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Autore: Horrorealumna    29/01/2013    2 recensioni
Sussulto, ma lei mi tiene l’indice affusolato premuto sulle mie labbra, intimandomi quindi il silenzio.
Non riesco a definirne i lineamenti, nell’ombra della notte, ma i suoi occhi sono vivi e quasi luminosi. Non hanno più il bel colore azzurro che li caratterizza: sono scarlatti, rossi come il sangue.
Involontariamente sento il mio corpo tremare.
Paura.
Timore.
Posa lo sguardo sul medaglione d’argento per un secondo, poi sussurra:
- Zitta. Resta zitta e non fiatare. Muoviti il più lentamente possibile.
Rimango immobile come ha detto.
- Non muovere gli occhi - mi rimprovera - Chiudili. Ci osserva...
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo Un Ballo!

Sento il sangue raggelarsi nelle vene, quando Marisol poggia le sue lunghe e fredde dita affusolate sulla mia spalla nuda. Siamo davanti all’entrata della villa, dove avevo incontrato quello strano signore e dove lei stava per lasciarmi, probabilmente, in balia della festa.
Mi sorrise, angelica, mostrandomi i suoi denti perfetti e bianchissimi:
- Goditi la festa. Io ti lascio.
Cerco di non fissarla negli occhi e annuisco cordiale. Lascia la presa e si allontana con eleganza alle mie spalle, lontana dalla musica e dal mio sguardo. Solo qualche passo verso la folla e mi sento di nuovo afferrare per la spalla; stavolta, però, la presa è calda e potente. Mi volto per ritrovarmi davanti il viso di Jason. Lo guardo decisa, incrocio le braccia, in attesa di una spiegazione plausibile per il suo atteggiamento. Perché i miei compleanni sono sempre così indimenticabili? E se non è lui a renderlo tale, tanto, ci pensa la gemella.
Nota il mio sguardo duro e indagatore. Fa spallucce:
- Non ti preoccupare, tanto è passato.
La mette così? Ah, troppo facile per lui.
- Passato? Intendi... cancellato. Come l’SMS.
Si acciglia:
- Perché tante storie. Ho solo pensato che... preferissi un mio passaggio. Non abitiamo molto distanti, poi.
- Un passaggio... che qualcuno mi aveva già proposto - sibilo arrabbiata.
Proprio in quell’istante la voce del Dj risuona impetuosa nelle mie orecchie e un fascio di luce illumina me e Jason, lasciandoci impietriti.
- Ehi! - esclama dalla postazione esterna l’uomo, con le cuffie alle orecchie e uno strano piercing che gli pende dal naso - Voi due! Piccioncini! Forza, aprite le danze!
E una canzone riempie l’aria. Una canzone che conosco... è accompagnata dal pianoforte. E’ troppo.
Guardo dritto negli occhi lontani del Dj, e scuoto la testa, mentre mi sento divampare in faccia.
- Non se ne parla - dico, mentre sento mille persone fissarmi curiose. Pensare che tra loro ci possa essere Tom, o Marisol, mi rivolta lo stomaco.
Jason sembra sorpreso, anche se non tanto quanto me.
- Dai, balliamo - mi sussurra.
- Non se ne parla - ribadisco decisa.
Il Dj cerca ancora di convincermi - insieme a mezza scuola, persone che nemmeno conosco e che mi continuano a ripetere di ballare - quando lui sussurra qualcos’altro, che cattura immediatamente la mia curiosità:
- Se balliamo, ti dirò perché l’ho fatto...
Mi volto di scatto verso di lui.
Posso specchiarmi nelle pupille incorniciate di cielo. Incurva le labbra e mi tende la mano sinistra. Sento centinaia di sospiri alle mie spalle. La musica ricomincia, più dolce e lenta di prima.
Siamo ancora illuminati dalla luce, seppur più debole.
E’ come ho visto fare nei film: io incrocio la mia mano destra nella sua sinistra, mentre l’altra è poggiata sulla sua spalla. Mi cinge delicatamente il fianco; vivere con una ragazza come Marisol deve averlo abituato ad un bel po’ di cosucce.
Ruotiamo lenti e concentrati sui nostri passi barcollanti.
Il mio medaglione luccica come una stella, è impossibile da non notare. Fissarlo mi ricorda il motivo di quello stupido ballo:
- Aspetto - gli dico semplicemente - Non mi metto in ridicolo davanti a tutta la scuola senza un motivo.
Ridacchia innocentemente, mentre continua a guidarmi in tondo:
- Non ti piace ballare?
Rispondo pestandogli un piede. Vedo la sua espressione contorcersi un attimo per il leggero ma inaspettato dolore, e poi gli dico piano:
- Mi piace ballare... ma in questo caso lo faccio solo per avere delle spiegazioni, Jason.
- E... sentiamo: cosa vorresti sapere, di preciso?
Sgrano gli occhi:
- Perché? Mi sembra di essere tua amica, da sempre. E non è così. Ma tu... e tua sorella, oggi, siete strani!
- Parliamone...
Lascia in sospeso la frase. Mi fa rotare velocemente, al suo fianco. Riprendiamo a girare lenti, le nostre mani in contatto e i nostri occhi a fissi, persi, si perdono negli altri.
Riprende, sottovoce, ma allo stesso tempo forte nella mia testa:
- E’ il tuo compleanno. Pensavo che ci tenessi, poi, al cellulare.
Annuisco, cercando di non ripestargli il piede per il nervoso ch emi procura.
- Sapevo dove abiti, così te l’ho restituito. Non me ne sarei neanche accorto se mia sorella non l’avesse trovato - continua.
- Sei sicuro che l’abbia trovato lei, vero? - lo interrompo. Le bugie mascherate non mi piacciono, ma quel ragazzo è indecifrabile; mi sta prendendo in giro o no?
- Sì, te l’ho detto. Me l’ha dato e io te l’ho restituito, Elle.
- Gabrielle! - lo correggo.
Ride, ride ancora:
- Scusa.
- E come ti ricordavi dove abitavo?!
- Ti ho vista! E poi lo ricordavo benissimo: sin da bambino ti vedevo giocare là fuori - mi dice chiudendo gli occhi, paziente.
Mi sento svuotata dentro:
- Da... bambino? Quindi... - esito un secondo.
- Pensi che mi sia scordato della bambina che non si staccava mai dall’altalena vicino casa mia? - interviene divertito - Aveva... i capelli scuri, come gli occhi. Delle volte la sentivo cantare, e giocava alla principessa. Da sola.
Resto zitta.
- E tu? Ti ricordi di me, da bambino? - chiede calmo.
Ed ecco i ricordi riaffiorarmi nella testa, ancora; vividi e più veri di prima, ora che sono vicina a lui.
- Sì - gli rispondo, sorprendendolo, con uno strano sorrisetto - Mi ricordo un bambino dagli occhi azzurri e dai capelli chiari e ricci. Che sorrideva insieme a sua sorella, e che sorreggeva sua madre.
Alle mie ultime parole, il volto di Jason si rabbuia; capisco di aver toccato un punto dolente: sua madre. Non la conoscevo di persona, né si era mai fatta viva per motivi scolastici. Erano soli, e forse lo sono anche ora.
- Cosa c’è? - gli sussurro preoccupata. Sarò invasiva, ma almeno mi preoccupo.
Per tutta risposta, lui comincia a fissarmi il medaglione d’argento sul mio petto. Lo indica con un cenno del capo e sembra tornare sereno quando mi sussurra:
- E’ della mia mamma. Ha insistito che lo regalassi a te, per il tuo compleanno.
Sua madre?! Ma... !
- Perché? - chiedo curiosa - Tua madre nemmeno la conosco e lei non conosce me. Poteva benissimo darlo a tua sorella.
Mi sento in colpa, adesso, con quel gioiello addosso.
- Mia madre quasi riesce a leggermi nel pensiero. Credo di essere stato sempre il suo preferito, Gabrielle - confida serio.
- E le hai parlato di me, suppongo - dico sarcastica, e quando annuisce sorridente mi sento quasi male.
- Ti conosce di vista, naturalmente - mi spiega - Ma ti ha da sempre trovata simpatica. Quando ha capito che volevo regalarti qualcosa per i tuoi diciannove anni, mi ha espressamente raccomandato di dartelo.
Cosa dovrei dire? “Ringraziala da parte mia”? E’ davvero un bell’oggetto, ma se preferisce darmelo a me, invece che alla sua stessa figlia, ci deve essere qualcosa sotto.
- Pensa, mio padre glielo regalò... - conclude sempre lui, felice - ... proprio quando lei compì diciannove anni.
Quando la musica si ferma, mi rendo conto di essere in debito con troppe persone contemporaneamente. Troppe per un giorno solo. Ora non riesco a distogliere gli occhi dal medaglione d’argento. Spero solo che Jason, con la sua ultima frase, non mi stesse augurando lo stesso destino di sua madre. Una donna che anni fa, seppur in giovane età, sembrava debole e stanca tanto da non riuscire a restare in piedi a lungo. E suo padre... non l’avevo mai visto; chissà se abitava in città...
Ma non volevo essere ancora troppo invasiva nei suoi confronti, non gli avrei chiesto più niente della sua famiglia.
Scoppia un fragoroso applauso e le nostre mani si sciolgono, finalmente.
Mi guarda. Perché non abbandona mai quel sorrisetto infantile che si ritrova?
- E’ stato un onore danzare con te, Gabrielle - ridacchia, inchinandosi elegantemente davanti a me.
- Smettila! - gli dico, colpendolo piano sulla spalla e rialzandolo mentre attorno a noi l’aria si riempie di una canzone più agitata e le coppie più scatenate prendono il nostro posto sulle mattonelle in pietra del giardino.
 
Il tempo passa veloce, quando ci si diverte.
E io stavo imparando che avere come amico uno strano ragazzo che regala cimeli di famiglia non era affatto male. Se solo l’avessi saputo prima, non l’avrei liquidato freddamente davanti a Tom; ma per il momento l’oscuro motivo per cui Jason mi aveva cancellato il suo messaggio era l’ultimo dei miei problemi.
Sediamo insieme, dentro lo spazioso salone d’ingresso della villa, con bicchieri di succo d’arancia mezzi vuoti nelle mani, e osserviamo il via vai di ragazze e ragazzi presi dalla musica e dal ballo scatenato.
Io mi sento stanca, voglio tornare a casa.
Glielo dico gridando, cercando di sovrastare la canzone da discoteca in sottofondo in quell’istante. Mi capisce subito e annuisce facendomi l’occhiolino.
Do una rapida occhiata all’orologio: le due di notte? Oddio!
Cerco di mettere fretta a Jason:
- Mio padre mi ucciderà. Devo tornare a casa!
Lui si alza di scatto:
- Andiamo, ma prima dovremo avvisare Tom - dice forte.
- E dov’è? - chiedo esasperata.
- E’ in mezzo a quella folla - prosegue  indicandomi la folla festante - Troviamolo velocemente prima di perderlo!
Lo seguo, anche se io avrei piantato tutto senza avvertire nessuno. Ma, comunque, gli do corda: non mi va di rovinare già la nostra fragile amicizia.
Tra puzza d’alcool e grida quasi animalesche, troviamo Tom con una fascia legata alla testa e la camicia sbottonata. Jason gli dice due parole e poi mi fa segno di uscire.
Neanche dopo un passo, un urlo di donna mi fa prendere un colpo.
 
Mi volto insieme a Jason, sulla scia di quel suono straziante. Anche la musica si ferma. Il Dj sembra sparto dalla sua postazione, anche se giurerei di averlo sentito urlare qualcosa qualche minuto fa.
A gridare è stata una ragazzina dai capelli biondi e corti, che non conosco. E non si trova molto lontana da noi due: è ferma, immobile, su una scalinata di marmo e con i grandi occhi sbarrati mirava ad un punto sopra di noi.
Il candeliere brillante sul soffitto, sulle nostre teste.
Alzo la testa anche io, come tutti i presenti... quando vedo, appeso alla candela più vicina, un nastrino rosso. Il mio... nastrino rosso? Quello che avevo tra i capelli?
Un rumore metallico e sento mille voci attorno a me. Una mano mi afferra il braccio e mi ritrovo seduta a terra, sul pavimento, nel buio. E’ il panico. Un fragoroso schianto...
Il candeliere è caduto.
Jason?
Mi volto verso il mio salvatore; è proprio lui, grazie al cielo.
- Stai bene? - mi chiede preoccupato senza lasciare la presa.
Annuisco, ma quando realizzo che non riesce a vedermi, gli dico forte di “Sì”.
Sento puzza di sangue e capisco che il peggio deve essere accaduto. Mi sembra di essere precipitata dal più colorato dei sogni, al più buio degli incubi. Un’altra voce familiare giunge alle mie orecchie: Marisol.
- Jason! Jason! Hanno trovato delle ragazze morte nel bagno, scappiamo!
Sembra fuori di sé, dal tono di voce.
Poi, mi sento sollevare da terra e mettere in piedi. Altre urla arrivano dai bagni: allora è vero!
- Che stai dicendo?! - grida Jason alla sorella, mentre mi aiuta a trascinarmi verso l’uscita.
- Ti giuro! Ho sentito delle ragazze uscire dal bagno che urlavano come delle galline; dicono di aver visto dei cadaveri! - spiega Marisol.
Scavalchiamo dei corpi inerti e nel nostro tragitto perdo anche una scarpa. Fantastico.
Non ho il coraggio di voltami a fissare l’orrore dietro di noi. Non voglio neanche immaginarmelo.
- Via da qui - sibilo confusa.
 
Anche all’esterno il panico è diventato qualcosa di ingestibile. Sento ragazzi chiamare ambulanze e polizia, con voce disperata invocare aiuto o chiamare amici oramai lontani. Attraversiamo il selciato più velocemente possibile, con Marisol in testa e Jason che ancora non mi lascia.
Con mani tremanti, la macchina viene aperta; la ragazza si mette al volante, mentre io gemo:
- Ahh! Jason! Guarda...
Gli indico il polpaccio destro, nel quale è infilzato un pezzo di vetro, probabilmente che una volta apparteneva al candeliere di Tom. Il pezzo sembrava incastrato in profondità, ma non sentivo dolore, anche se il sangue scendeva a fiumi.
- Mettiti dietro - mi dice velocemente. Apre la portiera e mi spinge dentro.
Marisol ha già messo in moto e, appena il fratello entra, parte in retromarcia a tutta velocità e sgomma via dal parcheggio.
- Ma che diavolo è successo!? - urla violentemente battendo una mano sullo sterzo.
- Non lo so - sussurro mentre alzo le gamba ferita sul sedile, al fianco di Jason.
- Marisol - urla lui - Apri i finestrini! Tutti!
Lo guardo perplessa, ma la gemella obbedisce, dopo un pesante sospiro:
- Cosa è successo a voi due, ora!? - dice arrabbiata.
Jason si tira indietro i capelli biondi pieni di polvere e avvicina le dita della mano destra sul pezzo di vetro nella mia carne.
Ora inizio a sentire dolore. Tanto dolore.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Giorno, ragazzuoli! :D
Spero, come sempre, che questo capitolone vi sia piaciuto. Fatemelo sapere nelle vostre recensioni.
Ah, per chi si stesse chiedendo che canzone fosse, quella del ballo romantico... è stata la canzone sbucata fuori dalla mia playlist mentre scrivevo del capitolo, ed è "My love" di Sia.
Vi aspetto al prossimo capitolo! :)
Ciau ciau :D
   
 
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