ho trovato questa foto che mi fa morire dal ridere :') e anche sbavare ovviamente!!! spero che piaccia anche a voii u.u


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