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Autore: Nidham    30/01/2013    1 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il brusio leggero si interruppe all'acuto cigolio della porta.

La stanza era in penombra, troppo ampia perché la luce brillante del fuoco, che ancora ardeva prepotente nel camino, potesse rischiararla tutta; una candela frusciava tremula sulla pregiata scrivania di ciliegio, quasi abbandonata a se stessa e alle tenebre che rischiavano di inghiottirla.

Da quando Leliana e Wynne avevano accettato di rimanere al castello, la biblioteca era risorta a nuova vita, con volumi che si spogliavano della polvere di mesi, forse di anni, per riscoprire la vellutata ruvidezza della pelle, l'incanto dei colori sbiaditi delle lettere, incise in oro e bronzo sulle copertine, l'armonia dell'impalpabile crepitare di sottile carta pergamena.

Di solito Alistair ne era felice, ma, a quell'ora tanto tarda, quando credeva che soltanto le guardie e i fantasmi si aggirassero per quei freddi corridoi di pietra, non riuscì ad evitare un moto di fastidio, nel vedere violato l'ultimo luogo in cui sperava di trovar rifugio dagli incubi che lo divoravano.

“Vostra maestà” la giovane donna fu la prima ad esibirsi in una riverenza formale e aggraziata, mentre Wynne fu bloccata a metà dello stesso gesto dal tono perentorio del Custode.

“Vi prego, no! Almeno non quando siamo soli.”

Forse era stato troppo brusco, perché entrambe rimasero per un attimo sospese nel decifrare il suo desiderio.

“Sono ancora il ragazzo che ha combattuto al vostro fianco poco tempo fa...” cercò di spiegare e di spiegarsi, perché capissero quanto pesante fosse per lui quel titolo, che già altri avrebbero voluto strappargli; per far sapere loro quanto inutile e vuota gli sembrasse la parola con cui adesso tutti lo identificavano, solo perché qualcuno, più forte e capace di lui, aveva deciso di porgergli una corona che non desiderava e non meritava; per rammentare a se stesso e ai pochi che ancora volevano ricordarlo come fosse semplicemente un uomo, insicuro, fragile... e solo.

Lo schiocco sordo di un ceppo, nel fuoco, lo riscosse, portandolo a tentare un piccolo passo dentro la stanza, ancora incerto se chiedere loro di lasciarlo o rassegnarsi a tornare nel cupo mausoleo di ricordi che era la sua camera.

Prima che potesse aprire bocca, Wynne si intromise tra i suoi pensieri.

“Cercavate consiglio tra queste vecchie pagine, Alistair?” la maga lo studiò attentamente, sperando di penetrare il velo di notte dietro al quale l'uomo continuava a celare il suo volto. “Venite accanto al fuoco, abbiamo del vino speziato, se volete. La notte è fredda e non fa bene vegliare in solitudine.”

“Vi ringrazio, ma non sono dell'umore adatto a sostenere una conversazione.”

“Avete nuovamente discusso con l'Arle?” quasi senza rumore, Leliana gli era comparsa al fianco e lo guidava, gentilmente, ma con fermezza, verso quella illusoria pozza di luce che pareva racchiudere ogni speranza di salvezza contro le ombre della realtà.

“Ormai è quasi una tradizione” cercò di scherzare, senza allegria, mentre si lasciava cadere sfinito su una morbida poltrona di broccato color smeraldo. “Per lui il passato non esiste, se non è utile al futuro... e forse nemmeno in quel caso.”

“E' anziano e saggio” intervenne Wynne, porgendogli una coppa fumante, da cui si spandeva il pungente aroma della cannella. “Sa bene quanto sia facile perdersi nei ricordi e abbandonare ogni possibilità di costruirne di nuovi. Chi, come me, ha avuto la ventura di trascorrere tanti anni su questa terra, ha imparato a proprie spese che le occasioni perse rimangono solo rimpianti, mentre ogni esperienza, anche dolorosa o sbagliata, ma vissuta a pieno, si trasforma, col tempo, in uno scampolo della propria anima.”

Alistair non rispose, all'apparenza perso ad osservare la leggera danza di quel liquido color sangue che ancora non aveva assaggiato e già trovava rivoltante, perché legato a parole tanto vere quanto insensate.

“Sono certa che Eamon vi offra consigli soltanto per il vostro bene...” Leliana si protese a sfiorargli una spalla, ma si ritrasse immediatamente, al muto suono della sua tensione.

“Eamon parla per il bene di questa terra. Ed è giusto che sia così, ma questo non significa che la cosa debba piacermi.”

“Siete un buon regnante, Alistair. Il popolo vi adora e vede quanto vi sforziate di agire con giustizia e rettitudine.”

“Cerco di agire per il meglio, ma questo non fa di me un buon re. Al massimo potrei esser definito una brava persona.”

“E forse l'una cosa esclude l'altra?”

“Non lo so, ma di certo non è sufficiente.”

“Lasciate che siano gli altri a dirlo. Siete troppo severo con voi stesso.”

Il giovane scosse impercettibilmente la testa, decidendosi a bagnare le labbra secche e screpolate in quel vino che forse poteva promettergli l'oblio.

Massime di prudenza, perle di saggezza, raccomandazioni di efficienza, tutto suonava vuoto al suo orecchio, tutto era insensato, inutile, aleatorio.

Non aveva mai voluto il potere, anzi, l'aveva temuto con ogni fibra del suo essere. La responsabilità per la vita degli altri, per la loro prosperità o il loro dolore, il peso di impossibili decisioni su una giustizia impraticabile, le piccole schermaglie meschine per una corruzione mascherata da favori... quale senso potevano avere, in un universo in cui l'unica persona in grado di arginarle non esisteva più?

Ancora una volta si trovò a pensare a lei e, ancora una volta, contro ogni volontà, credette di odiarla più di quanto non sapesse di averla amata; ma forse odiava solo se stesso, per averle permesso di abbandonarlo, per essere stato troppo debole, troppo sciocco, troppo virtuoso.

In quei lunghi, orribili mesi non era passato attimo in cui il peso della sua assenza non l'avesse soffocato e confuso, mentre si dibatteva furiosamente per cercare di restare a galla oltre la rete di intrighi e politica in cui ella stessa l'aveva gettato e in cui, per lei sola, si impegnava a sopravvivere.

Come poteva spiegare, a donne tanto coraggiose e forti, tanto capaci di dimenticare e credere nel futuro, che ancora sentiva il suo profumo sulla pelle, intenso e dolce come una carezza, ogni volta che chiudeva gli occhi? Come poteva raccontare a qualcuno che il suo cuore si era fermato nell'istante stesso in cui i suoi occhi erano stati costretti a posarsi sul corpo martoriato di colei che, fino a un attimo prima, era stata la sua bellissima, fiera, giovane compagna?

Sei mesi sembravano un tempo infinito per ricordare, ma erano solo un battito di ciglia per dimenticare tutta una vita.

Eppure, sempre più spesso, man mano che la durezza della realtà lo imbrigliava e lo divorava, si trovava a ripensare al suo amore, ai suoi desideri, come ad un brutto sogno da cui fuggire, un incubo dal quale nascondersi; si scopriva a desiderare di non averla mai conosciuta, perché faceva troppo male ammettere che non l'avrebbe mai più potuta stringere, che non avrebbe più baciato le sue labbra, che non avrebbe mai potuto chiederle perdono...

“Siete certo, Alistair, che non ci sia un motivo più specifico che non vi lascia dormire?” la voce dolce e melodiosa di Leliana lo attraversò come un pugnale, riportandolo in un lampo a quella stanza fredda e al presente. “Nessuno vi biasimerà se vorrete aspettare, prima di abbandonare il lutto.”

Forse nessuno l'avrebbe biasimato, ma, di certo, Eamon gli avrebbe reso la vita impossibile.

Era un Custode, battezzato e lordato nel sangue della Prole Oscura. Il suo seme era quasi sterile e i suoi giorni, in un modo o nell'altro, contati.

Probabilmente nessuno si sarebbe meravigliato, se avesse aspettato un altro anno, o magari due, prima di scegliere una nuova moglie, ma poteva essere certo di averne il tempo? Poteva convincersi che avrebbe avuto modo di generare il tanto prezioso erede, se avesse sprecato altri mesi in una vuota autocommiserazione? Oppure tutti i suoi sforzi, tutto quel sacrificio, la violenza che faceva ogni giorno su se stesso, per riportare pace e stabilità al popolo che Eilin gli aveva imposto, sarebbero stati vani?

“Sappiamo che siete ancora innamorato di lei...” si intromise Wynne. “Io ero contraria alla vostra unione, ma non potevo negare che il vostro amore fosse tra i più puri...”

“Non è così!” Alistair aveva stretto la coppa con tanta forza da incrinarla. “Se davvero il mio amore per lei fosse stato tanto puro, avrei avuto il coraggio di sporcarmi un po', pur di difenderlo.”

Gettando il liquore avanzato nel camino, si alzò di scatto, incapace di sopportare ancora il calore del fuoco sul volto, la luce della sua confessione sul cuore.

“Io l'amavo, è vero. E' stata l'unica donna che ho mai amato, ma non la meritavo.”

“Cosa dite?” Leliana cercò di avvicinarlo, per non lasciarlo perdersi nelle ombre. “Le avete donato tutto di voi!”

“Fuorché l'unica cosa che davvero avrebbe avuto un senso: la vita” nessuno si era accorto della figura che, silenziosamente, se ne stava appoggiata con fare sprezzante allo stipite della porta, le braccia incrociate e il volto coperto da un ciuffo disordinato di capelli color miele.

“Zevran!” Wynne si era alzata, puntando il dito verso di lui, come una maestra pronta a rimproverare un allievo indisciplinato, ma impreparata ad affrontare un uomo a cui nessuno poteva più insegnare niente.

“Evitatemi la predica, maga. Dovreste saper ben riconoscere la verità” la schernì. “In ogni caso, non sono certo io quello che possa permettersi di rimproverare qualcuno.”

“Tu eri con lei, almeno...” il tono del re era tanto cupo quanto rabbioso.

“E l'ho guardata morire.”

“Ma l'avresti salvata, se avessi potuto!”

“Adesso basta!” Oghren si era fatto largo sbuffando nella stanza, tirando una violenta spallata all'elfo e strattonandosi la barba per rimanere in equilibrio. “Coi se non si costruiscono gallerie, dannati testoni. E nemmeno con le recriminazioni, verso se stessi o verso gli altri.”

Nel silenziò che lo seguì, il nano prese a guardarsi intorno, aprendosi in un sorriso alla vista del bollitore ancora colmo di una bevanda dall'aspetto invitante, o, almeno, liquoroso.

Si sedette a gambe incrociate sul bordo del camino e si versò un'abbondante porzione di vino, provvedendo a berne rumorosamente una buona dosa, prima di pulirsi la bocca con la manica.

“Siete tutti degli sciocchi, se pensate di onorarla piangendola o compiangendovi. Eilin era una guerriera e un capo, sapeva prendere da sola le decisioni giuste e non aveva bisogno della vostra protezione. Quindi smettetela di frignare come marmocchi!”

Un sospiro tremulo uscì dalla gola di Zevran, mentre si impegnava a trattenere le parole pungenti che gli erano salite alla lingua e, soprattutto, mentre si costringeva a non dire ciò che solo lui ben conosceva, ovvero che sì, la sua amata era stata indomita e coraggiosa, aveva saputo assumersi il fardello che tutti loro avrebbero dovuto portare e dimenticarsi di se stessa, ma era stata anche una bambina spaventata e abbandonata, una donna che si era sentita tradita dall'unico che avrebbe potuto prometterle protezione, una fidanzata che si era avviata alle nozze, sapendo, in cuor suo, di pronunciare effimeri giuramenti... tutto questo era stata e molto di più. E se il suo orgoglio poteva onorarla nel suo ruolo di comandante e martire, il suo amore non poteva impedirsi di piangerla nella sua veste di donna che voleva vivere e aveva dovuto scegliere di morire.

  
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