Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Hi Ban    30/01/2013    2 recensioni
Da ciò derivava la Legge di Hidan.
Nel momento esatto in cui la tua vita prenderà la svolta più negativa possibile, irrilevante la sfera spazio-temporale, tale condizione sarà dettata dalla cosa più stupida che può accadere in quel momento, poiché per la Legge di Hidan le cose più stupide stabiliscono sempre le tragedie più grandi.
E anche il Corollario di Shisui alla Legge di Hidan.
Nel momento esatto in cui la vita di Hidan sta per prendere una svolta importantissima, irrilevante la sfera spazio-temporale, jankenpon risolverà tutto, perché per il Corollario di Shisui alla Legge di Hidan Hidan fa schifo a Jankenpon e perde di sicuro.
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hidan, Shisui Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Piove anche sotto l'ombrello se Shisui non lo apre'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Jankenpon!




Era stato licenziato.
Era più o meno la quindicesima volta che se lo ripeteva, Hidan, che se ne stava seduto per terra da un bel po’, come dimostravano i capelli completamente zuppi, stessa sorte che era toccata anche ai vestiti.
E sì, dannazione, pioveva pure. Lo avevano licenziato e pioveva.
Non se ne rendeva particolarmente conto, ma stava digrignando i denti, i passanti che lo vedevano giravano alla larga, neanche fosse il peggiore dei barboni appostato all’angolo della strada.
La giornata, a giudicare dallo stato pietoso in cui versava al momento, non poteva umanamente andare peggio, ma era chiaro che le cose non stavano così, perché altrimenti Hidan non avrebbe piantato un mezzo grido di frustrazione e non avrebbe abbandonato la testa al muro dietro di lui, con irritazione crescente.
Poteva andare peggio, cazzo se poteva.
Era stato licenziato, pioveva e il lavoro che aveva perso era in uno schifosissimo call center che doveva solo ringraziare di aver potuto godere della sua presenza nel mese precedente.
Un call center, anche quello se lo stava ripetendo da tanto, giusto perché con tutte le sciagure che si stavano abbattendo su di lui qualcuna avrebbe finito con il dimenticarla.
E la cosa peggiore era che era stato licenziato perché aveva urlato addosso ad una vecchietta sorda, che, cazzo!, era sorda davvero. Cosa faceva, le sussurrava di andare a farsi controllare l’udito? Non si poteva licenziare una persona solo per una cosa del genere. Gli avevano anche detto che, oltre ad aver urlato in maniera incivile, aveva anche utilizzato termini poco consoni. Vero, le aveva dato della rimbambita, ma la suddetta se n’era uscita con un accorato «partita? Chi è partita? No, no, mia nipote è ancora qui…», quindi che differenza faceva?
Beh, per quegli idioti faceva differenza, tanto che visto che era mercoledì – che quel giorno fosse maledetto e tolto dai calendari – avevano deciso di dargli uno stipendio che contava ben tre giorni in meno.
Poi pioveva, chiaramente. No, Hidan di chiaro non ci vedeva niente, perché se era estate per quale motivo pioveva? Aveva scandalizzato una vecchietta quando, appena barbonizzatosi a terra, aveva urlato al cielo uno spassionato «E tu che cazzo ti piovi, eh?! È estate!». Per lui era semplice: estate uguale sole uguale niente pioggia, non si lambiccava il cervello in possibili variabili inutili come il tempo non sempre costante.
Che poi il tutto non sarebbe stato nemmeno un gran problema se solo si fosse portato un ombrello. Peccato che non lo aveva fatto perché era estate e lui gli ombrelli non li apriva fino alla prima neve di dicembre, per l’inciso.
Comunque, era stato licenziato da un call center e pioveva, lui si era letteralmente stravaccato fuori dal cancelletto di quello schifo di edificio che fungeva da call center – call center, call center, call center, non fosse mai stato che se lo dimenticava accidentalmente – e attendeva che vi uscisse gente, giusto per urlargli dietro che prima o poi anche lui, individuo a caso, sarebbe stato sbattuto fuori.
Da un call center.
Beh, fine delle disgrazie, no?
No. Cazzo, no! Hidan si sarebbe volentieri affogato nella pozzanghera lì vicino se non fosse stato che avrebbe dovuto spostarsi e, in quel preciso istante, aveva tutto fuorché la forza di muoversi.
Si sentiva stanco, spossato, rimbecillito e aveva un mal di testa assurdo. Sì, aveva la febbre, chiaramente, in estate pure quella. Per lui valeva la stessa dinamica della pioggia anche per i malanni.
Con lui ovviamente non aveva portato nulla, né pastiglie né pillole, più o meno come per la storia dell’ombrello.
Attirava sfortuna quel giorno, probabilmente se tornava a casa, si preparava una tazza di tè e un rametto ci cadeva dentro non solo non stava dritto nemmeno per sbaglio, ma si disintegrava completamente.*
Si sentiva davvero una schifezza, gli si erano chiusi pure gli occhi e non urlava più; borbottava qualcosa di tanto in tanto, ma non era neanche minimamente comprensibile. Stava svenendo sul marciapiede, proprio quel che ci voleva dopo essere stati licenziati, con la febbre e la pioggia, un vero toccasana.
Presto sarebbe arrivata la polizia a portarlo in centrale per aver appestato un luogo pubblico, altra cosa che sarebbe stata di un’utilità impressionante, anche perché se fosse finito in commissariato avrebbe fatto tardi e lui non aveva neanche ancora fatto la spesa. Aveva fame, ora che ci faceva caso.
Beh, ora non aveva poi molti soldi da spendere, il suo lavoro part time era andato e quello voleva dire che anche i soldi lo erano, perciò sarebbe morto di fame e di stenti senza un cazzo di yen e sua madre avrebbe detto ‘te lo avevo detto!’ e…
Ma Hidan si sbagliava di grosso a credere che i suoi principali problemi fossero il lavoro perso, la pioggia, la febbre e la spesa non fatta.
Il vero grande disastro della sua vita, in quel momento, si trovava proprio di fronte a lui, in pantaloncini e t-shirt, una busta della spesa in una mano e l’ombrello nell’altra. Takoyaki in bocca, ma sembrava una cosa abituale da come rosicava lo stecchino ormai totalmente privo di polpo.
Non diceva nulla, se ne stava solo lì, come se attendesse che l’Hie si accorgesse da sé della presenza dello sconosciuto.
Hidan, dal canto suo, era più là che qua, perciò non lo avrebbe mai notato, se non fosse stato che ad un certo punto l’acqua smise di piovergli addosso.
Non sapeva se esserne infastidito o contento, ma si costrinse ad aprire gli occhi. E lo vide. Lui.
Ci mise un attimo a carburare e a recepire, per inquadrare perfettamente chi fosse.
Lui, quell’individuo.
Lo riconosceva sempre più chiaramente.
Sì, proprio lui, quell’essere amorfo, rifiuto della società, quel demente con una serie dozzinale di problemi che non era possibile risolvere, perché nessuno aveva ancora avviato gli studi sulla stupidità umana.
No, meglio dire che nessuno aveva ancora iniziato gli studi su Shisui Uchiha, che non era nemmeno catalogabile come animale, come ameba o come batterio.
Era unico nella sua specie, così come era inesistente il modo per sopprimerlo.
«Tu» biascicò Hidan, che spalancò gli occhi con un misto di frustrazione e ira, perché lui era la ciliegina su quella torta di merda e sfiga che gli era stata recapitata quel mattino al posto del giornale.
«Yo! Che fai lì per terra? Eh? Hai la febbre, si vedeva dall’altro lato della strada, hai due guanciotte roooosse!» il presente Shisui Uchiha lasciò andare la busta della spesa solo per approfittare dei suoi pochi riflessi per dargli un buffetto sulla guancia.
Hidan ora era livido di rabbia, la febbre non c’entrava nulla.
«Allora? Sei caduto, sei svenuto, hai perso una lente a contatto, ti hanno licenziato?» si informò innocentemente, ma si capiva piuttosto bene dal suo sorrisetto che ne sapeva qualcuna di troppo.
«Non rompere il cazzo e vattene» se Hidan era un modello di diplomazia in giorni normali, quel mercoledì, complice anche la febbre, beh, era particolarmente poco trattabile.
Shisui si abbandonò ad una risata leggera e spensierata: «Su, su! Non ti ho mica cacciato io dal call center e di certo non sono io che ho fatto piovere!» e rise di nuovo, uccidendo completamente l’aria di mistero che voleva darsi snocciolando così informazioni che, in teoria, sarebbero dovute essere più o meno sconosciute al resto del mondo tranne che a Hidan.
L’Hie lo trovava irritante e ottimo per essere preso a pugni, non di certo misterioso.
«Uffa, non fare quella faccia! Ti sto anche riparando dalla pioggia, non vedi?» e mosse in maniera eloquente il braccio, scrollando le gocce dall’ombrello che caddero addosso ad Hidan. L’Uchiha borbottò un basso ‘ops’ e rise di nuovo da solo.
Hidan voleva fare solo due cose, in linea di massima: andare a casa e dormire. Solitamente non era uno che passava le sue giornate a dormire, anche perché da quando si era trasferito a Yokohama, con poche benedizioni da madre e padre se non la loro estrema certezza che sarebbe tornato a casa prima ancora di disfare le valige, si era dovuto cercare in fretta un lavoro per mantenere se stesso e le rette universitarie.
Visto il suo carattere poco incline al compromesso, anche se si trattava di sottostare a regole per una pacifica convivenza e un minimo di stipendio, trovare un lavoro era divenuto tanto difficile da rendere il sonnellino pomeridiano qualcosa che non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello. Non erano poche le offerte lavorative, era lui a non offrire collaborazione, cosa che non era nemmeno lontanamente intenzionato ad ammettere. Ad onor del vero, anche il colore dei suoi capelli non gli dava esattamente l’aria da bravo ragazzo diligente, il carattere confermava solo le supposizioni iniziali.
Comunque, visto che era malato e non aveva un lavoro a cui presentarsi il giorno dopo, poteva anche dormire fino a mezzogiorno del giorno dopo, cosa che lo allietava almeno un po’.
«Sei il ritratto della socievolezza, lasciatelo dire» commentò l’Uchiha alla totale assenza di una risposta da quello che a suo modesto parere altro non era che un ingrato.
«Tu sei il ritratto di un deficiente» si sforzò di commentare l’Hie, che se fosse stato per lui l’avrebbe già gonfiato di botte fino a renderlo irriconoscibile anche alla madre, per cui si sentiva anche un po’ in pena, a dire il vero. In fondo era lei che doveva sorbirsi quell’idiota più tempo di quanto l’umana psiche poteva sopportare. Che poi, a conti fatti, la pietà si trasformava in voglia di ammazzare pure la madre: se avesse deciso di giocare a ramino, quel dannato giorno di un bel po’ di anni fa, a lui non sarebbe toccata la disgrazia di incontrarlo.
Fanculo pure la madre. L’avrebbe uccisa, una volta che fosse riuscito a liberarsi di quella piovra, ma a quanto aveva avuto modo di capire trovandoselo davanti, beh, era qualcosa di impossibile.
«Hie!» esclamò ad un tratto, come se fosse appena stato investito in pieno da una consapevolezza ben superiore alle sue facoltà. Il che poteva voler anche dire che aveva imparato a sillabare il suo nome, ma tant’era. «Hie! Non è che tu sei ancora arrabbiato con me per quella sera, quando ci siamo incontrati in quel bar? Eh?» si informò con una curiosità disarmante, perché sembrava esattamente un bambino nella sua fase da domande a tutto spiano. E così come loro non si arrendevano, nemmeno Shisui sembrava intenzionato a farlo, infatti continuava ad avvicinarsi e a mormorare una sequela di «Eh? Eh? Eh?» esortativi. Più che altro, comunque, spronavano Hidan a rompergli l’osso del collo, non di più.
L’Hie, tra l’altro, oltre alla palese giornata di merda che gli si stava impregnando addosso sempre di più, come le gocce d’acqua che gli inzuppavano i vestiti, si vide quell’orribile aneddoto ricacciato fuori con una nonchalance assassina. E non era una cosa che poteva sopportare.
Quella sera. Quel bar. Quella terribile esperienza di due o tre ore – una tortura non poteva più essere definita in termini di tempo ad un certo punto – che lo aveva segnato a vita.
E quello stronzo di Shisui Uchiha ne era parte integrante, perché era tutta colpa sua. Beh, no, era anche colpa di Kakuzu, ma lui era scomparso dieci minuti dopo l’inizio della più grande tragedia epica del Giappone moderno – da specificare, perché per alcuni è opinione condivisa che la letteratura termini intorno al 1970, cause ancora da accertarsi** –, perciò era incolpabile solo a metà. Era Uchiha che meritava la morte.
Non lo aveva ucciso semplicemente perché una volta che quella sera era riuscito a liberarsi di lui, il suo avvicinarsi nuovamente a quell’ameba lo schifava; l’averlo incontrato di nuovo voleva solo dire che da qualche parte c’era un Dio che gli chiedeva esplicitamente di toglierlo dalla faccia della terra.
Beh, tanto vale accontentarlo. E una volta trovato quel Dio si sarebbe votato completamente a lui, complice la comunanza di intenti che li univa. Lunga vita al Dio dalle cause intelligenti, a sfavore della degradazione del Giappone per via di inetti individui privi di materia cerebrale.
In uno scatto che perfino Hidan ritenne anomalo, viste le sue condizioni corporee al momento, si tirò su in piedi e si aggrappò letteralmente al colletto della maglia di Shisui, che non fece nemmeno in tempo a spostarsi.
«Capisco che tu sia ovviamente attratto da me, ma non saltarmi addosso così, la vecchietta che ci spia dalla finestra lassù potrebbe fraintendere–» cominciò solerte Shisui, una punta sottilissima di ironia nella voce. Hidan, per tutta risposta, che ci fosse o meno una vecchietta alle sue spalle non faceva differenza, gli tirò un calcio in un ginocchio e lo sbatacchiò un po’. Non fece poi nulla di che, ma dopo il balzo repentino di prima, in cui tutto era dovuto alle stronzate che produceva la rabbia, ora la stanchezza era tornata a spossarlo.
«Ahia! La vecchietta ti denuncerà, l’ho vista prendere il telefono!»
«Vaffanculo tu e la vecchietta, dopo aver ucciso te farò secca anche lei!» sbraitò con quanto più fiato aveva in corpo, perciò nemmeno la pioggia poté coprirlo poi molto.
«Sai che così passi per un assassino? Mh? La gente che passa crederà davvero che tu sia un assassino, Hidan chan» commentò noncurante, come se la cosa non lo toccasse minimamente. In effetti non era poi questa gran minaccia la morte professata da uno che a malapena si reggeva in piedi e che probabilmente aveva quaranta di febbre.
«Tu presto passerai per un cadavere e non chiamarmi Hidan chan» qui si trattenne dallo starnutire perché avrebbe ucciso il pathos. Brutto bastardo, gliel’avrebbe pagata. Facendolo arrabbiare così tanto non faceva altro che condannare a morte le sue già precarie condizioni di salute. Che almeno tenesse su quel dannato ombrello!
«Cosa preferisci, Hidapyon?» mentre lo disse, gli si illuminarono gli occhi, forse perché aveva preso consapevolezza di quanto aveva lui stesso proposto e la cosa non doveva dispiacergli eccessivamente.
Hidapyon. Non suonava male, era tenero.
Hidan fremette. La voglia che aveva di staccargli la testa era paragonabile solo a quella di tirargli un calcio nelle palle e solo perché la seconda era dolorosa tanto quanto la prima. Però comunque lo lasciava in vita. Stava sragionando su una cosa del genere, invece di rispondergli, urlargli dietro, ricoprirlo dei peggiori insulti che esistevano, parte dei quali era seriamente scandalosa, lui stava pensando in maniera confusionaria. Non si capiva più nemmeno lui.
Stava delirando in maniera silenziosa e comprese di aver raggiunto il suo limite quando pensò sconnessamente che delirare in maniera silenziosa faceva ridere.
Tutta colpa di quel fottuto Uchiha. A quella considerazione, forse la più vera tra tutte, o quantomeno quella con un minimo di senso compiuto, Hidan si concesse il diritto di spaccargli la faccia o almeno tirargli i capelli.
«Sei troppo sano, lasciatelo dire» disse Shisui, mettendosi a ridere. Fu l’unico commentò che fece quando l’Hie tentò di mollargli un pugno, barcollò sui suoi stessi piedi tentando di portarsi in avanti e si sarebbe spiaccicato a terra se l’Uchiha non lo avesse tenuto per le spalle.
«Oh, ora sono anche il tuo salvatore, mi merito tanto affetto, almeno un abbraccio me lo puoi dare, no?» in risposta Hidan gli pestò pesantemente il piede e visto che Shisui portava un paio di comodissimi infradito ne risentì, e anche parecchio. Le imprecazioni di dolore non se le risparmiò di certo.
«Ho la febbre, non sto morendo» si giustificò l’Hie con una sadica nota di appagamento quando Shisui borbottò qualcosa come ‘ma tu non stavi male’ o giù di lì. Aveva abbassato la voce, infatti, quando si era reso conto che non si stava comportando in maniera esattamente civile, Hiada san non gliel’avrebbe mai perdonato se l’avesse scoperto, lamentando tutto il piano di educazione che lui andava distruggendo.
A Hidan non piacque particolarmente la nuova disposizione che si era venuta a creare, ma aveva davvero un mal di testa atroce, ogni singolo movimento era una fitta alle tempie. Aveva anche gli occhi chiusi, sia per non vedere anche una singola parte di quello scellerato, sia perché alleviava un po’ il dolore.
Era davvero conciato male, erano anni che non si beccava un raffreddore del genere. Colpa dell’Uchiha, ormai era una spiegazione universale. Anche la fame nel mondo era colpa sua, probabilmente mangiava come un porco e creava dislivello con il quantitativo di cibo che spettava ai paesi del terzo mondo.
Stava sragionando di nuovo, si lasciò sfuggire una soave parolaccia liberatoria quando se ne rese conto.
«Mi chiamo finezza, eh» lo sbeffeggiò Shisui.
«Non me ne fotte un cazzo di come ti chiami» gli ringhiò in risposta. Lui almeno sragionava con la febbre, quel decerebrato che scusa aveva per dire stronzate?
«Non mi chiamo io così, dicevo a te–»
«Non me ne frega niente! Sta zitto. E fermo. Fermo e zitto» sibilò con rabbia e Shisui non disse effettivamente più nulla, ma Hidan riuscì ad innervosirsi anche sentendolo soltanto ridacchiare.
Ad un occhio esterno quella poteva essere seriamente scambiata per una situazione equivoca. Shisui si sforzò davvero per rimanere in silenzio, ma superata la soglia massima dei quarantaquattro secondi e undici primi non poté trattenersi oltre.
«Sembriamo usciti da uno shonen ai farlocco in cui i due amorini se ne stanno teneramente sotto la pioggia e–» a discolpa del povero Uchiha c’era da dire che non aveva fatto altro che esprimere a parole la vaga conclusione che si poteva trarre dal vederli insieme in quel momento, ed aveva anche parlato a bassa voce, ma Hidan era già intrattabile di suo, con la febbre era semplicemente l’isteria personificata.
Il sentire quella congettura, però, ad onor del vero, lo aveva irritato ancora di più, perché un piccolo particolare che prima aveva tentato di non portare a galla per quanto riguardava quella fantomatica sera e quel fantomatico bar era che quest’ultimo era un gay bar.
Hidan si rifiutò di pensarci oltre e gli mollò un altro calcio, ignorando il mal di testa atroce, la stanchezza, la febbre e tutto il resto; si allontanò con uno spintone e imprecò a mezza voce; o almeno ci provò, ma aveva lo stesso controllo del suo corpo che poteva avere su un aereo di linea. No, non sapeva guidare un aereo, era già tanto se riusciva ad andare in bicicletta senza staccare i pedali perché non pedalavano abbastanza veloce. Che poi era lui che li faceva muovere, perciò se andava piano era colpa sua, perché era lui che andava piano. Perciò… Stava. Sragionando. Di. Nuovo.
«Fottuto Uchiha di merda!» imprecò, come se quello non fosse un nome, ma un qualsiasi insulto di uso comune.
Ecco, non solo continuava ad infastidirlo con la sua presenza, ma gli entrava anche nel vocabolario. Il colmo sarebbe stato ritrovarselo anche in casa, la peggiore delle disgrazie.
«Ma non ho fatto niente adesso!» si lamentò di rimando il giovane chiamato in causa, in maniera piuttosto infantile e melodrammatica, cosa che fece irritare ancora di più Hidan. Se per quel giorno non uccideva qualcuno era tutto da imputare ad un miracolo.
L’Hie non ce la faceva davvero più. Doveva andarsene, doveva allontanarsi da quell’ameba, doveva salvare la sua stessa vita da una morte causata dalla vicinanza ad una fonte troppo grande di stupidità.
E tutto ben intenzionato a salvarsi da quell’emissario della morte, Hidan prese a camminare, non faceva differenza verso dove, l’importante era muoversi ed allontanarsi di lì.
Shisui rimase interdetto per un attimo, ma poi riprese la busta della spesa precedentemente abbandonata e lo seguì. Giusto il tempo di fare sei passi Hidan e tre Shisui, il primo barcollò senza un apparente motivo. O meglio, per l’Uchiha il motivo non c’era, per Hidan sì; il tentativo iniziale era stato quello di schivare una pozzanghera, ma era riuscito male perché in quel momento lui non riusciva a coordinare nemmeno il movimento della mascella.
Shisui, con tutta la buona volontà che aveva, non riuscì a trattenersi dal ridere e non riuscì nemmeno a farlo silenziosamente. L’Hie era tutto fuorché propenso a dargli retta, perciò digrignò i denti e continuò a camminare. Molto stoico, se non fosse stato che per schivare un’altra pozzanghera non finì con il barcollare di nuovo.
L’Uchiha si sentì in dovere di prendere in mano la situazione. Con due o tre falcate raggiunse Hidan e si piazzò dinnanzi a lui. Quest’ultimo provò a dare una nuova motivazione a quel flagello di stupidità che si trovava davanti. Forse era per il karma, Shisui Uchiha era la sua pena personale perché in una vita precedente era stato un samurai negletto che invece di proteggere il popolo mangiava furetti.
Per causa diretta, Shisui in una vita precedente era stato uno dei furetti che si era mangiato, perciò ora lo tormentava.
Doveva andare a dormire, subito, per i prossimo ventisei giorni.
«Cosa diavolo vuoi?» chiese tra i denti, dandogli il beneficio del dubbio che gli potesse interessare cosa aveva da dire.
«Sei febbricitante, tanto tenero così moribondo come un cadavere, ma febbricitante, perciò mi permetti di accompagnarti a casa così non ti fai mettere sotto da una macchina attraversando la strada? Non hai l’aria di uno che guarda quando attraversa da sano, con la febbre sentiresti di avere un insano diritto per cui attraversare con il rosso è cosa buona è giusta» gli spiegò senza riprendere fiato, con un’allegria che non trovava il minimo riscontro nell’espressione del suo interlocutore. Shisui era sicuramente uno che sapeva leggere le atmosfere più o meno come sapeva leggere le foglie di tè. Inetto in entrambe le cose.
Hidan, giusto per essere sinceri, si era perso a pallido come un cadavere, sia perché parlava troppo in fretta sia perché la testa gli faceva sempre più male e gli sembrava umanamente impossibile avere un dolore così forte. Si limitò pertanto a rimanere in silenzio.
«Mi permetti di scortarti a casa?» gli richiese, senza tutti i fronzoli di prima.
Scortarti? Hidan gli avrebbe volentieri chiesto di parlare come mangiava, ma temeva le conseguenze, perciò si limitò ad un secco «no», sperando seriamente che ciò lo mettesse a tacere. Provò a fare un passo, l’Hie, ma andò a sbattere contro quel pedante abominio sociale, perciò non era ancora finita lì.
«Cosa–» cazzo vuoi ancora? Domanda incompiuta a cui perciò non corrispondeva una relativa risposta.
«Jankenpon» ribatté fulmineo e tese la mano libera dall’ombrello in avanti. «Se vinco io ti fai accompagnare a casa, se perdi ti lascio andare da solo» concluse trionfante.
Hidan era sconcertato. Nemmeno la rabbia poteva sopportare il sentimento di totale incredulità che aveva quando si trattava della personale demenza di Shisui. Non era una persona normale. Lo perseguitava, tormentava la sua vita e proponeva giochini idioti per motivi che non c’erano da nessuna parte.
«No» sibilò soltanto, ma era tanto malaticcio da opporre una resistenza quasi nulla a quella richiesta idiota.
«Dai!»
«Non dire stronzate» ritentò, ma Shisui gli prese il polso e gli fece alzare il braccio.
«Hai il cinquanta percento di possibilità di vincere e se vinci ti liberi di me. Se perdi eviti di morire tornando a casa, non ti costa nulla!» spiegò e Hidan fu quasi certo che nemmeno quella volta aveva preso fiato. Magari se continuava con frasi così lunghe crepava per mancanza di ossigeno al cervello. La speranza era l’ultima a morire.
E jankenpon fu. Come faceva a coinvolgerlo sempre in quelle idiozie, benché il suo pensiero di partenza fosse sempre più che contrario, Hidan continuava a non saperlo e forse preferiva rimanere nell’ignoranza.
«Jankenpon!» la voce allegra e sicura di Shisui si sovrappose a quella irritata e malaticcia di Hidan, fino a che non ricadde il silenzio, l’attenzione puntata sulle mani in mezzo a loro.
Una mano aperta – carta – e una chiusa a pugno – sasso.
Shisui sorrise in maniera fin troppo snervante, tanto che Hidan non seppe più, ad un certo punto, se la furia omicida che lo aveva colto in un attimo era per aver perso o per quella faccia da culo che gli sorrideva davanti.
Era evidente che oltre ad essere stato un deplorevole samurai bastardo che si sostentava con i furetti, doveva anche aver avuto un quattro tatuato in fronte, o non avrebbe avuto altro modo di spiegare tutta la sfortuna che aveva. Di recente forse era tornato da un funerale e non aveva messo il sale, qualche spirito bastardo era entrato e ora lui si trovava con Shisui tra i piedi;* aveva sempre deriso la superstizione di sua madre, ma lui era davvero troppo sfortunato per essere vittima di semplice casualità. Shisui Uchiha era nato per rompergli le palle, non c’erano spiegazioni casuali, fine del discorso.
«E ora torniamo a casa! Su, Hidapyon, la strada e lunga e non si cammina da sola» dopo un momento di silenzio in cui lui realizzò quanto detto, si mise a ridere da solo e lo prese per un braccio, trascinandolo avanti.
C’era da dire che lui sapeva esattamente come trattare un malato, con molta grazia e finezza.
Di lì in poi fu un semplice susseguirsi di domande senza senso di Shisui e senza una risposta da parte di Hidan e le lamentele di quest’ultimo, che voleva starsene da solo, o perlomeno senza la presenza ammorbante di quel deficiente.
E, logicamente, ogni tre passi su due: «Metti più in qua l’ombrello, stronzo.»


Come fossero giunti davanti al numero 16 della palazzina in cui Hidan abitava era qualcosa che l’Hie non sapeva proprio spiegarsi. Vuoi perché la febbre lo aveva anestetizzato a tal punto da fargli dimenticare gli eventi traumatici di quella poco allegra traversata, vuoi perché le cose terribili le dimenticava da sé per un innato principio di sopravvivenza; fatto stava che era arrivato e tanto gli bastava.
Era arrivato al numero 16, certo, ma lui abitava al numero 17; era forse troppo pessimistico pensare che un breve tratto di due metri neanche avrebbe decretato una delle più grandi disgrazie del Giappone?
No, non lo era, infatti quel breve tratto di due metri o giù di lì decretò la sua rovina.
Hidan, a dieci o dodici metri da dove abitava aveva tentato tranquillamente di smollare Shisui, perché era certo che se avesse scoperto dove abitava sarebbe stata la fine, in senso vero, non metaforico. Era un po’ come quei cani che imparavano la strada del passante che decidevano sfacciatamente di seguire e poi non se ne andavano più, in nessun modo possibile.
Sfortunatamente non ci era riuscito e si erano dovuti fare anche le scale insieme perché l’ascensore era fuori uso.
Ad un tratto Shisui si fermò e ripeté la stessa azione di prima, ovvero il piazzarsi davanti a lui.
Hidan intuì il pericolo che portava con sé tutto quello e pertanto lo aggirò con uno scatto fulmineo, tanto che perfino l’Uchiha rimase interdetto. Cercò con frenesia le chiavi nella tasca e aprì la porta con maniacale impazienza. Una volta entrato in casa la faccenda si sarebbe chiusa lì, gli avrebbe sbattuto la porta in faccia e se tutto andava bene l’avrebbe sbattuta con tanta forza da creare una spinta d’aria a causa della forza d’attrito che lo avrebbe travolto in pieno e lo avrebbe spazzato via dal corridoio e…
Si sarebbe messo a dormire senza neanche passare per il bagno.
Non lo sentiva muoversi né commentare, forse si era arreso all’evidenza che doveva levarsi dalle scatole, lo avrebbe lasciato in pace…
La porta si aprì e lui ci si fiondò dentro, senza barcollare, mosso dalla disperazione e dalla voglia di staccare quell’ameba da lui.
Peccato che quando chiuse la porta, trovò qualcosa ad ostacolare il suo percorso e altro non era che il piede di Shisui Uchiha.
La sua faccia sorridente lo colpì come il peggiore dei pugni in faccia.
«Ci si rivede, Hidapyon! Spero tu non voglia passare la serata da solo con il malanno che ti sei beccato! Guarda caso prima sono andato a fare la spesa e posso prepararti un bel brodo caldo così ti rimetti in fretta e–»
«No» tale esclamazione uscì con un tono che era il connubio di disperazione, irritazione e un’incredulità che andava ben oltre le umane possibilità. Era stato un no inumano, appunto. E il sorriso estatico di Shisui lo era stato ancor meno.
«Jankenpon, Hidapyon! Se vinci, me ne vado, se perdi passi la notte con tante amorevoli cure, se invece ti rifiuti io non mi sposterò di qui, perciò nemmeno tu puoi spostarti di lì perché se te ne andassi non potresti chiudere la porta e impedirmi di entrare e io entrerei comunque, ma senza legittimità e ne scoppierebbe una lite domestica che si concluderebbe in maniera disgraziatamente sanguinosa» continuava a sorridere raggiante, quel bastardo e poi agitò il pugno chiuso.
Hidan ebbe modo di pensare solo che da quel giorno in poi sarebbe andato in giro con un cartello appeso al collo con su scritto ‘cercasi persone sane di mente’- Se poi lo giravi c’era un’amorevole avvertimento che doveva essere qualcosa tipo ‘ai deficienti faccio due buchi dietro le orecchie, li appendo a testa in giù e li faccio morire per dissanguamento’.
Per la seconda volta in quella giornata di merda – e Hidan non aveva la minima intenzione di scusarsi con nessuno per il linguaggio non aulico – jankenpon fu. Il perché era qualcosa di sconosciuto al genere umano e Hian si sentiva talmente idiota per aver accettato due volte in un giorno solo che preferiva smettere di pensarci e basta.
«Jankenpon!»
Un pugno chiuso e una mano aperta comparvero tra i due. Hidan era più che intenzionato a dichiarare nulla quella mano di jankenqualsiasicosafosse perché lui aveva fatto pugno – ovviamente era lui, inutile specificarlo – perché il suo intento era stato quello di tirarlo a quel mentecatto, non era da considerare valido!
Non ebbe tempo nemmeno di emettere un suono che sua maestà lo aveva spintonato da un lato, sorridente come chi aveva appena vinto alla lotteria, e si era introdotto in casa sua. «Con permesso!» Chi cazzo glielo aveva dato, il permesso?
Canticchiava spensieratamente in casa sua, la osservava e la commentava esattamente come se qualcuno lo avesse invitato.
«Ah, questo posto puzza!» si lamentò immediatamente, quando non era nel suo appartamento nemmeno da due minuti e sicuramente la cosa faceva splendere di felicità Hidan. Quest’ultimo, poi, si sentì anche vagamente offeso.
«Non puzza, sei tu che puzzi di merda» lo apostrofò con la sua solita finezza, ma si meritava anche insulti ben peggiori. Il suo appartamento non puzzava, punto.
«Naaah, è proprio ‘sto posto che puzza di… mmh, di tè al ginseng!» e poi Shisui prese a parlottare tra sé, convenendo che sì, puzzava proprio di tè al ginseng e Hidan avrebbe tanto voluto chiedergli se esisteva davvero, quel benedetto tè al ginseng tanto puzzolente. Non lo fece solo perché temeva che la stupidità della conseguente risposta lo avrebbe distrutto ancora di più.
Poi Shisui tornò a rendersi conto che era nell’appartamento di qualcun altro e che il proprietario non si era ancora mosso e si trovava sempre sulla soglia della porta.
«Su, su Hidapyon, non stare sulla porta o prendi freddo e ti ammali di più!» lo prese per le spalle e lo tirò dentro, mentre l’Hie non provava nemmeno ad opporre resistenza, era inutile contro quell’essere.
«Ah, sarà l’inizio di una bellissima convivenza, sappi che mentre dormo parlo e ho canto mentre mi lavo» lo aggiornò, come se fosse cose che aveva già detto e che andavano ricordate. Ma a Hidan non fregava niente del fatto che cantava, tanto non si sarebbe di certo lavato per una sera che stava lì, no?
«Quando posso portare la mia roba?»
«Cosa cazzo stai dicendo?» fu la pragmatica e celere risposta di Hidan, che si catapultò direttamente addosso a lui, questa volta senza barcollare o altro. La disperazione e la rabbia per quel commento last minute gli avevano stimolato la produzione di adrenalina che gli impediva di collassare per la febbre.
«Caaaaalma, calma! Perché ti scaldi tanto? Non te lo avevo già chiesto?» si informò innocentemente, come se lui non fosse assolutamente nel torto se non per errore altrui.
«Farò finta di non aver sentito la tua stupidità che prendeva vita sotto forma di parole, tu non devi chiedere niente e io non devo risponderti niente, perciò vattene via di qui e non chiamerò la protezione animali per farti portare via come esemplare di deficiente in via d’estinzione» dovette interrompere la sua arringa – degna di nota perché non c’erano nemmeno troppe parolacce, cosa non voluta – perché finì con lo strozzarsi con la sua stessa saliva e prese a tossire.
«Respira! No, tu non respiri con i pori della pelle, mi dispiace» gli confesso con estrema costernazione, come se fosse una cosa normale di cui solo Hidan era sprovvisto.
«Vai… fuori… di qui!» questa volta voleva metterci anche un cazzo molto fine come intercalare, ma fu inghiottito in un colpo di tosse.
Shisui scoppiò a ridere e dovette tenersi la pancia per quanto trovava la cosa divertente, l’esatto contrario di come vedeva le cose Hidan, un altro chiaro segno di quanto due individui del genere fossero incompatibili.
«Hai finito?» sbottò Hidan e l’Uchiha, piegato in due, fu ancora scosso da un paio di risatine, dopodiché smise di ridere di colpo.
Magari aveva un blocco respiratorio e stava morendo, magari anche in silenzio…
No, era ancora vivo, era solo nelle più fervide fantasie di Hidan che il fesso tirava le cuoia.
Velocemente, Shisui, senza tirarsi su, mise la sua mano in mezzo a loro due.
«Se vinco vengo a stare qui.»
«Eh?»
«Se perdo me ne vado.»
Hidan era inorridito e pronto all’omicidio, perché aveva qualche vago sospetto che i suoi timori fossero fondati.
E Shisui li confermò, perché quel ragazzo era un deficiente che lo odiava e voleva rendergli la vita un inferno.
«Jan» chiuse la mano a pungo «ken» tirò su la testa per guardare in faccia Hidan «pon!» gli fece il più odioso dei sorrisi che Hidan aveva mai avuto modo di vedere in vita sua.
Quel ragazzo non era umano e se c’era una cosa di cui era certo Hidan era che non lo avrebbe assecondato di nuovo, non era una cosa normale, quella.
Non lo avrebbe assecondato, non lo avrebbe assecondato, lo avrebbe picchiato a sangue, lo avrebbe ucciso, ma non lo avrebbe assecondato, assolutamente no.


Non c’è due senza tre. «Ne, Hidapyon, dove posso mettere i miei libri?»
«Nel tuo culo, stronzo.» Non era la febbre a rendere così cordiale Hidan, assolutamente no.
«Lo prendo per un ‘nella libreria’! Uh, che teneri, condividiamo anche la stessa libreria!»


Lo stupido jankenpon aveva decretato una convivenza forzata con Shisui Uchiha.
Lo stupido Uchiha Shisui aveva perciò decretato definitivamente la presenza di Uchiha Shisui nella vita di Hie Hidan.
Da ciò derivava la Legge di Hidan.
Nel momento esatto in cui la tua vita prenderà la svolta più negativa possibile, irrilevante la sfera spazio-temporale, tale condizione sarà dettata dalla cosa più stupida che può accadere in quel momento, poiché per la Legge di Hidan le cose più stupide stabiliscono sempre le tragedie più grandi.
E anche il Corollario di Shisui alla Legge di Hidan.
Nel momento esatto in cui la vita di Hidan sta per prendere una svolta importantissima, irrilevante la sfera spazio-temporale, jankenpon risolverà tutto, perché per il Corollario di Shisui alla Legge di Hidan Hidan fa schifo a Jankenpon e perde di sicuro.
E tutto quello stava a testimoniare solo che agli albori delle più stupide e pericolose convivenze vi era sempre il motivo più stupido che poteva esistere sulla faccia della terra.
E di qui tutto ebbe inizio.


Ah. To my dear fessa chan; a momenti facevo prima a pubblicarla per il tuo prossimo compleanno, ma l’imporante è che l’hai letta mesi fa XD



* in Giappone si crede che se un rametto cade nella tazza di tè che stai bevendo e rimane in piedi porti fortuna; nel caso di Hidan, il fatto he il rametto si disintegri sta ad indicare la sua enorme sfortuna XD
** questa è una delle tante perle di saggezza idiote che disgraziatamente si sentono in giro: non volete sapere la fonte, fidatevi u___u’

Il jankenpon è il nostro classico sasso-carta-forbici, solo che visto che la storia è ambientata in Giappone – ovviamente XD – ho preferito metterlo in giapponese. Poi, l’Hidapyon con cui ogni tanto Shisui appella Hidan è solo un altro suffisso, solo che indica più affetto – tanto ammmmure, lo so XD
Mh, questa shot è legata alle altre due sempre HidanShisui che ho scritto, infatti c’è sempre ‘sta santa puzza di ginseng e altri riferimenti X’D Questa è una sorta di prequel delle altre due, ma forse un giorno potrei anche decidere di scrivere il prequel di questa, il che renderebbe la futura shot prequel del prequel XD Ora, magari, ci si chiede anche perché cacchio non vado in ordine: io me lo sono chiesta e ho rinunciato a darmi una risposta, traete spunto dalla mia conclusione XD
Boh, alla prossima u___u”
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Hi Ban