Requiem for a Dream
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I’m searching for the sky I lost -
Quando
lo schiacciano contro un muro, con il viso pressato su mattoni freddi
d'indifferenza,
Suigetsu sorride.
Mentre
qualcuno abusa di lui sul sedile posteriore di un'automobile, Suigetsu
continua
a sorridere.
È
quando deve dormire che smette di farlo, perché non
può più sognare di
affondare i denti nella giugulare dei suoi oppressori. Le loro urla di
dolore
non sembrano più reali di una fantasia dimenticata e lui
è da solo con i suoi
incubi.
~°~
Il
sole, fuori, picchia più forte del solito sul mondo che a
loro è precluso; i
ragazzi senza vita lo odiano perché, lo sanno, non
è roba per loro. Preferiscono
vedere solo il buio piuttosto che osservare da lontano la luce che non
possono
raggiungere.
Suigetsu
guarda lo spicchio di cielo che si intravede dalle finestre,
posizionate così
in alto che riesce a sbirciare solo cose troppo lontane per sembrare
vere. Seduto
sulla porzione di pavimento che quella notte gli ha fatto da letto, non
può
fare altro che aspettare. La vita gli scorre davanti ma non dentro, non
riesce
a fermarla né a farla rallentare.
Karin
lo guarda come un avvoltoio. Vede che è distratto e lei
può approfittarne,
perché i guardiani stanno per distribuire la colazione e lei
ha sempre così
fame che negli ultimi tempi si ritrova sempre più spesso a
mordicchiarsi inconsciamente
la pelle dell'avambraccio. Un giorno si mangerà viva e
allora sarà libera di
implodere. È pronta a rubare il pane dalla bocca di
Suigetsu, anche se sa che i
suoi denti sono affilati e che se si chiudono lei ci lascerà
ben più di qualche
dito.
Ma
ha fame e non c’è niente di più
importante.
Juugo,
quel maledetto ragazzone tutto cuore e psicosi, vede i suoi occhi e le
mette
una mano su una spalla. «Non lo fare.»
Lei
se lo scrolla di dosso, incattivita. «Io non ho nessuna
intenzione di
schiattare qui dentro, a differenza tua.» sibila, con gli
occhi ridotti a una
fessura. Ma il suo corpo la contraddice, perché i gomiti
sembrano voler
trapassare la pelle tirata, il seno è scomparso e gli zigomi
ormai occupano
gran parte del suo viso scarno. È già morta.
Lei
sta peggio di Suigetsu e Juugo, perché lei è una
ragazza e lo sanno tutti cosa
succede alle ragazze. Sono le più deboli e perfino un
bambino potrebbe rubar
loro da mangiare. Si consumano troppo in fretta e i ragazzi, che al
lavoro
vengono fottuti, mentre tutti dormono fottono loro. Le donne,
lì dentro, non
sopravvivono mai troppo a lungo.
Stavolta
è Karin a deconcentrarsi e perde l'occasione di rubarsi un
pezzetto di vita che
le sarebbe tornato, in fondo, poco utile. E poi Suigetsu adesso
è tutt'altro
che distratto.
Oggi
a servire la colazione c'è Momochi.
Mentre
passa a distribuire quel pasto infame Suigetsu lo segue con gli occhi,
senza
perderne nemmeno un movimento. Quando tocca a lui Zabuza distoglie lo
sguardo e
gli nasconde tra le mani una doppia porzione. Le dita del ragazzo si
chiudono
attorno a quelle dell'uomo, Karin le vede sbiancare dalla forza con cui
cercano
un contatto.
Zabuza
lascia che quelle mani gli scivolino addosso, senza ricambiare
né scansarlo.
Come se non esistesse. Se ne va ed è come se non si fosse
mai fermato.
«Comodo
scoparsi uno dei guardiani, vero?» mormora la ragazza,
masticando lentamente.
«Forse dovrei cominciare a farlo anche io.»
«Non
credo che qualcuno ti vorrebbe, racchia come sei.» ribatte
Suigetsu, ma non si
fa guardare in faccia perché la delusione è
cocente. Sperava che sarebbe durato
di più. «Non mi sorprende che tu sia uno schifo, a
fare la puttana.»
«Almeno
io non mi vendo per un tozzo di pane a chi gestisce questa
merda!»
«Balle.»
glielo sputa in faccia, sull’orgoglio, sul pizzico di
dignità che è rimasta a
entrambi. «Uccideresti tua madre per qualcosa da
mangiare.»
Karin
non risponde più perché è vero. Quella
massima vale per tutti i suoi compagni
di prigionia.
Suigetsu
torna a guardare Zabuza, che sta ancora passando tra i ragazzi, quelli
stesi
per terra come loro tre e i fortunati dieci che si sono meritati il
privilegio
di dormire su uno dei letti. Quel dannato posto e le sue regole.
Quel
“dannato posto” in realtà è
il più grande giro di prostituzione minorile di
tutto il Giappone, anche se nessuno ha il coraggio di chiamarlo
così. Ragazzi e
ragazze ammassati dentro un capannone fuori città che di
notte strisciano fuori
e si vendono per non morire. L'unica cosa che cercano dalla vita sono i
soldi,
perché se non ne guadagni abbastanza vieni punito, se ne
racimoli una buona
quantità ti becchi un doppio pasto e uno dei letti. Ma
nemmeno Suigetsu è un
granché a fare la puttana e dorme per terra.
Karin
ora guarda uno di quelli che, secondo la perversa logica del loro
mondo, viene
chiamato fortunato. Momochi gli sta
distribuendo una doppia porzione proprio in quel momento, direttamente
sul
letto sgangherato che occupa.
Uchiha
Sasuke. Un tempo Karin lo fissava di continuo, stregata dalla sua
bellezza,
adesso i suoi occhi riflettono solo tutto quel pane che il ragazzo ha
tra le
mani. Lo divide con il biondino accanto a lui e Karin farebbe qualsiasi
cosa
per essere al suo posto.
Zabuza
esce e il rumore dei ragazzi che masticano lo stesso boccone infinite
volte per
farselo durare di più non basta a coprire il clic
dell’unica porta che viene
chiusa a chiave.
Anche
Juugo adesso sta guardando Naruto e Sasuke che si spartiscono lo scarno
pasto,
così come condividono il letto. «Loro sopravvivono
perché si aiutano a
vicenda.» osserva. «Forse dovremmo fare
così anche noi.»
Suigetsu
guarda i suoi due compagni e si sente legato a loro solo dalle
circostanze.
Fuori di lì non li avrebbe neanche degnati di uno sguardo,
ma in quel posto si
sono trovati e hanno cominciato a starsi vicino perché, in
fondo, sono uguali
nell'essere diversi. I ragazzi lì dentro sono orfani
strappati dalla strada,
figli indesiderati comprati alle famiglie, bambini qualunque rapiti
dalle loro
case. Suigetsu spacciava, Karin rubava, Juugo uccideva. Erano marci fin
dal
principio e quel posto, forse, è la loro naturale
destinazione. Loro tre sono
gli unici a non avere paura dell’inferno.
«Uzumaki
sopravvive perché Uchiha gli impedisce di morire.»
risponde Suigetsu atono.
Karin
sbuffa. «È vivo perché Sasuke gli da il
suo cibo e si prostituisce al posto
suo.» ribatte. «Quel ragazzo non gli dà
nulla in cambio. Sasuke sopravvive da
solo.»
Ma
Juugo scuote la testa. «Aiutandolo si dà un motivo
per tirare avanti. Noi quale
abbiamo?»
Né
Karin né Suigetsu rispondono. Nessun altro in quel capannone
potrebbe farlo e
ciò spiega perché, almeno una volta al mese, i
guardiani devono tirare giù il
disgraziato di turno che si è impiccato nel cesso. Suigetsu
pensa a Zabuza ma
non lo dice, lo tiene per sé. È quanto di
più vicino al calore umano che conosce.
Karin
lo vede con lo sguardo perso nel vuoto e capisce al volo.
«Dì un po’, il tuo
padroncino non è geloso?»
«Fatti
i cazzi tuoi.» La ragazza non gli dà ascolto e
continua a stuzzicarlo perché
almeno dimostra di essere viva. Suigetsu la ignora e pensa ad altro.
Il
suo padroncino. Nel loro gergo, un
cliente che si affeziona a tal punto alla sua puttana da scegliere
sempre lui,
tutte le notti, da vezzeggiarlo con regalini che poi finiscono sempre
nelle
tasche dei guardiani. Poi, quando il giocattolo è vecchio o
si rompe, viene
scaricato per un modello nuovo.
Karin
non lo sa, ma Kakashi Hatake non è niente di tutto questo.
Tre mesi
prima
Suigetsu
vuole morire. Tra poche ore si torna al capannone e lui non ha
racimolato che
poche centinaia di yen; sono tre sere di fila che viene pestato e non
crede che
riuscirà a sopportare la quarta.
Karin
scende da una macchina con le tasche gonfie di banconote. Si pavoneggia
con le
compagne ridendo, perché finge che non le importi, pretende
di star bene. Un
striscia di sangue le macchia l’interno coscia scoperto dalla
minigonna
striminzita, ma la vede solo lui.
Suigetsu
sputa per terra perché gli uomini fanno schifo.
Cammina
verso il bordo del marciapiede mentre si sbottona la camicia stracciata
fino al
petto, si abbassa i jeans già a vita bassa per mettere in
mostra il culo e si
unisce al gruppetto che schiamazza per attirare l’attenzione
degli
automobilisti. Uchiha si becca l’unico che si ferma, anche se
a lui basta
mettersi lì in piedi e guardare il mondo con quella sua
faccia da cazzo.
Suigetsu crede che la gente lo paghi solo per poterlo prendere a
schiaffi. Lui
lo farebbe, se avesse soldi da sprecare.
Poi
il mondo sembra cristallizzarsi quando una macchina rallenta proprio
davanti a
lui. Alza il viso per l’ennesima volta mentre fissa il
finestrino che si
abbassa. L’uomo gli fa cenno di salire e Suigetsu ringrazia
un dio in cui non
crede. Se fa bene il suo lavoro, se quel tipo ha abbastanza soldi, per
quella
notte è salvo: avrà un giorno in più,
tutto quello che riesce a desiderare.
Dovrà staccarsi un pezzo di anima, ma che alternative ha?
Si
accomoda sul sedile del passeggero, pronto a snocciolare le tariffe
base, l’uomo
non lo guarda nemmeno mentre parcheggia in un vicolo là
vicino. I guardiani
controllano che non si porti via uno dei loro articoli.
«Chi
ti costringe a prostituirti?»
Suigetsu
resta a bocca aperta. «Cosa…?»
Kakashi
Hatake, ventisette anni, spezzato a metà da una tragedia
qualsiasi che non
mostra i suoi sintomi, prende il portafoglio ed estrae
l’ultima cosa che
Suigetsu si aspetta.
Un
tesserino di riconoscimento della polizia. Potrebbe essere ricoperto di
sangue
e risultare comunque meno spaventoso di quello che appare agli occhi
del
ragazzo.
«Sono
mesi che indago su questo giro di prostituzione senza scoprire nulla.
Chi lo
gestisce sembra un fantasma.»
Suigetsu
comincia a strattonare la maniglia dello sportello, ma l’uomo
è stato più
veloce di lui e ha bloccato le portiere.
«Fammi
scendere.» annaspa il ragazzo, improvvisamente pallido. Si
agita e sente
qualcosa di pesante che sbatacchia in fondo al suo stomaco.
«Se mi beccano a
parlare con uno sbirro sono morto. E tu con me.» Non gli
interessa della sorte
di quel’uomo, in realtà. La sua stessa vita
è la nube di gas e polvere che non
è mai diventata stella, ma è l’unica
che ha e non è pronto a rinunciarci.
Kakashi
gli posa una mano sulla spalla. «Dimmi il nome, ragazzino.
Sarai fuori di qui
in una settimana.»
Suigetsu
fa saettare lo sguardo da Kakashi al buio della notte, temendo che da
un
momento all’altro salti fuori uno dei guardiani con la
pistola puntata. «Io..»
«Una
settimana.»
«Io…
io non lo so.»
Ed
è vero, non lo sa. Non conosce il nome del loro aguzzino.
Può scoprirlo, glielo
dice, lui accetta di aspettare. Almeno un paio di volte la settimana
Kakashi
Hatake va a prelevarlo. Lo paga come se volesse scoparlo. Quando fanno
l’amore
sul serio quasi non se ne accorgono, i soldi che gli dà non
comprano quello e
lo sanno tutti e due. Ne hanno bisogno, non è il capriccio
di una lussuria
imprevedibile: vogliono dare a se stessi la possibilità di
avere qualcosa di normale. Non ci
riescono, ma ne vedono
un tenue luccichio: se lo fanno bastare.
Lampante
caso di sindrome della crocerossina. Kakashi gli porta da mangiare,
antidolorifici
per quando lo picchiano, integratori alimentari per non morire nei
giorni in
cui non c’è. Ha una colpa che evidentemente non si
lava solo con acqua e sapone
e che sa nascondere bene. Il suo nuovo ragazzo si chiede spesso quale
sia il
peccato che Kakashi cerca in tutti i modi di spolverarsi via dalla
coscienza,
ma non glielo chiede mai. Lo renderebbe umano, dietro alla maschera che
non ha
mai tolto, lo renderebbe vulnerabile d’affetto. Non di amore,
Suigetsu non ne è
in grado, ma forse non riuscirebbe più a restarne
distaccato. Forse cederebbe
agli impulsi umani che, per quelli come lui, equivalgono alla morte;
né più, né
meno.
Non
gli piace fare sesso con lui, non gli piace farlo con nessuno. Ma odia
ancora
di più avere debiti, così finge come con tutti e
lo fa innamorare di lui senza
neanche rendersene conto. Può essere un vantaggio, senza
dubbio lui dalla loro
relazione trae molti benefici, eppure quell’uomo non gli fa
né caldo né freddo.
Vuole molto più bene al cibo che gli porta. Le medicine sono
utili, gli
integratori li schifa, ma accetta di prenderli per zittirlo. Dietro
quel
rapporto non c’è altro.
Non
è uno stronzo, Suigetsu. Sono stati i suoi carcerieri a
farlo diventare così.
~°~
Zabuza
arriva poco tempo dopo Hatake. Con lui è molto
più facile.
Il
guardiano lo trova in ginocchio dietro un cassonetto, nel vicolo in cui
deve
battere quella sera. Suigetsu sa che sarà punito
perché non è con gli altri a
mettersi in bella mostra per attirare clienti, ma non gli importa. Sa
che verrà
picchiato, ma non gli importa. L'ultimo cliente lo ha scopato
così forte che
ora non riesce quasi a reggersi in piedi, e non può nemmeno
prendere in
considerazione l'idea di soddisfarne un altro.
Non
ha abbastanza sold: una volta tornati al capannone lo prenderanno a
calci.
Eppure in quel momento stare piegato in mezzo alla spazzatura lo rende
felice.
Non si è mai sentito così libero.
Zabuza
rovina tutto. Lo fissa da dietro la maschera e lui non può
sapere cosa sta
pensando, ma può prevedere cosa arriverà: non
prova neanche a mettersi in
piedi.
L’uomo
lo sorprende con quella sua voce annoiata. «L'altro guardiano
di turno è
Hoshigaki.» dice. «È uno stronzo. Ti
caccerai nei guai se ti trova.»
Lui
non risponde. Un conato gli scuote il petto e si vomita addosso, colto
da una
nausea improvvisa: quella merda di pasticca che gli ha allungato il
cliente
doveva essere proprio una schifezza.
Zabuza
lo fissa disgustato, poi lo prende per la collottola e lo trascina via.
È più
alto di lui e riesce a sollevarlo di qualche centimetro da terra.
«Stupido
ragazzino.» lo sente mormorare, anche se non sembra essere
molto più vecchio di
lui.
Suigetsu
sente in bocca un sapore acido, ma ha paura di sputare per terra
perché, se per
sbaglio beccasse il guardiano, i calci che gli spettano aumenterebbero
vorticosamente di numero. E invece Zabuza lo porta di peso nel furgone
con cui
trasportano i ragazzi al lavoro, prende un fazzoletto e con pochi
movimenti
bruschi gli dà una ripulita. Suigetsu spalanca gli occhi
mentre l'uomo gli
solleva il braccio destro per detergerlo dal suo stesso rigetto. Riceve
dalle
sue mani una bottiglia d'acqua fresca che gli fa pizzicare le ferite,
apertesi
sui suoi palmi quando è caduto bocconi nel vicolo, appena
dopo essere sceso
dalla macchina del cliente.
«Bevi.»
ordina lui mentre si accende una sigaretta. Gli tira una merendina e
gli fa
cenno di mangiarla, ma Suigetsu la divora in pochi morsi. Alzando un
sopracciglio, Zabuza scende dal furgone e va a cercare qualcosa nella
cabina
del guidatore. Torna con mezza dozzina di sandwich confezionati e lo
osserva
mentre lui li scarta uno dopo l'altro.
L’ultimo
boccone sparisce nella sua gola un momento prima che Zabuza termini la
sigaretta.
«Dovrei
tornare al lavoro, signore.» dice il ragazzo, sulla
difensiva. «O finirò sul
serio nei guai.»
L’uomo
lo fissa per un tempo interminabilmente lungo. Poi distoglie lo
sguardo. «Non
c’è bisogno. Dirò che sei stato con
me.»
Suigetsu
apre la bocca e poi la richiude. È plausibile. Ogni tanto i
guardiani scelgono
un ragazzo o una ragazza dal gruppo che devono sorvegliare e se lo
tengono
quasi tutta la notte dentro il furgone. Se la mattina non hanno
guadagnato
abbastanza, come accade la maggior parte delle volte, le botte le
prendono lo
stesso.
Zabuza
sembra leggergli nel pensiero, perché gli chiede quanti
soldi ha. Lui risponde
e non sono abbastanza, così l’uomo gli allunga
qualche banconota da cento.
Suigetsu le prende solo dopo qualche istante.
«Hai
ancora fame?»
Sì,
ce l’ha, e l’avrà sempre. Ma ha divorato
il cibo troppo in fretta e adesso
rischia di rigettare ancora, così cerca di tenere a bada i
conati perché sa che
probabilmente non mangerà più così
tanto per un pezzo. Non può sprecare nemmeno
una briciola.
Zabuza
lancia uno sguardo di sufficienza a quel viso pallido, notando il suo
malessere. «Se stai male, vomita. Troverò
qualcos’altro da darti prima di
riportarvi al capannone.»
Ma
il ragazzo si tiene le mani sullo stomaco come se volesse trattenere il
cibo
con la forza.
L'uomo
sbuffa. «Avanti, vomita o rischi un'indigestione. Sai meglio
di me che i malati
non ricevono certo un trattamento di favore.»
Sì,
Suigetsu lo sa. Karin poco tempo fa ha avuto la febbre e per tutta la
settimana
in cui è stata male i guardiani l’hanno presa a
calci di continuo per
costringerla a stare in piedi. Se avesse impiegato appena qualche
giorno di più
per rimettersi, il ragazzo era sicuro che l'avrebbero uccisa.
Suigetsu
vorrebbe rispondere, ma i conati si fanno insopportabili. Zabuza lo
spinge
verso la strada per impedirgli di vomitare nel furgone e lui sente
l'uomo
brontolare mentre gli tiene i capelli chiari. Una volta rigettata anche
l'anima
il guardiano gli solleva il mento con due dita e gli pulisce la bocca
con un
gesto rude. Non c'è dolcezza nelle sue mani, eppure per
Suigetsu è delicato
come una carezza: nessuno lo hai mai trattato così e non si
abituerà mai.
«Hai
preso qualche droga?»
Il
ragazzo tossisce. «Mi hanno dato una pasticca.»
Tornano
dentro, gli dà di nuovo da bere e gli ordina di sciacquarsi
la bocca.
«Non
accettare mai niente. Una volta o l’altra ci resti
secco.» Poi se ne va e torna
dopo dieci minuti con un sacchetto.
«Fortuna
che i pub restano aperti fino a quest'ora» lo sente
borbottare. «Tieni, e cerca
di non ingozzarti stavolta.»
«Perché
lo fa?»
L'uomo
sbuffa ancora. «Basta un grazie.»
Gli
occhi di Suigetsu non si scollano dalla sua anima. «Vuole che
le faccia
qualcosa?»
«Dio,
voi ragazzini siete insopportabili! Non voglio un accidenti. Mangia e
sta'
zitto.»
Lui
mangia perché non può fare altrimenti, lo fa
lentamente per godersi ogni
boccone, ma non riesce a stare zitto. Nel loro mondo non si fa niente
per
niente e ha paura di scoprire quali saranno le conseguenze di tanta
generosità.
«Le
sono debitore.»
L’uomo
gli getta un’occhiataccia e sembra voler cambiare discorso.
«Ti ricordi di un
ragazzino di nome Haku?»
Suigetsu
vede un volto efebico incorniciato da lunghi capelli neri; lo
chiamavano “la
geisha”. Quelli come lui duravano ancora meno delle donne.
«Non
è quello che si è sgozzato con un coltellino
svizzero?»
Gli
occhi di Zabuza vengono attraversati da un lampo, forse di dolore,
forse di
rabbia, fatto sta che impiega qualche minuto per rispondere.
«Lui è…» scuote la
testa. «Eravamo amici. Tu lo hai salvato. E io aiuto
te.»
Il
ragazzo ci pensa meglio e effettivamente si ricorda di aver spartito
qualche
pezzo di pane con Haku, all’inizio della sua penosa carriera
da prostituta, ma
quel periodo era durato poco. Appena arrivati non tutti si rendevano
subito
conto che lì si moriva da soli, e che stando vicini a
qualcuno si accelerava la
caduta verso l’inferno e basta.
L’uomo
lo fissa. «Come ti chiami?»
«Hozuki,
signore.»
Lui
scuote la testa. «Voglio sapere il tuo nome.»
«Suigetsu.»
Si divincola sulla sedia, è a disagio, non gli va
più di star lì. Gli occhi di
Zabuza lo fissano in un modo strano che lui non riesce a decifrare, lo
paragona
a quelli che vede tutti i giorni ma non trova riscontri. Non lo vuole
fottere,
non lo vuole picchiare, non gli vuole rubare il rancio. Ma allora cosa
vuole?
«Acqua
luna.» mormora Zabuza. «Più che
appropriato, direi. Sei pallido.»
«Perché
vengo da Kirigakure, signore.» ribatte lui sulla difensiva.
Lui
gli lancia un’occhiata strana, forse divertita o magari solo
annoiata. Non lo
sa, non lo capisce. Lo farà mai?
«E
allora? Anche io sono nato lì, ma la mia pelle non
è così chiara.»
Suigetsu
vorrebbe rispondere che lui non è costretto a starsene
rinchiuso tutto il
giorno e a uscire solo di notte. Lui il sole lo vede tutti i giorni.
Però sta
zitto perché capisce che, se non ci vivi, è
impossibile ricordarsi tutti i
limiti della loro prigionia.
«Bene,
torno a controllare gli altri. Tu puoi restare qui.» getta
un’occhiata critica
alle sue occhiaie violacee. «Dormi un po’, magari.
Sei stanco.»
Lui
si stringe nelle spalle. «È Dicembre. I pavimenti
sono freddi.» anche la sua
voce lo è, perché d’un tratto si
ricorda che l’uomo che ha davanti è uno di
quelli che lo costringono a dormire per terra. «Non
conciliano esattamente il
sonno.»
Zabuza
rimane interdetto. Si sfila di nuovo il portafoglio dalla tasca e gli
dà altri
soldi. «Questi dovrebbero bastare per un letto. Domani ti
farò avere delle
coperte, non posso pagartelo ogni notte.»
Suigetsu
non ci pensa due volte ad accettare. Il suo non è un mondo
di convenevoli. Stavolta
dice grazie e basta.
Note
dell’autrice:
-
Suigetsu in Giapponese significa Acqua Luna.
-
“I’m searching for the sky I lost”
è la traduzione di “Nakushitekeita sora wo
sagashiteru”, citazione tratta dalla canzone
“Again” di Yui (nella versione
usata per la prima opening di FullMetal Alchemist: Brotherhood).
-
Questa fan fiction si è classificata 2° al contest
“Potrebbe risultare
interessante” di Jayu
Note
dell’autrice:
Ed
ecco a voi sui vostri schermi la famigerata ZabuSuiKaka (non si
può sentire XDD).
Non vedevate l’ora, eh? E niente, oggi intaso la sezione di
Naruto ma sono
arrivati i risultati del contest (esultate con me \°/) e questa
è tutta per _sweetygirl_ che
si è appassionata a
questo pairing ancora prima di leggerlo. Cara, avrei voluto dedicarti
qualcosa
di migliore ma dovrai accontentarti. Io ti avevo avvertito che non era
venuto
fuori un capolavoro, ma tu lo volevi leggere lo stesso quindi
è colpa tua u.u
Dunque,
è una bishot quindi saranno solo due capitoli. Io non mi
smentisco mai e metto
il SasuNaru ovunque, nel prossimo avranno un ruolo importante (insomma
ò_ò).
Ringrazio
tutti quelli che hanno avuto il coraggio di leggere questa cosa. Non
piace
nemmeno a me, quindi voi potete schifarla del tutto XD Però
mi rendereste
felice con un commentino, lo sapete **
Tornerò
a inquietare i vostri sonni verso sabato/domenica con
l’epilogo di
Autodistruggimi <3
shirangel