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Autore: Aout    30/01/2013    4 recensioni
Daniel è un ragazzo come tanti.
Ha diciannove anni e frequenta il secondo anno di college, lavora per mantenersi e ama lamentarsi di qualunque cosa gli capiti sotto tiro. Vive una vita normale, anonima e noiosa e, anche se a tratti la trova seccante, diciamo che l’accetta così com’è.
Ecco… peccato che il mondo così tanto "normale" proprio non sia, peccato che di mostri inquietanti ce ne siano a bizzeffe, peccato che perfino lo stesso Daniel nasconda qualche piccolo e trascurabile segretuccio...
Ci siete?
Prendete tutti i personaggi che conoscete, tutte quelle creature soprannaturali che di vivere in pace proprio non ne vogliono sapere, prendete la sete di vendetta e pure una buona dose di calcolo strategico ed ecco che avrete la storia.
Che altro dire?
Vi aspetto ;)
(STORIA SOSPESA almeno fino a quest'estate, quando avrò il tempo di rivedere la trama, la piega che sta prendendo mi piace poco. Chiedo venia a chi mi stava seguendo, ma ritengo di non poter fare altrimenti)
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo 4
Flashback
 

 

16 Agosto 1994, Stato del Mississipi, contea di Harrison

 
 
 
Faceva moltissimo caldo quel giorno.
Nel cielo, coperto appena da una leggera coltre di nubi dopo la nottata di pioggia, splendeva il sole. La sua luce fastidiosa, che si rifletteva nel piccolo stagno del cortile le mandava, a ritmo con le onde create dal vento, bagliori accecanti negli occhi.
Si alzò e, stancamente, andò a tirare la tapparella verde della finestra dall’altra parte della stanza.
Guardò distrattamente l’orologio: erano le undici e quaranta. Fra poco sarebbero arrivati.
Con un sospiro si diresse verso la cucina dove, in pentola, bolliva ormai da ore la sua zuppa di pesce gatto, rinomatamene la più buona del quartiere.
Stava giusto per aggiungere un piccolo pizzico di zenzero, quell’ingrediente segreto che non avrebbe mai confessato a nessuno, nemmeno sotto tortura, quando suonarono alla porta.
Poggiò il cucchiaio di legno che aveva in mano sul tavolo ed andò ad aprire.
Un super agitatissimo Daniel la superò veloce, senza badarci troppo e si catapultò nella stanza alle sue spalle.
- Daniel, Daniel! Torna subito qui! – sbraitò sua figlia dalla soglia - Scusa, credo che lo zucchero delle merendine che ha mangiato non gli abbia fatto troppo bene. Quanto mai gliele hai comprate, Sean! Comunque, come stai? – Madison, piccola e slanciata come al solito, sfoggiava un nuovo taglio di capelli, che le ricadevano in ciocche scomposte lungo il viso in un rosso abbagliante. Portava due borse scure sotto le braccia ed era seguita a pochi passi dal marito.
- Sto bene grazie. Ma, cos’è questa novità? – disse, con tono innocente – Salve Sean. – aggiunse poi.
- Cosa...? Oh, intendi questi? – rispose la figlia mentre entrava, prendendo una ciocca di capelli tra le dita sottili – Nulla di che, diciamo che volevo cambiare.
- Diciamo che secondo Monsieur Qualcosà il rosso sarà il colore di lancio delle nuove sfilate parigine e che tu non ha saputo resistere all’occasione di seguire i suoi consigli. – disse Sean, in quel suo solito tono un po’ sussurrato che la prima volta che l’aveva incontrato le aveva fatto una bruttissima impressione, insieme ai pantaloni stracciati e alla camicia lunga da hippy. Fortuna che almeno adesso indossava qualcosa di accettabile, alla sua età doveva pur essere arrivato il tempo di imparare come vestirsi o quello in cui sua figlia si fosse stancata della moda anni ’70.
- Innanzitutto si chiama Monsieur Bellamy, in secondo luogo è il più importante coiffeur del Quartiere Latino e, infine, lui non centra proprio niente con i miei capelli! -  lo rimproverò Madison per poi dirigersi nell’altra stanza, a recuperare Daniel probabilmente.
Tornò poco dopo con il discoletto in braccio.
- Questa non è casa tua, Daniel. Ci siamo capiti? Non puoi semplicemente scorrazzare in giro, come ti pare! Adesso chiedi subito scusa alla nonna, forza.
Daniel, con il broncio e le piccole sopracciglia aggrottate la fissò dritto negli occhi e poi disse, con una vocina sottile sottile:
- Scusa nonna.
- Non importa piccolo. – rispose allora lei – Ma la prossima volta almeno salutami prima, d’accordo?
Il bambino rispose al sorriso che gli aveva rivolto e sulle sue piccole guance rosee apparvero subito delle fossette.
- Ciao nonna! Adesso posso tornare di là, però? -
- Va bene, vai. – gli rispose, ma il bambino era già corso via. Chissà cosa voleva vedere di così importante…
- Scusaci ancora. Non era mia intenzione portare tutta questa confusione. – disse allora sua figlia, con espressione colpevole.
- Oh, non ti preoccupare, Madison, ho avuto una figlia anch’io, ricordi? E ti assicuro che questo bambino non è niente in confronto. Non ha ancora bruciato nessun tappeto, giusto?
- Tappeto? – chiese Sean, ancora con espressione perplessa.
- Uhm, è successo tanto tempo fa. Avevo nove anni, continuerai a rimproverarmelo per quanto ancora? – rispose lei, dopo aver sollevato un poco le tapparelle – Comunque, hai bisogno di aiuto in cucina? Sai, io sono diventata davvero bravissima! Se vuoi posso darti una mano. – aggiunse poi, cambiando argomento.
- Sì certo! E poi, altro che tappeto! – sussurrò Sean.
Madison gli rispose con una linguaccia, molto poco adatta alla sua età, e si diresse nell’altra stanza. Lei la seguì dopo qualche minuto, dopo aver indicato al genero dove sistemare le loro valigie.
La trovò ai fornelli, era davanti alla pentola con in una mano un cucchiaio di legno e nell’altra una pericolosissima scatola di metallo.
- CHE FAI? – proruppe ansiosa, recuperando il barattolo dalle sue mani, evitando per un pelo il disastro.
- Volevo aggiungere un po’ di curry, ci starebbe una meraviglia con questa zuppa…
- Curry? Nella zuppa di pesce? Tesoro, lo sai che ti amo tanto, ma non è che potresti allontanarti da qui e cominciare a tagliare il pane? Per favore? – aggiunse in ultimo con uno sguardo supplichevole.
 La figlia le lanciò uno sguardo tagliente per poi sbottare un “Ah, voi altri! Non capite l’arte!” seguito da una risata cristallina.
Cynthia la osservò mentre prendeva il tagliere dal cassetto.
Era un vero peccato si fosse tinta i capelli, si ritrovò a pensare, così non le assomigliava più così tanto. Anche se, quel sorriso… beh, era davvero inconfondibile.
Ciò che la distrasse da quelle riflessioni fu il pigolio acuto del piccolo orologio a cucù del salotto.
- Caspita, già mezzogiorno… meglio che vada a preparare la tavola.
- Non ti preoccupare, me ne occupo io. Sai solo dirmi dove… - la interruppe Madison.
- Non ci pensare neanche! Credi che ti abbia adibito al taglio semplicemente per tenerti lontana dai fornelli? No no, ho proprio bisogno di quel pane, perciò, impegnati! – le disse, mentre già si avviava alla porta sul retro.
Era bello che, dopo tutto quel tempo che non si vedevano, sua figlia non le riservasse rancore. Che il loro rapporto fosse andato a posto, in ordine, come avrebbe sempre dovuto essere?
 
Stava recuperando la tovaglia dalle grucce in giardino dove l’aveva appesa appena qualche ora prima. Era la tovaglia bianca, quella che riservava solo per le occasioni migliori. E una riconciliazione come quella, e lo era benché nessuno sembrasse desideroso di farlo notare, era di certo il momento giusto per usarla.
Notò Daniel quando ormai era già sulla soglia.
Era seduto sui gradini del piccolo magazzino degli attrezzi in fondo al cortile, aveva in mano il suo Buzz, il pupazzo da cui non si separava mai, e guardava in alto. Lo sguardo era perso tra le nuvole bianche.
- Che stai facendo, piccolo? – gli chiese, avvicinandosi.
- Guardo il cielo.
- Ah sì e perché? – gli chiese ancora, sedendosi a fatica al suo fianco, con la tovaglia spiegazzata sulle ginocchia.
- Non sei arrabbiata con me, vero nonna? – le disse inaspettatamente lui, girato, fissandola con i suoi grandi occhi scuri.
- Tesoro, no. Perché mai dovrei essere arrabbiata con te? – rispose, poggiandogli una mano gentile sulle spalle.
Il bambino non le rispose e, vagamente assente, tornò a sollevare la testa.
- Daniel? - Cynthia era un po’ confusa in quel momento, il nipote era sempre stato un po’ criptico, fin da piccolissimo, ma proprio non riusciva a capire cosa gli fosse preso. Che c'entrasse il motivo per cui era sgattaiolato all’interno come una furia?
Il bambino rimase ancora in silenzio, indifferente e, solo dopo qualche secondo, alzò il ditino paffuto verso il cielo, dicendo solennemente:
- Fra poco apparirà lì.
- Cosa apparirà, tesoro? – inconsapevolmente la sua voce si era fatta più ansiosa.
Ma non c’era motivo di preoccuparsi, giusto? I bambini dicono tante di quelle cose insensate, pensino quelli intelligenti come il piccolo Daniel!
Ancora una volta lui si girò verso di lei e, sempre con il suo solito sguardo serio un po’ troppo adulto, le rispose, come fosse la cosa più ovvia del mondo, semplicemente:
- Ma l’arcobaleno.
Lei rimase un secondo interdetta.
- Ma, tesoro mio, – le disse con un tono dolce e decisamente sollevato - è piovuto da troppo tempo perché appaia l’arcobaleno.
Il bambino le rispose solo con una leggera alzata di spalle, per poi rivolgere di nuovo la sua attenzione alle nuvole.
Trascorsero qualche secondo, forse un paio di minuti, nel completo silenzio, ad osservare il cielo.
Poi improvvisamente Daniel proruppe:
- Eccolo eccolo! – mentre, ancora con quel ditino alzato, indicava una sottile striscia colorata che, appena visibile, stava per saltar fuori da una nuvola passeggera.
Lo sguardo di Daniel era così allegro, felice, speranzoso. Davvero troppo simile al suo perché potesse semplicemente ignorarlo.
- Come facevi a saperlo? – gli chiese roca. Qualcosa di incomprensibile sembrava averla presa. Si sentiva attanagliata dall’angoscia, dalla rabbia, dalla paura creata da quei ricordi che adesso fluivano incontrollabili nella sua mente, come un fiume in piena, senza che potesse fermarli – DIMMELO!
Ricordi di tempi che aveva dimenticato, ricordi troppo dolorosi per essere riportati indietro.
Inconsapevolmente aveva preso Daniel per le piccole spalle.
- Lo sapevo che ti saresti arrabbiata con me! – disse lui, tra le lacrime – Lo sapevo!
- Dimmi dove hai visto l’arcobaleno! DOVE?
No, non poteva stare succedendo, non di nuovo.
Quella paura, quel senso di perdita, la colpevolezza… Sì, ecco, il senso di colpa era la cosa che le faceva più male, quello che nelle notti più disperate riusciva perfino a svegliarla. E allora si ritrovava lì, seduta sul letto, completamente sola.
- Io… io l’ho visto e basta!
Adesso fissava gli occhi scuri del nipotino, a pochi centimetri di distanza. Così grandi, così sinceri, così innocenti… esattamente uguali ai suoi.
Lo lasciò andare giusto pochi secondi prima che arrivasse Madison.
- Che cosa sta succedendo?
Lei non rispose, guardava a terra.
- Daniel, Daniel! Su dai, non piangere. – disse lei, prendendo il figlio, sciolto in lacrime, in braccio. La squadrò per un attimo, poi esclamò: - Noi ce ne andiamo. –  senza mezzi giri di parole.
Fu come una pugnalata.
- Hai capito?
Le bastò alzare lo sguardo un attimo e incrociare i suoi occhi accusatori per sentire che qualcosa si era spezzato e forse questa volta per sempre.
 
Non fece niente. Rimase lì, nel prato, per ore intere.
Non li salutò, non ce n’era bisogno. Quali scuse avrebbero potuto giustificarla?
Solo quando ormai stava arrivando il tramonto ed il sole piano piano scendeva oltre l’orizzonte, si riscosse.
Rientrò in casa e la prima cosa che fece fu dirigersi verso la camera da letto. Aprì il primo cassetto del mobile di fianco alla finestra, un piccolo armadio in legno, rifinito da tante volute dipinte a mano in banco avorio. Dopo che ebbe buttato alcune scartoffie sul letto, senza prestarci troppa attenzione, si mise a cercare una piccola scatola in metallo che, chissà quanti anni prima, aveva riposto in quei cassetti.
L’aprì piano e prese, con delicatezza, la collana che conteneva.
Era un grosso medaglione argentato. Bastò sollevare la porticina sul davanti per scoprire ciò che nascondeva all’interno.
Un ritratto. Raffigurava due ragazzine, una di fianco all’altra.
Sulla sinistra, una sua versione molto più giovane dalle lunghe trecce chiare, le rivolgeva un sorriso sereno, mentre sulla destra un'altra ragazzina la fissava con due grandi occhi scuri, così malinconici e così terribilmente poco adatti a quel viso che, nei momenti in cui si riaffacciava incontrollabile alla sua mente, vedeva sempre allegro e vivace.
Con mano tremante lo accarezzò piano.
Era quello l’ultimo ricordo che le rimaneva, l’unica prova che lei fosse mai veramente esistita.
Quei bellissimi capelli neri… quante volte li aveva pettinati? Quante volte li aveva desiderati?
Era così bella sua sorella, così bella e impudente.
Ah, che rimane da fare se non soffrire, quando ormai il tempo per rimediare agli errori è finito e non c’è possibilità di tornare sui proprio passi?
Cynthia non aveva risposta.
 
 
 









 
Note: Sì, questo non era esattamente ciò che vi aspettavate. D’accordo, non era assolutamente ciò che vi aspettavate.
Ma, cercate di capirmi. Questo capitolo era terribilmente necessario, ed era terribilmente necessario fosse messo esattamente qui. Avevo bisogno di infarcire un po’ la trama e di darvi qualche indizio fondamentale. Però, tranquilli, vi assicuro che al prossimo capitolo ci saranno tutti le creature soprannaturali che volete, talmente tante che non saprete nemmeno più dove metterle e tornerà ovviamente anche il solito vecchio POV ironico di Daniel.
Perciò, vedete un po’ se riuscite a perdonarmi questo capitolo, molto lungo ma spero non troppo noioso…
Alla prossima,
Aout
  
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