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Autore: Aout    03/02/2013    4 recensioni
Daniel è un ragazzo come tanti.
Ha diciannove anni e frequenta il secondo anno di college, lavora per mantenersi e ama lamentarsi di qualunque cosa gli capiti sotto tiro. Vive una vita normale, anonima e noiosa e, anche se a tratti la trova seccante, diciamo che l’accetta così com’è.
Ecco… peccato che il mondo così tanto "normale" proprio non sia, peccato che di mostri inquietanti ce ne siano a bizzeffe, peccato che perfino lo stesso Daniel nasconda qualche piccolo e trascurabile segretuccio...
Ci siete?
Prendete tutti i personaggi che conoscete, tutte quelle creature soprannaturali che di vivere in pace proprio non ne vogliono sapere, prendete la sete di vendetta e pure una buona dose di calcolo strategico ed ecco che avrete la storia.
Che altro dire?
Vi aspetto ;)
(STORIA SOSPESA almeno fino a quest'estate, quando avrò il tempo di rivedere la trama, la piega che sta prendendo mi piace poco. Chiedo venia a chi mi stava seguendo, ma ritengo di non poter fare altrimenti)
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo 5
Perché scappare è perfettamente inutile

 
 
 
 
Qui troverete ancora qualche parolaccia qua e là, credo sia il modo più veritiero per esprimere tutta la frustrazione di un ragazzo del ventunesimo secolo…
Inoltre, sicuramente noterete anche come questo capitolo sia un po’ particolare, ma è (un bel “teoricamente” qui ce lo mettiamo) un effetto voluto, in quanto per rendere più efficace la narrazione dell’azione ho deciso di seguire il flusso dei pensieri di Daniel.
Ma vedrete da voi, per ora vi auguro semplicemente una buona lettura!

 
 
 
 Ero nel panico, nel panico più totale.
Da cosa lo capivo?
Dunque, innanzitutto c’erano le gambe: molli, tremanti e praticamente inutilizzabili.
Poi c’erano le mani, più o meno nella stessa situazione, appoggiate, anzi, aggrappate all’asfalto bagnato su cui mi ero lasciato cadere come un corpo morto poco prima.
Poi ancora c’era la vista, annebbiata da tutta quella pioggia che non la finiva più di cadere, ma più probabilmente anche da altro.
Mantelli e occhi rossi.
Mi balenavano davanti agli occhi, uno dietro l’altro, ancora e ancora.
Uno sguardo fugace all’asfalto davanti a me, poi ancora quelle figure cupe.
Uno stralcio dell’insegna del Caffè dall’altra parte della strada, e poi ancora quelle ombre.
Una rapidissima occhiata alla viuzza che stava giusto alla mia destra e poi ancora quelle tre stramaledettissime persone, persone?, che scivolavano aggraziate lungo una stretta strada asfaltata.
Quella stretta strada asfaltata.
Cazzo.
Quanti secondi erano passati? Pochi, pochissimi, eppure io ero già in piedi, più veloce di quanto mi sarei mai potuto aspettare. Ero lì, teso al massimo, a vagliare tutte le possibilità che mi restavano da scegliere, a riflettere su quale fosse la scappatoia, se mai esistesse, che mi avrebbe permesso di sfuggire a quell’incubo.
Avrei potuto, pensavo, correre verso il Caffè, giusto davanti a me, un posto molto facile da raggiungere. Che cosa mi diceva che quei cosi, no le persone gli occhi rossi proprio non li avevano, non mi avrebbero seguito anche all’interno? Beh, di quello avevo intenzione di preoccuparmi in seguito.
Stavo giusto movendo il primo passo in avanti, quando pensai che forse l’idea migliore sarebbe stata quella di darsela a gambe, punto e basta. Che non fossi un buon corridore era un’altra di quelle cose di cui al momento mi fregava poco.
Ma qualcosa lo dovevo fare per forza, sarebbe stato meglio tutto fuorché rimanere lì, immobile, tutto fuorché affrontare ciò che mi aspettava.
Fra l’altro, che cosa fosse esattamente “ciò che mi aspettava”, non lo sapevo. Che mai doveva succedere? Che cosa volevano quelli da me? E poi, ero veramente, veramente sicuro, al cento per cento, senza ombra di dubbio, che volessero me?
Deglutii. Disgraziatamente quella era l’unica cosa di cui fossi certo.
Per cui, in definitiva, dovevo muovermi, su questo io e me stesso eravamo piuttosto d’accordo.
Muovermi e non rimanere lì come uno stoccafisso cosa che, fra l’altro, proprio in quel momento stavo facendo!
Dannata la mia lentezza!
Quando li vidi, con la coda dell’occhio, capii immediatamente di essere fottuto, inequivocabilmente ed inesorabilmente fottuto.
Erano tre figure e stavano strisciando, anche se probabilmente non è giusta come definizione dato che parevano danzare sui rollerblade, proprio nella viuzza che gli avevo visto attraversare poco prima.
Cazzo, cazzo cazzo.
Non potevo nemmeno distinguerli bene a causa di tutta quella pioggia, solo quando si fermarono a una ventina di passi da me riuscii a vederli meglio. E “meglio” è un eufemismo dato che non riuscivo a capire nemmeno se fossero maschi o femmine, coperti com’erano da quei lunghissimi mantelli neri.
Non che il fatto fossero maschi o femmine avrebbe potuto o meno risollevarmi…
Sulla sinistra si stagliava, davanti a quel cielo scuro, la figura più alta e massiccia, così alta e così massiccia che pensai di mettermi in ginocchio e implorare pietà fin da subito, giusto per mettere immediatamente le cose in chiaro.
Sulla destra c’era invece una figura più slanciata, che avrebbe potuto perfino appartenere a una persona normale. E dico “avrebbe” perché quel modo di scivolare sull’asfalto poteva essere definito tutto fuorché normale.
A quella vista, ancora non mi ero messo a correre.
E ciò che me lo impediva non era affatto la paura paralizzante, che comunque c’era eccome, precisiamolo, quanto la considerazione che, se anche mi fossi mosso, comunque non sarei mai riuscito a sfuggirgli.
Tuttavia devo dire che contribuì in parte anche la figura centrale, che era, rispetto alle altre due piccola, piccolissima.
Un bambino? Pensai. E che male avrebbe mai potuto farmi un bambino?
Ecco, quello fu l’errore più grande: sperare, sperare che alla fine una possibile uscita dall’incubo ci fosse.
Ecco, sperare fu come tirarsi da solo la prima di tante, successive coltellate.
 
Solo dopo qualche secondo, durante il quale ci osservammo reciprocamente in silenzio, mi resi conto che forse sarebbe stato meglio ricominciare a respirare, giusto per non stramazzare a terra fin da subito
- Daniel Thompson?
Era stata la figura slanciata a parlare.
Non so esattamente per quale motivo, ma una piccola particina del mio cervello, quella che in quel momento non era evidentemente occupata a tenere tesi i nervi pronti allo scatto, registrò che quella voce, quasi sicuramente di un uomo, era una delle cose più belle che avessi mai sentito, quasi come un canto.
Avevo sprecato un intero secondo in quella considerazione idiota, un intero secondo lontano da quel lugubre paesaggio più che degno di un film dell’orrore, anche se magari di quart’ordine.
Solo dopo un po’ mi chiesi finalmente per quale motivo mi avesse chiesto il mio nome. Come faceva a conoscere il mio nome? E da quando i criminali/ mostri/ o qualunque altra cosa fossero, te ne chiedono conferma?
- Daniel Noah Thompson?
Ripeté ancora. Arrabbiato? Ansioso? Preoccupato?
Non avrei saputo dirlo.
Un secondo… preoccupato, forse di aver sbagliato persona?
- No. – Certo che quella sì, che era una risposta veramente stupida. Possibile che avesse mai potuto uscire dalla mia bocca? – No, non sono io.
Colosso si mise a ridere. O a grugnire, forse. Il grugnito più armonico che avessi mai sentito. Cavoli se mi faceva male lavorare in un negozio di musica…
Quello che vidi risplendere per un attimo sotto il cappuccio della figura slanciata fu invece un fugace sorriso. Un terrificante, inquietante fugace sorriso.
E poi mi fu davanti.
E quando dico “davanti”, intendo proprio davanti, il che era una cosa assolutamente impossibile considerando il fatto che neanche mezzo secondo prima era a venti passi da me.
L’unica cosa che potei fare a quel punto fu un inutile, leggerissimo passo indietro.
 
In quel momento, io e Sorriso-Malvagio, ci trovavamo sotto alla tettoia da cui, lo realizzai allora, in realtà non mi ero mai mosso.
- Non devi temerci, non abbiamo intenzione di farti alcun male. – disse lui, con una voce molto tranquilla, quasi mi stesse suggerendo una buona ricetta per i Brownies.
Non volevano farmi del male? Davvero? Oh, giusto, avevamo un appuntamento per il tè allora, ed io me l’ero completamente scordato? No perché, se era veramente così, che cominciassi almeno a mettere l’acqua sul fuoco…
Che pessimo sarcasmo,decisamente non degno di me, ma liberatorio almeno. Anche se, ovviamente, quelle battutine le pensai soltanto, non le dissi, non ero mica diventato scemo tutto d’un colpo.
Anzi ero lucido, lucidissimo e pure fottutamente terrorizzato, ribadiamolo, se non si era capito.
Il tizio, Sorriso-Malvagio, che evidentemente non attendeva alcuna risposta o segno di vita, decise improvvisamente di togliersi il cappuccio.
Lì, boccheggiai.
Perché lui era bellissimo, sul serio, ogni singolo essere senziente sulla terra l’avrebbe constato.
Veramente bellissimo, bellissimo e terribile allo stesso tempo.
Ma non fu la pelle bianca come l’avorio a terrorizzarmi, né i denti, affilati?, della stessa tonalità, appena scoperti da quel sorriso obliquo, benché le due cose contribuissero parecchio.
No, furono gli occhi. Occhi rossi come le fiamme, come il sangue, occhi perfino troppo rossi, come non ne avevo mai visti…
Un secondo… mai visti? Non erano quindi quelli della mia visione?
Non che la cosa importasse un gran che al momento, ben inteso, solo il fatto che fossero rossi significava che era finalmente giunto il momento di mettere in atto il mio magistrale piano di fuga.
Mossi un timido passo a sinistra, ma bastò una leggera occhiata scettica del  mio avversario per dissuadermi. Certo che ero veramente un coniglio però…
- Immagino sarai un po’ confuso…
Confuso? Chi, io? Ma figuriamoci, e perché mai dovrei essere confuso? Ci sono solo degli esseri spaventosi, dalla pelle diafana e dagli occhi rossi, che si muovo alla velocità della luce, cosa fra l’altro fisicamente impossibile, gli stessi di quelle allucinazioni che mi hanno tenuto sveglio e allarmato per tutta l’ultima settimana, che sono semplicemente venuti ad uccidermi. Confuso?
Ma se quella era una cosa così logica e normale!
D’accordo, con il sarcasmo dovevo proprio finirla. O gli rispondevo per le rime sul serio, o era meglio che si zittissero anche i miei pensieri.
- Demetri, muoviti. – disse una delle altre due figure, con un tono lento e particolarmente scocciato. Ipotizzai fosse la più piccola, vista la voce acuta, ma avrei anche potuto sbagliarmi. Oltretutto mi pareva perfino familiare...
 
Tuttavia Sorriso-Malvagio, che razza di nome era “Demetri”?, non si scompose e continuò.
- Daniel, – e dicendolo, sottolineò tutte quante le sillabe di quel nome, giusto per ribadire quanto fosse stato ridicolo il mio buffo tentativo di ingannarli, come non se non me ne rendessi conto perfettamente da solo, – so che ci hai visti arrivare, perciò preferiremmo rimandare i convenevoli a più tardi, se non ti dispiace, visto che già sai quanto basta.
No no, aspettate un attimo. Come io so? E che cosa esattamente dovrei sapere? Come fai a sapere tu, poi?
Le mie visioni… loro non… no, non poteva essere. Eppure… come potevano conoscerle?
Loro sapevano e addirittura le… sopravvalutavano?!
- Un uomo importante desidera conversare con te. – disse ancora, facendo un pericolosissimo passo in avanti – Ci ha chiesto di accompagnarti da lui.
Porca vacca, lurida e zoppa! Ed era un uomo normale o aveva anche lui la pelle bianca e gli occhi rossi?
Notai distrattamente che pure gli altri due, o almeno Colosso, che da solo riempiva buona parte del mio campo visivo, si stavano avvicinando.
Che mi rimaneva da fare?
-Scordatelo. – Ero veramente stato io a parlare? Io, quello che aveva iniziato a correre verso il Caffè?
Io, quello arrivato ad un palmo dalla porta?
 
Una corsa che durò appena qualche secondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: Una piccola sopresina per voi, capitolo pubblicato in anticipo! Contenti? (balla di fieno trasportata dal vento…)
Comunque, ho deciso di farlo per due motivi: innanzitutto il capitolo era già pronto da un po’ e non vedevo l’ora che qualcuno mi dicesse cosa ne pensava (non sapete quanto mi sia divertita a scriverlo!) in secondo luogo, visto che il mio computer mi sta facendo degli scherzetti molto divertenti negli ultimi giorni, manco fosse il primo d’aprile, tipo cancellare pagine e pagine di fanfiction, per il puro piacere di farlo, addirittura mentre le sto scrivendo, ho preferito pubblicare, ci manca solo che perda pure questo (qui ci starebbe bene un bel “ancora”, ma questa è un’ altra storia…).
Perciò, eccovi i Volturi! Che ve ne pare?
(prometto che poi diverranno più malvagi di così, non disperate…)
  
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