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Autore: Curly_crush    30/01/2013    2 recensioni
Iniziare a vivere in una città grande e sconosciuta e, perlopiù, da soli, può essere un'impresa davvero difficile per una ragazza giovane. Ma può anche essere l'occasione per cominciare a vivere una vera e propria favola!
"Mai avrei pensato che potesse succedere a me. Eppure ero lì, a perdermi nell’incredibile verde dei suoi occhi. Non poteva essere vero, doveva essere per forza un sogno, ma il tocco caldo delle sue mani sul mio viso mi confermò quella bellissima realtà. Le mie labbra si aprirono in un sorriso quasi ebete, credo, dato che lui scoppiò in una risata fragorosa."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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We can both remove the masks and admit we regret it from the start 
 


Quando arrivai, era buio, essendo tardo pomeriggio. I miei occhi si abituarono in fretta alle luci che illuminavano la piazza: era bellissima, ma non avevo tempo di distrarmi. Feci una rapida panoramica di tutti gli angoli più affollati, ma niente. Era impossibile non notarlo, se ci fosse stato sarei stata richiamata da urletti isterici, ma stavolta non sentivo proprio niente. Zero. Così mi sentivo. Un niente, una nullità. Quel ragazzo si era portato via un pezzo di me  senza che neanche ci conoscessimo. Stavo per girare i tacchi ed andarmene, quando i miei occhi furono attirati da qualcosa, o meglio qualcuno: sulla panchina su cui ero stata seduta tutta la mattina, c’era una persona. Se ne stava sola, con la testa china, i gomiti appoggiati alle ginocchia e le braccia penzoloni in mezzo alle gambe. Era impossibile vederne la faccia, ma seppi che era lui. Mi avvicinai alla panchina, senza fare rumore. Quando gli fui di fianco, dissi, piano: “Ciao”. Lui alzò la testa. Non mi ero sbagliata. L’avevo trovato. Harry. Mi guardò: “Ah, sei tu”, disse, con freddezza assoluta. Me lo aspettavo. Aveva ragione. Me lo meritavo. Ma non avevo nessuna intenzione di rovinare tutto di nuovo. Così presi coraggio e gli chiesi: “Posso sedermi?”. Lui non rispose, ma mi sedetti ugualmente. Rimasi in silenzio qualche istante, volevo trovare le parole giuste. Ero sul bordo di un precipizio, incerta se buttarmi o tornare indietro. Poi mi lanciai.
“Harry, ho bisogno che tu capisca, perciò io ora parlo e tu mi ascolti”; non aspettai un suo cenno, ormai ero decisa a parlare e basta. “Non ti conosco per niente, posso essermi fatta una certa impressione su di te vedendoti in tv o in Internet, ma non è detto che sia giusta. Quando ti ho detto quelle cose l’altra volta –lui sbuffò e si girò dall’altra parte, ma lo ignorai- non le pensavo davvero: stavamo scherzando, era una presa in giro, pensavo che avresti capito, invece ti ho solo offeso e mi dispiace davvero tanto. Però almeno adesso so che non ti piacciono le battute su questa cosa, quindi ci penserò due volte prima di dire qualcosa di stupido”.
Feci una pausa. Sapevo che mi stava ascoltando, anche se non lo dava a vedere: guardava in giro, giocherellava con la cerniera della giacca, si distraeva con il cellulare. Chiunque si sarebbe arreso a causa del suo comportamento, ma io non ne avevo nessuna intenzione.
Continuai: “Prima di andartene hai detto che eri venuto a cercarmi. Perché? D’accordo, non rispondere se non vuoi. Però voglio dirti che ho pensato e ripensato a quelle parole e, scusa la franchezza, ma mi hanno fatta felice, anche se tu le hai dette come per rinfacciarmi qualcosa, a ragione, ovviamente. Oggi, invece, sono venuta io a cercarti. Questo non ti dice niente?”. Questa volta aspettai la sua risposta, che non si fece attendere. Un secco “No”.
Tentai di spiegare: “Bene. Per caso non potrebbe farti venire in mente che, pur non conoscendoti, mi importa di te? Che ci tengo? Che non voglio che come mio ultimo ricordo tu abbia degli insulti? Che voglio conoscerti? Guardami, per favore!”.
Lui girò lentamente il viso verso di me. “Harry …”.
“Ok, ok, basta”, mi interruppe, “Hai detto abbastanza”.
Ora toccava a lui. Avevo il cuore a mille, la gola secca e le mani che tremavano.
Harry notò quest’ultima cosa e mi chiese, gentilmente: “Hai freddo?”; pensai che fosse una buona scusa per dissimulare la tensione così annuii.
Inaspettatamente, mi prese le mani tra le sue: non erano molto più calde delle mie, ma non le avrei lasciate per nulla al mondo. Ci guardammo. Lui sorrise dolcemente. Poi finalmente parlò: “Non è giusto però”. Lo guardai con sguardo interrogativo.
“Cioè, tu mi vieni addosso, ti arrabbi, mi insulti, poi ti scusi …”. Mi stavo preparando al peggio. “… E io non so neanche come ti chiami. Ti sembra normale?”.
Me n’ero completamente dimenticata, aveva ragione, non gli avevo mai detto il mio nome. Rimediai subito: “Mi chiamo Gioia”.
Lui sorrise: “Così va meglio … in inglese sarebbe Joy, immagino. Il suono è quello”.
Annuii: “Sì, è proprio quello!”, “Bel nome”, “Grazie, Harry”.
Era tutto finito. Mi aveva perdonata, o almeno così sembrava. Mi rilassai, ma il mio cuore continuò a battere come un forsennato, molto probabilmente a causa della sua presenza. Brutto segno. Le nostre mani erano ancora strette tra loro.
“Non so te, ma io avrei un po’ di freddo. Ti va di andare a prendere qualcosa di caldo? Conosco un posto carino qui vicino …”.
Accettai subito: oltre al freddo, cominciava a farsi sentire anche una certa fame, dovuta al misero pranzo e allo scioglimento della tensione. Ci alzammo dalla panchina, e camminammo fianco a fianco fino ad un piccolo ma accogliente bar poco distante dalla “nostra” piazza. Avrei dovuto segnarmene il nome. Appena entrammo, Harry salutò il barista con un familiare “Ehi, Joe!”. L’uomo, sulla cinquantina, lo salutò e poi chiese: “Hai portato un’ospite, Harry?”.
Lui mi guardò sorridendo, poi disse: “Sì, non se lo meriterebbe poi molto, ma io sono buono e quindi l’ho portata qui lo stesso”.
Io risi, cercando di dissimulare l’imbarazzo. Ci sedemmo ad un tavolino in fondo al locale, poi ordinammo due cioccolate calde con panna, tanto per stare leggeri. Io e Harry chiacchierammo del più e del meno, gli raccontai che cosa facevo a Londra e gli chiesi cosa stavano facendo in quel periodo lui e i ragazzi. Lui mi rispose che erano impegnati nella promozione del nuovo album e nell’organizzazione del tour successivo. Conversazioni semplici, ma che ci permisero di cominciare a conoscerci facilmente. Era come se ci conoscessimo da sempre, non c’erano momenti di silenzio, ci completavamo le frasi a vicenda, trovavamo sempre nuovi argomenti. Ad un certo punto, dopo che Harry ebbe finito la cioccolata, notai che parte di essa gli era rimasta sotto il naso, formando i famosi “baffi”. Decisi di non dirglielo subito e di divertirmi un po’, finché lui non se ne accorse. Per vendetta, intinse l’indice nella mia cioccolata e mi sporcò il naso. Scoppiammo a ridere, così Joe venne a vedere cosa c’era di tanto divertente, poi chiese, ridendo: “Che c’è, la mia cioccolata fa così schifo da giocarci?”. Io ed Harry lo guardammo, ancora ridendo, poi io risposi: “No, no, è davvero ottima, Joe, scusaci!”.
Dopo poco pagammo, o meglio Harry pagò, (volle a tutti i costi offrirmi la cioccolata senza sentire storie) ed uscimmo. Si era fatto tardi, così decidemmo di salutarci. Mi chiese dove abitavo e, appena gli risposi, disse che avremmo dovuto fare un pezzo di strada insieme, poiché lui doveva andare nella stessa mia direzione per andare a casa. Ne fui felice. Tutto finalmente sembrava girare nel senso giusto. Arrivammo ad un bivio, e lì ci salutammo; non sapevo cosa fare, così lui decise per me: mi prese la mano destra e la baciò delicatamente, poi mi sorrise, disse “Ciao” e se ne andò. Dire che tornai a casa tranquillamente sarebbe mentire spudoratamente; infatti, me la feci quasi di corsa, saltando, cantando e ridendo. Arrivata a casa chiamai subito Ana, le raccontai tutto e la ringraziai ancora per i suoi consigli. Non vedevo l’ora di rivederlo. Improvvisamente, caddi nel panico: non ci eravamo scambiati i numeri di telefono, come avremmo fatto a ritrovarci? Decisi di non pensarci, per quella sera, ero troppo felice e non mi andava di ricadere nel panico. Ero riuscita a provare di nuovo quella bellissima sensazione, quel filo invisibile che ci legava era ricomparso, solo che questa volta ci avevo fatto un bel doppio nodo, forte, da non potersi più strappare.

Il giorno dopo, mi svegliai sorridendo come un’ebete, e non era assolutamente normale, dato che era lunedì ed io odio il lunedì. Ma quel mattino era diverso. Tutto era diverso, e tutto mi sembrava possibile. Mi preparai velocemente, ma questa volta fui attenta ai particolari, volevo essere carina, stare bene con me stessa, sentivo di meritarmelo. Se avessi rivisto Harry, avrei dovuto ringraziarlo per tutto questo, perché in fondo era merito suo se avevo ritrovato questo amor proprio che mi mancava da tempo.
Mi guardai allo specchio: la mia immagine era sempre quella di una ragazza alta e slanciata, non troppo magra, ma con un fisico gradevole, capelli lunghi fino a sotto le spalle, di un ordinario castano, ma che con la luce del sole rivelavano riflessi rossi; occhi verde scuro, quasi tendenti al marrone, all’apparenza malinconici, forse, ma capaci di diventare furbi non appena sorridevo; naso, bocca e orecchie regolari, come il resto; piede numero 40, taglia 44, M per le maglie. Ma avevo qualcosa di diverso. Qualcosa che le altre persone non avrebbero sicuramente notato, ma io sapevo che c’era. Avevo una nuova luce negli occhi. E mi sentivo più bella. Questa cosa era molto difficile da ammettere con me stessa: non sono mai stata disinvolta, o meglio, sicura di me. Avevo sempre paura di quello che la gente pensava guardandomi, pensavo sempre al peggio. Quel giorno era diverso. Volevo sentirmi bella. Per me, per Harry, per il mondo. Avrei apprezzato di più me stessa.
Con questi nuovi buoni propositi uscii di casa, e sorridendo salutai la signora che mi aveva assistita quando avevo l’influenza. Quando arrivai a scuola, fui praticamente assalita da Ana: voleva sapere ogni minimo dettaglio della sera prima, e io, non aspettando altro, le raccontai tutto. Non mi lasciò stare un attimo, perciò continuai a risponderle finché non fummo entrambe richiamate dal professore, ma la prendemmo alla leggera e ci ridemmo su.
Nel pomeriggio andai, come ogni giorno, al pub, ma c’era una novità: Jake mi aveva promossa a spillare le birre e le bibite, perciò a volte stavo anche dietro il bancone, oltre che a servire ai tavoli. Il turno passò velocemente, senza eventi particolari. Jake notò che ero più allegra del solito, e provò a farmi dire qualcosa con domande trabocchetto, ma io non gli dissi niente, anche se i suoi tentativi mi facevano sorridere. Infine tornai a casa, e a quel punto lasciai che la delusione si facesse sentire. L’avevo tenuta sotto controllo per tutta la giornata, ma non ce n’era più bisogno. Speravo di rivedere Harry quel giorno, lo ammetto, e mi ero fatta parecchie illusioni, ma non era accaduto niente di tutto quello che avevo immaginato. Decisi però di non abbattermi del tutto, ci sarebbero state altre giornate e non poteva finire tutto così, non dopo quello che avevo sentito stando con lui. Ributtai indietro la delusione, la chiusi a chiave in un angolo della mia testa e lì rimase per la giornata seguente.



Curly space:
Woooooohoooooo! Sono quiiiiiiiiii! ;)
Beh, come avrete SICURAMENTE notato, l'impaginazione della storia è molto migliorata, e di questo ringrazio Nanek e Tommo's girl93 che mi hanno dato preziosi consigli al riguardo... :) <3
Bene, sembra che finalmente i nostri due protagonisti abbiano trovato un'"equilibrio"! :) Contente?! Non ho particolari commenti da fare, se non che ADORO incondizionatamente questa "coppia"... Mah, chissà che succederà andando avanti... Volete scoprirlo?
Continuate a seguire la storia...! ;)
Bacioni,
Curly crush



  
  
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