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Autore: yoshimoto    03/02/2013    0 recensioni
Sul mio piccolo quaderno rosa iniziai a buttare giù appunti su appunti, rispondendo a volte alle domande che la professoressa ci poneva.
«Richardson, mi dica.»
La professoressa ora aveva mosso il viso lungo e rugoso verso gli ultimi banchi.
Mi voltai curiosa. Un ragazzo con i capelli lunghi aveva alzato la mano, facendo sbattere con forza il suo bracciale borchiato sul banco.
«Ho una domanda.» parve alquanto scocciato.
La professoressa annuì, incitandolo a parlare.
«Io odio la scuola. Odio lei, odio questo posto. Perché dovrei ascoltare questa inutile lezione?»
Fu come se stesse parlando direttamente con me. Lo fissai, mentre cercava di avere un’aria strafottente, con gli occhi fuori dalle orbite. Nella mia mente sognai di essere io la professoressa e di poterlo mandare direttamente in un carcere per gli ignoranti. Un posto che avevo inventato io per le persone che non avevano rispetto per gli altri, né tanto meno per la cultura.
Ginnie Pywett te la farà pagare, Richardson.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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'Cause everybody hurts.
Take comfort in your friends

 

 

 

«Ginnie, tesoro, non è che andresti all'edicola qui vicino per prendere il mio quotidiano? Quel ragazzino che me lo consegna oggi non è passato, probabilmente oggi stesso andrò a lamentarmi con il suo datore di lavoro»mio padre irruppe in camera mia facendomi sobbalzare.
«Solitamente si usa bussare»risposi calma distogliendo lo sguardo dal libro davanti a me.
«Scusami, tesoro. È solo che sono stressato. Probabilmente quest'anno riceveremo sempre meno iscritti alla scuola»
Mi voltai verso di lui, che ora si era seduto sul mio letto con lo sguardo perso. Effettivamente era troppo preso da un sacco di problemi ultimamente.
«Solo questo?» mi sedetti accanto a lui aspettando che rispondesse.
Si alzò e si diresse verso la porta della mia stanza, esitando ad uscire. «Solo questo»
Non appena se ne fu andato mi stesi sul letto, fissando a lungo le lucine che avevo fatto installare sulla soffitta perchè avevo sempre avuto paura del buio, una paura incondizionata e, a volte, fastidiosa, specie quando dormivo a casa delle mie amiche. Mi ricordavano l'infanzia, la mamma e il papà che si stendevano accanto a me per raccontarmi la storia della Bella Addormentata, la mia preferita, e battibeccavano perché ognuno conosceva un finale diverso dall'altro. E mi faceva tenerezza quel ricordo così lontano.
Decisi, infine, di andare a comprare il giornale a mio padre, ovviamente non prima di aver sistemato per bene la mia stanza. La mia fissa per l'ordine era qualcosa di cui non potevo fare a meno.
Nonostante il giornalaio fosse a pochi isolati da casa mia, decisi di fare un giro per passare dal parco in cui conobbi Claire da piccolina. E il nostro più che un incontro fu uno scontro.
Mentre la mamma cercava di non farmi salire sugli scivoli che secondo lei erano pericolosi, una bambina cicciottella mi corse incontro e, forse non vedendomi, mi schiacciò sul pavimento. Ovviamente la mamma non potè fare a meno di essere arrabbiata e mi trascinò a casa medicando ogni mio piccolo graffio, nonostante le dicessi che non mi ero fatta male. Il giorno seguente, poi, sempre sotto l'osservazione vigile della mamma, rincontrai quella bambina. Lei mi si avvicinò e mi chiese scusa, ridendo del cerotto stupido che avevo sul ginocchio.
«E quello dove l'hai trovato?» pensavo mi stesse prendendo in giro sul serio, poi mi ricredetti quando anche lei mi fece vedere il suo imbarazzantissimo cerotto con i disegni di mostriciattoli verdi. E da lì fu subito una grande amicizia.
Solo che adesso gli scivoli erano diventati la casa dei drogati e delle coppiette felici, i bambini non c'erano più oramai e questo mi rendeva triste, e non poco.
Passai in rassegna ogni panchina per scorgere qualche viso conosciuto e magari fermarmi a parlarci, ma non trovando nessuno mi diressi finalmente all'edicola, incosciente di quello che mi sarebbe capitato di lì a poco.
 
 
Aspettavo che JJ si muovesse con quel suo furgone da quattro soldi così saremmo arrivati in tempo all'incontro con Jim, il tizio del negozio di dischi che ci aveva messo da parte due biglietti per gli Avenged Sevenfold. Se solo li avesse venduti a qualcun altro perché non avevamo rispettato l'orario stabilito avrei reso il mio migliore amico una femminuccia, poco ma sicuro.
Stavo aspettando da circa tre quarti d'ora davanti al bar vicino al parco del quartiere, camminando avanti e indietro, maledicendo ogni tanto la lunghezza dei miei capelli per il caldo che mi stavano provocando. La cameriera del bar uscì chiedendomi se volevo qualcosa. Al che non ci vidi più dalla domanda stupida che mi era appena stata posta.
«Non sono seduto al suo fottutissimo tavolo. Perché pensa che voglia qualcosa?»
Credo di averla intimorita così tanto da averle provocato il pianto. Facevo uno strano effetto alle ragazze, cavolo.
«JJ, dove cavolo sei?!» urlai esasperato dopo aver controllato per la millesima volta l'orologio sul cellulare.
«Vedo che dalle ragazze in nero passiamo agli uomini» fece una voce squillante dietro di me. Avrei voluto che non fosse proprio lei. Ma purtroppo per le mie aspettative, fu proprio la ragazza Potter a parlare.
«E tu? Da Hogwarts a Londra con furore?»
Fece una smorfia. «Se solo fosse vero ti farei scomparire con un movimento della bacchetta magica»
«Anche prestigiatrici! Potter, sei veramente uno spasso, sai? Ma ora avrei da fare e tu dovresti sgomberare»
«Aspetta, qui c'è scritto Bow St. e non Richardson St.» esclamò beffarda «Non vedo perché io non possa stare qui, non l'hai mica comprata la strada»
«Era meglio sentirti dire quelle paroline quella sera alla festa» ammiccai «Aspetta, cosa dicesti? Ah, si: maledetto lurido verme…»
«Non è vero»
«Usasti termini peggiori? Giusto, giusto…»
Sbuffò pesantemente e si diresse nella direzione opposta alla mia, credo si fermò all'edicola lì vicino. Scossi il capo, vedendola allontanarsi nel suo vestitino rosa e le ballerine che la rendevano quasi una bambina.
Ma che voleva quella tizia? Non l'avevo mai calcolata, non le avevo mai rivolto la parola prima di  quel pomeriggio in biblioteca e, quando lo feci, fu per prenderla in giro. Di certo non mi sarei mai aspettato che una tipa "confettino" come lei fosse così acida e puntigliosa. Dava quasi voglia di prenderla a pugni. Non mi interessava che fosse una donna, dava sui nervi in una maniera impressionante. E poi sbucava quando meno me l'aspettavo, il che ci riporta alla mia teoria: era una ragazza viziata e montata eppur carina e intelligente. Era la contrapposizione fatta persona.
 
 
La mia furia fu eliminata del tutto quando George, l'edicolante, mi sorrise gentile come al solito.
«Il solito?» esclamò allegro.
«E aggiungici il quotidiano per papà» ricambiai il sorriso.
«Oh, è da tanto che non vedo il tuo vecchio! Come sta?»
Cominciammo un lungo discorso riguardante la mia famiglia e poi, purtroppo, mi toccò tornare a casa. Adoravo quell'anziano signore, era sempre disposto ad ascoltarti e consigliarti. Era il nonno del quartiere, conosceva tutto e tutti e non si faceva scappare nessun gossip. E faceva bene, secondo me: a quell'età è meglio trovarsi qualcosa di divertente da fare!
Mentre i miei occhi cadevano in un negozio di abbigliamento lì accanto, la suoneria del cellulare fece capolino dalla mia borsa da Mary Poppins.
«Ginevra!» la voce disperata della nonna.
«Giselle? Che succede?» aveva fatto agitare anche me.
«Vogliono portarmi via, aiutami, ho bisogno di un'am-»
Tu-tu-tu. La chiamata era terminata. Salì un'ansia incredibile in me. Provai a chiamare mamma e papà, ma non rispondevano, così tornai di corsa a casa. Cosa stava succedendo?
Purtroppo dimenticai anche le chiavi e rimasi fuori sui gradini cercando di non crollare emotivamente. Piangere avrebbe peggiorato il vuoto che si stava creando nel mio stomaco.
Chiusi gli occhi e poggiai la testa alla porta dietro di me, respirando profondamente per calmarmi.
Pochi minuti dopo, quando riaprii gli occhi, una testa bionda mi scrutava spaventata.
«Oddio, Gin, sei viva!» esclamò Claire portandosi sollevata una mano sul cuore. Claire? Claire!? A casa mia? Oh, santo cielo! Non avrebbe dovuto trovarmi lì, avrebbe scoperto il nostro segreto!
«Oh, si» pensai in un attimo ad una scusa plausibile per non farla insospettire «Ero stanca e mi sono appoggiata casualmente su questi gradini, sarà il caldo» Il caldo a Londra, Gin? Ne sei proprio certa?
«Sicura di stare bene?» mi scrutò ancora, aiutandomi ad alzarmi «Dai, ti accompagno a casa»
Sussultai. «No!»
«Perché no?»
Tacqui, non avevo scuse in mente.
«Andiamo al bar, ti offro qualcosa e ne parliamo, ok? Non sei solo stanca» disse infine, non smettendo mai di guardarmi di sottecchi.
Mi lasciai trascinare, sperando che non mi chiedesse ancora qualcosa riguardo la mia casa.
 
 
Ora era un'ora e un quarto che aspettavo quello stupido di JJ. Non era possibile far aspettare i biglietti degli Avenged Sevenfold!
Scoprii di avere qualche spicciolo nella tasca anteriore dei jeans e decisi di entrare nel bar, notando che la cameriera aveva iniziato a confabulare con il cassiere indicandomi. Avevo fatto colpo? Beh, in realtà credo solo di aver fatto il gradasso per l'ennesima volta. Non avrei mai trovato una ragazza come Fitz che, ora che ci pensavo, non mi aveva più parlato o salutato per strada. Probabilmente si era stancata delle improvvise interruzioni quando era con me. Peccato che la colpa non fosse mia, ma della ragazza che ora stava entrando a braccetto con una sua amica, la ragazza più sexy della scuola. Presero posto non lontane da me. Per fortuna non mi videro, probabilmente la ricciolina avrebbe cominciato a gridare come una malata alla mia vista. Scorsi il suo viso triste e la sua amica che le carezzava la mano preoccupata. Provai ad ascoltare il loro discorso, ma ne ricavai solo farsi spezzate per via della stupida musica commerciale che davano alla radio nel locale.
L'uomo alla cassa si materializzò davanti a me a mani conserte, con aria severa.
«Smettila di fissare le mie clienti. Se sei uno stalker o un maniaco ti chiedo di andartene. Se sei seduto al mio "fottutissimo" tavolo solo per fare cose ignobili va via»
Risi alle sue affermazioni insensate, mettendomi una mano davanti alla bocca per non farmi scoprire dalle due. Poi cercai nella tasca ed uscii tre dollari che porsi all'uomo.
«In realtà vorrei solo una coca»
Detto questo l'uomo se ne andò con la testa bassa, forse pentito per aver fatto una brutta figura con un "innocente ragazzo" che voleva solo una coca-cola.
Mi concentrai ancora verso le ragazze.
«Giselle… male. Solo che non so cosa le stia succedendo» disse Potter.
«…i tuoi? Cioè e se ne parlassi? …probabilmente si, è solo stanca»
«Anche io sono stanca della vita. Della mia vita» questa frase mi arrivò diretta e mi colpì immediatamente.
Fu come se mi fosse entrata nel cuore e non so cosa.
No, non parlo di amore, Rich non pensa a queste cretinate. Solo che, in un certo senso, anche io ero del suo stesso parere.  A volte anch'io ero stanco della mia vita. Mi rifugiavo nella musica e a volte mi ci perdevo per ore ed ore, finchè il piccolo Tim non mi chiedeva di fargli compagnia e lì mi dicevo che in fondo il mondo non era così brutto e che c'era qualcuno che meritava cose migliori più di me.
E credo che, quella volta, quella strana tizia mi aveva colto alla sprovvista, diversamente dal solito però. Anche se inconsciamente, mi aveva ricordato di non essere solo al mondo.
  
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