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Autore: Malik31011    28/01/2013    5 recensioni
Allie, una semplice diciottenne, sempre troppo seria, timida, con una punta di sarcasmo.
Zayn, il solito rubacuori un po' montato, convinto di sé, orgoglioso e superficiale.
Una scommessa.
Come andrà a finire?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mi dispiace per il ritardo, cercherò di essere più presente - come prima - e di pubblicare con più costanza. 
E' stato un periodo un po' particolare.
Spero che vi piaccia!

ps. non ho ricontrollato, quindi chiedo scusa per eventuali errori.












Trasferimento.

 
 
 
 
 
"Chiamo la polizia!" continuava ad urlare mia madre. Stavano litigando, ancora. Sembrava che la stessa scena ormai si ripetesse tutte le mattine, ma stavolta stavano superando il limite. Mio padre teneva mia madre per i polsi, impedendole di muoversi.
"Lasciami o chiamo la polizia." disse mia madre a denti stretti, pronunciando quelle parole acide quasi con ribrezzo nei confronti di mio padre.
Io ero sulle scale, insieme ad Alice che singhiozzava in silenzio, stringendo forte il suo orsacchiotto.
"E' tutto okay, non preoccuparti Alice, adesso ti accompagno io a scuola." la tranquillizzai, passandole una mano sui capelli che profumavano di pesca. Mi strinse forte la mano, ancora umida delle lacrime che aveva cercato di spazzare via dal suo visino arrossato. Sentimmo soltanto il rumore pesante dei passi di mio padre che attraversavano velocemente il salotto per poi uscire fuori, sbattendo il portone talmente forte quasi volesse distruggerla. Mia madre era in ginocchio affianco all'arco che separava il salone dalla cucina. Aveva i capelli davanti al viso, le tremavano le spalle e continuava a massaggiarsi i polsi ricoperti di piccole macchie rosse.
Trascinai mia sorella fuori di casa, tenendola per mano. Le mi stava dietro senza difficoltà, i piccoli piedini quasi correvano affianco ai miei, stava parlottando con il suo peluche. Ci dirigemmo verso la fermata dei pullman, di lì a cinque minuti sarebbe passato quello che prendevo di solito. Justin e Ginny erano seduti sul bordo del marciapiede a chiacchierare, lui con il solito drum tra le labbra e lei ticchettava insistentemente sui tasti del suo BlackBerry.
Mi schiarii la voce e i due alzarono la testa verso di me. Quando Justin notò la figura minuta di mia sorella mezza nascosta dietro di me, lanciò il mozzicone per strada e rimase ad osservarla in silenzio, mentre Ginny subito si alzò e si inginocchiò al suo fianco.
"Ciao Alice, come stai?" le chiese affettuosamente. Ginny conosceva mia sorella da quando era nata e mia sorella riusciva a parlare tranquillamente senza vergognarsi soltanto con lei.
"Non molto bene." rispose la piccola, abbassando lo sguardo sulla strada consumata.
"Devo accompagnarla a scuola." dissi e basta, rivolgendo uno sguardo tagliente a Ginny.
"Ti accompagnamo." disse Justin subito.
"Ovvio." concordò Ginny.
"No ragazzi, non serve, grazie lo stesso." replicai debolmente.
"Ma non dirlo nemmeno per scherzo." disse Ginny.
"Grazie." bisbigliai.
Mi accorsi che Alice continuava a guardare con insistenza Justin, nascondendosi dietro di me e aggrappandosi ad una mia gamba.
"Justin, lei è Alice." dissi, tirandola in avanti. Lei abbassò subito lo sguardo e assunse una posa strana, quasi volesse scomparire, sprofondare sotto terra immediatamente.
"Ciao Alice." disse il biondo amichevolmente, sorridendo anche con i suoi occhi blu. "Ma che bell'orsacchiotto che hai." continuò.
"Si chiama Daisy, è una femmina." disse mia sorella.
"No, sul serio? Sai che anche il mio cane si chiama Daisy?" disse lui. Mia sorella sorrise timidamente, per poi sedersi al fianco di Justin e iniziare a parlottare con lui.
"Ecco, è nata una grande amicizia." disse Ginny ridacchiando. Sorrisi appena verso di lei, incapace di essere anche un minimo felice. Lei mi rivolse uno sguardo preoccupato e triste.
"Litigano ancora?" mi chiese.
"Peggio, stamattina sono arrivati ad alzare le mani." mormorai.
"Mi dispiace tanto Allie, sappi soltanto che per qualsiasi cosa io ci sono, lo sai, sempre e comunque." disse Ginny stringendomi. Ricambiai l'abbraccio e per un secondo mi sentii fortunata, fortunata ad avere un'amica così, la migliore amica.
"Ragazze, non vorrei interrompere questo vostro quadretto così commovente, ma il pullman sta arrivando e sta cominciando a piovere." disse Justin, che nel frattempo si era alzato e teneva la manina candida di mia sorella nella sua.
"Avanti, andiamo ad accompagnare Alice e poi dobbiamo sbrigarci per andare a scuola." dissi, incitandoli a salire sul pullman mentre la pioggia cominciava ad investirci.

 
 
 

Zayn.

 
 
 

"Avanti Zayn, entriamo dentro, fumerai all'uscita." mi disse Liam, cercando di trascinarmi per un braccio, ma impuntai i piedi per terra come i bambini piccoli e mi opposi, intenzionato a rimanere fuori a fumare la mia sigaretta mattutina in santa pace, a costo di entrare in ritardo e beccarmi un'ammonizione.
"Voi entrate, io devo fumare." dissi irritato.
"Fa' come ti pare." disse Louis stavolta, entrando nell'edificio a grandi passi.
Presi una sigaretta dal pacchetto ormai zuppo e distrutto dalla pioggia, la accesi e presi una bella boccata. La felpa della divisa scolastica cominciava ad inzupparsi d'acqua piovana, ma poco importava. Amavo il profumo della pioggia, perciò presi un bel respiro anche di quell'odore inebriante che mi invadeva i polmoni.
Ero sempre stato un tipo solitario, uno che sta sempre un po' sulle sue e per fatti suoi. Non amavo stare con qualcuno che doveva parlare per forza, qualcuno che si sentisse obbligato a dare aria alla sua bocca, dicendo solo stronzate. Mi piaceva anche andare alle feste, ovvio, come qualsiasi altro adoloscente.
E sì, cambiavo spesso ragazza, semplicemente perché non mi sentivo pronto ad avere una relazione seria con qualcuno. Insomma, chi me lo faceva fare? La maggior parte della popolazione maschile ragionava in quel modo. Perché io no?
Avere tutte quelle ragazze mi faceva sentire incredibilmente potente, come mio padre. Mio padre.. lui si era sposato ben quattro volte, ma ha avuto dei figli soltanto con le prime due mogli.
Aspirai un'ultima boccata da quel tabacco secco, prima di gettare il mozzicone umido della mia saliva sull'asfalto bagnato. Stavo giusto per voltarmi ed entrare nell'edificio, quando vidi tre figure correre il più veloce possibile verso di me, o meglio, verso l'ingresso. Rimasi in silenzio a fissarli, ad aspettare che si avvicinassero. A giudicare dalle divise che indossavano venivano lì a scuola, magari avrei trovato una scusa per il mio ritardo se mi fossi accodato a loro. Poi mi resi conto di chi si trattava. Era Allie, con altri due della sua combriccola. Mi passarono davanti senza rivolgermi la parola, ma sentii lo sguardo di Allie rimanermi incollato addosso per più tempo.
Li seguii all'interno e insieme ci dirigemmo, grondanti d'acqua, verso la vicepresidenza. Il ragazzo in compagnia di Allie e della sua amica si mise davanti alla porta e prese un bel respiro prima di bussare. Il ticchettio delle scarpe costose della vicepreside che rimbombavano sul pavimento lucido dell'ufficio erano udibili persino da fuori. Aprì la porta e la sua figura slanciata apparve proprio davanti al naso del ragazzo, che fece un passo all'indietro quasi intimorito.
"Bene, bene, bene.. che cos'abbiamo qui?" chiese con una voce velenosa.
"A-abbiamo perso il pullman e siamo arrivati qui correndo. Ci dispiace, sul serio.." disse l'altra ragazza, abbassando lo sguardo sulle sue converse ormai madide.
"Silenzio!" disse inviperita. Ci squadrò, uno ad uno, ma quando incontrò il mio volto qualcosa cambiò. "Filate in classe, per stavolta la passate liscia. Solo per stavolta." disse, indicando con un braccio il corridoio che conduceva alle classi. Ci allontanammo in fretta e girammo subito all'angolo a destra che portava alle scale.
"Che culo." disse Allie.
"Amico, hai qualche potere? Sul serio, appena ha visto che c'eri tu ci ha lasciati andare." mi disse il ragazzo.
"Non ne ho idea." dissi, rivolgendogli appena un sorriso. Lo sapevo eccome. Mio padre era uno dei finanziatori della scuola e vista la sua posizione diciamo che la scuola chiudeva sempre un occhio sulle mie azioni o sul mio comportamento.
"Be', grazie." disse l'altra ragazza.
"Volete rimanere qui a fare salotto o andiamo in classe? Se volete porto del tè e biscottini." disse Allie scocciata, cercando di non incontrare il mio sguardo.
"Biscottini, mi piacciono i biscottini." disse il ragazzo con aria sognante.
"Andiamo." disse l'altra ragazza, trascinandolo per un orecchio su per le scale. "O il professore di matematica ci spiaccicherà contro la lavagna." continuò. Salimmo al piano superiore, loro non erano nella mia sezione, ma le classi erano vicine.
"Tutta questa pioggia mi ha fatto venir voglia di fare la pipì." disse il ragazzo, saltellando nel corridoio.
"Justin, la pianti?" disse Allie, scoppiando a ridere. Aveva una bellissima e calda risata. Continuai a sostenere lo sguardo su di lei e poco dopo se ne accorse, perché si girò quel poco per tenermi d'occhio.
Arrivai difronte alla mia classe, così aprii appena la porta, senza nemmeno bussare.
"Ciao Allie." dissi, prima di entrare. Lei si voltò di scatto e mi osservò prima di rispondere.
"Ciao Zayn." rispose senza sorridere.
 
 
 

Allie.

 
 
 
"Spiegami perché diavolo l'hai trattato così." bisbigliò infuriata Ginny durante l'ora di matematica.
"Così come?" chiesi, facendo finta di non capire.
"L'hai trattato con distacco e sei stata fredda con lui." spiegò.
"Ah, ora capisco cosa intendi." dissi semplicemente, senza darle la risposta.
"Dimmi perché o ti trafiggo con i righello." disse. Sospirai rumorosamente.
"Perché non mi sembra normale il suo atteggiamento." dissi.
"Ora che si è accorto di te ti comporti così? Lasciatelo dire, sei proprio strana." ribatté incredula.
"Grazie, so di essere strana." dissi senza fare una piega, continuando a prendere gli appunti che il professore scribacchiava alla lavagna. Ci eravamo presi anche una sgridata per il ritardo.
"Intendo soltanto che non dovresti essere così difficile con lui." continuò Ginny.
"Sai com'è fatto lui, sai cosa cerca dalle ragazze. E sai benissimo anche come sono fatta io, non sono il tipo di ragazza che vedresti al suo fianco." replicai, stavolta con un tono di voce troppo alto.
"Signorina Samuels." mi richiamò il professore e tutta la classe si voltò verso di me. "Può smetterla di conversare con la sua compagna, se non le dispiace?" continuò, rivolgendomi un'occhiata ostile.
"Scusi, professore." dissi a bassa voce. Riprese a spiegare, scarabocchiando formule alla lavagna che per me equivalevano all'egiziano.
"Dico soltanto che dovresti dargli un'opportunità." riprese subito Ginny.
"Vedremo." dissi, concludendo la conversazione lì.
 

Il giorno seguente.

 
Presi l'ultimo scatolone che occupava la mia stanza e scesi di sotto. Mio padre stava finendo di caricare la macchina, mia sorella e mia madre erano in soggiorno con un'aria talmente triste da sentirla appiccicarsi alla pelle come quel velo di nebbia che ti unimidisce.
"Hai preso tutto?" mi chiese mio padre, prendendo dalle mie mani lo scatolone. Mi guardai attorno per controllare e il computer portatile, poggiato sulla poltrona affianco alla finestra, catturò la mia attenzione. Lo presi e tornai al fianco di mio padre, che guardava la casa con aria sconsolata.
Guardò mia madre e per un secondo mi parve di scorgere qualcosa nei suoi occhi, ma fu talmente breve che mi sfuggì e il suo sguardo si posò su mia sorella, che lo guardava con i grandi occhi lucidi. Si alzò e corse verso di noi, saltando tra le braccia di mio padre. Restarono così per qualche minuto, in silenzio. Non ce la facevo a guardare una scena del genere, così abbracciai mia madre e uscii fuori. Salii in macchina e aspettai che mio padre uscisse di casa.
Era la fine, la fine della nostra famiglia.

"Perché l'hai fatto?" mi chiese mio padre, mentre il tergicristalli spazzava via tutte le gocce di pioggia che si schiantavano contro il vetro.
"Fatto cosa?" domandai, senza distogliere lo sguardo dal vetro.
Sospira silenziosamente. "Perché hai lasciato tua madre e tua sorella?" domandò.
"Non le ho lasciate sul serio e lo sai anche tu." risposi.
"Tua sorella ha bisogno di te e anche tua madre. Sei fondamentale per loro, non avrei dovuto lasciarti venire." disse, scuotendo la testa appena.
"Sai perché sono andata via? Perché io e te siamo così simili che non avrei fatto altro che ricordare alla mamma che tu esisti. Ha bisogno di me perché le ricordo te, soltanto per questo. Guarda caso, non c'é un giorno in cui non litighiamo." 
Dopo quella risposta rimase in silenzio e il discorso si concluse lì.

La Range Rover nera di mio padre si fermò sotto un palazzo nuovo, appena costruito a quanto pare. Era rosso, a mattoncini, tipico inglese.
"Siamo arrivati." disse mio padre, come se non l'avessi intuito da sola. Scese dall'auto e andò a prendere alcuni scatoloni dal portabagagli; si avviò verso il portone e scomparve all'interno.
Tirai fuori il cellulare e cercai il nome di Ginny nella casella dei messaggi.
"Siamo arrivati proprio adesso." digitai velocemente e lo spedii.
Scesi dalla macchina e avvertii qualche gocciolina di pioggia cadermi addosso, ma molto meno abbondanti di quelle precedenti. Le nuvole si spostavano ad est e lasciavano spazio al cielo grigiastro.
Vidi mio padre tornare indietro, così l'aiutai a portare di sopra la roba. L'appartamento era all'ultimo piano, fortunatamente c'era l'ascensore. L'abitazione era divisa in due piani: il soggiorno, la cucina, la sala e un bagno sotto, mentre al piano superiore c'erano tre camere da letto e un altro bagno.
"Che te ne pare?" mi chiese mio padre.
Osservai il tutto nel complesso. "Mi piace. E' spazioso.. carino." dissi semplicemente.
Stava per dire qualcos'altro, ma il cellulare nella sua tasca prese a squillare.
"Scusami un attimo." disse, allontanandosi e rispondendo al telefono. Nel frattempo feci un altro giro della casa e mi fermai nella mia nuova stanza. Era.. rosa. Feci appena in tempo a reprimere un conato di vomito.
"Allie." disse mio padre, sbucando all'improvviso alle mie spalle. "Scusa, non volevo spaventarti. Comunque.. sei sicura di stare bene? Sei verdognola." disse, facendo una strana espressione.
"Sto bene, tranquillo. Dicevi?" dissi.
"Mi ha chiamato l'ospedale, devo andare subito, un uomo si è sentito male e.." disse.
"Vai, non perdere tempo qui con me." dissi, facendogli gesto con le mani di andare. Si avvicinò e mi diede un bacio sulla fronte.
"Credo di tornare per cena, credo. Se faccio tardi.." disse, ma lo interruppi di nuovo.
"So badare a me stessa." dissi. A quel punto uscì di casa, sbattendo il portone dietro di lui.
A quel punto dovevo solo trovare qualcosa da fare per ammazzare il tempo.
 

 

Il mattino seguente.


 
Ero sotto casa, con le mani infilate nelle tasche del cappotto, aspettando che Dan passasse a prendermi: mi ero trasferita nel suo quartiere. Sentii un ciuffo ribelle scendermi difronte al viso e lo tirai indietro con una mano.
Il rumore di una sgommata di una moto mi fece alzare lo sguardo. Dan non guidava il suo solito scooter, bensì una moto di dimensioni notevoli.
"Salta su, bellezza." disse, provocando le mie risate.
"Da dove esce questa?" domandai, mentre lui scendeva e mi porgeva il casco.
"Oh, un regalino di mio zio." disse noncurante. Poi spostò lo sguardo su di me e mi fissò per alcuni secondi. Mi sentii a disagio e mi domandai cos'avesse da fissare.
"Non hai più i capelli rossi." disse, prendendo una ciocca.
"Ero stufa, rivolevo il mio colore." dissi.
Lui sorrise. "Stai meglio così, sai?" disse, per poi montare di nuovo sulla moto.
Lo imitai. "Fortuna che mio padre è già in ospedale, altrimenti mi avrebbe proibito di salire su questo gioiello." dissi ridacchiando appena.
"Tieniti forte." mi avvertì. Partì accelerando talmente tanto da far spostare il mio corpo in avanti. Mi ritrovai attaccata alla sua schiena come un koala abbraccia un albero. Sentii un freddo improvviso alle cosce e le ritrovai scoperte. Maledetta gonna della divisa scolastica.
"Dan, non potresti andare un po' più piano? Per favore." dissi, sistemando il tessuto della gonna. Lui annuì. Ci fermammo ad un semaforo, aspettando che fosse il nostro turno. Eravamo proprio affianco ad una mini e notai qualcuno all'interno fissarmi, ma non feci in tempo a voltarmi che Dan ripartì.
 
 

Zayn.


 

"Ma quella non era Allie?" domandò Liam, indicando la moto che sfrecciava via.
"Non lo so, sembrava lei in effetti, ma non aveva i capelli rossi." risposi.
"Forse ha una gemella." azzardò Louis.
Harry era silenzioso, ero pronto a scomettere un milione di sterline che stava per sparare una cazzata colossale.
"O forse è stata rapita dagli alieni, l'hanno stuprata, lei adesso aspetta un piccolo alieno o addirittura tantissimi piccoli alieni! Forse farà delle uova." urlò.
"E questo cosa c'entra fondamentalmente con i capelli?" domandò Niall serio.
Harry meditò un secondo. "Non lo so, probabilmente ci hanno giocato come se fosse una barbie e le hanno tinto i capelli mentre la inseminavano." rispose.
"Stiamo parlando di una cosa seria." dissi scocciato.
"Scoprirai se era davvero lei quando arriveremo a scuola." disse Liam, giocherellando con la cerniera della felpa.
"Forse non era sul serio lei, forse hai pensato che fosse lei perché non pensi ad altro." disse Louis con un sorrisetto.
"Il pugno lo vuoi adesso o a scuola, davanti a tutti?" dissi, ricambiando il sorrisetto con uno sguardo ostile.
"La verità brucia." aggiunse Harry.
Lasciai perdere, quando quei due si alleavano (e lo facevano sempre) non c'era modo di uscirne vivo. "Da domani verrò a scuola con la mia macchina." dissi.
 
 

to be continued.
   
 
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