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Autore: FullmetalBlue13    29/01/2013    4 recensioni
[ATTENZIONE! AGGIORNAMENTI SENZA ALCUNA REGOLARITÀ]
Un pomeriggio come tanti altri, Angel Akuma (17 anni, chioma arancio acceso e un pessimo carattere) riceve una telefonata anonima.
Di chi è la misteriosa voce che la chiama "finto angelo", un soprannome assegnatole dal padre che non ha mai conosciuto?
Per lei comincerà una serie di eventi che le cambieranno la vita, facendo luce sulle sue origini, sul suo passato e sul suo destino.
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Ciao a tutti! Questa è la mia prima fanfiction... Devo confessarvi che sono un po' emozionata. Spero che vi piaccia. Mi sono divertita molto a scrivere tutto ciò e spero di continuare... Recensite numerosi!
Ah, già.
A TUTTI I LETTORI: Per favore, non limitatevi a leggere il primo capitolo! È solo un prologo...
Spero che possiate apprezzare il prosieguo della storia (sempre che abbiate qualche minutino da dedicare alla mia Angel, ecco...) e anche il mio miglioramento come scrittrice.
Grazie mille, FB13
=(^.^ =) (= ^.^)= \(^.^)/ (danza della gioia)
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mephisto Pheles, Nuovo personaggio, Rin Okumura, Yukio Okumura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo è stato un parto. Perdonatemi per l'immenso ritardo. Proposito per l'anno nuovo: pubblicare un capitolo ogni due mesi (circa). Ringrazio tantissimo cristy_blackCiel_Chancami97ace,  bobby92bobby92Pumpkin_Panties per aver messo la mia storia nelle preferite e Silent_Warrior per averla messa nelle seguite. cami97ace grazie anche per l'immane lavoro di copiatura (andato perso con il tuo computer, mi dispiace T.T). Grazie anche alla mia "editor", e a tutti coloro che recensiscono o semplicemente leggono la mia storia. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento ^.^
Buona lettura! 

Capitolo 5: Serata con sorpresa

CITTA' DELL’ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, ORE 19:40


Appena giunta in camera mi accasciai sul letto e sfilai la coda da sotto la maglietta. Mi dava veramente fastidio. Effettivamente ci ho messo un po’ad abituarmi alla … nuova condizione.

Dopo aver ripreso fiato mi tirai su, le gambe ancora tremanti, e mi guardai allo specchio. Avevo i capelli decisamente spettinati, le guance ancora lievemente rosse e lo sguardo perso. Sembravo una sfollata dopo un terremoto. Ero talmente sconvolta che non avevo notato che, appoggiata sulla scrivania, c’era una scatola. La vidi riflessa nello specchio.
Cos’era? Mi girai e mi avvicinai. Sopra c’era una busta che recava la scritta, in caratteri viola svolazzanti,

“Per Angel”.

“Mephisto …” pensai immediatamente. Si permetteva pure di farmi dei regali, ora. Dentro la busta c’era un foglio bianco, dov’era scritto a caratteri cubitali:

“Ti ricorda nulla? Sorridi e fatti bella per la cena. M.”

Buffone. Dentro la busta c’era ancora qualcosa. Qualcosa che mi fece versare ancora qualche lacrima amara. Se fossi stata un essere umano, certamente un demone avrebbe approfittato delle ferite del mio animo, ora riaperte, per possedermi. Fortunatamente per me e per chi mi stava vicino, ciò non era possibile.

Era la collanina di mia madre. Ora era nera a causa della fuliggine, ma una volta era argento. Quel bastardo doveva averla raccolta vicino al corpo carbonizzato di mia madre, perché lei non se la toglieva mai. Era una piccola fiammella argentata con una ‘A’ di Angel incisa. Lai diceva (anzi, scriveva in quanto muta) che la teneva addosso perché io ero il fuoco che accendeva le sue giornate, la sua luce. Ancora adesso, a  pensarci, faccio fatica a trattenere le lacrime. Si teneva allacciata al collo con un nastrino morbido di velluto, esattamente identico a quello originale, ormai ridotto a un mucchietto di cenere. La ripulii con quanta più cura possibile. Poi mi infilai sotto la doccia. Almeno lì le lacrime venivano portate via dall’acqua scrosciante. Non so perché, ma mi dava sicurezza.

Quando ebbi finito di lavarmi, uscii dalla doccia e mi accorsi che presa dall’emozione non avevo aperto la scatola. Cosa mi aveva lasciato quel brutto … ? Conteneva un pacchetto e un paio di scarpe.
Non bellissime e comode scarpe da ginnastica, ma … col tacco? Scarpe con un elegante tacco a spillo, modestamente alto, nere, eleganti eppure semplici, sembravano fabbricate su misura, perché mi fasciavano il piede perfettamente. Oh, no. Se Mephisto sperava che io sarei uscita con quegli arnesi ai piedi, si sbagliava di grosso.

Ma non era finita. Perché non avevo ancora visto il vestito. Infatti il pacchetto conteneva proprio un vestito da sera. Era anch’esso nero, lungo e con uno spacco sulla destra che lasciava vedere tutta la gamba. Il corsetto era elastico, stava su senza spalline. Per completare il tutto, era possibile allacciare una catenina argentata che partiva dal centro del petto e cingeva il collo. Ovviamente, taglia
perfetta. Riusciva a valorizzare le mie forme, nonostante non fossero proprio accentuate. La cosa divertente era che la coda restava incredibilmente nascosta.

Mephisto era veramente un idiota. Non avevo mai messo un vestito del genere, e non avevo la benché minima intenzione di cominciare in quel momento.

[…]

Qualche minuto dopo scendevo le scale così conciata, imprecando contro Mephisto in tutte le lingue del mondo. Non avevo avuto più tempo di mettermi altro e non avevo voglia di indossare i soliti vestiti. Rassegnata, avevo dovuto affidarmi al mio buon senso dell’equilibrio, che fortunatamente mi aveva evitato imbarazzanti scivolate.

Al piano terra Shiro, Rin e Yukio mi stavano aspettando.
“Ehilà! Ma che schianto!” disse Shiro. Bofonchiai un timido grazie, incrementando le maledizioni contro Mephisto. Lui indossava la stessa tonaca di prima, Yukio invece portava un semplice ma elegante completo blu. La giacca era leggermente abbondante, ma comunque gli stava bene. Rin invece era vestito in modo molto sportivo e ‘casual’: un paio di jeans, una felpa un po’ scolorita e scarpe di tela semi-distrutte. Forse io e Yukio eravamo troppo eleganti, ma in fondo non mi importava.

Ci avviammo a piedi per la città che, in periferia dove ci trovavamo, era veramente buia e piuttosto squallida. Quando ci avvicinammo al centro, però, cominciarono a circondarci luci di ogni genere, le insegne luminose lampeggiavano qua e là, parecchia gente passeggiava spensieratamente creando un viavai continuo di persone. La cosa più incredibile era però la quantità di demoni che c’era.

Centinaia, ma che dico, migliaia di piccoli Coal Tar svolazzavano intorno a uomini, donne, bambini, vecchi, adolescenti, addensandosi attorno ad alcuni soggetti. Ma il bello è che nessuno se ne accorgeva e quegli ‘affarini’ continuavano a girare come piccoli satelliti. Ero abbastanza scossa. Come mai nessuno pareva farci caso?

“Fai finta di niente … I demoni possono essere visti solo da coloro che hanno ricevuto il masho, il ‘tocco del demone’.” Mi disse Shiro bisbigliando per non farsi sentire da Rin. Feci un’espressione ancora più stranita.
“Il masho si verifica quando un demone di media categoria o più forte ti causa una ferita o una malattia. Dopo questo avvenimento diventi capace di vedere ogni tipo di demone. Ovviamente per te è diverso, in quanto essendo tu stessa un demone …”. Non finì la frase, perché si era accorto che Rin ci stava ascoltando.
“… E quindi laggiù c’è il negozio di alimentari. E in fondo alla via il negozio di fumetti e il combini …”. Pffft … che scusa improbabile. Comunque Rin sembrò abboccare, così Shiro fermò l’inutile messinscena.

Nel frattempo eravamo arrivati al ristorante. Si trovava in un vicoletto del centro un po’ lontano dalla ressa che avevamo appena attraversato. Era un posto modesto ma così … carino!
I colori che dominavano erano il marrone beige e il bianco. Era poco frequentato, solo un lieve e sommesso brusio lasciava trapelare la presenza di clientela. I tavoli di legno chiaro erano semplici e circolari, ricoperti da tovaglie bianche a quadri giallini un po’ consunte.
Le finestre erano contornate da tendine che (ai loro tempi) dovevano essere parecchio graziose. Ora erano piuttosto logore, ma non celavano il loro ‘antico splendore’.
Mi ricordava il piccolo bugigattolo dove andavano sempre a mangiare con la mia famiglia a Roma: quasi una topaia malmessa che cadeva a pezzi, dove il cibo però sia il cibo che il servizio erano ottimi.

Era tutto fantastico, ma c’era qualcosa che mi turbava. Mi sentivo osservata, ogni tanto un brivido freddo mi scuoteva, e anche se questa sensazione non mi piaceva, cercai di ignorarla. Mi si prospettava una serata veramente interessante.

Shiro faceva il buffone in una maniera spropositata e contemporaneamente si ingozzava come un morto di fame. Yukio era molto più serio, ma  suoi discorsi erano affascinanti. Il suo sguardo magnetico, la mimica facciale e i gesti che accompagnavano le sue parole rendevano tutto ancora più interessante. Rin era un po’ l’incognita della serata. All’inizio era decisamente chiuso in sé stesso, tenebroso, visibilmente arrabbiato con il resto del mondo. Quando tentavo di attaccare bottone, lui mi rispondeva a monosillabi, con un fare piuttosto infastidito. Questo non aveva fatto altro che aumentare i dubbi che prima mi avevano assillato … Perché questo comportamento ora? Che avesse litigato con Shiro o con Yukio? I due non davano il minimo segno che fosse accaduto qualcosa.

Dopo l’arrivo del cibo, però, aveva cambiato completamente atteggiamento.  
Si era messo a commentare ogni piatto del menù con la precisione e l’accuratezza di un critico culinario. E ovviamente nel frattempo si ingozzava.
“Cioè … OM NOM NOM … tecnicamente questo manzo andrebbe cotto ancora un pochino, e manca leggermente di sale … resta comunque una goduria per il palato” “Oh mio Dio, questo piatto è semplicemente sublime! Gli aromi si mescolano alla perfezione, la cottura è ottimale … Solo la presentazione lascia un po’ a desiderare, ma non si può aver tutto dalla vita”. Eccetera eccetera eccetera. E io ridevo come un’imbecille per la maniera in cui si ingozzava mentre pronunciava queste ‘forbite parole’.

Era diventato allegro, solare, faceva battute e sembrava che facesse di tutto per far dimenticare il muso che aveva piantato prima. Era passato dalla modalità ‘odio il mondo ’ a quella ‘ma sì, tanto … divertiamoci e basta’. Riuscivo chiaramente a capire cosa provava: quei suoi occhi blu erano lo specchio della sua anima, e un po’ anche della mia. Io mi ci riconoscevo. Riconoscevo nel suo modo di comportarsi la vecchia me stessa, quella che ora, dopo la morte di tutto ciò che restava della mia famiglia, non esisteva più. Mentre chiacchieravo, capivo il vero essere dei due gemelli, soprattutto del maggiore. E più scavavo nelle profondità dei suoi occhi, della sua psiche, più i ricordi di un passato che mi sembrava infinitamente distante riaffioravano.
Nonostante fossi destinata ad un’esistenza di peccato in quanto metà demone, i miei sentimenti erano completamente umani e questo, almeno un po’, mi rincuorava. Ma non abbastanza.

Ad un certo punto fui costretta a uscire (per evitare di piangere in pubblico, cosa che odiavo allora e che odio tuttora).
Con la banalissima scusa del bagno, mi recai al cortiletto sul retro del ristorante: un posto squallido, quattro sassi, un po’ di cemento, una scassatissima panchina più scrostata che verniciata e nulla più. Avevo trattenuto le lacrime per troppo, troppo tempo.

Quando giunsi fuori, la brezza notturna mi accarezzo la pelle, facendomi lievemente rabbrividire. Resistetti qualche secondo, giusto il tempo di raggiungere la panchina, mi sedetti dolcemente, feci sbucare la coda fuori dal vestito (con un’enorme sensazione di sollievo) e piansi. Un pianto silenzioso, malinconico, un grande sfogo per me. Gocce scintillanti alla scarsa luce elettrica di un lampione singhiozzante scendevano sul mio viso in fiamme. E ogni lacrima era un ricordo, scavava la sua strada tra le mie guance, lasciando dietro di sé un solco di fuoco, come la mia anima dannata di demone.

Improvvisamente, sentii qualcosa bisbigliarmi nell’orecchio: “è questo che sei … e non puoi fare niente per cambiare …”. Mi girai di scatto, alzandomi, tutti i miei sensi di demone all’erta. Nessuno. Feci un respiro profondo, mi asciugai le ultime lacrime con il dorso della mano e mi preparai ad entrare. Basta frignare. Non ero più una bambina. Non feci in tempo a muovermi di un passo, che una mano familiarmente bollente mi toccò la spalla.

“Non fare un singolo passo, carina. E ora, verrai con me senza fiatare” disse una voce che riconobbi subito. Mi mossi di qualche passo indietro, faticando a causa dei tacchi, un po’ di mia volontà, un po’ trascinata dall’orrido essere che mi stava alle spalle, la causa di tutto il mio dolore.

“Iblis … ma quale piacere. A cosa si deve questa inaspettata visita?” bisbigliai io digrignando i denti con il mio solito tono sarcastico. Iblis ridacchiò, una risata rauca, tenebrosa, che mi terrorizzò.

“Oh, una cosuccia da nulla … Sono solo venuto per portarti con me a Gehenna, niente di più … Bel vestito comunque”

“Grazie, ma se speri che io venga con te senza lottare, beh, ti …”

Non riuscii a finire la frase, perché Iblis, con uno scatto fulmineo si era girato e mi aveva preso per il collo, sollevandomi da terra. Gemetti.

“Ascoltami bene, signorinella. Forse non hai ancora capito bene come gira il mondo. Io, se volessi, potrei radere al suolo tutta questo schifo di città, COMPLETAMENTE, con un solo fottutissimo schiocco di dita. E tu, tesoruccio, non potresti fare niente. Niente di niente.”

Avevo paura. Tremendamente paura. Ma non dovevo dargliela vinta. La testa mi pulsava come se stesse per esplodere, la gola mi bruciava, le unghie affilate della sua mano tagliavano la fragile pelle del mio collo candido. E mentre una lacrima salata, che racchiudeva in sé tutto il mio dolore, la mia paura, la mia sfacciataggine e la mia audacia, mi rigava il viso, lo feci.

Raccolsi tutto il mio coraggio e gli sputai in faccia, esprimendo tutto il mio disprezzo e la rabbia che nutrivo nei suoi confronti.

Il tempo per me si fermò. Con una lentezza innaturale, il signore del fuoco sollevò la mano sinistra e si pulì la guancia. Poi gli occhi arsero più delle fiamme dell’ Inferno, accesi da pura collera.
La sua morsa intorno al mio collo aumentò. Con voce gelida disse, scandendo ogni singola parola:

”Tu. Piccola. Puttanella. Insolente. Credi di poter scherzare con me, eh? Beh, ti sbagli di grosso”

E poi, alzando di più la voce con un tono spaventosamente arrabbiati, quasi urlando:

”IO. TI. AMMAZZOOOOO!!!!!!”

Mentre diceva ciò mi scagliò con una forza sovrumana contro il muro che recintava il cortile. Durante l’impatto sentii qualcuna delle mie costole spaccarsi. Poi caddi a terra come un burattino a cui hanno tagliato i fili. Tentai di rialzarmi, ma le gambe erano deboli, tremanti e non rispondevano a ciò che ordinavo loro.

Nel frattempo Iblis, più minaccioso e furioso che mai, mi era di nuovo addosso, armato di una spada circondata dalle fiamme (sì, avete capito bene) tirata fuori da chissà dove. Alzò la spada, pronto a colpire. Aveva la faccia del demonio, ma io cercai di sfoderare l’espressione più decisa e controllata possibile, nonostante le circostanze. Mi aveva in pugno. Ed io ero pronta a morire.

I nostri occhi si incrociarono per un attimo, un solo attimo, che a me sembrò un’eternità. Poi, accadde l’impensabile. Semplicemente, abbassò la spada. Così, senza dire nulla. E com’era arrivato, nell’oscurità della notte, saltò via. Vidi per un secondo la sua espressione per un secondo. Lo vidi sgomento, angosciato, in preda al panico e allo stupore.

Mi alzai a fatica, ansimando, ancora dolorante per il colpo subito, nonostante buona parte delle ferite si fosse curata grazie ai poteri rigenerativi demoniaci. Non so cosa avesse visto lui nei miei occhi, ma io nei suoi ci avevo visto rimorso e consapevolezza di non poter (o non riuscire) a fare qualcosa. Qualcosa che era troppo anche per un signore dei demoni: uccidere sua figlia, sangue del suo sangue.

Alzai gli occhi verso il cielo. “Padre …” sussurrai. Ero ancora immersa in mille pensieri e riflessioni quando sentii qualcuno chiamarmi.

“Ehi Angel! … Angel? … Yu-uh!?! … Pronto? Ci sei?”
Era Rin.
“Ti stavamo aspettando. Non tornavi più! Ehi ma … va tutto bene?”.
Sembrava seriamente preoccupato. In effetti non dovevo avere un bell’aspetto. Ci misi un secondo di troppo a rispondere:
“Sì. Tutto OK. Torniamo dentro?” e sfoderai il miglior sorriso che potessi fare al momento.
“Sicura? Ma … quello è sangue!” aggiunse toccandomi delicatamente il collo. Un piacevole brivido mi scosse. “No, ti sbagli” e lo precedetti.

Mi passai una mano tra i capelli ed entrai.
“Ma che caspita …! Cosa ho fatto, io?” si chiese Rin.

E bofonchiando rientrò, ignaro del fatto che qualcuno lo stava osservando.



Piccolo angolino dell'autrice: et voilà. Questo è tutto. Ci i vede tra due mesi! ^w^
  
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