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Autore: DadaOttantotto    28/01/2013    0 recensioni
Matthew Beeman. La vita gli è passata addosso come un uragano, portandogli via tutto quello che aveva. E ora? Come andare avanti? Come convivere con il dolore di una perdita troppo grande per un ragazzo di soli ventisei anni? Il suo inseparabile amico Brian cercherà di aiutarlo in ogni modo, anche quando Matt decide di cambiare città e incominciare tutto da zero...
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seize the day cap 3
  • Capitolo 3
"Mamma, vado via."
"Via dove, Matthew?"
"Non lo so ancora. Ti chiamo quando ci arrivo, ok?"
"Ma non c'è bisogno che te ne vada, tesoro. Puoi venire a vivere qui, con me. Affronteremo la cosa insieme e..."
"Non posso restare, mi dispiace."

Laureen Beeman lanciò l'ennesima occhiata al telefono, nella vana speranza che questo cominciasse a suonare.
I primi tempi suo figlio la chiamava almeno tre volte alla settimana, chiedendole notizie su quella parte di mondo che aveva deciso di abbandonare. Ma ormai era passato un anno, le telefonate si erano fatte più rade e così i tentativi di convincerlo a tornare a casa.
Si alzò dal divano sospirando e si spostò in cucina per preparare la cena.
Forse poteva contattarlo lei. Una madre ha diritto a sentire un figlio come e quando le pare, no? Ci aveva provato, ma non c'era mai riuscita. Dopo aver cercato il numero in rubrica si bloccava, il dito sospeso a pochissimi centimetri dal tasto verde. E ogni volta imprecava contro sè stessa per quella mancanza di coraggio.
Laureen aveva paura di non rivedere più suo figlio. Era dalla morte di Alice che ci pensava. E se fosse successo a lui? Se quel giorno, in quella macchina, ci fosse stato Matt? Se a Los Angeles gli fosse accaduto qualcosa?
Non sarebbe mai riuscita a convivere con un tale dolore. Non le sarebbe stato possibile sopportare di nuovo quello che aveva provato dopo l'infarto che le aveva portato via il marito.
Doveva chiamarlo. O Brian, magari.
Forse un giorno ce l'avrebbe fatta. Forse quel giorno sarebbe stato troppo tardi.

Quando si alzò, la mattina dopo, Brian stava ancora dormendo. Lo poteva dire con sicurezza, anche senza entrare nella sua stanza: il russare dell'amico si sentiva persino da fuori casa.
Infilò il casco e salì sulla moto.
Un anno.
Non riusciva a non pensarci. Non poteva semplicemente accantonare il pensiero, relegandolo in un angolino della propria mente.
E' passato un anno dalla morte di Alice.
Accelerò, inconsapevolmente. La moto percorreva le affollate strade di Los Angeles, passava tra macchine ferme in coda e automobilisti non particolarmente allegri.
Avrebbe voluto poter chiudere gli occhi e dimenticare tutto. Alice, il bambino mai nato... tutto. Avrebbe voluto... magari se non fosse partito sarebbe stato meglio. O forse no. Forse avrebbe finito con il diventare pazzo, o, ancora peggio, farsi del male.
Fermo al semaforo, Matt si ritrovò a pensare a Brian. Era un anno che non vedeva la sua famiglia, ma non lo aveva mai sentito lamentarsi. Eppure, lo sapeva, non vedeva l'ora di tornare a casa.
Gli avrebbe parlato. Gli avrebbe detto che era libero, che non doveva sentirsi in obbligo e restare solo perché il suo migliore amico era un mezzo depresso. Non aveva alcun diritto di rovinare anche la sua, di vita.

Non chiudere gli occhi, Jess. Non farlo.
Si passò entrambe le mani sul viso, nel vano tentativo di eliminare così la stanchezza che le gravava sulle spalle. Aveva ventiquattro anni e si sentiva come una donna di ottanta. Forse era davvero arrivato il momento di trovare un lavoro che le permettesse di dormire un po' di più.
- Va tutto bene? - le chiese una delle mamme in attesa.
Jess annuì, tornando a guardare il grande cancello dell'asilo. Era arrivata prima del solito, quella mattina, e aveva trovato tutto ancora chiuso. Ma Christopher non vedeva l'ora di raggiungere i suoi compagni per mostrare loro la nuova macchinina che la nonna gli aveva regalato.
Pensò di chiedere al suo capo una settimana di ferie. In fondo, se lo meritava. Lavorava sei sere a settimana nel pub, dall'apertura fino all'ora di chiusura, poco prima delle cinque di mattina. Poi doveva tornare a casa, farsi una doccia, svegliare Chris, preparargli la colazione e portarlo all'asilo. Riusciva giusto a concedersi quell'oretta di riposo sul divano per evitare di crollare.
Più volte sua nonna, quella che anche Chris chiamava 'nonna', si era proposta come sostituta. Ma era anziana, e Jess non voleva che si stancasse troppo. Per tranquillizzarla, comunque, si era trasferita a vivere da lei, insieme al figlio.
Aprì gli occhi, di botto. Neanche si era accorta di averli chiusi. Santo cielo, stava seriamente peggiorando. Doveva rimanere vigile, controllare... un attimo. Dov'era Christopher?
Cercò il figlio con lo sguardo, tra la moltitudine di adulti e bambini che aspettavano di fronte al cancello.
- Chris? - chiamò, ma senza ottenere risposta.
Il sonno era svanito di colpo, lasciando il posto ad un'immensa preoccupazione.
- Christopher?
Fu allora che lo vide.
Giocando con gli amichetti, la macchinina era finita sulla strada e il piccolo stava andando a recuperarla. Jess cercò di raggiungerlo, spintonando chiunque le ostruisse il passaggio. Chris era già sceso dal marciapiede. La ragazza si rese conto che non sarebbe riuscita ad arrivare in tempo.
- Christopher, torna qui!
Il bambino era ormai in strada, esposto al pericolo. Una macchina lo scansò all'ultimo momento, suonando a lungo il clacson.
Jess si sentiva il cuore di piombo. Ma perché nessuno faceva qualcosa? Per quale motivo non prendevano Chris e lo toglievano dalla strada?
Passò tra due madri che fissavano incredule la scena, spingendole via. Ancora pochi metri...
Quel suono sarebbe rimasto impresso nella mente di Jess per tutta la vita.
La grossa moto nera, che fino a qualche secondo prima puntava dritta sul bambino, quasi il guidatore fosse completamente cieco, aveva sterzato a destra all'ultimo momento, finendo contro i bidoni dell'immondizia.
Quando finalmente lo raggiunse, Jess prese Christopher tra le braccia e lo riportò sul marciapiede.
- Stai bene? - gli chiese, toccando ogni parte di lui per sincerarsi che fosse tutto intero. - Chris, stai bene?
- Sì, mamma, sto bene.
- Sto bene anche io, grazie per l'interessamento.
Jess si girò di scatto. Quello che doveva essere il conducente della moto si era avvicinato e, una volta tolto il casco, li guardava serio.
- Vuole sapere la verità? Non me ne importa un accidente di come sta lei.
- Lo immaginavo - rispose lui. - Il bambino come sta?
- Sta bene, grazie - sbottò la ragazza.
- Menomale.
Detto ciò, il ragazzo si girò, salutandoli con un gesto della mano, e si incamminò.
- Ehi, aspetti! - esclamò Jess, facendolo nuovamente voltare. - Grazie. Per non averlo... per aver preferito i bidoni a mio figlio.
Lui rispose con un sorriso; poi tornò alla sua moto, la avviò e ripartì come se non fosse successo niente.

Lo so, è un pessimo capitolo. Soprattutto dato che vi ho fatto aspettare più di un anno. Ma abbiate pazienza, Madame Ispirazione non si è fatta vedere per un bel po'.
Un grazie di cuore a Kira90 che, nonostante tutto, continua a seguire la storia.
E lo so che lo dico sempre, ma spero di riuscire ad aggiornare in meno tempo la prossima volta.
A presto, si spera! :)
Baci8
   
 
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