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Autore: zorrorosso    31/01/2013    4 recensioni
”Un mostro! Un mostro vi dico! Il volto gli colava dalla testa come se fosse stato spellato! Come se fosse morto, tuttavia in vita, si muoveva e camminava... "- Alcuni segreti non possono essere svelati con facilità! ***mentre sto preparando questa storia per traduzione ed editing, verranno aggiunti dei capitoli "prequel"***
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Cardinale Richelieu, Duca di Buckingam, Milady
Note: Cross-over, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Uomini e Mostri...'
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Ook, nuovo capitolo. Sara’ colpa alla scarsita’ del plot del film dei moschettieri su cui baso parti di questa fic o al fatto che ho visto da poco un film bellissimissimisssimissimo a cui non potevo certo rimanere indifferente, ma avevo bisogno di un capitolo fatto di chiarimenti e storie di fondo.
(Spero che siano plausibili)
Come al solito, mi avvalgo di modificare la storia ai miei fini narrativi, non prendete tutte le informazioni storiche fornite come vere.
Le cose non sono cambiate nel frattempo, vale sempre la solita regola del “lui”.
 
Ho notato che il capitolo intero con le note e’ un po’ lunghetto, e soprattutto molto mattone, quindi posto subito questa prima parte.
A fondo testo (nella prossima parte del capitolo, quindi)  lascio una nota speciale, nel caso questo capitolo risulti incomprensibile (e ritenete che la colpa non sia mia ecco)...
 
Altra cosa! Ho aggiunto una piccola frase al capitolo 1 per fare riferimento ad un particolare di questo capitolo (due frasi nella scenetta della fontana).
 
 
 

Capitolo 6
Quattro avventurieri
Parte I

 
Aramis chiuse il portone a chiave con quattro veloci mandate. Segno che dopo quella visita non voleva affatto essere disturbato da qualcun altro.
Athos ascolto’ il rumore secco dei suoi passi che risuonavano sul pavimento in coccio e pote’ distinguere chiaramente il fragore di alcune vettovaglie scaraventate per terra o sul muro della sala da pranzo, in un ultimo scatto d’ira. Forse dopo quel colloquio era ancora piu’ nervoso di quanto appariva.
Stentava nel capire se la ragione che spingesse Aramis a comportarsi in quel modo fosse legata ad una genuina amicizia ed un affetto fraterno nei suoi confronti, oppure una segreta gelosia per quella donna che lo aveva affascinato in passato ed ora si ripresentava nelle loro vite.
Non senti’ il suo vecchio compagno dire una parola, solo soffiare molte volte con il naso, interpreto’ la cosa come il fatto che fosse stato sincero nel riferirgli di essere raffreddato.
Athos fisso’ il portone in noce intagliata per diverso tempo. Non se la sentiva di abbandonare quell’abitazione cosi’ in fretta.
Penso’ fosse una buona idea aspettare l’arrivo di Planchet e provare poi a ragionare con lui.
 
Si appoggio’ cosi’ al muro d’entrata e si sedette per terra, le braccia appoggiate sulle ginocchia, le mani tenevano la testa confusa e pesante, i lontani ricordi cominciarono presto ad affiorare.
 
***
Château d'Amboise, non piu’ di due anni prima.
 
Erano passati piu’ di sessant’anni e sei re, ma nessuno a corte si azzardava a tornare al Castello d’Amboise, neppure il suo legittimo erede proprietario ci aveva mai messo piede. Tutti a palazzo detestavano quel luogo e non volevano neppure nominarlo.
 
Dopo la cospirazione e la repressione, odorava ancora di morte. Il sangue, ormai divenuto nero e quasi del tutto lavato via dalle pietre e dai muri, lasciava una vaga patina polverosa sulle pareti.
Le ossa triturate dal tempo, si confondevano tra i sassi del vialetto d’ingresso al giardino circostante.
La sensazione era sempre quella di essere osservati al buio da migliaia di occhi terrorizzati.
Erano in pochi a voler avere a che fare con le migliaia di fantasmi dei cospiratori protestanti impiccati tra quelle mura ed affissi alle grate dei cancelli circostanti il palazzo. Una scena cosi’ cruenta che neppure le matrici incise per documentare il fatto, erano mai state utilizzate fino allora. Anzi agli incisori era piu’ volte stato chiesto di bruciarle, tuttavia alcuni di loro avevano trovato clienti amanti delle storie macabre.
La Loira scorreva calma e piena, grigia dell’argilla delle piogge d’autunno, la brezza faceva scivolare e rincorrere le foglie secche sulle sue rive di quel giardino ormai abbandonato da decenni, un pacifico brusio che accompagnava il trottare degli zoccoli.  
Athos ricordo’ scendere da cavallo ad una certa distanza, quasi a voler squadrare e godere meglio di quel fresco panorama d’ottobre. La cavalcata era durata solo qualche ora da Parigi.
Ricordo’ l’avvicinarsi alle mura coperte di rampicanti ed arbusti, respirare a pieni polmoni quell’aria fresca ed umida, il cancello era aperto.
Non temeva quel luogo, anzi quella decadenza ed abbandono in un certo senso lo affascinavano.
Una parte di lui avrebbe voluto vivere li’ e gioire di quel buio, di quell’abbandono e di quella pace: un luogo cosi’ silenzioso, vasto e temuto dalla stessa corte di Francia non poteva che essere un luogo da rispettare ed in cui intimamente sperare di rifugiarsi.
 
Nonostante il fascino che quel luogo, non appena si avvicino’ alla porta, ebbe subito un sussulto: diversi teschi erano ancora allineati ai bordi di un muretto d’ingresso, come a voler vegliare quell’ambiente cosi’ lugubre anche oltre la loro vita terrena.
 
Ricordo’ Aramis fare il segno della croce.
“Temete questo posto?”- chiese curiosamente Athos, che a quei gesti si era distolto dai suoi intimi pensieri.
“No, prego solo le anime perdute”- rispose il compagno studiando attorno l’ambiente che lo circondava- “Dopotutto il loro Dio e’ il nostro Dio. Non dovremmo mai dimenticarcelo.”- disse calmo.
“Piuttosto voi, Athos, non avete ancora detto una parola da quando siamo partiti...”- commento’ lui ritrovando un tono piu’ alto di voce.
“Affatto, anzi...”- disse quasi senza parole.
“Bene! Ora che siamo tutti qui, che ne dite di sbrigarci a trovare questi prospetti?”- li incalzo’ Porthos, qualche passo indietro guardandosi attorno con grandi occhi sgranati, cercando di non sobbalzare alla vista degli ossarii.
“Se siete spaventato amico mio, dovreste fare come Athos, dovreste stare zitto...”- lo sgrido’ Aramis voltandosi indietro ed alzando la voce.
Porthos si dimentico’ per un attimo del luogo in cui erano e comincio’ a correre dietro al suo agile compagno, i due sorpassarono d’un balzo Athos e cominciarono ad inseguirsi.
“Dove scappate! Vile! Venite qui a combattere da vero uomo!”- grido’ Porthos brandendo un pezzo di legno, forse la gamba di una vecchia sedia.
Mise le braccia ai fianchi e annuso’ l’aria attorno a lui: “Aramis: se non avete paura buon per voi, ma dovete almeno ammettere che quest’odore e’ disgustoso, anche se sono passati tutti questi anni...”.
Forse gli anni spesi a celebrare funerali e seppellire defunti, avevano dato al suo esile amico una tempra di spirito che superava per lo meno quella del suo compagno fisicamente piu’ forte.
 
“Buh!”- Aramis era sgattaiolato dietro di lui agitando un vecchio lenzuolo impolverato. L’uomo, forte come una roccia, proprio come una di queste si sgretolo’: sbianco’ in volto e tremo’ in un brivido di spavento. Alla vista del suo amico, pero’, lancio’ quel pezzo di legno, che ancora brandiva, tentando di colpire.
“Vi state approfittando di me! Vi burlate delle mie paure!”- urlo’ Porthos correndo verso di lui, ed allonandosi da Athos ancora di piu’.
Quest’ultimo ricordo’ di poterli scorgere da lontano argomentare animatamente tra la luce radente del sole e quella delle lanterne che portavano con loro.
Aramis si soffermo’ per guardarsi attorno un’altra volta, la Corte in cento anni non aveva portato via quasi nulla, i ricchi dipinti di una gloria antica, gli arazzi impolverati erano ormai ridotti in stracci. Quando lo raggiunse, Aramis fermo’ Porthos con un gesto della mano.
“Ora che conosco le vostre debolezze, non voglio essere in vantaggio su di voi, amico mio! Vi daro’ un indizio su una delle mie fobie... Pero’ prima...”- disse aprendo una tenda scura e svelando un altro ossario da cui un cranio sbucava fissando con gli incavi vuoti degli occhi, proprio l’amico che, preso da quella vista, ricadde in ginocchio urlando sguaiatamente.
“Morirete....”- urlo’ Porthos incendiato di rabbia, alzatosi in un attimo, prendendolo per le spalle ed appendendolo per il colletto della sua camicia ad un vecchio gancio sul muro.
 
Ricordo’ di Porthos furibondo: in seguito gli riferi’ di non poter credere che il sadismo del loro amico superasse perfino la fede o il rispetto per i morti, ma per Athos lo sventolare un lenzuolo o scostare una tenda non sembro’ affatto dissacrare i valori dell’amico.
 
“Chhh... Ch... Potreste usare questa cosa contro di me tutte le volte che vorrete, Porthos...”- cerco’ di rispondere il moschettiere dimenando le gambe e respirando faticosamente.
Al riecheggiare di quelle urla nei corridoi del castello, Athos accorse il piu’ in fretta possibile.
“Spero per voi che non ci sia davvero nessuno vivo qui dentro, altrimenti siamo finiti! Voi due siete come un cane e un gatto... Siete letali l’uno per l’altro! Bisognerebbe rinchiudervi insieme in un sacco ed aspettare che poi vi scanniate da soli!”- li rimprovero’.
Porthos si fermo’ per un attimo, e fece un cenno verso di lui, poi volse ancora lo sguardo verso il moschettiere appeso al muro, lo studio’ accuratamente, come se fosse uno degli arazzi o delle tende vicine. Si avvicino’ a lui allo stesso modo con cui un esperto mecenate si avvicinerebbe ad una tela finemente decorata, per criticare malamente il piccolo dettaglio errato. Con sguardo aggrottato chiese: -“Quale sarebbe questa vostra fobia dunque?”.
“Aiutatemi a scendere e ve la riferisco, ma solo a voi!”- disse Aramis convincente, abbozzando un sorriso o una smorfia di dolore, ma continuando a dimenare le gambe.
“Lo sapete benissimo che non appena me lo riferirete, lo diro’ subito anche ad Athos... Non abbiamo segreti...”- Porthos sorrise con falsita’ di rimando, aggiustandosi le maniche della giacca e prendendogli una spalla.
 
Athos ricordo’ assistere a quella scena, non del tutto diversa da tante altre, a braccia conserte, aspettando che i due si mettessero d’accordo per poi rimanere pacifici almeno un’ora consecutiva.
Aramis dunque bisbiglio’ qualche cosa all’orecchio di Porthos, che lo prese per le spalle e, come lo aveva appeso, cosi’ lo fece scendere.
 
Il silenzio dopo quel trambusto, ripiombo’ quasi pesantemente.
I tre udirono alcuni rumori, che allora parvero solo colombi o altri animali selvatici insediati nel castello dopo il suo abbandono.
 
Solo pochi passi, quando Aramis supplico’: “Athos, di questo passo non finiremo mai! E’ ormai il tramonto e non voglio certo sentire il lagnarsi di Porthos se dovessimo trascorrere la notte qui...”- l’amico annui’ e rispose: “Bene. Dividiamoci. Voi due da quella parte allora”.
“Io non lo voglio questo qui con me...”- commento’ Porthos guardando con senso di disgusto o disprezzo Aramis ed annusandolo dubbioso. L’altro lo guardo’ meravigliato e cerco’ di studiare il suo atteggiamento. Neppure Athos ricordo’ di aver mai visto nei suoi amici un comportamento tanto curioso.
“Ma voi vi... lavate?!”- chiese sospetto Porthos, stringendo lo sguardo rivolto all’amico.
“Certo che mi lavo! che discorsi fate?!”- rispose velocemente Aramis con imbarazzo.
“Per lavarvi usate solo il sapone?”
“No! Uso anche l’acqua e mi immergo nella vasca, come fate voi! Come fanno tutti! A cosa devo queste domande?! Mi lavo tutti i giorni...”- disse facendogli annusare la manica bianca della camicia, ancora profumata di amido e sapone da bucato.
“Ah bene, perche’...”- commento’ con una strana smorfia in volto.
“Dannazione Porthos! Non temo la semplice acqua di una tinozza! OH!”- rispose irritato Aramis portandosi una mano alla bocca. Athos ricordo’ quanto poco era bastato ad Aramis quella volta per aver rivelato quel piccolo segreto. Fu allora che Athos si rese conto di quanto fosse difficile per Aramis tenere nascosta la verita’.
 
A quelle parole, Porthos si volse verso Athos con uno sguardo d’intesa ed un sorriso soddisfatto.
“Avete i vostri modi, Porthos, avete i vostri modi...”- commento’ Athos alzando le sopracciglia ammettendo intimamente che nessuno poteva burlarsi dell’amico senza pagarne le conseguenze per gli anni a seguire.
 
“Dunque, ora che avete la conferma della mia attuale pulizia, vogliamo continuare?”- chiese impaziente Aramis, scorgendo la luce dalle feritoie.
“Porthos ve lo tenete voi!”- esclamo’ Athos. Anch’egli insofferente a quei sobbalzi e tremori che ogni tanto pervadevano ancora l’amico.
“Mi volete morto, amico mio...”- commento’ quest’ultimo, guardando verso il basso il suo esile compagno minaccioso.
“Dovete imparare ad andare d’accordo non solo in battaglia ed in mezzo alle armi, ma anche in casi come questi, dove apparentemente non ci sia nulla da temere...”- ammise Athos, dimostrando di essere tra i tre ancora il piu’ saggio in quanto alle strategie d’armi.
Aramis e Porthos sbuffarono, ma cedettero comunque alle richieste del compagno.
Con un breve cenno della mano, si divisero prendendo direzioni differenti.
 
Mentre i due raggiungevano i piani piu’ alti del castello, Athos si diresse nei sotterranei, cercando un passaggio segreto menzionato da tante voci di corte.
 
Leonardo da Vinci era un genio, conosceva di tutto, studiava di tutto.
Anche allo stesso Athos, tante volte, era capitato di sfogliare le copie accurate di quelle carte militari da lui stesso disegnate, in un modo mai visto prima*. Piu’ di un semplice pittore o di un arguto ingegnere, quello di cui era veramente dotato non e’ rimasto scritto in tutti quegli appunti ed incartamenti.
Il re di allora aveva visto altre corti e signori abbandonarlo, in quanto non potevano permettersi cosi’ tanti progetti mai finiti, ma lui lo conosceva bene e teneva l’ormai anziano genio ed il suo compagno a se con cura, sapendo che le sue meraviglie non lo avrebbero mai deluso.
La leggenda voleva che quell’antico re lo avesse perfino confortato in letto di morte.
 
Abbozzo’ un sorriso, sentendo in lontananza il riecheggiare della voce dei compagni, ma presto sgrano’ gli occhi dallo stupore: di fronte a lui, dal buio, una donna minuta venne illuminata da un tardivo raggio di sole, sembrava vestita e ricoperta d’oro e diamanti, i capelli acconciati in grossi boccoli e tenuti coperti da una piccola cuffia di seta, gli occhi verdi come fatti anch’essi di pietre preziose, le labbra lucide e carnose, la scollatura accattivante che spuntava dalla piccola mantella, gli veniva incontro.
“Avventurieri?”- disse con voce e passo sicuri, avvicinandosi a lui con un ampio sorriso.
Lui alzo’ un sopracciglio sospettoso, avrebbe pensato solo che quella donna si fosse persa, o che fosse un fantasma appartenente a quel posto lugubre. Annui’ meravigliato.
“So quello che state cercando in questi luoghi. Anche io sono qui per questo. Tutti quelli che vengono qui cercano la stessa cosa, ultimamente...”- continuo’ lei stringendo gli occhi.
“...Credo proprio di averlo trovato...”- sospiro’ Athos trasognato da quelle vesti, quel volto e quelle parole.
“No! Non l’avete trovato! Non si trova qui. Si trova da qualche parte in Italia... Firenze, Venezia... Quel... Conte, o chi per lui, se li e’ portati via con se cent’anni fa... Ho dovuto scoprirlo proprio oggi, sulla mia pelle!”- disse scostando le gonne dai bordi anneriti e mostrando le calze strappate e la caviglia graffiata, probabilmente da un ostacolo che aveva incontrato in quei luoghi. Segno che quella donna non aveva paura di rovinarsi anche quelle ricche vesti per raggiungere i propri obiettivi.
 
“Quanti siete?”- chiese  risoluta, in un francese abbastanza sommario.
“Siamo...”- ricordo’ di essersi voltato indietro, alla ricerca degli altri due.  Ricordo’ chiaramente di essere rimasto rapito da quello sguardo e quell’accento. Lo stesso che ora lo irritava leggermente.
 
“Ora che sapete che non c’e’ niente di interessante qui, a parte un mucchio di ossa e polvere, che ne dite di andare fuori a prendere una boccata d’aria? “- quella donna appariva ancora angelica e soave nei suoi ricordi.
Fu solo una volta ritornati all’aria aperta, presso i giardini del castello, che la donna si presento’:
“Il mio nome e’ Anne, Contessa de Winter. Posso dire di essere anche io un’avventuriera come voi”- fece un breve inchino e si sedette, presto aggiustando la mantella scostata da una folata di vento autunnale. La luce ricadeva lontana e intensa sulle gonne ricamate, ancora appariva d’oro ai suoi occhi ed in quel momento non ne aveva che per lei.
“Potete chiamarmi Athos”- rispose lui, con un inchino piu’ profondo.
“Sono qui insieme ai miei compagni di ventura”- continuo’, guadando ancora i piani alti del castello.
“Le vostre vesti sono logore, ma la vostra tracolla presenta degli ornamenti che ho gia’ visto in passato... Siete per caso un militare?”- chiese lei sospetta.
“Io ed i miei compari, lo siamo stati per parecchio tempo, ma siamo stati sciolti come ordine non piu’ di due mesi fa...”- ricordo’ lui con amarezza, passeggiando avanti e indietro.
“Conosco questa storia. Eravate un moschettiere quindi. Non dev’essere stato facile per voi... Ma sapete... Il Re e’ volubile. Avete gia’ chiesto al Capitano Rochefort di farvi prendere nelle sue schiere?”- chiese lei con tranquillita’, come se questa fosse stata l’unica cosa da fare.
Come straniera, poi, conosceva troppo bene la situazione politica di quel momento.
“Non... Non siamo avvezzi ai modi del Capitano, madame”- disse lui cercando di non essere rude e di non risponderle malamente.
“Allora si presenteranno tempi cupi per voi. Chiamatemi pure Milady” – allungo’ la mano per farsela baciare. Il suo volto pareva scolpito nelle cere piu’ fini, a suo avviso non aveva mai visto una donna piu’ bella.
“Che cosa pensate di fare con quei fogli, Athos?”- chiese la donna notando il suo incantato silenzio.
“Probabilmente quello che ne fareste voi, Milady... Fare il modo che il mio nome e quello dei miei compagni catturino l’attenzione del Re. Fare in modo di rimanere in un modo o nell’altro ancora al servizio della Francia...”- sospiro’ lui.
“Potreste rivenderli”- suggeri’ ammiccante lei.
“Li rivenderei ad un solo compratore, la Francia”- le ricordo’ il moschettiere, consapevole del suo accento inglese, un regno tra quelli opposti al suo.
“Dovreste fare in modo che l’acquisto sia comunque vantaggioso...”- sussurro’ leggera la donna dondolando le gambe incrociate sotto le lunghe gonne.
“Lo sarebbe, in ogni caso”- le ricordo’ l’uomo mettendo un braccio dietro la schiena e volgendosi di nuovo verso il portone d’entrata del castello dal quale ora correvano veloci i suoi due compagni.
 
“Athos! Athos che ci fate qua fuori?!”- la voce di Aramis interruppe quella conversazione.
“Abbiamo trovato qualche cosa! Aiutateci a leggere...”- lo incito’ Porthos.
I due sembravano euforici per il loro ritrovamento e dimentichi delle liti di meno di un’ora prima.
Accorsero velocemente verso di lui, senza quasi badare alla dama seduta di fronte.
“Vedete qui... Che cosa c’e’ scritto?”- chiesero nuovamente.
Milady si alzo’ in piedi ed accorse scettica alla vista di quei documenti.
“C’e’ scritto devo andare che la cena si fredda (1)”- lesse la dama lentamente, con l’occhio abbastanza allenato era facile per alcuni leggere anche quella scrittura.
“Mh?! E allora andate!”- commento’ Porthos.
“No, c’e’ proprio scritto cosi’... Questi incartamenti sono quelli scritti tra Arezzo e Firenze, ci saranno molto utili per escludere gli altri, ma non sono certo quelli che stiamo cercando!”- disse lei, facendo vedere loro la copia a penna di una pianta segreta, rappresentante un palazzo circondato da corsi d’acqua, forse canali. Probabilmente un palazzo veneziano.
“Da tempo si vocifera di una cripta segreta che lui stesso ha fatto costruire in Italia e dove il suo allievo, il conte Melzi, ha nascosto i suoi lavori piu’ importanti...”- continuo’ la donna.
“Cos’e’ questa?”- chiese Athos, vivamente interessato studiando quella piantina.
“Palazzo Contarini, Venezia. Qui molto probabilmente si trova un’altra grossa parte degli incartamenti di Leonardo. Forse ancora piu’ grossa di quella di Amboise o Firenze. La cripta si dovrebbe trovare proprio nei sotterranei del palazzo”- rispose lei indicando un’area vuota del prospetto, proprio sotto i disegni.
“Sulla carta non e’ segnato nulla di quello che state dicendo! Come fate ad essere sicura?”- chiese sospettoso Aramis guardando i due conversare intensamente.
“Ahem... Monsieur... Non guardate questa pianta, piuttosto fate attenzione a questa!”- la donna indico’ il disegno di facciata, dove un’articolata scala a chiocciola si stagliava per tutta l’altezza del palazzo, ornata da archi particolari.
“Vi ricordano qualcosa?”- disse lei stringendo lo sguardo con confidenza.
Aramis guardo’ i disegni che teneva in mano e quelli della donna, confrontandoli: “...Una gabbia per grilli...(2)”- rispose lui quasi sussurrando.
“Noto con piacere che avete baciato gli anelli ad abbastanza vescovi italiani, padre!”- sorrise lei beffarda.
“Non sono piu’ un Padre, madame. E non ho baciato mai un anello episcopale in vita mia. Nella vita ho avuto solo la fortuna, o la sfortuna, di girovagare...”- disse Aramis tra i denti.
“Come vi siete procurata una carta simile?”- chiese Porthos sbottando, meravigliato da quella donna.
“Allo stesso modo in cui voi vi siete procurato quella giacca, monsieur. I vostri amici indossano vesti sbiadite, vecchie e logore. Tuttavia le vostre sono ricche e molto piu’ nuove...”- noto’ la donna con arguzia.
Porthos alzo’ le sopracciglia meravigliato da quelle parole impertinenti, cerco’ lo sguardo dei suoi amici che annuirono soddisfatti, come a chiedere la stessa cosa.
“Risparmio i miei soldi onestamente...”- bisbiglio’ lui senza mai togliere lo sguardo da Athos ed Aramis.
“Sapete troppo di questa faccenda: chi vi ha fornito tutte queste informazioni? Soprattutto perche’ vi trovate qui e non in Italia dunque?”- chiese nuovamente Athos alla donna.
“Un caro amico... Mi ha reperito di documenti lungo la strada. Sicuramente come voi, ci aspettavamo di non dover percorre un viaggio cosi’ lungo, di potercela cavare con una semplice scampagnata fuori citta’, e speravamo che gli incartamenti fossero in questo castello abbandonato, invece che in un sorvegliatissimo palazzo dogale...”- sospiro’ lei distogliendo lo sguardo.
 
I suoi due compagni si stupirono nel trovare una donna in un posto cosi’ tetro.
Dopo quel lungo discorso, lei sorrise con garbo e fece un piccolo inchino verso i due amici presentandosi, Porthos rispose subito con un grosso inchino e le mani aperte, ma Athos ricordo’ che Aramis continuava a fissare costantemente lui e la donna, come preso da un istintivo sospetto o da un sentimento che in quel momento non riusci’ certo a tradurre o a cui allora non importava.
 
“Tra avventurieri, non ci resta che unire le forze e dividere il bottino!”- disse Anne continuando a mostrare loro i documenti che aveva recuperato e la grande carrozza nera che l’aveva portata fino a li’. Ricordava bene le sue piccole mani inguantate in strati di pizzo bianco.
I tre si guardarono, Porthos ed Aramis rimanevano titubanti, ma Athos presto li convinse: da quando erano stati dimessi come moschettieri, avevano dovuto vendere molti dei loro averi e le loro ricchezze si stavano ormai esaurendo. La vendita o la consegna di quegli incartamenti, specialmente presso la corte di Francia, avrebbe dato loro sufficiente fama e ricchezze per poter rientrare come membri influenti presso la corte reale.
Uno schema laterare che portavano avanti da diverso tempo, per recuperare i ranghi e le amicizie perse dallo scioglimento dei moschettieri.

Senza quella carrozza e l’aiuto della Contessa de Winter, non sarebbero mai riusciti a raggiungere Venezia.


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*Leonardo, disegno’ le prime carte militari “dall’alto”, le cartine altimetriche moderne (quelle che usiamo tutt’ora, con le pianure piu’ chiare e le montagne piu’ scure).
 
(1) Questa e’ una frase genuina che adoro citare. Si trova nella sottoriga di una pagina del Codice del Sole (una raccolta di appunti sparsi). Quello che da una decina d’anni mi affascina di questa quota (ed ha affascinato gli studiosi che me l’hanno fatta notare) e’ proprio l’umanita’: insomma abbiamo a che fare con uno dei piu’ eclettici geni del Rinascimento che si mette a scrivere della cena...
 
(2) Leonardo da Vinci ha disegnato diverse strutture architettoniche ad arco, alcune di queste erano problematiche, e lui cercava di presentare una sua soluzione originale.
In questo disegno che si trova a Parigi: http://www.davincisketches.com/viewimage.cfm?image=/Arch/Leo32.jpg
Alcuni studiosi hanno rivisto la chiesa di Santa Maria del Fiore a Firenze ed hanno fatto peso sulla serie di “archetti molto esili” che nel disegno, sono apparentemente completi su tutto il bordo della cupola. Mentre nella realta’ sono solo in uno dei sette lati. Dando ad intendere che il lavoro di Baccio d’Agnolo una volta finito, non sarebbe stato poi cosi’ malvagio come Michelangelo lo aveva fatto passare (Leonardo e Michelangelo si odiavano). Quegli archetti, cosi’ descritti come una “gabbia per grilli” e che in realta’ non furono mai completati per tante ragioni.
L’idea di fondo (che ho totalmente inventato solo per i miei fini narrativi) e’ quella che il disegno della scala del palazzo sia stato suggerito all’architetto da qualcuno affascinato a quel genere di esili grate o archetti (Leonardo, appunto).
  
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