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Autore: goldenfish    28/01/2013    1 recensioni
"Se un giorno dovessi morire, tutto ciò che mi appartiene sarà tuo David, tutto, tranne il mio cuore."
Un pacco arriva nella dimora di David, è un pacco fatto di carta da giornale, è piccolo e morbido.
Ma David sa bene a chi appartengono quei pochi vestiti e quella collana di topazio, appartengono a lei, l'unica donna che avrebbe mai amato, così crudele da spezzargli il cuore.
Il pacchetto contiene un foglio scritto a mano: una firma "Dita di cristallo".
L'ossessione per la misteriosa figura che gli ha annunciato la morte della sua amata, lo perseguiterà costringendolo ad una frenetica caccia all'uomo. O in questo caso, alla Morte.
Genere: Malinconico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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7. Blanc



Atrèe camminava avvolto nel suo cappotto beige, con il colletto rialzato e il viso seppellito nel bavero che odorava di fumo e di stantio.
Il ricordo del bacio era ormai un eco lontano nella sua mente, accantonato assieme ad altre cento situazioni che avrebbe voluto dimenticare ma che, mentre dormiva, tornavano a galla più nitidite che mai, facendogli perdere il sonno.
Quando si trovò di fronte al suo appartamento non si stupì neanche tanto di vedere le sue poche cose sistemate malamente sul pianerottolo di casa, sulla scrivania scheggiata e tarmata si distingueva una lettera di sfratto, causa: i suoi mancati pagamenti. Eppure, lo sapeva, prima o poi si sarebbero accorti anche di lui. Sorrise e si allontanò. Non ne valeva la pena di recuperare quella robaccia, non avrebbe neanche potuto venderla talmente era vecchia e malandata.
Passò la mattinata steso sulla panchina del parco davanti alla sua ex-pensione, dormicchiò un po', avvolto in una vecchia coperta.
Decise di andare all'appuntamento, quel pomeriggio alle cinque.
Ormai non aveva niente da perdere.
Questa volta per davvero.
Si sentì ancora più misero del solito e se si fosse visto da fuori si sarebbe sputato in faccia.


Ero li, in piedi davanti alla vetrina della pasticceria Moreau, dove mi ero separato da Atrèe, e anche luogo del nostro eventuale incontro.
Erano le 17.30 e ormai stavo per andarmene quando vidi il riflesso sulla vetrina di un uomo, mi girai ed era li, in piedi che mi guardava impassibile e visibilmente assonnato.
Mi sembrava un fantasma, neanche mi ero accorto del suo arrivo, eppure aveva camminato per raggiungermi e si era fermato anche a poca distanza da me.
"Atrèe" feci "non ti ho sentito arrivare"
"Oh, tranquillo, non sei l'unico"
"Sembri stanco, non hai dormito?"
"Mi hanno sfrattato"
Non continuai il discorso, non sapevo cosa dirgli.
Mi stupii di me stesso nel capacitarmi che riuscivo a guardarlo negli occhi nonostante tutto, e senza alcuna difficoltà ammisi anche che l'accaduto di quella mattina aveva la stessa importanza di un avvenimento sognato e decisi di dimenticare l'accaduto e di non parlarne mai con lui.
Probabilmente aveva pensato lo stesso perchè non disse nulla.
"Ho pensato ad una cosa Atrèe...dovremmo chiedere a tua sorella se ha dei contatti con i cliendi di Elèonore"
"Io non voglio rivederla" disse abbassando lo sguardo e calciando un sasso.
"Se vuoi vado io e tu mi aspetti fuori"
Annuì.
Entrai al bordello da solo, il miscuglio di profumi da quattro soldi e di fumo mi invase le narici facendomele pizzicare.
Madame I era sempre li sul divanetto a fumare una sigaretta, appena mi vide allargò le sue labbra carnose in un delizioso sorriso.
"Che cosa ti porta una seconda volta nel mio bordello?"
"Madame I, prima ho dimenticato di chiedervi se avevate dei contatti con i clienti di Elèonore"
"Qualcuno, ma solo perchè sono anche clienti miei, Atrèe dov'è?"
"E' rimasto fuori"
"Capisco, comunque, seguimi che ti do gli indirizzi e i nomi"
La donna mi portò in una camera da letto con un'enorme scrivania piena di fascicoli e fogli, c'era anche qualche libro, letture semplici ed elementari. Passò le sue mani guantate su un quaderno di carta giallognola e macchiata di rossetto e trucchi vari, afferrò qualche foglio e me li porse.
"Tieni, sono tutti signorotti di alta società, mi raccomando sono informazioni che non dovrei darti per la loro reputazione, ma mi fido, usufruiscine solo personalmente".
"Certo Madame I", dissi baciandole la mano, arrossì leggermente e mi scortò fuori.
Mi salutò con la mano e poi rientrò nel suo locale.
Mostrai a Atrèe gl'indirizzi e mi stupii nel vedere che ne conosceva la metà, eppure dovevo capirlo, sapevo che faceva parte di una famiglia nobile, anche se ormai in bancarotta, aveva frequentato i migliori salotti parigini durante le feste dedicate ai borghesi. Mi guidò esperto verso i quartieri alti, quando ad un certo punto si fermò davanti ad una maestosa abitazione ormai soffocata dalle rampicanti e con il giardino sfatto, la guardò con un moto di nostalgia e amarezza.
"Era casa mia questa, guarda da cosa sono fuggito" disse con la voce tremante per i troppi ricordi che stavano tornando a galla.
Accarezzò dolcemente il cancello di ferro battuto, chissà da quanto tempo non tornava più nella casa paterna.
Benchè avessi fretta capii la situazione e pazientai.
"Non siamo qui per me però" disse, quasi leggendomi nel pensiero.

Gl'indirizzi erano davvero troppi e optammo per quelli scritti più spesso.

Il primo portava ad una grande casa diroccata, molto gotica e opprimente. Apparteneva ad una nota famiglia parigina, famosa nel mondo del commercio, grazie al quale si era notevolmente arricchita.
La famiglia in questione era la rispettabile famiglia Blanc.
I Blanc erano rispettati da più di cinque generazioni e tutti desideravano deliziarsi della loro presenza nelle feste o negli eventi particolarmente importanti, I coniugi correnti erano interessanti e acculturati.
La signora Blanc, nota per la sua bellezza e la sua raffinatezza, era morta durante il parto del terzo figlio. Il marito si era risposato con una giovane donna, che si atteggiava a gran signora, ma che risultava pacchiana e ignorante. Il suo ostentare era antipatico ai più, e la sua figura era da sempre circondata da pettegolezzi velenosi tra cui un presunto incesto.
Ebbene la nuova sinora Blanc non era altro che la giovane Mariè Bonnet, che si era risposata qualche mese dopo aver abbandonato la figlia nel convento.
Mariè stravedeva per i figliastri, nei quali vedeva reincarnati l'eleganza e la perfezione che tanto desiderava nella figlia; li sfoggiava ovunque lodandone ed esaltandone la bellezza, le abilità e l'intelligenza, quasi fossero oggetti di cui vantarsi, ma la sua superficialità era nota e la gente aveva imparato ad ignorarla.

Battemmo con forza alla porta, ad aprirci fu un' inserviente dai capelli canuti raccolti in un piccolo chignon.
"Se cercate la signorina Audrey, non c'è è uscita con la signora Blanc"
Si riferiva alla figlia minore, la famosa Audrey Blanc, che aveva ereditato la raffinatezza della madre e l'acume del padre.
"In realtà cercavamo il signor Blanc"
la cameriera ci guardò un po' stupita, ma ci fece accomodare nell'austera sala da pranzo, informandoci che il signore sarebbe arrivato.


"Chi mi cerca?" disse una voce roca e fredda.
"Buon pomeriggio, mi chiamo David Masson" dissi all'uomo sulla cinquantina che mi si piazzò davanti.
Si ravvivò i capelli brizzolati e mi lanciò un'occhiata interrogativa, di Atrèe non se ne era neanche accorto. QUello che diceva allora era vero, e una morsa di tristezza mi strinse il cuore.
" E lui è il mio amico Atrèe Garcia" dissi indicando il giovane ragazzo che si stava mimetizzando con l'arredamento della sala, l'uomo ruotò gli occhi e fece un segno in sua direzione, Atrèe non rispose e continuò a studiare i dipinti.
"Cosa volete dunque?"
"Conoscete Elèonore Bonnet?"
"DI Bonnet conosco solo mia moglie, una Elèonore la conosco, ma si chiama Blanc ed è mia cugina"
"Quindi non veniva nessuna ragazza che insegnava ai vostri figli a suonare il violino o a leggere?"
"Sì, qualche volta ma si chiamava Sophie e aveva circa il doppio dei tuoi anni, ragazzo"
"Ma Madame I ci ha detto che voi..." non mi lasciò finire la frase perchè a quel nome strabuzzò gli occhi ghiaccio e indurì l'espressione, la faccia gli diventò tutta rossa e mi urlò incontro che lui con conosceva nessua Elèonore e che, per nulla ragione al mondo, dovevo nominare quella donna in casa sua, che lui non aveva nulla a che fare con le sue puttane eccetera.
Dalla sua reazione capì che mentiva, almeno sul conto di Madame I.
Ci cacciò via in malo modo, ma poco prima di chiuderci la porta in faccia la cameriera dai capelli bianchi mi sussurrò qualcosa all'orecchio "La signora Bonnet non sa soddisfare il signore e la signora Sophie non era riuscita a insegnare a suoi ragazzi a suonare il violino, ma lei si...lei era brava".
Non mi disse chi, ma io avevo capito.

Quella famiglia sapeva qualcosa su Elèonore e io l'avrei scoperto.




  
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