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Autore: Curly_crush    23/01/2013    2 recensioni
Iniziare a vivere in una città grande e sconosciuta e, perlopiù, da soli, può essere un'impresa davvero difficile per una ragazza giovane. Ma può anche essere l'occasione per cominciare a vivere una vera e propria favola!
"Mai avrei pensato che potesse succedere a me. Eppure ero lì, a perdermi nell’incredibile verde dei suoi occhi. Non poteva essere vero, doveva essere per forza un sogno, ma il tocco caldo delle sue mani sul mio viso mi confermò quella bellissima realtà. Le mie labbra si aprirono in un sorriso quasi ebete, credo, dato che lui scoppiò in una risata fragorosa."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando arrivai al pub trovai una brutta sorpresa: Jake. Era fuori dal locale, in piedi, braccia incrociate e non sembrava per niente allegro. “Pensavo di potermi fidare di te”, mi accusò. Fantastico. Questa ci voleva proprio. Pensavo di riuscire ad arrivare lo stesso prima di lui, ma il destino era evidentemente contro di me quel giorno. “L’impegno che avevo e per il quale ti ho chiesto di aprire il pub è saltato. Ma ero sicuro di arrivare e trovare tutto a posto, invece sono qui da dieci minuti e tu arrivi adesso”, continuò. Provai a spiegare: “Jake, io ti assicuro che ero addirittura in anticipo. Stavo venendo qui, quando un cretino mi è venuto addosso e mi ha fatto perdere un sacco di tempo. Non volevo deluderti”. Sembrava credermi, così rincarai la dose: “Se vuoi faccio anche gli straordinari oggi, domani e fino al weekend! Ma, ti prego, non licenziarmi”, mancava poco che mi mettessi in ginocchio. Alla fine Jake si mise a ridere e rispose: “Non serve che tu faccia gli straordinari. Solo, magari la prossima volta avvertimi”, “D’accordo, capo, lo farò!”, e quella giornata si risolse per il meglio. Mio malgrado, per tutto il pomeriggio continuai a ripensare al mio incontro, o meglio, scontro, con Harry; molto probabilmente dovevo sembrare su un altro mondo dato che Jake mi chiese se stavo bene parecchie volte. A fine turno, infine, mi chiese: “Ehi, ma non mi hai nemmeno detto chi è questo tipo che ti è venuto addosso …”; non pensavo mi avrebbe creduto, così decisi di mentire “Ma, non lo so, non lo conosco …”, e la storia si chiuse lì. La sera tornai a casa, stanca, pensierosa, e, soprattutto, molto delusa. Harry mi piaceva davvero tanto, era logico che non potesse essere perfetto, ma non credevo nemmeno così scorbutico. Quella notte, per concludere in bellezza, lo sognai: non so dove ci trovassimo, forse era un parco, e stavamo uno di fronte all’altra, a fissarci in maniera ostinata, quando lui ad un certo punto, mi fissò ancora più intensamente e poi sorrise. Sembrava un sorriso di resa, complice. Non avevo idea di come interpretare quel sogno, e me lo portai dietro tutta la giornata successiva, tentando di dargli un senso, e scoprendomi, purtroppo, a sorridere ogni volta che mi tornava in mente.

Grazie alla mia distrazione, oltre il fatto di essere rimasta a discutere sotto la pioggia per qualche minuto, mi guadagnai una settimana di ferie forzate: avevo preso l’influenza. Se mai avessi incontrato di nuovo quell’Harry Styles non so cosa gli avrei fatto: da quando mi ero scontrata con lui era andato tutto male! A scuola, per quell’unica giornata in cui ero riuscita ad andare, ero distratta e mi avevano richiamata più volte; il pomeriggio stesso avevo rovesciato un vassoio, fortunatamente per terra e non addosso ai clienti; e mentre cercavo un negozio, mi ero persa e avevo vissuto attimi di panico. Infine, erano arrivati il raffreddore, la tosse e la febbre. Stavo malissimo, ma, in fondo, piuttosto che finire nei guai in giro per la città, preferii restare a casa e cercare di guarire; speravo che in quei giorni passasse così anche l’ondata di sfortuna che sembrava avermi sommerso. La vicina di appartamento si rivelò estremamente gentile e si trasformò nella mia infermiera: mi portava da mangiare, mi assisteva se ne avevo bisogno e, quando non era a casa, mi chiamava per sapere se andava tutto bene. Fu la mia salvatrice. Il mercoledì, finalmente, mi sentii pronta per tornare alla mia vita londinese. A scuola mi informai su tutto quello che avevo perso in quei cinque/sei giorni di assenza e tentai di recuperare il più possibile; al pub feci del mio meglio, tirai fuori tutte le energie che avevo in corpo pur di soddisfare Jake e in pochi giorni ripresi il mio normale ritmo. Tutto sembrava essere tornato a posto, finalmente!

Ero guarita da circa due settimane, quando lo incontrai di nuovo. Avendo dedicato tutte le mie forze alla scuola ed al lavoro, a lui non avevo più pensato e non ricordavo nemmeno più di averlo sognato. Era fine novembre ormai, Londra cominciava a prepararsi per il Natale, i negozi erano addobbati e ogni piazza era illuminata da mille luci. Nella stessa piazza in cui mi ci ero scontrata, lo ritrovai. Ero appena uscita da un negozio di abbigliamento, avevo comprato un maglione, poiché ne ero a corto, e mi stavo dirigendo verso la strada, quando sentii una voce alle mie spalle: “Ehi,  cappello grigio! Hai perso questo!”. Mi voltai. Appena lo vidi, alzai gli occhi al cielo e sbuffai: “Che cosa vuoi? Venirmi addosso di nuovo?”. Si mise a ridere; teneva in mano il mio bloc-notes, doveva essermi uscito dalla borsa. Lo guardai bene: era alto, circa dieci centimetri più di me, i suoi capelli ricci e castani si muovevano leggermente a causa dell’arietta frizzante di quella sera, i suoi occhi brillavano, erano felici, sorridenti, l’esatto contrario del giorno dello scontro. Sorrideva. Aveva un cappotto grigio corto, una sciarpa nera e dei jeans blu stretti. Ai piedi un paio di Converse in pelle, di quelle con il pelo all’interno, marroni. Sembrava felice, quella sera, e gentile. Era bello. Mi resi conto che lo stavo fissando senza dire niente, era calato un silenzio imbarazzante. Fu lui a romperlo: “Allora? Questo lo tengo io? Me lo regali per Natale?”, chiese, con un sorriso da presa in giro (affettuosa, però). Recuperai il mio blocco: “No, mi serve. Grazie per averlo raccolto”. Non so per quale motivo, continuavo a rispondere in modo freddo e distaccato, come se volessi essere superiore. Non mi fidavo: non mi era piaciuto il suo comportamento dell’altra volta e quindi facevo fatica a credere che potesse essere gentile sul serio … Lui continuava a fissarmi; stava diventando imbarazzante, davvero. “Allora, dove vai di bello?”, mi chiese. Stavo per rispondere, quando si avvicinò un gruppo di ragazzine: “Ciao Harry, possiamo fare una foto insieme?”. Non si preoccuparono nemmeno di chi potessi essere io, probabilmente neanche mi avevano vista. Lui rispose gentilmente di sì; mi ero sbagliata, mi avevano vista eccome, infatti mi chiesero se potevo scattar loro la foto. Mi venne da ridere, ma accettai. Quando se ne furono andate (dopo decine di “Sei fantastico, bellissimo, oddio Harry, che bello …, eccetera), Harry mi guardò, divertito, e mi chiese: “E tu? Non vuoi una foto con me?!”. Questa volta non riuscii a trattenermi: scoppiai a ridere, e lui con me. Era bello ridere con lui, mi ci sentivo in sintonia. Era come se qualcosa fosse scattato, come se un filo invisibile fosse partito contemporaneamente da me  e da lui, e si fosse unito al centro del piccolo spazio che c’era tra noi. “Dai, dico sul serio, quando ti ricapita una fortuna del genere?”, insistette, ma si vedeva che stava scherzando. Decisi di stare al gioco: “Beh, in realtà è già la seconda volta che ti incontro, sfortunatamente, quindi magari la facciamo la prossima volta, ok?”; lui, pronto, ribatté: “ Ma guarda che sei forte eh! Cioè, qui il vip sono io, e sei tu che te la tiri … Assurdo, non riesco proprio a crederci!”, e mise il broncio, incrociò le braccia sul petto e rimase muto. “Beh, dovevi pur incontrare qualcuno che ti desse filo da torcere prima o poi! La vita non è sempre piena di gente che ti adora”. Ovviamente stavo scherzando, ma lui cambiò improvvisamente espressione, non scherzava più: “Oh, questo lo so benissimo. Non dovevi arrivare tu per dirmelo”. Era secco, freddo, distaccato e credo anche arrabbiato. Sentii quel sottile filo invisibile spezzarsi. Non sapevo più che dire, ero paralizzata. “Scusa, io non volevo dire sul serio, stavo solo …”, ma non riuscii a finire la frase. “Sì, so cosa stavi cercando di dire: che sono un montato, che mi credo chissà chi, eccetera eccetera. Grazie infinite. E io stupido che sono anche venuto a cercarti”. Spalancai gli occhi. Era venuto a cercare me? Che ne sapeva di dove mi trovavo? E, soprattutto, perché? Sentii un groppo alla gola, tentai di parlare, ma non riuscii a dire niente, così lui mi guardò con due occhi sperduti e tristi, scosse la testa e se ne andò. Non fui nemmeno in grado di seguirlo. Ero completamente bloccata, migliaia di domande mi giravano per la testa, assieme ad un’unica affermazione: “Sei una deficiente. Questa volta è tutta colpa tua”, e non riuscii a trovare nessuna parola che potesse cancellare questa autoaccusa.

Mi sentivo veramente una persona orribile. Come avevo fatto a dire una cosa del genere? Stavo scherzando, ok, ma avrei potuto trovare qualcosa di meglio, no? Tentai di vedere in modo esagerato la sua reazione, ma non riuscivo a crederci nemmeno io. Avevo sbagliato e basta. Almeno me ne rendevo conto, ma a cosa serviva? L’unica cosa utile sarebbe stata parlare con lui, ma non avevo idea di quando e, soprattutto, se l’avrei rivisto. Decisi di fare qualche ricerca in Internet per vedere se trovavo gli indirizzi degli studi di registrazione o della casa in cui abitava con i suoi compagni di band, ma non riuscii a trovare niente. Era finita. Avevo avuto la possibilità di conoscere Harry realmente, come persona e non come cantante, e l’avevo buttata via in un modo completamente assurdo. Stupida, stupida, stupida!

Il mattino dopo decisi di andare a trovare Ana al negozio: era domenica, ma il suo capo le aveva chiesto di dargli una mano per qualche ora. Presi la metro che arrivava a Piccadilly Circus e poi cercai il negozio; lo trovai quasi subito, non era in una posizione difficile. Vidi che la mia amica era impegnata con una cliente, così nell’attesa detti un’occhiata in giro: c’erano cose davvero molto carine in quel negozio, ci sarei tornata per comprare qualcosa. Non appena si fu liberata, Ana venne da me, mi salutò con un abbraccio e mi chiese: “Che bello vederti! Ma che ci fai qui?”, le risposi che avevo bisogno di un consiglio e lei, immediatamente, chiese al capo dieci minuti di pausa, che lui gentilmente le concesse. Lo ringraziai anch’io, poi uscimmo e le raccontai tutta la storia, e questa volta non nascosi l’identità di Harry. Lei inizialmente sembrava scettica, e la capii perfettamente, ma quando comprese che non stavo scherzando, si impegnò a fondo per aiutarmi. “Ok, quindi ti ha detto che era venuto a cercarti, giusto?”, indagò. “Sì, cioè, in realtà l’ha borbottato andando via, ma sono riuscita a capire lo stesso le sue parole”, spiegai. “E vi siete incontrati nello stesso posto della prima volta. Quindi, lui sapeva di poterti trovare là, il che vuol dire che gli interessava davvero incontrarti di nuovo”; io seguivo il suo ragionamento, in attesa di una soluzione. Lei continuò: “… e quello è l’unico posto in cui vi siete visti. Se, come penso e spero per te, volesse vederti di nuovo, non potrebbe far altro che tornare lì e aspettare di rincontrarti”. A questo punto la fermai: “Ma, Ana, scusa, l’ho offeso a morte come posso sperare che mi voglia rivedere?”, “Ragazza mia, non mi sembra che la prima volta sia stata rose e fiori, anzi! Potrebbe anche averci riflettuto, e aver capito che volevi solo scherzare”. Questo mi ridiede speranza, non ci avevo pensato, ero stata troppo impegnata ad autoinsultarmi. “E quindi? Io cosa potrei fare?”, chiesi: ormai ero nelle sue mani. Lei rispose semplicemente: “Torna in quella dannata piazza, secondo me sarà lì ad aspettarti”.

Decisi di ascoltare il consiglio di Ana: rimasi in quella piazza, seduta su una panchina per tutto il resto della mattinata, ad aspettare che Harry si facesse vedere, ma all’ora di pranzo, più triste e sconsolata che mai, decisi di tornare a casa. Avevo poca fame, così mangiai un’insalata mista, poi tentai di distrarmi facendo i compiti per il giorno dopo e ascoltando un po’ di musica. Quest’ultima cosa non si rivelò di nessun aiuto, anzi: avevo impostato la playlist in riproduzione casuale, ed improvvisamente era partita una delle canzoni del suo gruppo, così avevo deciso di staccare lo stereo e finire lì quella sofferenza inutile. Avevo finito tutte le distrazioni possibili: avevo studiato, avevo ballato, avevo fatto un dolce, avevo tentato di dormire, ma niente, lui era sempre lì nella mia testa, non in una sola piccola parte, era proprio dappertutto! Non ce la facevo più! Disperata, decisi di fare un ultimo tentativo: mi lavai, mi vestii molto semplicemente e non mi truccai nemmeno, avevo troppa fretta. Poi uscii e mi diressi verso quella “dannata piazza”, come l’aveva ribattezzata Ana. Ormai il pensiero della dannazione mi convinceva parecchio …



Nota dell'autore:
Eccomi qui con la mia PRIMA  storia a capitoli! Yeeeeeeeeeeeeeeeee!! :D Allora, un paio di cose: il primo capitolo mi serviva da ambientazione, quindi se l'avete trovato noioso, vi capisco; ammetto che la storia è un po' lenta a partire, ma se mi darete fiducia e continuerete a leggerla, vederete che non vi deluderò! ;)
Dunque, la nostra protagonista incontra, o meglio, scontra Harry... Dopo il loro secondo incontro tutto sembra perduto, ma voi che dite, si rincontreranno?! Boooooooooooh! Ahahahahahahah =P Seguite la storia per scoprirlo, vi assicuro che non ci vorrà ancora molto prima che il racconto parta davvero! :)
Al prossimo MERCOLEDì, ovvero quando pubblicherò il terzo capitolo! Ciaooooooo!
Vostra Curly_crush
  
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