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Autore: OttoNoveTre    03/02/2013    3 recensioni
- Sai quanto tempo ci hanno messo a costruire le cattedrali?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
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Il tempo delle cattedrali


Nessuno obbedisce di malavoglia se viene obbligato a mangiare o a vivere.
(Petronio)


Sullo schermo delle partenze, accanto al volo “Londra-Milano”, sparì la scritta “DELAYED” per essere sostituita da un cupo “CANCELLED”.
I passeggeri tutti intorno a lui cominciarono a inveire contro la neve e contro la compagnia aerea; chi stava zitto gli faceva ronzare in testa pensieri che andavano dallo scocciato al rassegnato.
Edward si chiese se Alice avesse previsto la tormenta che lo avrebbe bloccato a Londra, almeno per quella notte.
Si issò la sacca in spalla e andò verso il banco informazioni. Gli stralci di pensieri altrui che gli affollavano la mente non facevano che peggiorare il suo umore. Era ancora certo che tutto il blaterare di Alice sulla negatività, le aure e il chakra fosse una stupidaggine, ma le nuvole sopra l’aeroporto non sembravano cariche solo di neve.
Edward si concentrò per eludere il pensiero insistente dell’uomo in fila davanti a lui, un vialetto da spalare e delle catene da montare alle ruote. Poteva quasi sentire il fastidio della neve che infradiciava i pantaloni, quando il suo senso dell’olfatto spedì la lettura del pensiero a fare un pisolino: c’era un altro vampiro dentro l’aeroporto.
Si guardò attorno alla ricerca della scia, cercando di non sembrare un cane che fiuta la preda (l’ultima cosa che voleva in quel momento era assomigliare a un cane), finché l’odore divenne più forte alla sua sinistra. Edward si tolse la sacca dalla spalla per liberarsi la visuale.
E figuriamoci quando arriva il rimborso del biglietto! … Chiamare casa… Chissà quando riesco a farmi una doccia con questi tempi… Addio partita…
Un altro?
Eccola.
Era una ragazza bassina, con una treccia di capelli scuri adagiata sulla spalla. Aveva una lunga mantella di lana e, come bagaglio, una borsa a tracolla e una custodia di violino. Gli sorrise, agitando una mano guantata: anche lei lo aveva fiutato.
Bonsoir, cheveux roux.
Il tempo di finire il pensiero e la ragazza era di fronte a lui.
«A quanto pare oggi non è il giorno fortunato di nessuno dei due.»
Parlava con un lieve accento francese, per capriccio e non perché non lo potesse mascherare. E per fortuna aveva gli occhi di un bel castano dorato.
Edward stiracchiò la bocca in un sorriso. «Non sai quanto.»
«C’era qualcuno che ti aspettava?» oh no, no, no, stupida, domanda sbagliatissima! Guarda che colore. Cambia argomento, subito. Il pensiero passò dalla testa della ragazza alla sua come un fiume in piena, tanto che Edward si chiese fino a che punto la sua faccia facesse trasparire l’umore nero.
«Attenzione,» risuonò la voce di una hostess, amplificata nell’ambiente «per avverse condizioni atmosferiche, tutti i voli diretti verso Milano Malpensa e Linate sono sospesi. Ci scusiamo con i passeggeri per il disagio.»
Edward desiderò ardentemente di trovarsi in un posto meno affollato, perché lo investì un’ondata di frustrazione devastante. La ragazza si guardò attorno con un’aria allarmata, gli afferrò il polso e lo trascinò fuori dall’aeroporto, sul marciapiede oltre le porte a vetri.
Male, malissimo, quanto nero. «Tanto sarebbe stato inutile stare là, che ne dici se…»
«Aspetta, fermati.»
Troppo veloce? La ragazza lo guardava in attesa di una sua reazione.
«Senti» continuò Edward «non dovresti stare con me, non ci conosciamo.»
«Non ti preoccupare, so che non hai cattive intenzioni. Sei solo…» disperato «molto triste. Sai, io vedo le aure.»
Edward non poté fare a meno di sogghignare. «È un nuovo metodo di imbrocco?»
Oh, mon dieu. La ragazza si guardò attorno, ma nessuno faceva caso a loro due. «Tu, come tutti, sei circondato da un alone colorato, che cambia a seconda del tuo umore. Adesso è giallo, ti ho incuriosito.» E tu sai fare qualcosa che non mi hai detto?
«Mio fratello ha un potere del genere, manipola le emozioni.»
«Io posso solo vederle. Per cambiarle posso provare a parlare.»
«Ammetto che la cosa ti riesce molto bene.» disse Edward con un sorriso sarcastico. La ragazza ridacchiò.
 «Quindi hai un fratello? E c’è solo lui o hai un clan?»
Edward sospirò. «Se la smetti di stritolarmi il polso, posso anche rispondere.»
La ragazza guardò verso la sua mano, che ancora stringeva la manica del giubbotto di Edward. Invece che mollarlo, sorrise.
«Ho un’idea migliore. Vieni!» Con uno strattone se lo tirò dietro vero l’entrata della metropolitana. Edward si chiese di che colore fosse un’aura di sconcerto. Nella testa della ragazza c’era una girandola di idee… francesi. Nous pouvons obtenir deux billets? Mais bien sûr, oui. «S'il te plaît… il tuo nome?»
«Edward. Ma che…» lei lo zittì con gesto della mano.
«S'il te plaît, Edouard, aspettami qui.»
Gli mollò la tracolla ai piedi e si mise in fila alla biglietteria. Tornò una decina di minuti dopo con due biglietti.
«Quelle chance, Edouard, andiamo!» la ragazza si rimise la tracolla in spalla, strinse al petto la custodia del violino e gli afferrò di nuovo la manica del cappotto. Uno strattone e ripresero a zigzagare in mezzo alla folla della metropolitana «Dobbiamo arrivare in fretta a Saint Pancras, abbiamo una coincidenza.»
«Aspetta, ehi!» Edward si fermò e fece resistenza contro il braccio di lei che lo spingeva dentro un vagone della metro. «Quale coincidenza?»
«L’unica che esiste, quella del treno. Allons, Edouard, ti porto a Parisci fai perdere il treno, sciocco! Perché non mi segui?
«Forse perché non so nemmeno come ti chiami?» Edward si morse la lingua un attimo troppo tardi. La ragazza sorrise. Allora mi nascondevi qualcosa, roux.
«Io…» tentò Edward.
«Sai quando avrai tempo di spiegarmi tutto?» di nuovo la mano che lo zittiva con un gesto. «Quando saremo nel nostro scompartimento, diretti a Parigi. Da lì, basta che tu prenda la coincidenza per… ovunque tu debba andare. E, se il problema è il nome,» la mano guantata strinse quella di Edward «io sono Céline.»

***

Sì era una nomade (“vagabonda!”), sì viaggiava da sola, sì era francese, sì era vegetariana (“ma prendo il sangue dai macelli, pas comme vous autres Américains…”) e aveva un flusso continuo di pensieri che si completavano nelle sue frasi, tornavano parole non dette, sterzavano per guardare i fiocchi di neve fuori dal finestrino, si posavano di nuovo sugli occhi di Edward.
In qualche modo, il suo potere delle aure era una specie di macchina della verità e lei, nel porre le domande giuste, era più implacabile dell’ispettore Poirot: gli aveva estorto anche tutto ciò che lui non aveva detto. “Che sei reduce da una triste storia d’amore, quello ce l’hai scritto in faccia.” Dopo quella osservaione Céline captò un’aura nera come la pece, e l’argomento non fu più affrontato.
«…però sappi che mi ritengo profondamente offesa come francese e come vampira dal fatto che tu non abbia visitato mai nulla della Francia oltre che Parigi. Domani guardiamo quali treni vanno a Reims! O anche Amiens andrebbe bene.»
«Non so se…»
«O Rouen, preferisci Rouen?» nella tasca del sedile Céline aveva trovato una rivista turistica della Francia, e l’aveva aperta sull’articolo “Tracce di architettura gotica”.
«Magari un’altra volta.»
Céline alzò gli occhi dalla rivista e si mise a fissare un punto poco sopra l’attaccatura dei suoi capelli. «Stai mentendo.»
«Si chiama rifiutare con gentilezza. Non sono dell’umore giusto per fare il turista.»
«Oh, non! Noi non faremo i turisti. Poi hai detto che non c’è nessuno che ti aspetta.» scrutò di nuovo il punto sopra i capelli. «Mentivi di nuovo.» e come prima, non c’era nessun punto di domanda alla fine della frase. «Stai andando in Italia e non ti hanno convocato loro.»
«E anche se fosse?» Edward lo disse in un tono più aggressivo di come aveva preventivato.
Céline non se la prese; si limitò ad aprire la rivista e rimettersi a leggere.
«I guai hanno di comodo che arrivano anche se non te li vai a cercare.» disse, sfogliando l’articolo sulle cattedrali gotiche.
La Renza Tramaglina di Francia non parlò più per la mezz’ora successiva; per la sua mente passava solo una sonata per violino (Edward era quasi sicuro che si trattasse di Corelli).
«Senti» proruppe di nuovo Céline, «non mi va che tu te ne vada in Italia così, con una borsa e una decisione avventata. Ti comporti come un adolescente. Insomma, ho capito che non puoi vivere senza di lei eccetera, però…»
«Fosse solo quello.» Edward guardò i fiocchi di neve che si appiccicavano al finestrino. «Credi di non poter più vivere senza di lei. Ma poi ti arriva un pensiero ancora più crudele: lei vive benissimo senza di te. È questo che proprio non riesco a spiegarmi.»
«Que tu es mélodramatique!» 
Che fosse per l’aura o l’occhiataccia che le aveva lanciato, Céline addolcì il tono: «Va bene, scusa, dovevi amarla molto. Però anche tu vivi benissimo senza di lei, per il semplice fatto che non sei morto.» Ci pensò su un istante. «Sì insomma, cammini e parli e fai tutto quello che uno vivo fa. Écoute-moi, Edouard, solo uno sciocco si presenta dai ai Volturi senza aver visto Reims o Amiens o Rouen. Aro ti leggerà nel pensiero e si dispererà: uno cerca guai e si è pure rifiutato di vedere le cattedrali francesi!»
«Non mi aiuta parlare di Aro.»
«Mais alors!» Céline parlò talmente forte che qualche passeggero si girò verso di loro. «Non vuoi nemmeno pensarci, questa da noi non si chiama decisione ponderata!» e i suoi pensieri chiarirono come chiamassero in Francia quella particolare decisione.
«Céline, va bene, smettila di urlare.» bisbigliò Edward con la voce più calma possibile. Fece un cenno di scuse alla persone che avevano di fianco. La ragazza lo stava ancora fissando. Allora?
Edward sospirò. «Quante cattedrali devo vedere esattamente prima di potermi presentare al cospetto dei Volturi?»
La ragazza distese la bocca in un sorriso di vittoria: «Quante più possibile, ovvio.»
Edward girò la rivista dalla sua parte e si mise a leggere l’articolo, che si apriva con una grande foto del “labirinto di Chartres”.
Céline, ottenuta la sua vittoria, era tornata a pensare alle sonate per violino. Guardandola da sopra la rivista, Edward pensò che era come se convivessero in lei un lato vulcanico, che non poteva stare senza far nulla per più di dieci secondi, e uno riflessivo, che adesso gli stava scrutando le dita di una mano come nascondessero la mappa di un tesoro.
«Hai delle dita da pianista.»
«Lo sono.» rispose Edward. Sentì una fitta di nostalgia a pensare al pianoforte nero in camera sua. Forse Rosalie lo suonava, qualche volta.
«Vraiment?» Céline gli strinse la mano fra le sue, stritolando le stesse dita da pianista che aveva contemplato con tanto amore. «Allora le cattedrali possono aspettare, questa notte ti porto a Paris.»
«Stai già spostando i paletti del nostro accordo.»
«Mais non, Edouard! Intanto possiamo partire da Nôtre Dame, poi dobbiamo procurarti un pianoforte alla tua altezza.»
«Qualche idea?»
Casa mia.

***

Per essere una nomade, Céline non se la cavava male: possedeva una grande villa di inzio secolo, situata in una via tranquilla del centro di Parigi. E lui si era fatto convincere a seguirla fino a casa. Nei pensieri della ragazza non c’era traccia di malizia, pensava a ciclo a se stessa che suonava il violino e a cosa avrebbe potuto suonare Edward assieme a lei. E che forse aveva ancora in frigorifero delle tasche di sangue, se maître Alain si era deciso a rinnovare le loro scorte durante la sua assenza.
«Alain?»
«Oh.» ecco, forse questo era da dire prima. «È il vampiro che mi ha creato. La casa in realtà è sua, ma ha sempre avuto pietà di me come se ne avrebbe di un cagnolino smarrito, quindi mi ha dato una copia delle chiavi.»
Céline gli diede la spalle per aprire la grossa serratura di ottone. Edward fissò la nuca bruna in cerca di altri indizi su questo Alain: vi trovò un affetto immenso e la visione fugace di un viso affilato contornato da capelli biondi. Céline stava ancora litigando con la serratura quando il proprietario del viso aprì la porta.
«Céline, je t’ai dit mille fois Tire la porte et tourne à droite à trois reprises.»
«Alain, tu es ici! C’est Edouard Cullen.»
Tra i pensieri dell’uomo era sbucato il volto di Carlisle, ma Edward non gli chiese nulla ad alta voce mentre si stringevano la mano.
«Adesso però andiamo di sopra che ho fame. Alain, dici che abbiamo ancora il sangue di cinghiale? Dopo i viaggi rimane la cosa migliore da bere!» Céline aveva preso entrambi sottobraccio ed era entrata in casa. «Voi mettetevi comodi che io preparo e porto in tavola.»
La casa era arredata con un gusto squisito, che si concedeva qualche tocco dandy. Il tappeto e i mobili erano di almeno un secolo prima, alle pareti erano esposte icone bizantine accanto a fotografie d’avanguardia, il tutto fuso nella personalità del proprietario, che era forse il pezzo di arredamento fondamentale.
Dal vivo, Edward notò gli occhi rosso rubino e l’espressione decadente del volto. La sua era una bellezza completa da trentenne, la stessa che Edward invidiava a Carlisle o a Esme, e i suoi pensieri erano sotto controllo, come quelli di chi convive con la sua mente da molti secoli. Ci intravide il profilo di una cassa armonica, una colla speciale e la leggera preoccupazione che una viola si asciugasse male perché era stata completata in fretta, prima di andare ad aprire la porta.
«Tu sei il figlio di Carlisle.» anche Alain aveva l’abitudine di non mettere punti interrogativi a fine frase. «Ho conosciuto tuo padre a Volterra qualche secolo fa, la mia amante ci teneva molto a mostrarmi lo strano inglese che si nutriva di animali. Penso spesso a lui quando vedo Céline e i suoi occhi gialli. Sta ancora provando a convincermi che il sangue di cinghiale, diluito con un po’ di vino rosso, avrebbe quasi lo stesso sapore del sangue umano. Che ci posso fare, è venuta su così.
»
«Ha un carattere molto vivace.»
«L’ho trovata in un circo, immagino che le stramberie le avessero già dato alla testa.» Alain lo disse con un mezzo sorriso, nella sua testa era comparsa l’immagine di una ragazzina vestita con capi scombinatissimi, che suonava il violino fuori da un tendone colorato. «Da umana era cieca, la tenevano all’ingresso per commuovere le persone e vendere qualche biglietto in più. Credo le avessero insegnato a suonare il violino perché potesse almeno ripagare il suo mantenimento, fatto sta che è stato così che l’ho notata e ho deciso di tenerla con me. Io sono un liutaio e un vampiro, so che i miei strumenti sono eccezionali. Uno l’ho regalato alla mia amante, uno al nostro signore, uno è quello che Céline si porta in giro.» Alain sospirò con fare melodrammatico «Cette fille! Gliel’avrò spiegato mille volte che se lo porta in giro come una borsetta prende umidità.»
«Céline era cieca?»
«Ipovedente, per la precisione. Il veleno guarì anche i suoi nervi ottici. Da allora ha quest’ansia di vedere che non le si toglie di dosso. Quando si è risvegliata pareva impazzita, e dovresti vedere come ha conciato camera sua, quasi non si riesce a passare da tante cose ci ha accumulato. Céline, scimmietta, stavamo parlando di te e di come sia tipico della tua confusione mentale girare per tutta la casa senza toglierti le scarpe infangate…»
La ragazza, ricomparsa con un vassoio, guardò con aria colpevole le impronte che aveva lasciato sul tappeto. Che figura! Tornò verso la porta da cui era entrata, facendo il doppio dei danni, e si tolse gli stivaletti. Trotterellò verso il tavolo, porse ad Alain un bicchiere colmo di liquido rosso cupo, a lei a e ad Edward mise davanti due tazze con un liquido leggermente più chiaro.
«Alain non mi crede, ma il sangue di cinghiale mischiato al vino rosso è praticamente sangue umano.»
Visto? Alain gli fece un cenno di intesa prima di bere. Buona fortuna.
Edward assaggiò il sangue nella tazza: terribile. Era riscaldato artificialmente e il vino era del tutto estraneo al resto del nutrimento.
«Beh?» Céline aveva finito il suo in due sorsi.
«Come dire, è… particolare?»
«Hai trovato un vero gentiluomo, scimmietta! Ci vuole del fegato per non sputare subito quell’intruglio.» Alain prese il mento di Céline tra le dita e le diede un bacio tra i capelli. Forse per colpa del sangue allungato, Edward sentì qualcosa che gli ribolliva nello stomaco.
«Edouard, tutto bene? Sei verde.» Invidia?
«S-sì, non è nulla.» Edward si nascose dietro la sua tazza. «Il mio stomaco di americano non regge molto bene i vini francesi, si vede che…»
«Tranquillo,» lo interruppe Céline, «possiamo andare a caccia, tra una cattedrale e l’altra. Vedi, Alain, Edouard è in fuga verso l’Italia a causa del suo povero cuore infranto. Io sto colmando le sue ingiustificabili lacune culturali mentre decide cosa vuole fare della sua vita. Domani abbiamo un treno per Reims, dico bene?»
Alain sorrise come chi ha capito tutto: «Un mio amico di Volterra direbbe che non ha molto senso andare incontro alla morte, tanto è l’unica che viene a cercarti lo stesso prima o poi.»
Evidentemente, per i vampiri andare in Italia poteva significare una sola cosa.
«In ogni caso,» proseguì Alain, «sai cosa non puoi perderti per nulla al mondo, prima di morire? Céline che suona.»
La ragazza fece spallucce come a dire “niente di speciale, in realtà”, ma si era già alzata per correre fuori dalla stanza e tornare con il violino.
«Ho anche un piano, Edward, ne vuoi approfittare?» Alain gli indicò con un gesto teatrale un maestoso pianoforte a coda.
«Veramente non so se…»
«Oh, sì!» Céline aveva smesso di suonare e lo guardava con occhi imploranti. «Edouard, suona con me!»
Non gli rimase altra scelta che lasciarsi afferrare il polso, di nuovo. Céline scoprì i tasti, protetti da una striscia di velluto verde. Edward provò una scala a caso: l’accordatura era perfetta. Céline gli aveva già messo uno spartito sul leggio.
«La numero 8 di Beethoven?»
Il sorriso di Céline gli rispose Allegro assai. La ragazza aveva tirato fuori dalla custodia un bel violino di legno chiaro ed era pronta, archetto sopra le corde, per l’attacco.
Dopo qualche pagina, Edward era in grado di suonare senza nemmeno guardare lo spartito. Si chiese da quanto suonava sempre da solo, perché era allo stesso tempo difficile e divertente stare dietro al violino, che faceva strada nei diversi movimenti. Céline aveva un modo buffo di inclinare la testa e teneva il violino troppo indietro sulla spalla. Al contrario di tanti musicisti, che serravano gli occhi per concentrarsi, lei li teneva aperti. Chissà se tentava di vedere anche la musica.

***

Céline si sporse oltre la linea nera sul pavimento, a guardare il fiore al centro del labirinto. Aveva già il piede sollevato per arrivare nel centro quando Edward la fermò con uno scappellotto sulla testa: aveva arrotolato la brochure informativa della cattedrale di Chartres e l’aveva usato come manganello.
«No no, segui il percorso giusto. Tu tendi sempre a vedere le cose troppo facili.»
Céline sbuffò: «Questo coso è contorto come il tuo cervello. Guarda, sei quasi arrivato e ti obbliga ad allontanarti!»
«Avanti, avanti.» Edward la spinse gentilmente sulla strada tortuosa incisa sul pavimento della navata. «È una metafora della vita: sei a un soffio dal tuo obiettivo, ci giri tutto attorno ma lui rimane irraggiungibile.»
Céline proseguiva a gambero per poterlo guardare mentre parlava. L'histoire d'amour tragique: acte deuxième, commentò in diretta.
«Dì al tuo cervellino che non ho più affrontato l’argomento da Reims.»
Pardon.
«Allora, adesso zitta e senti un po’ quello che ho scoperto dalla guida che mi hai voluto far comprare.»
Quindi sei capace di una reazione? Bravo il mio rosso! «Sono tutta orecchi.»
«Adesso, il destino ci ha fatto allontanare dal nostro obiettivo, proprio a un soffio dalla conquista. Però noi non ci siamo arresi, quindi anche se vaghiamo sempre più verso i bordi del labirinto andiamo avanti. Gira che ti rigira, siamo lontanissimi, sul bordo esterno. E allora, miracolo!, proprio quando eravamo nel punto che ci sembrava il più lontano troviamo la strada per arrivare al centro.» Céline alzò le braccia in segno di trionfo: avevano entrambi i piedi dentro il fiore centrale del labirinto. Rubò di mano a Edward la brochure arrotolata e ricambiò il colpo in testa.
«E come la interpretiamo questa nuova saggezza acquisita, Edouard?»
«Per esempio, che a Londra mi pareva di avere ancora solo un passo minuscolo da fare, poi mi sono trovato davanti a una barriera insormontabile e rumorosa. Adesso sono qui.» scavalcò i limiti neri del labirinto e si mise nel punto più distante dal centro.
«No, sbagliato, adesso secondo me sei qua.» Céline lo spostò, sempre sul bordo più esterno, nel punto dove nessuna barriera lo separava dal centro. «La domanda è: che cosa vuoi trovare alla meta?»
«Domanda trabocchetto?»
«Io sono indecisa tra una zebra e una collezione di farfalle. Però anche una sciarpa nuova non sarebbe male.»
«Ma smettila.»
«Dai, sul serio. Tu che cosa ci vedi in mezzo?»
Edward alzò lo sguardo sul labirinto: dalla luce del rosone prese forma pian piano una figura, nel centro del fiore di Chartres. Vestita con quella gonna color kaki che faceva rabbrividire Alice, i capelli tirati con i suoi gesti timidi dietro l’orecchio.
«Bella…»
Mon Dieu. «Ah quindi si chiama Belle? E Belle sia! Guarda, si è girata da questa parte. Ahem… Edward» il ragazzo trasalì per lo stupore di sentire il suo nome pronunciato come al solito. Céline aveva alzato la voce di un tono: «Ho capito che ti amo, ma amo di più lui, quindi ti amo di meno… al quaranta per cento.»
«Céline!»
«Aha, quindi avevo visto bene: non solo lasciato, ma lasciato per un altro.»
Un sacrestano passò loro accanto e li zittì con un’occhiataccia. Céline non si fermò per una quisquilia del genere: «E se guardi bene accanto a lei, c’è il suo attuale moroso che sorride verso di noi e ci fa il dito medio. Credo che sia per te.»
Da un lato Edward avrebbe voluto mandarla a quel paese e piantarla in mezzo alla sua cattedrale francese, dall’altra era ipnotizzato dalla faccia di bronzo con cui Céline lo stava guardando.
«Adesso sei rosso di rabbia.»
Edward si passò le mani fra i capelli e sospirò talmente forte da far rimbombare l’aria.
«Non dovresti dire queste cose.»
«Se ti dà fastidio, perché non gli hai tirato un pugno in sul muso a quell’altro?»
«Perché lei aveva fatto una scelta. Non potevo obbligarla ad amarmi.»
Questa volta fu lei a sospirare.
«Senti, mi dispiace. Ho esagerato, non sono stata proprio una signora a descrivere così la situazione. Però quella è. Tu, rispetto a Belle» lo portò di nuovo al punto in cui il labirinto era vicinissimo al fiore, ma aveva in mezzo la barriera «sei qua. Adesso, da questo punto sono due le cose che puoi fare: la prima è che vai a sbattere contro il muro e ci sbatti finché non ti fracassi la testa, perché ti sei incaponito che lì al centro c’è solo lei. Molti, anche se questo labirinto è solo un gioco, arrivati a questo punto si arrendono e smettono di proseguire. In quanto alla seconda,» Céline gli appoggiò le mani sulle spalle e lo girò nella direzione in cui il percorso proseguiva, «non so te, ma io voglio sapere dove finisce una strada, soprattutto se sono solo all’inizio. Sai quanto tempo ci hanno messo a costruire le cattedrali?»
Edward la spostò per far passare due bambine che percorrevano il labirinto, poi rispose: «Loro avevano un progetto. Se rimaniamo sulla tua metafora, io ho delle fondamenta crollate.»
«Chartres è crollata per un incendio e ne hanno approfittato per rifarla ancora più bella. Mi spiace, con le metafore vinco io.»
Edward scosse la testa in segno di resa. Le bambine avevano superato tutti i giri tortuosi ed erano arrivate nel fiore al centro. L’immagine di Bella era sempre lì, accanto alle bambine che festeggiavano il traguardo. La scacciò con un gesto della mano: adesso alla fine del labirinto c’era solo la luce del rosone. Forse poteva fare un tentativo.
«Allora, adesso dove siamo diretti?»
Blu. Hai voltato la testa nella direzione giusta. Céline rimuginò un attimo, poi si illuminò: «Ti piacciono le cose esoteriche? Scommetto che non sai cosa si nasconde nella colonna portante di Rennes-le-Château!»

***

«Ormai sei diventato un appassionato!»
«Sono qui in Europa, perché non approfittarne? E grazie per avermi concesso l’uso dell’auto.»
E non mi nascondi nulla? Stiamo andando in Italia…
«Tranquilla, per ora non ho voglia di fare la mia chiacchierata con Aro.»
Edward cambiò la marcia e prese un rettilineo ai 100 chilometri orari. Infilò a pennello la curva successiva e si inebriò dell’aria che gli scompigliava i capelli.
«Dovevi dirmi che avevo rapito un rampollo di miliardari, Edouard, avrei chiesto un riscatto molto prima.» commentò Céline, al suo fianco sulla decapottabile grigio ghiaccio che Edward aveva scelto il giorno prima. «E continuo a preferire il treno.»
«Solo perché non capisci il piacere della guida.»
«Se lo capisci tu, a me va bene.» Avevo ragione.
«Ragione su cosa, mia rumorosa compagna di viaggio?»
«Stai ricominciando a decidere di fare cose che ti rendono contento.» La terapia d’urto sta funzionando.
«Ancora un pensiero e ti abbandono in mezzo al bosco.»
«E va bene, musone. Per distrarmi posso accendere la radio?»
Edward fece un cenno col capo e continuò a guardare la strada alpina di fronte a sé. Céline trafficò con i pulsanti fino a quando non captò una stazione radio italiana. Un pianoforte aveva appena concluso l’intro di una canzone, e una voce maschile cominciò a cantare:

E adesso andate via voglio restare solo
con la malinconia volare nel suo cielo
non chiesi mai chi eri perché scegliesti me 
me che fino a ieri credevo fossi un re

«Céline!»
«Come, non la vuoi ascoltare? Se è la tua canzone!» Céline gli aveva impedito di cambiare frequenza e cominciò, coprendo la voce del cantante con la sua: «Rischi di impazzire, può scoppiarti il cuore, perdere una donna e avere voglia di moriiiiire!»
«Céline ti giuro che se non cambi…»
«Cosa fai, ci mandi fuori strada? Dai, senti che strazio, che cuore innamorato che non guarirà mai e sente che non vale più la pena di vivere? Prendere a sassate tutti i sogni ancora in vooolooo!» gli afferrò il volante della macchina e lo sterzò sulla “o” di volo: sbandarono quasi contro il guard-rail.
«CÉLINE!» Edward riguadagnò per un soffio la corsia giusta. Se avesse avuto ancora un cuore funzionante, sarebbe stato il momento giusto per un infarto.
Céline, come se non fosse successo nulla, si mise un dito sulla bocca mentre la musica diminuiva di intensità.
«Comunque ti capisco e ammetto che sbagliavo. Facevo le tue scelte, chissà che pretendevo! E adesso che rimane di tutto il tempo insieme…»
«Smettila, adesso smettila.» ringhiò Edward, e provò un’altra volta a cambiare stazione radio. Questa volta Céline lo fermò prendendo la mano con la sua e portandosela al cuore, mentre con l’altra mimava un microfono.
«Perdere l'amore quando si fa sera, quando sopra il viso c'è una ruga che non c'era. Provi a ragionare, fai l'indifferente, fino a che ti accorgi che non sei servito a nieeeente. Senti lo strazio, Edouard, lo strazio!»
«Lasciami andare le mani che sto guidando, pazza di una francese!»
«E VORRESTI URLAAAARE SOFFOCARE IL CIELO, SBATTERE LA TESTA MILLE VOLTE CONTRO IL MUUUURO!» Céline aveva alzato la capote, messo il volume al massimo e si era alzata in piedi sul sedile.
«Vieni giù, ti ho detto basta!» Edward ringhiò di nuovo, ma dopo che vide la ragazza spalancare le braccia e fingere una crisi di pianto mentre cantava: «Respirare forte il suo cuscino, dire è tutta colpa del destino se non ti ho viciiinooo.» e dovette nascondere un sorriso. Prese il tornante successivo ai 130, sterzando col freno a mano: Céline perse l’equilibrio e cadde sui sedili posteriori. Edward spense la radio mentre il cantante si sgolava ancora per la sua bella.
La sua Bella.
Che era corsa in una fontana, l’aveva salvato, erano tornati assieme dall’Italia e si erano giurati imperituro e sempiterno amore. Poi era tornata davanti a lui, dopo un solo bacio, e gli aveva detto che aveva scelto l’altro. Ho capito che ti amo, ma amo di più lui, quindi te ti amo di meno… al quaranta per cento! La scia dei pensieri di Céline superò lo schienale del sedile e uscì dalla bocca di Bella, nel suo ricordo.
E allora Edward scoppiò a ridere senza riuscire a fermarsi, e rise per i tornanti successivi, e accese la radio in tempo per captare le ultime sillabe della canzone di Edward lo Strazio.
Dal sedile posteriore, Céline era saltata di nuovo al posto davanti e si era allacciata la cintura, come se la scena di poco prima non fosse mai accaduta.
Guidarono per un po’ con il rumore della macchina che si perdeva tra gli alberi.
«Mi stai scrutando come se volessi farmi una radiografia.» Edward si appoggiò allo schienale dell’auto e guardò di sottecchi Céline, che aveva la testa reclinata da una parte e le gambe incrociate sulla seduta. Quando smise di fissarla con le sopracciglia aggrottate, la ragazza spalancò la bocca in un sorriso di trionfo.
«Non sei più di umore nero, nemmeno una briciola. Sei» luminoso, bello «soffuso di luce dorata come un angioletto. Dobbiamo festeggiare!» possiamo lasciare qui la macchina e correre a cacciare nel bosco, ci fermiamo a fare a palle di neve in una radura, corriamo di nuovo e torniamo alla macchina, ci fermiamo in un paesino a caso per cambiare i vestiti fradici, facciamo finta di prendere un caffè, cerchiamo un locale con gli strumenti e suoniamo di nuovo come a Parigi.
«Mi dai il mal di testa! Pensi troppo veloce.» Edward si massaggiò le tempie.
Céline lo guardò incuriosita.
«Davvero? E cosa si vede nella mia testa, Edouard?»
«Lo sai benissimo cosa c’è, nella tua testa.»
«Che noioso sei» e sciocco, ti devo spiegare tutto? «Dai, non ti ho chiesto cosa c’è, prova a dirmi cosa vedi nella mia testa.» a che cosa assomigliano i miei pensieri? È rosso quando penso a una rosa, è morbido quando penso a un gatto?
Edward rifletté per un attimo, poi capì che bastava perdersi in quel circo che erano i pensieri di Céline: «Ci vedo farfalle e zebre, raggi di luna e fiabe di fate.»
Lei lo fissò dritto negli occhi. La parola sciocco che rimbombava dal suo cervello nelle orecchie di Edward venne circondata da un branco di zebre, che se la mangiarono. I resti esplosero in centinaia di farfalle colorare, e ogni battito delle loro ali sembrava una risata cristallina, finché anche la voce di Céline cominciò a ridere.
«Sì, mi piace.»

***

«Pronto?»
«Ehi, da quanto tempo.»
«Edward?»
«Ciao, papà.»
«Edward!» non aveva mai sentito la voce di Carlisle incrinata in quel modo. Sentì in sottofondo la risata squillante di Alice e il sospiro di sollievo di sua madre. «Hai lasciato il cellulare a casa.»
«Lo so, papà. Scusatemi tutti se vi ho fatto preoccupare.»
«Alice ti vedeva solo cambiare decisione continuamente. Dove sei? Torni a casa?»
«Sono in Italia e non tornerò subito, ho bisogno ancora di un po’ di tempo. Vi fidate di me se vi prometto che non farò nulla di stupido?»
«Ma certo, noi ti aspettiamo.»
«Adesso vado, papà,» Edward alzò gli occhi su una figuretta avvolta in una mantella di lana «anche qui ho qualcuno che mi aspetta.»
«Cosa?» in sottofondo la voce di Alice coprì quella di suo padre: «Ed, una francese! Sei un raffinato, fratellino.»
Chiuse la comunicazione lasciando Alice alle sue ipotesi.
Céline era a metà della scalinata che portava al duomo di Milano e guardava le guglie che si ricoprivano di bianco. Quando lo vide gli corse incontro, leggera.
«Alors, per quanto tempo hai deciso di fermarti ancora in questa valle di lagrime?»
Edward sorrise.
«Almeno per il tempo delle cattedrali.»











La tana di Otto
Questa storia ha partecipato al contest di Jakefan "Una compagna per Edward Cullen". Che cosa sarebbe accaduto se Bella avesse scelto Jacob? Chi avrebbe potuto consolare il nostro vampiro emo preferito? Questo il bando prevedeva, questo ho tentato di scrivere.
Edward non è un personaggio molto nelle mie corde: non lo capisco, non lo vorrei a stare con me. L'unico lato che mi piace, in lui, è il suo essere musicista. L'imput quindi è stato metterlo con una musicista. Perché poi abbia deciso di farla francese non lo so, e tanto più perché abbia deciso di farla parlare in francese, dato che la mia conoscenza della lingua è pari a quella di Giovanni che parla con Marina Massironi ("Oui c'est l'amour, vraiment vraiment vraiment" "L'amore nel Vermont! Bella, l'ho studiata alle medie"). Per fortuna la buona giudicia Jake mi ha betato la storia e anche gli strafalcioni linguistici. Oltre a lei, ringrazio Vannagio e Dragana, che mi hanno aiutato ad arrivare in fondo alla storia.
Non sono del tutto soddisfatta del risultato: Céline è molto simile ad Alice e, in generale, non so se i due risultano plausibili assieme. Diciamo che la pubblico sopratutto perché così evito di ripresentare Alain, su cui volevo scrivere ancora XD
Noticine:
- la frase "ti amo al 40%" è tratta dallo sketch "Che cazzo dico"
- la canzone Perdere l'amore, non ci posso fare niente, è nella lista di canzoni strazianti che a me fanno ridere un sacco (assieme a "Ricominciamo" e "Rimmel")
Rennes-le-Château secondo Giacobbo, i rettiliani e i templari, è il luogo in cui è custodito il sacro Graal.
- non che abbia una qualche importanza, ma la scena finale la immaginavo ambientata a Milano.
- come ho usato il termine "aura" nella storia: ho scopiazzato con cattiveria il potere "Auspex" del gioco di ruolo Vampiri la Masquerade. Con aura i creatori del gioco intendono un alone attorno al corpo in cui il tuo umore si riflette con una gamma di colori e intensità diverse.

Grazie, infine, a Jake che ha indetto il contest e a chi passato di qua!














   
 
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