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Autore: unknown_girl    28/01/2013    2 recensioni
La storia si basa sulla ricostruzione delle vicende del film "Thor", analizzate e vissute dal punto di vista di Loki, in questo caso il protagonista. Per realizzarla ho utilizzato anche una delle scene eliminate dal film.
[ Sento deboli i miei occhi, bruciano; i battiti del cuore salgono alle tempie e mi frastornano, il mio volto salta da una prospettiva all’altra in cerca di qualcosa, qualcuno. Ma non so cosa. E non so chi. Deglutisco senza difese, inerme. Il tempo si dilata come lo strappo di una tela e mi isola in un turbine di immagini e pensieri che mi accecano. Ma non posso. Non adesso. I Giganti. Thor. Dobbiamo tornare. Fratello, dobbiamo tornare. Adesso. ]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Loki
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Hurt Reindeer - Fracture + Epilogue

- Fracture -

 

Ecco infine giungere il momento. Il più atteso di ogni mia speranza. La schiena ampia, ben definita dai chiaroscurali muscoli di Laufey, si apre come un ventaglio proprio lì, sul capezzale del padre degli dei. Impugna una lama di ghiaccio affilata che rischierebbe di diventare causa di una nuova pagina di storia se non fosse per il mio già programmato intervento. Prima di colpire, non posso ignorare una piccola constatazione ironica dato che, uniti da un filo di vita e di morte, vi sono entrambi i miei “padri” su quello stesso letto. E la mia scelta, inevitabilmente, premierà il padre infedele e bugiardo, il meschino ma sicuramente meno ignobile tra i due. Il mio creatore, il seme della mia genesi, colui che al tempo del dovere ha sostituito il capriccio di un onore privo di umanità, sta per esalare il suo ultimo respiro. E tutto questo per mano mia. Eccomi, come nuovo astro nascente, pronto a gettare le basi di un nuovo mondo, di un nuovo ordine e di una nuova esistenza.

Il primo colpo lo ferisce in pieno, proprio al centro di quella schiena scura così minacciosa. Il lampo dorato che dura il tempo di una scintilla dipinge un contrasto appariscente sul corpo del Gigante. Quello stesso Gigante, capo di un’intera stirpe, che adesso rovina giù, su un freddo pavimento marmoreo della casa di Odino. Ferito, in fin di vita, quasi ridicolo alla vista. Gli ho strappato persino la forza di reagire forse, visto che si limita ad incollarmi lo sguardo addosso, pronunciando solo qualche gemito di dolore e stupore. Che bella fine, caro padre, che ti sei costruito con le tue stesse mani. Hai infine raccolto i frutti della tua semina. Se solo potessi sputare nelle tue orecchie morenti che sono io, Loki, quel figlio che hai abbandonato tempo addietro in un gelido tempio inadatto e inospitale. Il mio unico tentativo consiste nel trasmetterti con lo sguardo tutto il mio odio, raggrumato in due pupille scure come l’universo. Spero davvero tu possa sentire sulla tua pelle ogni sfumatura del mio disprezzo. Poterti osservare per questi pochi istanti prima di ucciderti è la vendetta migliore che potessi augurarmi; almeno una vittoria mi è stata concessa. Scandisco con precisione esagerata le sillabe che mi definiscono figlio di Odino. È come rivendicare un’appartenenza falsa e indebita, ma è un pensiero che mi fa stare meglio. Mi culla nell’illusione che io ancora, almeno nelle apparenze, appartenga a questo mondo, a questa famiglia, a questa casa. Queste parole mi tamburano nelle tempie per tutto il tempo in cui torno a brandire lo scettro, puntandolo una seconda –e ultima- volta sulla mia vittima, e schioccando la scintilla finale, quella che segna la morte del mio creatore. La sua figura si sgretola in un pulviscolo infuocato; avverto un odore acre nell’aria. Quel corpo non c’è più. È estinto esattamente come l’identità del mio passato celato. Quel bambino nel tempio è svanito, perduto, morto per sempre. Non sono il figlio di Laufey. Sono solo Loki. E tra poco eliminerò anche l’altra metà della mia falsa identità. Come ormai ho eliminato il figlio di Laufey, tra poco completerò la cancellazione del figlio di Odino. E solo allora sarò finalmente libero e garante di ciò che sono e mi appartiene. Solo allora potrò essere Loki, e Loki soltanto.

Quest’abbraccio, madre, giunge con una puntualità inaspettata. Si sposa perfettamente col mio bisogno di certezze e di fiducia. Non posso renderti partecipe dei miei pensieri, perché so che ti sconvolgerebbero, ma se solo ne avessi la forza non resisterei a chiederti: sto facendo la cosa giusta? Riesci a scorgere uno spiraglio di luce nelle tenebre delle mie macchinazioni? Io so che c’è. È per tutti noi che sto costruendo un nuovo futuro. Vorrei solo che ciò fosse compreso da quelle poche persone che ancora sono rimaste nel mio cuore. Quanto vorrei osservarti negli occhi e farti leggere la domanda che da solo non riesco a porti, madre. Come vorrei che potessi restare qui, attaccata a me e sussurrarmi che è giusto ciò che sto compiendo. Niente mi renderebbe più forte.

Quando affermo che pagheranno per quello che hanno fatto, non potrei essere più sincero. Perché ciò che è accaduto è senza dubbio il risultato delle esecrabili azioni e scelte di un re che non aveva alcun diritto di conservare quel nome. Se il suo egoismo non fosse stato così profondo, la sua perfidia così grave e il suo sprezzo tanto ignobile, nulla di tutto questo sarebbe mai avvenuto. Nemmeno io sarei qui, immagino. E forse sarei un altro Loki. Un altro me stesso. Una creatura dal cuore così diverso che mai avrebbe potuto provare simili rancori e che certo non sarebbe stata costretta a intessere simili trame per ottenere il più scontato quanto sottovalutato dei diritti: la dignità della propria esistenza. È così, madre. Io sto lottando per questo. Ancora adesso; perché ancora adesso io, questo diritto, non l’ho ottenuto.

Nessuno deve temere ciò che accadrà da qui a breve: le mie scelte sono dettate da un amore per il mio mondo e il mio popolo che ancora resiste; la mia casa ha lasciato un debole del tepore nel cuore. Voglio gettare nuova legna sulla fiamma stemperata e rinvigorire il fuoco dei miei affetti. Sto tentato con tutte le forze, madre. Vedrai cosa riuscirò a fare. Vedrai quanto potrai essere orgogliosa di tuo figlio, se davvero mi hai mai considerato tale. È anche per te che sto fondando questo nuovo ordine; il mio unico peccato è stato forse l’ardire di non attendere più a lungo una possibilità. Ho sfruttato le condizioni favorevoli che il destino, o chi per lui, mi ha posto davanti e ora siamo a un passo dall’epifania conclusiva.

Sono pronto all’ultimo passo. Non sono mai stato così impaziente di qualcosa come adesso. Ma una voce tremendamente familiare che chiama il mio nome mi raggela i pensieri. Nessuna immagine potrebbe essere di maggiore sgradevolezza ai miei occhi. Tu, fratello, qui di fronte a me. Vivo, certo, come mio malgrado ti lasciai su Midgard. Le sillabe del mio nome che hai appena pronunciato mi tuonano nelle orecchie, e mi ci vuole qualche istante per realizzare che il tuo tono rappresentava un inequivocabile monito. Devo dire che se anch’io fossi nato stupido e ottuso come te, di fronte agli avvenimenti delle ultime ore probabilmente avrei mostrato lo stesso rancore. Fortuna mia, non sono nato te. Anche se di fortuna poi non mi è più capitato altro.

Sento il tessuto leggero della veste di nostra madre che mi scivola tra le dita, come acqua dai fori di una rete. Corre verso te alla stessa velocità con cui elaboro un nuovo motivo di odio nei tuoi confronti: ancora una volta, infame di un primogenito, mi strappi qualcosa che mi appartiene e che stava concentrando il proprio affetto e le proprie attenzioni su di me. Il tuo tempismo è come sempre impeccabile. Sei un irreprensibile divoratore dell’altrui felicità.

Basta. Basta con questa farsa. È chiaro come il sole che neanche un idiota come te potrebbe non accorgersi dell’avarizia con cui continui a scansarmi, della tirannia con cui mi privi di ogni cosa, ogni conforto. Sei dovuto tornare per ricordarmelo, non è così? Il tuo animo sudicio e macchiato di colpe non poteva resistere all’idea di sapermi in cima a quello che avrebbe dovuto essere il tuo posto? Ma no, immagino. Troppa sarebbe stata l’onta. Troppa la vergogna di sapere che Loki, l’inetto, Loki, l’estraneo, Loki, il diverso, Loki, l’inferiore, Loki e non tu sarebbe salito sul trono di Asgard. Il tuo stomaco non è sufficientemente grande fratello per tutta la voracità che ostenti. Hai avuto la tua occasione e non ne sei stato all’altezza; chi ti dà adesso il diritto di cancellare ogni colpa e di recuperare il tuo piedistallo? Chi? Chi diavolo ti credi di essere, chi? Che cos’hai, tu, più di me, maledizione? Come fai? Come puoi? In che modo riesci a strapparmi ogni grazia dal petto senza uscirne mai ferito né pentito? E forse nemmeno avveduto. Come? Come puoi?

Non l’avrei detto, ma ammetto che il tuo sguardo in questo momento mi stilla qualche goccia di soggezione nell’animo. Arretrare mi è istintivo. Sembri arrabbiato. Buffo, davvero buffo. Perché non hai nemmeno idea di quanto lo sia io. Ma sì, parla; parla pure, svela ogni segreto, rigettami pure addosso tutto il tuo astio. L’acredine non ti si addice, sai, eppure mi diverte. A dire il vero, trovo stupefacente persino il fatto che la mia copertura stia saltando in mille pezzi proprio di fronte a nostra madre. Sono sincero, ritengo sia l’ultimo dei mie problemi. Lei capirà; come tutti. Ognuno di voi capirà, e finalmente sarà ristabilito un giusto equilibrio.

Non provo vergogna ad ammettere che la distruzione del mio segreto abbia un’importanza seconda rispetto a un altro evento: i tuoi occhi, Thor. Li vedo, per la prima volta, solo e soltanto per me. Per la prima volta nelle nostre esistenze, forse sto interamente occupando i tuoi pensieri; per la prima volta, hai realizzato che sono io il tuo avversario. Anzi, hai infine compreso che io possa davvero giungere a essere per te un avversario. Questo. Esattamente questo istante ho atteso per tutta una vita di torti e villanie subite. La comprensione di quanto stia accadendo è fulminea, così come lo è la mia reazione. Siamo l’uno opposto all’altro, esattamente come due nemici al limite dello scontro. E adesso so. Adesso so che è questo che voglio. Desidero che tu combatta, che tu mi odi, che tu mi tema, che tu mi affronti come il tuo opposto. Dimenticati il nostro falso legame di sangue; guardami con tutta la considerazione che un avversario richiede. Sono il tuo rivale, sono il tuo pari, opposto ma eguale; nulla potrebbe giovarmi maggiormente. Riesco persino a ricevere dei complimenti da te; la mia sorpresa è incontenibile. Per la prima volta, Thor; guardaci, fratello: per la prima volta siamo uguali e opposti.

Immagino che adesso dovrei considerare una fortuna il fatto che tu non sia morto su Midgard. L’adempimento della missione del Distruttore avrebbe reso tutto più facile e veloce, lo ammetto, ma mi avrebbe privato di questo momento che mai potrò cancellare dai ricordi. Con un pizzico di ironia potrei anche credere che una vita di prepotenze sia valsa la pena; una vita intera, solo per questo momento. Solo per noi. Asgard, il padre degli dei, il trono, i Giganti…ogni cosa nei miei programmi e nei pensieri è scesa in secondo piano. E il fatto che per te adesso sia lo stesso, mi inonda lo spirito di un’eccitazione incontrollabile. Fa salire l’emozione e la gioia esattamente quanto la rabbia, proprio perché adesso so che potrò ucciderti con le mie mani, odiato fratello. Sarai mio per i pochi minuti che ti separano dalla caduta e infine dalla morte. Benvenuto, dunque. O meglio, bentornato. Per quanto tu stenti a crederci, è veramente bello vederti. Devi credermi.

Sollevo lo scettro in un istante, lo punto contro di te ed ecco, più facile di quel che avessi mai pensato: il mio raggio ti colpisce in pieno, scagliandoti contro il muro e distruggendolo. Precipiti come un sassolino lungo un pozzo. Devo ricredermi, pensavo che sporcarmi le mani sarebbe stato troppo difficile e invece è la migliore sensazione che mi sia capitata durante gli ultimi avvenimenti. Ritempra lo spirito e i propositi. Senza contare che mi fa guadagnare tempo. So bene che non sei morto, forse neanche lontanamente scalfito, ma va bene così, ferirti non era certo il mio principale obiettivo. Sparisco dalla stanza di nostro padre come un pensiero. Né nostra madre, né qualunque altra impellenza potrebbe distrarmi adesso dalla mia missione che col tuo ritorno è più in pericolo che mai. Devo impedirti di intervenire e rovinare tutto. Questo è il mio piano, il mio futuro. Per te ho in mente qualcosa di diverso.

Forse il mio colpo è stato più potente di quanto immaginassi visto che riesco ad arrivare al Bifrost senza impedimenti. La sua camera è vuota e ciò mi lascia tutto il tempo per azionare il portale e dare inizio al più grande spettacolo che questa nostra terra ricorderà: le luci divampano, le scintille scoppiano in una danza di ghiaccio che va ad espandersi sulle stesse pareti dorate del Bifrost. Parte un raggio di luce opaca, carico di tutta la forza di Asgard, e si scaglia contro quel popolo di brute oscenità. Jotunheim è colpito, brucia e crolla nella furia di un suo stesso discendente, distrutto dalle mani del suo stesso popolo. Intanto i rami di ghiaccio continuano a crescere nel portale, espandendosi su ogni centimetro delle pareti. È sia gabbia che rifugio, morte e rinascita, freddo ma accogliente. Mi fa sentire indistruttibile e vincitore. Per una volta, sento di potercela fare ad ottenere ciò che voglio. Vedrete, quando tutto sarà finito, tra pochi minuti. Vedrai padre, quando ti sveglierai. Avrò ristabilito l’ordine, la sicurezza, la rispettabilità del nostro regno e del suo sovrano. Tutto sarà restituito ai suoi fasti. Tutto sarà per il meglio. E io sarò finalmente degno anche di fronte ai tuoi occhi ciechi e ingiusti. L’energia racchiusa nelle braccia di ghiaccio che mi circondano vibra potente e con un chiarore straordinario.

La sua contemplazione mi distrae dall’attesa inevitabile della tua venuta, caro fratello. È giusto concludere ciò che abbiamo iniziato. Sapevamo bene entrambi che il trono aveva un posto solo, adesso più che mai. La nostra sfida non è più rivolta solo al titolo di erede ma alla vita stessa. Dopo ciò che è stato, lotto per ucciderti e non più solo per usurparti. Avresti potuto restartene in esilio coi tuoi nuovi stupidi amici di Midgard, ma no; i tuoi scagnozzi sono dovuti intervenire e costringermi alla forza che neanche è bastata a tenerti lontano. Ormai siamo nel vivo del gioco e l’unico vantaggio che possiedo è che tu non combatti per uccidermi come invece io ho intenzione di fare. Sei qui per riprendere ciò che ritieni tuo, d’altronde. Non è forse così? Ebbene, si dia il caso che sia lo stesso per me. Ho lottato, sudato, sofferto per arrivare a costruire ciò che vedi: la morte di Laufey, la distruzione di Jotunheim, tutti meriti che mi sono guadagnato. Chi sarai mai tu per venire adesso a sfilarmi ogni favore da sotto il naso? Non succederà ancora. Non lo permetterò. Preferirei ucciderti con le mie stesse mani piuttosto. Lo farò. Non ho timore stavolta.

Perciò ti prego, giungi presto, non farti pregare. Quelle bestie dagli occhi cremisi aspettano soltanto il tuo intervento. Guardale, come si agitano pietose nel terrore della morte. Come chiedono aiuto e pietà. Gli esseri viventi riescono sempre a umiliarsi quando sono a un passo dalla morte. È vergognoso. È tempo di porre fine a tutto questo.

Eccoti qui dunque. Cominciavo a preoccuparmi che la caduta ti avesse destabilizzato. Cos’è quello sguardo incredulo? Non sarai mica intimorito? O è forse un afflato di benevolo compatimento verso i Giganti colpevoli? Avvicinati, fratello. Mi piacerebbe scambiare parole con te per l’ultima volta. Che sia un ricordo degno, l’ultimo di cui mi farai dono. Ma come sei precipitoso. Mi rivedi dopo tanto tempo e la prima cosa che ti viene in mente di fare è correre a distruggere i miei piani? Porta pazienza, te ne prego. Mi vedo proprio costretto a interrompere la tua corsa. A quanto pare il colpo di prima non è stato un avvertimento sufficientemente persuasivo. I passi che compi verso il corpo di ghiaccio che imprigiona il raggio distruttore sono celeri e ampi, ma non abbastanza da impedirmi di attaccarti una seconda volta col mio scettro. È fin troppo facile scaraventarti via come una foglia secca sotto i piedi. Però, sembri infiacchito o sbaglio? Questo potrebbe addirittura accrescere il mio desiderio di combattere. Combattere contro di te, fratello. Potrà stupirti, eppure mai come ora desidero confrontarmi. Mai come ora desidero annientarti. Niente distruttore stavolta, niente trappole né sotterfugi; voglio essere io con le mie mani a porre fine alla tua vita di ingordigia e tracotanza. Una vita in cui non hai dovuto mai lottare per ottenere qualcosa, un’esistenza in cui tutto ti è stato concesso e cullato da tutte queste fortune non sei neanche riuscito a vedere oltre il tuo personale arraffare, consumare e godere. Sarebbe bastato così poco Thor. Così poco, davvero. Rialzati adesso, forza. Abbiamo appena cominciato e questo momento voglio assaporarlo fino in fondo.

La tua domanda mi suona ridicola, ma poi ricordo che sei troppo sciocco e ingenuo per comprendere certi meccanismi e pertanto indulgo nel giudizio. È legittimo, in fondo. Sappi che in parte mi rincuora che tu me l’abbia chiesto, e quindi ti rispondo nel modo più chiaro e semplice possibile, senza ambagi. Stavolta voglio che tu mi comprenda profondamente, fosse anche la prima e ultima volta che succede. Come puoi tu stesso constatare, il piano in sé era ben semplice: dimostrare che la scelta di nostro padre non era la migliore. Dimostrare che tu, favorito primogenito, non eri il migliore e che anzi rappresentavi solo un grumo malsano di speranze malriposte. Pensa, fratello: alla riuscita del mio piano nostro padre si sveglierà e troverà la sua vita salva per mano mia e il popolo degli odiosi Giganti distrutto. Per mano mia, Thor, per mano mia. E tu rimarrai solo l’indegno figlio esiliato; o forse dovrei aggiungere, morto?

La tua replica è davvero sorprendente, non riesco a non sorridere. Cosa dovrebbe significare che “non posso”? Non hai ancora capito quello che sto facendo? Perché non ti guardi intorno? Il fatto che stia facendo davvero sul serio ti sconvolge a tal punto? Anche tu sei uno di quelli che pensava che non ce l’avrei mai potuta fare, non è così? Bene. Allora direi che sei giunto con perfetto tempismo. Dimmi, provi forse compassione per questi poveri Giganti? Proprio tu che avresti potuto trucidarli a mani nude e che bramavi il loro sangue come legittimo trofeo di guerra? Cos’è, ora, tutto questo buon cuore?

Mi avvicino lentamente, scendendo un gradino alla volta. La risposta mi interessa, davvero. Sono proprio curioso di sapere quali possano essere le tue repliche. Oh, sei cambiato dici? Dalla serietà del tuo viso sembrerebbe proprio di sì. Chissà se è vero. In ogni caso sai, caro fratello, per una volta penso di poter dire lo stesso, perché anch’io sono assai cambiato. E te lo dimostrerò immediatamente.

Vibro in un colpo secco la punta dello scettro verso di te. Ti colpisco, e la smorfia del tuo viso mi incita a fare ancora meglio. È liberatorio. Colpirti è appagante e liberatorio. È il momento del confronto Thor; combatti con me ora, forza. Ti mostrerò il dio che sono diventato. Un secondo colpo parte con la stessa naturalezza di un respiro. In me non vi è un solo grammo di incertezza ormai e la forza che impiego nel colpirti ti lancia distante, a terra, lo stesso luogo dal quale, a breve, non ti solleverai più. Assaporo l’emozione di un diretto incontro con te, finalmente. E più ne gusto il sapore incandescente, più devo dire che sono sollevato dal fallimento del Distruttore. Probabilmente è stato davvero un bene, una possibilità che mi ha inaspettatamente concesso una rivincita di gran lunga migliore nei tuoi confronti che il semplice toglierti la vita. Adesso, potrò eliminarti con le mie mani, con le mie sole forze. So di potercela fare. Per quanto tu possa mostrarti restio, dovrai difenderti fratello, perché io non risparmierò un solo colpo. Andiamo, alzati adesso. Forza. Questo è un giorno memorabile; il giorno in cui combatteremo come pari per la prima e ultima volta. Riesci a sentire la mia fremente attesa? Riesci a sentire la scarica elettrica che questa sfida mi provoca? Alzati, maledizione. Dobbiamo combattere. Io, soprattutto, devo combattere. E visto che con tutta probabilità questa sarà la nostra ultima conversazione, parliamo anche un po’ Thor, che dici? Ho voglia di spiegarti alcune cose prima di ammazzarti, andiamo. O forse ho solo voglia di sputarti addosso una esigua parte di tutto il mio astio che non riesco a esprimere con le parole. Non basterebbe né il corpo né lo spirito per una cosa del genere.

Cammino verso di te, scegliendo la strada più lunga e meno diretta, quasi a girarti intorno come uno squalo con la sua preda. Lo sai, per esempio, che non ho mai bramato il trono? Lo sai questo? Lo dico perché, bé, con le mie parole di prima certo devo averti dato un’idea diversa; ma vedi, Thor, questa è stata solo una conseguenza, l’ultimo atto di un piano nato da molto lontano e che abbranca le sue motivazioni in abissi a te sconosciuti. Se ho fatto tutto questo per risultare il figlio degno di salire al trono, è stato solo perché non ho avuto altra scelta. Perché tu non mi hai dato altra scelta. Mi sarebbe bastato molto meno del trono, te l’assicuro. Ma probabilmente, se fossi rimasto a un livello inferiore di una tale gerarchia di potere, tu nemmeno mi avresti considerato. Tu, come tutti gli altri. E invece guardati ora. Guardaci. Ora che combattiamo entrambi per il trono, guarda quanto siamo vicini. Ti renderai conto da solo che era fin qui che dovevo giungere per ottenere briciole della tua attenzione. Il pensiero di tutto ciò ancora mi ferisce, come una piaga che non si rimargina. Il solo meditare sulla tua indifferenza e spregevolezza mi infiamma la mente e gli occhi.

Alzati, ho detto. Non ho mai chiesto molto alla vita, ho anzi deciso che nella mia condizione di subordinazione avrei reciso ogni pretesa e aspirazione. Tranne una. Qualcosa che ho conservato fino a oggi. L’unica aspirazione di voler almeno essere tuo pari. Per un’unica volta, in un gesto o in una parola. Nient’altro avrei chiesto, nient’altro. Eppure mi sbagliavo, a quanto pare era troppo persino questo. Qualunque cosa scegliessi, da qualunque punto di vista guardassi gli altri e la mia esistenza, era sempre troppo. Tutto era così irraggiungibile. Non hai nemmeno la più pallida idea di cosa sia la frustrazione, tu. Non hai idea di cosa sia l’odio né il rimpianto né la sete di vendetta. Considerando questo, la tua irritante e infantile asserzione di non voler combattere con me può solo che aumentare la mia rabbia.

Tu non hai alcun diritto di sottrarti a questo punto, caro fratello. Tu non sei più nella condizione di decidere ormai. Non più; non oggi. In questo giorno, tu combatterai contro di me; che tu lo voglia o meno, non ha importanza. Eccezionalmente, quello che tu desideri non accadrà; e accadrà invece ciò che io ho costruito in queste ore: la mia unica possibilità. So che è preziosa e che non si ripeterà, perciò bada bene che non ho alcuna intenzione di sprecarla. Tu che sei sempre stato così pronto alla battaglia. E già che ci siamo, mettiamo in chiaro le cose. Noto che continui a chiamarmi “fratello”, e forse inconsciamente continuo anch’io a farlo, ma vedi Thor: io non sono tuo fratello. E nemmeno lo sono mai stato. Il tuo sincero stupore ammetto che mi rincuora: è possibile che neanche tu fossi davvero a conoscenza di questo piccolo particolare. Si vede che il padre degli dei aveva infine mantenuto la sua parola di celare il segreto. Buffo, un altro piccolo particolare che ci rende simili. Ciò non toglie che a te la scoperta della verità non farà poi così male.

Ma sì, chiamala follia, demenza, paranoia. Che ne sai tu? Forse ti farà anche piacere sapere che non siamo mai stati congiunti, certo ti risparmierebbe l’imbarazzo di avere accanto un replicato di scarsa fattura che nemmeno ti somiglia in forza e in indole. Che sollievo che sarà per te. Anzi, che sollievo sarà per tutti. Avranno una ragione in più per respingermi, per odiarmi, per muoversi a disgusto quando incroceranno il mio sguardo. Se prima mi odiavano, adesso mi ripugneranno, magari pensando anche che in fondo l’avevano sempre sospettato che non c’entrassi niente con loro, con voi, con questo mondo. Si vede che l’universo è troppo piccolo per tutti quanti. Hai idea della vita che potrebbe attendermi da ora in poi, stupido ingordo senza cuore? Che altro dovrei fare? Adagiarmi comodamente ad aspettare l’ostracismo? Parlare è inutile, non capiresti una sola delle mie parole. Ciò che mi resta è solo combatterti. Ciò che mi resta è solo la vendetta e un unico tentativo di redenzione. Devi sparire, Thor. Devi sparire per sempre. Ti cancellerò dalla faccia di questo mondo. Io che ho vissuto in un esilio sociale e affettivo fino a questo giorno, desidero porre fine alla tua esistenza. Quindi andiamo, combatti. So che vuoi; devi fermarmi, no? Forza, cos’è tutta questa esitazione? Non ti si addice minimamente. Guardami. Fai ciò che hai sempre fatto. Diamo inizio al nostro ultimo scambio di battute. Da quando bisogna pregarti per farti scatenare? Cos’è questo? Cosa ti è accaduto, eh?

Sento le mani che iniziano a sudare rabbia. Stringo lo scettro così forte che potrebbe spezzarsi. I miei occhi diventano due iridi incandescenti colme di ogni emozione che scorre nelle vene in questo momento: odio, sconforto, disperazione, amarezza, delusione, dolore. La mia bocca impasta rancore e si prepara a sputarlo contro di te. Ho atteso questo momento per tutta una vita, fratello. Ogni respiro era proiettato verso il giorno in cui avrei finalmente guadagnato la tua attenzione e la dignità di un confronto equo con te. Bramavo i tuoi occhi su di me costantemente, in un desiderio infantile ed egoista. Ho tentato per anni senza successo e senza capire cosa mai avrebbe potuto attrarti a me, rendermi sufficientemente interessante, meritevole di uno sguardo di complicità, di rispetto, di stima. Poi ho rinunciato a guadagnarmi il tuo riguardo; decisi che mi sarei accontentato dell’attenzione, e così ho lasciato indietro qualche piccola parte di me che non riusciva ad accontentarsi dell’idea. Ho lasciato strisciare il mio animo come un verme per riuscire a farti accorgere di me, sotto i tuoi piedi, ma invece che notarmi mi hai schiacciato, travolto, fatto a pezzi innumerevoli volte. Pensavo sarebbe stata una missione irrealizzabile. Pensavo di non avere alcuna speranza. Poi è giunta questa triste occasione e ho capito: il punto non era farmi calpestare per farti notare un ostacolo nei tuoi passi, al contrario: dovevo farti inciampare su di me. Avrei dovuto travolgerti, farti oscillare e infine crollare. Solo allora, nel rialzarti, mi avresti scorto lì davanti a te. In quel momento, forse, mi avresti finalmente notato e avresti voluto prenderti la rivincita per lo screzio. E sai cosa? Alla fine è andata esattamente così. Perciò non rovinare tutto adesso, non spezzare i miei desideri per l’ennesima volta. Combatti, maledizione, come tu sai fare. Scagliati contro di me. La tua esitazione mi uccide. Il mio momento, il nostro momento, è finalmente giunto dopo una vita di desolazione trascorsa a masticare polvere, e adesso titubi?

Cosa, per tutte le anime sperdute dei nove mondi, ti è accaduto? Cos’è che ti fa desistere, quale freno ti opprime? Sei cambiato, mi hai detto; dunque così profondo è questo tuo mutamento? E per quale motivo? Quale evento? Cosa, nel nome degli dei, ti ha reso così odiosamente fragile su quel maledetto e insulso pianeta. Cosa?

Ribollisco di rabbia al punto che mi sembra di scoppiare. Penso velocemente, assemblo i ricordi che ho accumulato osservandoti su Midgard; penso ancora. Immagino sarà piuttosto evidente ciò che provo visto che non riesco a trattenere i muscoli facciali dal contrarsi in delle smorfie rabbiose e contrite, né riesco a trattenere un fuoco che dagli occhi divampa fino a renderli gonfi e umidi. Un’altra volta. Sarà uno spettacolo a cui forse avrò troppo abituato le canaglie che in queste ultime ore più che mai si sono accostate al mio fianco. Non ti basta la mia sola umiliazione, né la mia sconfitta. Vuoi vedermi cadere a pezzi di fronte a te, dico bene? Vuoi osservarmi con quei tuoi occhi mentre mi spezzo e infine mi frantumo a causa della mia stessa debolezza? Vuoi la conferma che mi importi, non è così? Che io frema di una sfrenata gelosia nel pensare che forse, in questo tuo breve trascorso su Midgard, tu possa aver davvero trovato una distrazione tale da confonderti. Ma è davvero così, Thor? Seriamente quella donnetta sulla Terra ti ha cambiato a tal punto?

Come? Cosa avrebbe fatto per intimarti una così docile e meditata condotta? Cosa ha fatto per te? Quale dono ti distrae a tal punto da me? Elaboro domande e risposte, inducendomi a nuove riflessioni, rapide come scariche elettriche, eppure non riesco a credere che sia davvero così. Non riesco a credere che sia bastata qualche ora sulla terra per ridurmi a un ricordo ancora più infimo di quello che già ero. Non posso accettare che il pensiero di quell’essere estraneo si abbarbichi nella tua mente al punto di offuscartela mentre io e te siamo qui, l’uno di fronte all’altro sull’orlo di una guerra tra regni e tra fratelli, pronti a intraprendere la nostra battaglia che troppo a lungo abbiamo rimandato. Perché sei venuto allora? Non sono salito verso le tue priorità nemmeno con tutto quello che ho organizzato per te? Per questo momento? Non sei tornato dunque per me, per batterti con me, per fermarmi, per distruggermi. No. No, a quanto pare. Il tuo primo e più importante pensiero era salvare quella donnetta priva di valore, salvare la Terra che tanto affettuosamente ti ha accolto. Solo per poi tornare da lei magari, ho indovinato?

Che peccato. Ti sei allora scomodato solo per togliere di mezzo l’impaccio. Dunque non sono davvero degno nemmeno lontanamente delle tue attenzioni. Rimango ancora un surrogato di motivazione; un avanzo di un problema che non risiede mai interamente e completamente in me. Rimarrò sempre e solo un contorno di qualcos’altro a ogni modo più importante di me. Avverto distintamente i battiti del mio cuore accelerare. Sembrano assetati, come se le cavità atriali soffrissero una siccità di sangue; magari è perché si sta dirigendo tutto verso il mio capo, irrorandolo di una collera sconosciuta fino a questo momento. Sento che potrei esplodere come un ordigno da un momento all’altro. Dolente di una nuova ferita, che ancora più a fondo scava nel mio animo fino a raggiungere ormai nient’altro che le ossa, cerco di dare una forma ai miei pensieri e spiro delle parole sofferenti che rivelano ogni mia supposizione.

È così dunque? È davvero per quella donna? Stai davvero pensando a lei anche in questo momento in cui io sono qui di fronte a te a intimarti di affrontarmi? Mi scavalca persino in questo luogo e in questo momento? Lei? Un essere profano con cui hai condiviso nient’altro che dei brevi e flebili respiri rispetto alla vita che noi due abbiamo condiviso. Eppure, è riuscita a sorpassarmi così facilmente.

Rispondi, maledetto infame egoista. Rispondimi, maledizione. Il tuo silenzio non fa altro che confermare le mie parole e i miei pensieri. Dunque è tutto esatto, è così. Sei riuscito a farmi un ultimo dono davvero superbo, fratello. È qualcosa che non meritavo. Non dopo tutto questo. Tu non conosci la sofferenza. Non hai nemmeno idea di cosa sia. Eppure vieni qui a parlarmi di pace e giustizia, di cosa dovrei e non dovrei fare. Col sapore delle sue labbra ancora sulle tue.

Un battito di ciglia che ho rimandato a lungo resetta il mio animo e lascia che una scottante lacrima mi bruci la pelle lungo lo zigomo e poi la guancia. Poco importa. Sono altre le cose di cui dovrei vergognarmi. Come per esempio l’averti amato fino a un giorno fa, per quanto il mio affetto potesse essere comunque ridotto e raggelato dall’odio per le tue numerose offese. Capisco solo ora che era troppo in ogni caso. Troppo rispetto a ciò che davvero avresti meritato. Ti ho donato anche più del dovuto di me stesso. E guarda cosa ho ricevuto in cambio. Sarebbe stato meglio non ricevere nulla, ma tu hai voluto superarti caricandomi invece sulle spalle il tuo disinteresse.

È finita. Adesso è finita davvero. Non c’è nessun freno rimasto, nessuna esitazione, nessuna debole fiamma che alimenti l’estinto fuoco dei sentimenti. Tu morirai, e avverrà oggi stesso; adesso. E ti dirò di più: non solo tu perirai. Mi occuperò personalmente anche della tua nuova amichetta che in uno schiocco di dita è diventata così tanto importante per te. Le strapperò l’anima e la darò in pasto ai cani, lo giuro. Conserverò ogni dettaglio per più tardi. Adesso attaccami, maledetto. Queste parole ti faranno sicuramente ardere, dico bene? Vieni qui. Assalimi. Distruggimi. Uccidimi. Io farò altrettanto, stanne certo.

Come previsto, il tempo necessario perché quella piccola lacrima si seccasse sulla pelle e le mie parole acquisissero la violenza della provocazione e già salti verso di me, finalmente intenzionato a colpirmi. Ci voleva poco allora per farti ritrovare il tuo furore giovanile; bastava centrare le cose importanti. Comprendo adesso che allora, evidentemente, io non ero uno stimolo sufficientemente forte. Il bagliore che emana il nostro colpo incrociato tra il tuo martello e il mio scettro fa letteralmente sparire ogni traccia di riflessione dai miei pensieri. Non ho più tempo di pensare, ma solo di agire. E agire in questo caso significa sconfiggerti e prendere la tua vita. La tua forza è notevole, come sempre, ma stavolta non risparmierò un solo granello della mia potenza. Il mio scopo è ucciderti, ricorda, non impressionarti. In un istante i nostri corpi finiscono per avvinghiarsi e ricadere a terra, senza neanche il tempo per riassorbire l’onda d’urto dello scontro. Iniziamo una lotta senza eccezione di colpi, quasi primitiva e animalesca. Siamo ben lontani dalla nobiltà che il nostro essere immortali ci contraddistingue. Rotoliamo sulle lastre di marmo del Bifrost come lupi che tentano di azzannarsi e rincorro la tua figura che sfugge per colpirla. Il mio primo tentativo va a vuoto e senza rendermene conto ho già scoperto ingenuamente un fianco, permettendoti di far cadere a terra me stavolta. Sappi che tutto ciò non può far altro se non aumentare la rabbia nei tuoi confronti. Quella stessa rabbia che ho tentato di tenere nascosta a lungo e che adesso non posso fare a meno di manifestare anche attraverso delle grida violente, cariche di disprezzo. Mi aiutano a mettere insieme le forze, sia mentali che fisiche, per poterti spezzare come lo stelo di un fiore.

Comunque mi difendo bene dal tuo colpo. Credevi fosse così facile annientarmi? Si vede che non ti sei mai posto il problema di un serio confronto con me; e ora ne pagherai le conseguenze. Sottostimare gli avversari è un errore fatale e tu ne sei colpevole come un recidivo. Il calore e l’energia che mi dona ogni muscolo del corpo mi permette di reagire prontamente, senza esitazioni, e di liberarmi dalla tua minaccia affidandomi a un calcio ben assestato. Rialzandomi e incrociando la tua figura, essa mi sembra così misera e umana. Sento che hai perso qualcosa, lì su Midgard. Qualcosa che tuttavia mi sarebbe piaciuto poter continuare a osservare nel nostro ultimo scontro per la vita. Forse è vero più di quel che pensavo che sei cambiato. Si vede proprio che dovrò accontentarmi.

Le scintille iridescenti dei nostri colpi continuano a illuminare il cerchio della sala senza interruzioni. È uno scontro di forza e violenza che non ammette né indugi né pietà. Devo ammettere che in questo sono in vantaggio. La forza e concentrazione che infondo in ogni fendente superano di gran lunga i miei limiti: la sete di vendetta e giustizia mi permettono di compiere sforzi che nemmeno immaginavo. È una sensazione che mi sconvolge e meraviglia, ma soprattutto mi dà energia sufficiente per continuare la battaglia che voglio veder finire nel sangue. Nel tuo sangue, fratello. Passano i secondi e finalmente penso di avere una buona possibilità per assestarti un colpo significativo: senza aspettare che il tuo corpo si rialzi, con uno slancio imponente salto verso di te, puntando lo scettro verticalmente sul tuo corpo, sperando che la sua punta ti trafigga come meriti. Ma le mie speranze sono malriposte; la tua agilità ti permette di schivare il colpo e reagire prontamente. Le nostre mosse si susseguono a ritmi così veloci da togliere il fiato, eppure entrambi non potremmo essere più concentrati su ogni istante di questo evento. Siamo entrambi pronti, lucidi e più che combattivi. Sono qui per ucciderti, fratello, ma non sai quanto avrei voluto coinvolgerti in una simile competizione in circostanze diverse e più pacifiche. Ci saremmo stimati a vicenda e io avrei ricevuto un tuo riconoscimento. Avrebbe significato per me colmare il vuoto di un’esperienza mancante fin troppo importante. Ma abbiamo avuto il nostro tempo e le nostre occasioni, e tu hai sciupato entrambe le cose. Pertanto, questa volta ci aspetta solo la morte.

Il pensiero che sia quello il punto di non ritorno al quale io stesso ti sto conducendo, ormai può solo che caricarmi di pericoloso fervore e incontrollata brama. Mi sfugge per questo una risata che ben si sposa col mio stato d’animo: sono in febbrile attesa di annientarti e lo scontro aumenta questo mio desiderio decuplicandolo, rendendo i miei occhi folli e assetati e il mio corpo pronto all’azione fino a tremare dalla suggestione. A te che hai preso tutto e hai sempre prosciugato ogni minima attenzione che il destino mi concedeva di tanto in tanto, io dono tutta la follia che ormai mi ha reso cieco di fronte a ogni legame. Sono qui e sono pronto a privarti del bene più grande: il tuo diritto all’esistenza. Sì, colpiscimi pure. Non puoi che alimentare le fiamme del mio odio in questo modo. Qualche stimolo può ancora servirmi e perciò non oserei lamentarmi delle percosse che mi riservi. Anzi, hanno un effetto corroborante. Ancora scintille e ancora rantoli di affanno e rabbia. È un miscuglio di tutte le più grandi bassezze: odio, collera, sprezzo, vendetta; l’aria odora di delitto imminente e io voglio essere il primo. L’affanno che accomuna entrambi non sembra minimamente distrarci dal nostro dovere, siamo coerenti e devoti alla nostra causa e questo fa onore a entrambi. È anzi un crescendo di forze contrastanti. Forse per questo che, arrivati al picco, esplodiamo in una detonazione tra opposti che ci scaglia lontano dal Bifrost. I miei occhi sono confusi. Vengo abbagliato da un ultimo lampo, poi riesco a scorgere il soffitto aureo del Bifrost, quindi la volta stellata e poi una melma di colori e forme che mi confonde fino a stordirmi. Ho percepito un urto violento, un frastuono di collisione e frattura; infine, mi ritrovo a scivolare sul mio corpo lungo un suolo liscio e iridescente che conosco bene. La mia corsa sembra infinita ma poi avverto un dislivello che culmina in un vuoto spaventoso. Se non altro la mia prontezza di riflessi mi permette di aggrapparmi per tempo al ciglio del ponte e sostenermi. È stato tutto così rapido e confuso che non saprei dire come io sia arrivato in questa posizione, ma certo non mi è d’aiuto per compiere quel che devo e riportarmi in vantaggio. Alcune parti del mio corpo dolgono, lo ammetto, e sento che la mia presa potrebbe a breve farsi debole fino a cedere, mentre le onde che si scontrano tra loro mi ricordano il pericolo imminente. Potrei finire inghiottito in una delle loro risacche in pochi secondi.

In un istante di debolezza, o forse di terrore, mi sfugge il tuo nome in un grido tremante. Sto riuscendo a tenermi, ma so che non sarà per molto. I palmi delle mani bruciano e la presa si allenta. Mi serve aiuto, maledizione. Ma se il mio piano funzionerà, avrò la possibilità di salvarmi e allo stesso tempo di colpirti. Ti conosco troppo bene perché qualcosa possa andare storto, caro fratello. Ecco i tuoi passi; li sento ben distinti farsi strada verso il bordo del ponte. Eccoti lì, in piedi di fronte a me a un passo dall’abisso di un mare furioso e mortale. La tua posizione ti rende vincente, ma il tuo sguardo è sconfitto. Chissà da cosa, chissà da chi. Sei forse deluso? Non sai quanto allora possa esserlo io. Io che ho trascorso una vita a cercare di portarti al cambiamento, a portarti verso di me e a convincerti del mio valore e della mia nobiltà. Non mi interessava superarti, ma essere riconosciuto come tuo pari, quello sì. E invece, in una vita di sforzi, affanni, dolori e preghiere vane, non sono riuscito neanche a scalfirti. Mentre una insulsa mortale, insignificante quanto un polline che fluttua nel vento, in un solo giorno è in grado di trasformarti fino a renderti irriconoscibile e a deviare i dettami delle tue scelte, dei tuoi interessi, della tua condotta. In un giorno solo. Una creatura che potrai anche dire di amare ma che conosci appena e che sembra insidiosa e volubile come la superficie dell’acqua. Hai rinunciato alle suppliche di un fratello che ti amava, rendendoti cieco a ogni mia timida richiesta sottintesa, per poi abbandonarti alla futilità e meschinità di un’infatuazione fulminea. Vedrai adesso quanto sono deluso, dio del tuono. Abbassati ancora. Cerca la mia mano, ti ripagherò con una sorpresa che mai come ora ti meriti.

Il tuo corpo si abbassa fino ad accosciarsi, mentre il tuo braccio si stende servizievole verso di me. Gentile da parte tua. Peccato che le tue dita attraversino il mio polso, ormai etereo come l’aria. Sono uno che pensa prima che tu possa solo immaginare le mie mosse, Thor; in fondo è sempre stato così: io la mente, tu la forza. Assisto alle tue spalle alla sparizione del mio ologramma, dispiacendomi solo di non poter osservare più da vicino la tua espressione presumibilmente smarrita e sorpresa. Mi concedo un risolino di derisione. Sei esilarante a volte; su certe cose, forse è vero che non cambierai mai. Ti volti verso di me celere, avendo finalmente capito il mio gioco, il mio schema, il mio ennesimo inganno. Ma è troppo tardi, premo l’affondo del mio scettro su di te, sul tuo ampio torace, e libero una scarica di energia che ti colpisce in pieno, stordendoti. È una sensazione intensa, quella di vederti soffrire. Tanto da farmela desiderare ancora. Desiderare di più. Stringo i denti cercando di trattenere un piacere troppo grande: la gioia che provoca la riuscita di un piano, l’andare a segno di un colpo che si desiderava assestare da così tanto tempo. E non sarà l’ultimo, non sperarci nemmeno. Ti vedo crollare a terra, cedere per la prima volta ai miei piedi, colpito, ferito, non so se già sconfitto; ma certo è un buon inizio. Vedrai quanto ce ne sarà ancora. L’euforia che mi provoca il pensiero di continuare a infierire su di te, di farti soffrire e di farti provare il sapore della sconfitta mi mandano in una tale estasi che mi abbandono a un ghigno che ben presto si trasforma in riso incontrollato, decuplicato da altri ologrammi che come ombre mi diverto a far apparire intorno a te, come un cerchio di luce. Mi vedi ora, ingrato inetto egoista? Infame di un viziato, indegno di ogni clemenza? Sei lì sdraiato a terra che forse pensi a cosa fare, a come fare, o semplicemente a cosa mai sia potuto accadere al tuo mai stato caro fratello. Sei così sciocco che se tu confessassi di non aver mai sospettato nulla riguardo a una discrepanza nel nostro rapporto, sarei disposto a crederci.

D’altronde, aspettarsi qualcosa dai mediocri è pericoloso. In un modo o nell’altro, si rischia sempre di essere delusi. Con te più di altri. Mi domanderai, con quel tuo tono ingenuo e quegli occhi da ragazzino smarrito, perché mai? Perché mai io sia arrivato a questo? Cosa mi avrebbe spinto?

Sì, già riesco a immaginarti; a immaginare la scena. Ma sai cosa, Thor? Non so se avrei voglia di risponderti, nel caso. Preferirei perire senza aggiungere verbo. Sono giunto alla conclusione che probabilmente non meriti neanche le mie parole; e in ogni caso, non capiresti mai nulla. Per te sarebbe tutto oscuro e incomprensibile. Se in tutti questi anni non sei nemmeno riuscito a cogliere le mie suppliche velate e i miei desideri, come potresti mai capire le ragioni che mi hanno spinto ad agire come ho fatto? Sarebbero perle ai porci e nient’altro. Ogni speranza è sprecata. Ogni aspettativa è malriposta. In fondo è così per tutto ormai. Non c’è più niente in cui io creda. Non c’è niente in cui io speri. Non c’è più niente a cui io tenga. La mia aspirata liberazione è essa stessa illusione, perché già so da me che non mi porterà alla pace che agogno. Eppure avanzo. Ancora qui, ancora nella stessa direzione, verso lo stesso obiettivo. È come una dolce autodistruzione. Sai come si dice, no? Chi già ha perso tutto, non ha più nulla da perdere. Quasi certamente non otterrò nulla, ma al tempo stesso ne ho assoluto bisogno. Come potresti mai anche solo sfiorare la comprensione di qualcosa del genere? Tu che mai in vita tua ti sei sentito completamente annientato, abbandonato e perduto, odiato e rifiutato, o anche solo da meno di qualcuno che amavi sopra ogni cosa? A che serviranno mai le parole ormai, Thor?

Il modo in cui tuttavia i miei pensieri si interrompono è piuttosto brusco: prima che possa prevenire un attacco il tuo braccio è già sollevato in linea retta verso il cielo e una scarica di fulmine mi colpisce in pieno insieme agli altri miei ologrammi, disintegrandoli e lasciando me solo, il vero Loki, a saltare diversi metri indietro per l’urto. Il mio lamento di dolore scuote le particelle d’aria vicino alle mie labbra, disperdendosi poi nell’etere come polvere. Il silenzio successivo viene spezzato solo dall’eco del tintinnio della mia armatura contro il solido ponte. È un suono che mi ricorda il concetto di ineluttabilità, e ammetto che lo trovo ironico da parte della sorte; quella cagna lunatica che mi trascina su per la vetta e poi mi rigetta nel fango. I miei occhi sono socchiusi ma fissano la volta celeste. Sento ancora le fitte crudeli della scarica nelle membra del corpo, mentre la vista degli astri mi fa pensare che, anche volendo, non ci sarebbe nessuno in questo mondo né in altri a cui potrei mai inviare il mio grido d’aiuto. Provo a stringere il pugno della mano destra con forza, ma realizzo che non ho più lo scettro in mio possesso; devo averlo perduto  nella caduta. È una strana sensazione, forse dettata dal forte colpo subito, ma per un attimo mi sento completamente perduto, come se qualcosa avesse risucchiato via ogni scopo e proposito dal mio cuore. Fisso l’etere per una seconda volta. Mi sembra di trovarmi in trappola, spalle al muro, senza sapere cosa fare. E nessun sentimento al mondo è più sgradevole di un’insidiosa abulia. Cerco di rimettere insieme le forze attraverso dei respiri profondi, ma tutto il furore e la rabbia di pochi istanti prima sono come volati via, forse disintegrati da quello stesso fulmine che mi ha colpito.

Eppure avevo giurato a me stesso che mai ancora mi sarei abbandonato a simili bassezze sentimentali. Dunque sono davvero così debole di convinzione? Stento a crederci, eppure…

Improvvisamente, la vista delle stelle mi viene coperta e negata dalla tua figura che mi raggiunge e si staglia, così ampia e imponente, di fronte a me. Il mio sguardo si corruccia e la mia espressione suggerisce un rimprovero sprezzante. I tuoi occhi al contrario appaiono così stanchi e scontenti; ti ho forse amareggiato? Bene. Per quanto possa averlo fatto, sappi che non rappresenterà mai neanche un centesimo dell’amarezza e dell’afflizione a cui tu mi hai costretto per anni. La moneta con cui potrò ripagarti non varrà mai tanto. Quindi sì: struggiti, affliggiti, soffri. Non potrei chiedere di meglio, figlio di Odino. Anzi, se l’offesa è tale, finiscimi con un colpo del tuo martello o con un altro fulmine, andiamo. Tendi fino a spezzare la curva della nostra immortalità, vediamo fino a quanto si tende. Colpisci, forza.

Per alcuni momenti quel pensiero diventa un imperativo, come se non avessi mai desiderato altro. E forse è così. Ma la buona sorte non è mai dalla mia; neanche quando cerco di autodistruggermi. Muovi il braccio con cui tieni il martello, sì, ma non per colpirmi. Ti limiti a poggiarlo su di me, sullo sterno, consapevole che non potrò mai sollevarlo da lì. Rimango incredulo, come se quella fosse solo una proiezione della mia immaginazione e non stesse accadendo davvero. Ma poi il dolore dei muscoli e delle ossa all’altezza del torace mi riportano velocemente alla realtà ricordandomi che il tuo martello è davvero lì, sopra di me a tenermi a terra, come un verme.

Mescolo gemiti e lamenti di una nuova umiliazione, che è quella di ritrovarmi ancora una volta messo da parte, accantonato, come uno scarto o una scelta di seconda mano. Ancora una volta alle tue spalle e non avanti. L’idea che ci possa volere così poco a sedarmi mi distrugge e mi adira al tempo stesso. Ti osservo lasciarmi e rivolgerti altrove, verso il portale, avanzando con passo cauto. Non riesco davvero a credere che per te ora siano più importanti quegli schifosi Giganti stolti e traditori piuttosto che lo scontro con tuo fratello. Sollevo  il viso facendo pressione sulla nuca per richiamarti, cercare di liberarmi, fare qualcosa. Ma lo sforzo è immenso e non riesco a far susseguire più di due tentativi. Il respiro è affaticato e così anche i muscoli. I miei gemiti si caricano di odio fino a diventare dei ringhi inascoltati. Tento l’unica possibilità rimasta, e cioè aiutarmi con la forza delle braccia; ma per quanta forza io imprima il martello non si smuove di un solo centimetro, nemmeno afferrandolo per tutti e quattro gli angoli con i palmi delle mani. Sento l’addome contarsi, il diaframma bruciare, ma capisco di non avere altra possibilità al momento. Ingoio a fatica e prendo aria, mentre con lo sguardo cerco un tuo scorcio o contorno. Cosa vorresti fare? Cosa pensi di poter fare? Stai lì, davanti a una furia di fulmini, lampi ed energia, completamente impotente e smarrito. Dimmi qual è il tuo piano, adesso. Forse è vero, forse alla fine sono tornato qui, a terra, secondo e surclassato, ma almeno ho la soddisfazione di averti messo con le spalle al muro. Non c’è niente che tu possa fare. Tutto questo non finirà nel cliché per cui tu, il buono, vinci e io, il cattivo, vengo sconfitto. Osserva bene fratello, perché stavolta non potrai cambiare le cose. Come ci si sente ad assistere a un’ecatombe contro cui non si può agire? Che sapore ha l’impotenza? Dimmelo.

Il pensiero è talmente forte che mi esce dalle labbra naturalmente, seppur con sforzo maggiore a causa della pressione della tua arma. Guardati fratello, osservati bene. In piedi, di fronte al nemico da affrontare, senza alcuna possibilità di intervenire. Il potente Thor. Il grande Thor. L’invincibile Thor. Cosa sei adesso? Con tutta la tua forza, dimmi. Dimmi a cosa ti serve adesso. Cerco di gridare, voglio che tu ascolti e che le mie parole ti colpiscano come dardi velenosi sulla schiena. Mi senti fratello? Mi senti? Guarda quanto sei meno di niente, tu che ti credevi insuperabile. Guardati come non vali più di me, razza di tracotante esempio di egoismo. Mi hai sentito Thor? Mi senti? Non c’è niente che tu possa fare, niente. Sarai costretto ad assistere allo spettacolo e mandare giù l’odiosa sconfitta. Alla fine, hai perso.

Inaspettatamente il mio torace si libera dell’oppressione. Sbatto le palpebre degli occhi un paio di volte e respiro pienamente sia dal naso che dalle labbra. Sollevo la nuca per osservare cosa sia successo e noto subito l’assenza del martello sul mio corpo. Ma quello che incontrano i miei occhi immediatamente dopo è molto diverso: il tuo braccio sollevato, col tuo prezioso martello ben stretto nella mano, si scaglia con violenza contro la superficie del ponte. In un primo momento penso di aver preso un abbaglio, di aver ingannato me stesso; eppure la tua figura continua a caricarsi, dall’alto verso il basso, per assestare colpi che sembrano sempre più potenti. Che stai facendo? Che stai facendo? Faccio forza sui palmi e quindi sui gomiti per sollevarmi leggermente, non riuscendo a credere che la tua mente sia potuta arrivare a elaborare una soluzione tanto estrema. Hai idea di quello che stai facendo? Quello è il ponte, maledizione. Se distruggerai il ponte non ci sarà più la possibilità di spostarsi tra i regni. Scegli questo, pur di salvare quella razza di scarti viventi? Recidi un’arteria della tua terra madre per loro? Ma cosa sei tu? Che cosa hai in testa? Che stai facendo, che stai facendo? Questa tua azione mi spiazza, profondamente. Non era qualcosa che avevo calcolato e ritrovarmi impreparato è l’ultima cosa che in questo momento avrei desiderato. Devo agire, e anche in fretta. Ancora incredulo e stupito, cerco di porti di fronte a un’evidenza che dovrebbe toccarti, vista la bassezza sentimentale a cui sei ormai giunto: distruggi il portale, Thor, e non potrai più rivederla. Ci hai pensato a questo, eh? Lo sai che significa, vero? Sarai condannato; per sempre. Mi senti, fratello? Non potrai vedere quella tua donnetta insignificante mai più. Mi senti, maledetto? Mai più ho detto. Mai più!

Eppure non mi sembri ricettivo. Oppure è qualcosa con cui hai già fatto i conti e stoicamente ti porti avanti in questa tua missione masochista che non ha nulla a che vedere con noi, col nostro scontro, col nostro impegno. Bene, direi. Adesso oltre che da una femmina mediocre sono stato posto in disparte persino dai Giganti. Buffo, visto che a dire il vero sarei uno di loro. Niente, non c’è veramente nulla che io ormai possa fare per farti concentrare sul qui e sull’adesso. Su di me. Ci sarà sempre qualcosa di più importante, mi sbaglio? Non sarò mai abbastanza per te. Serro le labbra e trattengo una smorfia di rabbia. Questo era l’ultimo ago col quale ti ho concesso di ferirmi. È stata la tua ultima mossa, Thor. Hai fatto la tua scelta. E io compio la mia. Continui a colpire il suolo con una forza che ha un che di disperato mentre io mi sollevo lentamente in piedi. La mia voce non ti arriva, e le mie parole tantomeno. È il momento. Adesso, finiamola qui. Non c’è altro da dire. Avverto un tale livore all’interno del mio corpo che temo possa sgorgare all’esterno. Se succedesse, di certo ti travolgerebbe.

Cancello pensieri, esitazioni e sentimenti dalla nebbia che è diventato ormai il mio spirito. Un tempio fatiscente, logorato da bombardamenti ininterrotti che hanno estirpato da esso ogni vitalità, ogni traccia di vita e palpitazione. Rimane solo cenere. Afferro lo scettro che avevo perduto e lo stringo con entrambe le mani mentre i miei piedi già muovono inconsciamente verso te. Basta giocare, basta esitare. Mettiamo fine a tutto questo. Cancelliamo ogni ricordo, ogni dolore. Lascia che ti dia l’opportunità di espiare le tue colpe. Sto correndo verso di te con l’intenzione di ucciderti; fermarti sarà solo una conseguenza di ciò che farò. Salto nello stesso momento in cui sollevi il martello per l’ultima volta. Vedrai, sarà come addormentarsi. Vorrei poter dire che mi dispiace, ma non riesco neanche a pensarlo nella mia coscienza. Ho solo voglia di chiudere gli occhi e lasciare che tutto finisca come deve. La verità è che sono stanco. Ho speso tutto ciò che ho potuto e adesso avrei davvero bisogno di trarne qualche misero beneficio. Dammi questa possibilità, fratello. Lascia che sia come deve essere. Come ho sognato.

I nostri due colpi finali quasi coincidono, ma non del tutto. Il tuo ultimo affondo sul ponte è determinante, e distrugge in un secondo ogni mia possibilità di riuscita: la punta del mio scettro arriva a malapena a sfiorarti il mantello. Poi più nulla. Solo luce accecante e un sibilo che penetra affilato nelle orecchie. Sento spezzarsi qualcosa e poi esplodere. Il mio corpo non è più sotto il mio controllo; lo sento sollevarsi e librarsi in aria con violenza, avvolto da raggi così luminosi da ferire lo sguardo. Per diversi istanti è come se tramite una centrifuga avessero separato la materia del mio corpo dal suo soffio vitale: i miei occhi cercano un appiglio spaziale, visivo, tattile, ma non c’è nulla intorno a me a parte luce. Anche tu sembri scomparso, Thor. Continuo a sentire rombi di tuoni e le onde del mare muggire impetuose; mi sembra di avvertire un milione di minuscole gocce colpire il mio corpo, in una foschia distruttiva. Non so più dove sono. Tutto è confuso e distante. Chiudo gli occhi per alcuni istanti, accecato e incredulo rispetto a ciò che sta accadendo. Ho commesso un altro errore dunque? Possibile che si concluda di nuovo con una mia sconfitta quest’ennesima partita? E se davvero così fosse, dove andrei? Cosa farei? In queste ore concitate non ho neanche avuto il tempo di pensare a cosa sarebbe successo se avessi fallito. Lasciare le cose come prima sarebbe impensabile. Schiudo gli occhi mentre raggi di energia mi colpiscono e investono, facendomi perdere la protezione dell’elmo. Non ti vedo Thor. In compenso, mentre inizia la discesa in caduta libera in seguito all’onda d’urto, scorgo il Bifrost, distrutto e quasi a pezzi, scivolare via inghiottito dall’oscurità dell’universo circostante. Quelle ombre lo stanno assorbendo in un vortice di nebulose. Sarà dunque questa la nostra fine? La mia fine?

Ma ecco che ricompari, dalle nubi e dai vapori densi che ci hanno divisi. Cadi verso il basso, proprio come me, ma sei leggermente più distante. Ecco, se proprio adesso dovessi morire, il pensiero di portarti con me addolcirebbe la pena. Fino a quanto pensi potremmo essere immortali? In quest’ottica, la prospettiva di trapassare non sarebbe poi così spiacevole. Avrei perso, certo, e nemmeno diventerei il re di Asgard, ma così anche tu. Le nostre differenze sarebbero azzerate nella morte. Nonostante questo slancio poetico, i miei occhi e le mie mani non esitano certo a cercare con ansia febbrile un appiglio intorno a sé, un’ancora di salvezza. Lo scettro è ancora vicino al mio corpo e come me rotea nella caduta. Tento di allungare un braccio verso una sua estremità mentre inconsciamente libero un grido di terrore. Le mie dita riescono a stringersi intorno allo scettro un attimo prima di subire un’inaspettata e violenta battuta d’arresto. Il dolore dei muscoli che si tendono si trasforma in una smorfia a cui segue un rantolo soffocato. Non stiamo più cadendo. Sollevo a fatica il viso, col fiato che viene a mancare, e vedo te Thor, sospeso a testa in giù a un passo dall’abisso, proprio come me, che tieni con forza l’altra estremità del mio scettro, mantenendomi ancora in questo mondo, ancora in vita. E poi dietro di te, ad afferrarti per un piede, il padre degli dei. La mia sorpresa è grande, ma nella posizione in cui mi trovo è difficile mostrarla: le sferzate di vento mi feriscono viso e corpo, e mi renderebbero fatale un improvviso cedimento sulla presa; una sola debolezza e potrei essere spazzato via da una di quelle folate. E così, rendendomi conto della situazione in cui mi trovo, della mia posizione a un passo dalla morte, e osservando prima te fratello e quindi te, padre, con la stessa velocità di un battito di ciglia, regredisco dominato dalla paura più pungente, verso un me stesso infantile.

Sono terrorizzato ed esausto, e mi rendo conto che non ero minimamente preparato a questo momento; ho lasciato scorrere tutto troppo in fretta, ma credevo fortemente che avrei potuto sistemare le cose. Non mi è possibile mantenere la calma e la razionalità in questo momento; i miei occhi si muovono in ogni direzione, a un passo dal pianto, cercando di scorgere qualcosa di diverso oltre al buio che mi circonda. Seguono le stelle, poi i detriti del portale che ancora danzano intorno a noi e si disperdono nel nulla; poi guardo l’uomo che mi ha cresciuto e provo a immaginare cosa possa scorrere nei suoi pensieri. Il mio viso trema in un’espressione di dolorosa attesa, in sospeso tra la vita e la morte. Mi sento completamente smarrito, allo stesso modo di quando diverse ore fa proprio tu, padre, mi hai confessato chi sono. In un istante sono tornato quel bambino che davanti ai tuoi occhi ti chiedeva perché.

Non so cosa fare, né cosa pensare. Ho paura, come mai nella mia vita. Realizzo pienamente in coscienza che ho fallito; miseramente e completamente. E che ciò che ho deciso di lasciarmi alle spalle quando ho scelto la mia strada probabilmente è perduto per sempre. Eppure voglio che tu sappia, padre degli dei, che ciò che ho fatto è stato in bene e per il bene; il bene di un regno che, nonostante non sia il mio, amo con tutto me stesso. Certo, avrei voluto la mia parte, è vero, ma più di ogni altra cosa, devi credermi…avrei voluto renderti fiero di me. Nello stesso momento in cui elaboro questo pensiero, sento il pressante bisogno di condividerlo, di provare a fartelo sapere. Ne hai il diritto e io ne ho il bisogno. Non fraintendermi: non è la mia giustificazione ma la mia motivazione. In un ultimo sforzo, tra le fitte gelide del vento e quelle dolorose dei muscoli di un corpo ormai esausto, rivolgo a te Odino le mie parole. Forse per la prima e ultima volta nella mia esistenza sono sincero; sono sincero quando dico che ci sarei riuscito. Ce l’avrei fatta, davvero. Per te prima di tutti. Per tutti noi. Volevo questo. Volevo solo mostrare al mondo chi sono e cosa sono in grado di fare. Dimostrare che ero degno di quel titolo che mi avevi negato fin dal principio solo per le mie origini. Avrei voluto mostrarti che diverso non è sinonimo di indegno. Avrei ricomposto un quadro distrutto e a pezzi, solo per te. Per un tuo sì. Una tua benedizione. Se Thor non si fosse messo in mezzo, ci sarei riuscito. Saresti infine stato fiero di me.

Continuo a stringere con vigore la presa intorno allo scettro, cercando di non farmi distrarre dalle mie stesse parole. I vortici d’aria intorno a noi sono così forti da far oscillare il mio corpo come un ramoscello, riempiendo le mie orecchie di fischi assordanti. I miei occhi sono sempre lì, fissi su di te. Trapassano la figura di Thor, non curandosene, e chiedendo solo la tua attenzione, la tua risposta, la tua assoluzione. Nel mio animo, due bestie si confrontano e lottano fra di loro: la prima rappresenta uno spirito mesto e condiscendente che vorrebbe solo che tutto ciò finisse e che anzi non fosse mai iniziato; è quella parte di me che vorrebbe aprire gli occhi e svegliarsi dall’incubo, continuando a vivere nella menzogna e nell’ostracismo sociale e affettivo con cui sono stato cresciuto. Ma l’altra creatura al mio interno è al contrario orgogliosa e guerriera, ed è ancora insaziabile nella sua fame di giustizia, vendetta, aspirazione voluttuosa di un privilegio mai assaporato: la mia libertà spirituale, che mi consentirebbe di armonizzare me stesso e la mia turbolente nuova identità. È la parte di me che non osa ancora arrendersi e che vuole continuare a combattere fino al riconoscimento dei suoi diritti e di una nuova forma di affetto. Avverto distintamente le due creature azzannarsi fra loro nel momento in cui il suono flebile e sussurrato della tua voce, padre, mi accarezza le orecchie. In questo giorno mi è già capitato di assorbire il contrasto tra la tua voce dolce e le tue parole veritiere ma spietate; eppure, questa volta il colpo è ancora peggiore. Quel “no” che pronunci, seguito dal mio nome, suona al mio udito come un incubo incomprensibile da cui non vedo vie di fuga.

La verità, è che davvero non riesco a capire. Il significato di tutto questo, di tutto ciò che è accaduto. Non capisco perché è successo che mi sia ritrovato in questa casa e in questo mondo per un tuo capriccio, o peggio, per un tuo disegno politico. Non capisco perché, nonostante la tua scelta, non mi abbia però fatto dono della libertà di sapere chi fossi e da dove venissi, nascondendomi come uno spauracchio e facendomi crescere nell’oscurità di un’ignoranza che mi ha reso cieco e instabile, costantemente in dissapore con l’ambiente nel quale cercavi di immergermi ma da cui, al tempo stesso, eri bene attento a tenermi lontano. Non capisco, padre, perché tu non mi abbia lasciato lì nel tempio quel giorno. Sul margine della mia fine, mi chiedo questo. Mentre sporgo il viso verso l’abisso che mi attende, mi chiedo questo. È vero che non so come sarebbe stata la mia vita, nel remoto quanto velleitario caso in cui non fossi morto lì nel santuario, eppure il pensiero mi martella nella mente, rapido come un battito del cuore, insieme a tutti gli altri pensieri che si mescolano e accumulano.

Continuo a non capire e so già che non capirò mai. Farsene una ragione non è esattamente la frase di circostanza che si potrebbe usare in questo frangente. L’unica cosa che mi è chiara è il tuo diniego; probabilmente anche la tua delusione. Perché ti ho deluso, non è vero padre degli dei? So che è così. Lo leggo nel tuo occhio che mi fissa e attende. E se queste sono le premesse, temo mi resti ben poca scelta. Non voglio vivere in un mondo in cui ciò che ho fatto per giustizia mi condanni. Sono stato già abbastanza punito durante la mia vita. Non potrei sopportarne una nuova, gettata nelle stesse, se non peggiori, agonie. Se questo è il tuo giudizio, Odino, se questa è la risposta di Asgard, allora a me non resta che una scelta sola.

Me ne andrò così, nell’incomprensione e nell’incomunicabilità, verso un sollievo più duraturo e solido di quello che nessuno di voi è riuscito a darmi. Se questo è un addio, allora sarà il più breve e silenzioso degli addii. Una volta consapevole di questo, riesco a ricambiare con maggiore serenità lo sguardo fisso che porti su di me. E con quest’ultima occhiata, cancello per sempre la tua identità di padre dal mio cuore. Per la prima volta, sono completamente libero dalle catene dei falsi legami. Alla fine, anche se non nel modo che mi aspettavo, sono dunque riuscito a rinascere. Sono riuscito a diventare Loki, e Loki soltanto. Un inavvertibile battito di ciglia non riesce a impedire a un’ultima lacrima di scendere lungo il mio viso. La sento chiaramente solcarmi lo zigomo, ma penso che giunti a questo punto non abbia altro di cui lamentarmi.

Dopo tutte queste considerazioni, il mio corpo è finalmente leggero e disteso, pronto ad affrontare ciò che deve. I miei occhi poggiano su di te per gli ultimi istanti e in una sospesa frazione del tempo che ci rimane penso che anche tu, fratello, abbia capito cosa stia per accadere. Peccato che il tuo intervento, come è sempre stato, non cambi di nulla le cose. È tardi ormai, e mi rendo conto che è sempre stato tardi. Da quando Odino ha preso quel bambino nel tempio, è sempre stato troppo tardi. Se in questo mondo un posto per me non c’è, allora è giunto il tempo di trovarne un altro, più nascosto, più oscuro e freddo, più eterno dell’immortalità. Ed è lì che voglio andare. Non c’è altro posto che possa lenire le mie pene. Non c’è altro posto in cui possa andare.

Sono Loki, e Loki soltanto. Non ho paura di ciò che sto per fare. Le mie dita si dischiudono come i petali di un fiore all’alba, lasciando il metallo ormai caldo dello scettro. È una sensazione che libera e corrobora uno spirito senza più patria, lasciandolo libero di distruggersi nel bagliore delle stelle. In pochi istanti, i venti mi catturano in dei turbini invisibili che mi scortano nel mio ultimo viaggio. Non conosco la meta, ma nell’allontanarmi rimango ancora per pochi lunghissimi attimi con lo sguardo su di voi, su chi era un padre e su chi era un fratello. E l’amore che nutrivo per voi e per chi eravate si disperde nel cosmo con la stessa rapidità del mio corpo risucchiato dal gelo del nulla, del vuoto. Sono in volo verso la liberazione, infine. Sospeso per gli ultimi secondi tra la vita e la morte, in un limbo dolceamaro. Le vostre figure sono ormai scomparse e il mio sguardo è perso altrove, tra le nebulose che mi circondano e nelle quali sto per essere inghiottito. Non c’è più nulla da vedere. Non c’è più nulla da dire. E non c’è più nulla da fare. Le due chimere al mio interno posso cessare il conflitto. È finita. È la fine della lotta perché è la fine della vita. Per quel che possa valere, per quel che possa significare, accetto questa fine. Il mio spirito può trovare pace e riposo; può addormentarsi tra le onde di una notte infinita. Chiudo gli occhi, senza riuscire più a distinguere nulla accanto a me se non il vuoto. Lo stesso vuoto che ha accompagnato la mia esistenza congiunta a un destino meschino e spregevole. Quella stessa esistenza che ora rigetto nell’abisso della morte. È finita. Negli occhi, solo il buio. Nelle orecchie, solo il vento.

È finita.

 

 

 

 

 

- Epilogo -

 

Buio.

Mi trovo in un mondo oscuro, privo di consistenza. È questa forse la sensazione della morte? Se fosse davvero così, allora potrei dire che essa ha il sapore del sangue. Ne riconosco il gusto dolce nella bocca e sulle labbra. Cerco di muovermi, ma lo sforzo è troppo grande e il risultato troppo mediocre. Il terreno dove sono sdraiato è duro e ostile; l’aria ghiacciata mi perfora il viso dolorante. Poi rifletto su questo particolare: il dolore.

Si soffre anche dopo la morte, dunque? Chiudo gli occhi. È strano osservare come tenerli aperti o meno mi offra la stessa visuale tetra e priva di speranza. A questo punto è lecito domandarmi se io sia davvero morto. Non ricordo nulla di esatto: lampi, luci, grida, una forte esplosione. Poi un baratro; lo scettro, la mano di Thor, Odino. Riapro gli occhi. A fatica ruoto su un fianco e sputo un amalgama di sangue e saliva sul terreno roccioso. Ormai è certo: sono vivo.

Il problema principale adesso è: dove sono? Al momento non c’è nulla che possa aiutarmi: il buio mi circonda, le forze mi hanno abbandonato e inoltre temo di essere ferito più seriamente di quanto pensassi. Serro i denti per trattenere un grido di dolore quando, facendo forza sui palmi, sollevo il mio corpo moribondo per assumere una posizione seduta. Lo sforzo notevole mi fa ansimare intensamente, mentre il solo dilatarsi dei polmoni mi provoca delle fitte terribili al torace. In compenso, gli occhi cominciano ad abituarsi alla sinistra oscurità e riconosco un ammasso roccioso accanto a me. Ne approfitto per poggiarvi la schiena e riprendere le forze. La mia mente è completamente vuota, risucchiata in un mondo sconosciuto. Un solo pensiero rimbomba al suo interno: sono ancora vivo.

Riesco a osservare i palmi delle mie mani ferite, fangose e tremanti. Sono vivo. Ancora non ho deciso come accogliere la notizia, ma sono vivo. Rimango immobile in quella posizione per non so quanto tempo, forse minuti, forse ore, finché qualcosa non cattura la mia attenzione. È una luce; una luce azzurra, si direbbe. È lontana, ma perfettamente visibile. Non so spiegarmelo, ma sento di doverla raggiungere. Potrebbe essere la mia salvezza o magari la mia fine. Per la prima volta, queste due possibilità non mi suggeriscono la minima differenza. Qualunque sia l’esito, andrà bene. Stringo i pugni sulle rocce intorno a me, compiendo un altro sforzo disumano per riuscire a mettermi in piedi. Questa volta non riesco a frenare le grida di dolore che si innalzano alte nell’aria, nell’universo: unica testimone, la massa di stelle che mi osserva dalla volta celeste. Riesco a raggiungere una posizione semi eretta e torno a osservare il bagliore ceruleo. È ancora lì, luminoso e attraente come un faro. Inspiro come se volessi catturare tutto l’ossigeno del pianeta. Il primo passo è molto complicato, lento ed estenuante, ma almeno riconosco che mi è possibile camminare. Ciò che adesso mi attende è un mistero.

Quel sapore di morte ancora mi impasta la bocca. Il mio sguardo è fisso, concentrato. Il mio corpo è in fin di vita, e i miei pensieri sospesi lungo una sponda di inanità; il mio spirito, al contrario, non è mai stato così desideroso dell’ignoto. Famelico, avanzo verso ciò che mi è sconosciuto.

   
 
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