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Autore: Trick    03/02/2013    9 recensioni
«Io non sono un eroe».
«Ah, no? Ho sentito gente dire tutto il contrario».
«La gente gonfia spesso le sue storie preferite».

Blaise Zabini ne è sicuro: la guerra che quell'idiota di Neville Longbottom smania di combattere non è mai stata la sua. Non ha mai combattuto guerre, lui. Non ne ha mai avuto motivo.
Vincitrice degli Oscar come Miglior Blaise e come Migliore Sceneggiatura al contest "Anche le Serpi meritano un Oscar" di MedusaNoir.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaise Zabini, Neville Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Note dell'autrice: Non ho scritto questa storia pensando a una pre-slash Blaise/Neville, ma devo ammettere che quando l'ho riletta mi sono accorta che poteva pure starci. Voi, beh, leggetela come vi pare. Mi sa che lo slash sta davvero avendo la meglio sulla sottoscritta.
Comunque, questo è quanto.
Ah, giusto: ho scelto "Longbottom" anziché "Paciock" perché Longbottom è più figo, ma tutti gli altri nomi sono quelli della traduzione italiana.

Questa storia ha vinto l'Oscar a Miglior Blaise e l'Oscar alla Migliore
Sceneggiatura nel fantastico contest indetto da MedusaNoir, "Anche le Serpi meritano un Oscar". Vi suggerisco di dare un'occhiata alla divertentissima cerimonia di premiazione. Grazie ancora all'originale giudice. (:




*
Fra chi vince e chi fugge


Hogwarts non era più la stessa da quando i Carrow ne avevano preso il controllo. Era ciò che pensavano tutti gli studenti, tutti i professori, tutti i fantasmi, tutti i ritratti.
Hogwarts non è più la stessa” gongolava spesso Theodore Nott nei sotterranei di Serpeverde, con il sorriso da coniglio ebbro di eccitazione. “Hogwarts non è più la stessa” si sentiva sussurrare timidamente dalle voci tremolanti dei ragazzini, con lo sguardo impaurito e perso nel vuoto e i faccini pallidi.
Hogwarts non è più la stessa”.
Talvolta se lo ripeteva anche Blaise Zabini, ma la verità era che lui non vedeva chissà quale differenza. Non era un ragazzo stupido: c'erano cambiamenti davanti ai quali nemmeno la sua insofferente apatia era rimasta immune. Draco Malfoy non aveva più vanterie con cui agghindarsi; Pansy Parkinson sghignazzava ogni giorno un poco più del precedente; quei due idioti di Tiger e Goyle si compiacevano di aver imparato da quale parte si afferrava una bacchetta; Theodore Nott gonfiava il petto nella sala comune, ma se qualcuno nominava di sfuggita l'Ordine della Fenice, piantava i dentoni sporgenti nel labbro e ondeggiava nervoso nella poltrona.
Sebbene a Blaise non interessasse cosa fosse o non fosse cambiato a Hogwarts rispetto all'anno prima, perfino l'aria che si respirava era differente.
Lui respirava lo stesso.

*

Gli occhietti porcini della professoressa Carrow sembravano ardere frenetici alla luce delle torce dell'aula di Babbanologia. Misurava a piccoli passi la stanza, lanciando sogghigni divertiti alla giovane Grifondoro in piedi accanto alla cattedra. I capelli biondi di Lavanda Brown erano spettinati e privi di forma, e pesanti ombre bluastre si erano allargate sotto le sue palpebre. Le unghie delle mani strette attorno al libro erano rovinate e mangiucchiate. Fino all'anno prima, Blaise l'aveva trovata graziosa, ma ora non gli ricordava che una tremante vecchietta infilata in una divisa scolastica.
«Il p-principale m-motivo per c-cui...».
Persino la sua voce rievocava il balbettio incerto di un'anziana.
«Più forte, ragazza!» latrò la Carrow con forza. «Il giovane Finnigan non riesce a sentirti da qui dietro!».
Blaise distolse distrattamente lo sguardo dalle gocce di pioggia che scivolano sul vetro della finestra e osservò il volto di Seamus Finnigan. Aveva sempre trovato la sua espressione spavalda piuttosto irritante. Anche il terzo marito di sua madre era irlandese – o forse era il quarto?
Avevano tutti la stessa smorfia boriosa, la stessa risata esaltata, erano pieni di sé allo stesso modo. Era abbastanza appagante vedere Finnigan con il capo chino in avanti e la schiena curva. I capelli che scivolavano davanti al viso non riuscivano a celare il grosso livido che si estendeva sullo zigomo sinistro.
Seduta accanto a lui, Calì Patil singhiozzava fra i denti. Sembrava che la fatica di ingoiare le lacrime fosse a un passo dal farla vomitare. Blaise pregò in cuor suo che non lo facesse: quella lezione era già di per sé sufficientemente penosa.
E poi c'era l'altro Grifondoro, quello più stupido di tutti.
Neville Longbottom era l'unico dei suoi compagni a mostrare la faccia. Era appoggiato con naturalezza alla propria sedia, con la testa sorretta dalle mani intrecciate e un'espressione pacata negli occhi chiari. Fissava intensamente Lavanda, con la bocca arricciata in un lieve sorriso incoraggiante. L'angolo destro del suo labbro era spaccato.
La ragazza annaspò per un poco in cerca d'aria e iniziò a scuotere il capo. Le palpebre della Carrow si strinsero in un silenzioso avvertimento.
«I-io n-non...» piagnucolò Lavanda. «I-io non r-riesco, p-professoressa».
Blaise le rivolse una smorfia derisoria. Ciò che era rimasto dell'audacia degli eredi di Godric Grifondoro era tutta lì: lividi e piagnistei.
«Leggi!» ruggì la Carrow, picchiando il piccolo piede sul pavimento. «Leggi, sciocca ragazza! Ho detto di leggere!».
«Il principale motivo per cui è lecito che maghi e streghe Purosangue considerino inferiori i Babbani è il perpetuo furto della magia dei quali sono stati vittime nel corso dei secoli» scandì serenamente Longbottom.
Fingendo di massaggiarsi una tempia, Blaise nascose un mezzo sorriso divertito. “Ecco l'altra faccia dell'audacia dei Grifondoro”, pensò con sarcasmo. Scommise con se stesso che Longbottom avrebbe nuovamente sanguinato nei tre successivi secondi.
La Carrow si avvicinò a lui come un avvoltoio e appoggiò entrambe le mani sul suo banco. Longbottom inclinò la testa con innocenza e le rivolse un mite sorriso.
Uno...” pensò Blaise.
«È dunque logico sostenere che i Nati-Babbani non sono che il frutto degenerato di tale abominevole crimine» continuò imperterrito il ragazzo.
Non guardava le pagine. Blaise si chiese quale insano motivo l'avesse portato a imparare a memoria quel ridicolo libro.
Due...”.
«Tuttavia, professoressa Carrow, ho un dubbio» riprese deciso Longbottom. «La mia famiglia discende da gloriose generazioni di Purosangue fin dai tempi più antichi. Nel nostro albero genealogico sono presenti le più nobili casate magiche della Gran Bretagna, ma... non credo di aver mai visto il suo nome». Mostrò i palmi delle mani e fece le spallucce. «Lei e suo fratello dovete avere un sacco di prozii Babbani».
E tre”.
La mano destra della professoressa si strinse attorno ai capelli di Longbottom. Gli schiacciò con forza il volto sul banco, strappandogli un gemito sommesso. Finnigan sembrò essere sul punto di scattare, ma l'amico gli fece un cenno deciso con l'indice. Blaise si stupì della facilità con cui quell'imbecille irlandese sembrava pronto a obbedire a Longbottom. Aggrottò la fronte pensieroso e fissò ancora lo sciocco e impavido Grifondoro.
Ciò che aveva detto era vero: i Longbottom discendevano realmente dalle più prestigiose e benestanti famiglie del Basso Medioevo. Qualcuno degli antenati di quel cretino pareva risalire perfino all'epoca dei primi grandi clan magici, e qualche storico della magia sembrava convinto che la stessa regina Boadicea1 fosse una Longbottom.
Di nobile e regale, comunque fosse, lui non aveva proprio niente. Nel corso degli anni si era fatto di certo più alto, un poco più massiccio e un poco meno grassoccio, e sulla sua mandibola iniziava a crescere un filo di invisibile barba bionda, ma rimaneva sempre lo stupido Neville Longbottom. Eppure qualcosa era davvero cambiato, dopotutto. Blaise non riusciva a comprendere cosa, esattamente, fosse cambiato, ma c'era qualcosa di diverso in lui. Non abbassava più gli occhi quando incrociava qualche Serpeverde nei corridoio – non li abbassava nemmeno quando incrociava il preside Piton – la sua voce non era più un imbarazzato balbettio e i suoi sorrisi pacati erano sempre seguiti da occhiate pungenti. Si era fatto davvero impavido, il nobile erede dei Longbottom.
La rabbia aveva gonfiato le guance della professoressa Carrow. Le sue dita si strinsero attorno ai capelli di Longbottom e le sue unghie gli graffiarono la cute. Blaise lo vide storcere il naso con una smorfia sofferente, ma il suo volto bruciava ancora di feroce orgoglio.
Distolse lo sguardo e tornò a osservare la pioggia che imperversava sul parco di Hogwarts. Non si mosse quando il boato provocato dal banco di Longbottom che cadeva a terra risuonò nell'aula, né quando la voce gracchiante di Alecto Carrow ruggì la prima delle tante Maledizioni Cruciatus che sicuramente sarebbero seguite. Non si voltò quando sentì Lavanda Brown strillare spaventata, quando Tiger e Goyle inchiodarono Finnigan al pavimento per impedirgli di accorrere in soccorso dell'amico, né quando Calì Patil scivolò sulle ginocchia supplicando la professoressa di smetterla. Le grida di agonia di Neville Longbottom rimbombarono a lungo fra le pareti.
Blaise continuò a guardare annoiato le gocce di pioggia scivolare sulla finestra.


*

La loro comparsa alla commemorazione aveva destato uno stupore piuttosto discreto. Qualche strega aveva additato malevola sua madre e aveva iniziato a parlottare con le vicine. Blaise non aveva bisogno di sentire i loro cicalecci per sapere cosa stessero dicendo. Sette mariti, sette funerali e sette eredità destavano sempre sentimenti controversi. Era invidia ben celata, quella.
Nonostante il trascorrere degli anni, sua madre continuava ad essere una donna dalla nobile avvenenza. La pelle scura era ancora liscia, gli occhi neri brillavano sotto le lunghe ciglia e i capelli erano ancora folti e luminosi. Blaise era l'unico a sapere che stavano iniziando a ingrigire dietro le orecchie. Sua madre era brava a camuffare l'età tanto quanto si sospettava lo fosse stata con i decessi dei precedenti mariti.
Il ragazzo non ricordava di aver mai visto il prato di Hogwarts tanto affollato: maghi e streghe si stringevano l'uno con l'altro fino a ciò che restava degli imponenti cancelli della scuola, alti cappelli a punta sporgevano dai portici semidistrutti e c'era perfino qualche bambinetto che si era arrampicato sui rami più bassi dei grossi faggi. Pareva che tutta la comunità magica fosse accorsa a rendere l'ultimo omaggio ai caduti della battaglia di Hogwarts – e molti di coloro che non avevano combattuto si erano spintonati per raggiungere le prime file.
Nel trambusto generale causato dalla comparsa del prode Harry Potter, Blaise aveva preferito scappare, Idalia Zabini2 e il suo unico figlio non erano fra loro.
Era comparso nello sfarzoso salotto della sua villa in Cornovaglia un attimo prima che il pendolo rintoccasse le venti spaccate. Sua madre era seduta davanti al caminetto: la fiammata verde l'aveva spaventata e il libro che stava leggendo le era scivolato fra le mani ed era caduto sul tappeto persiano. Blaise si era chinato a raccoglierlo e glielo aveva porto in completo silenzio. Idalia lo aveva fissato a lungo, poi si era lanciata in un abbraccio morboso e disperato. Il libro era rimasto fermo lungo il fianco del ragazzo per diversi minuti.
«Ci sono i Greengrass» commentò sua madre, appoggiando una mano avvolta in un bel guanto verde scuro sulla sua spalla. «Andiamo da loro. È preferibile non farsi vedere soli, oggi».
Blaise lanciò un'occhiata nella direzione indicata dalla madre. Daphne e sua sorella Astoria indossavano lo stesso elegante abito scuro ed erano immobili accanto ai loro genitori. Non aveva mai nutrito l'interesse di parlare con la più piccola delle Greengrass, ma Daphne era probabilmente l'unica amicizia che fosse riuscito a stringere nel corso di quegli ultimi sette anni. Lei sorrideva di più e lui si annoiava più facilmente, ma erano accomunati dalla stessa predilezione per il silenzio e per i propri affari.
Ma Blaise iniziava ad avvertire quella giornata farsi di minuto in minuto sempre più sfibrante. C'era gente che piangeva, chi si promulgava in fiacchi abbracci e vuote condoglianze, chi trovava il modo di parlare di politica e lavoro... e lui non aveva né motivo né voglia di assecondarli.
«Vi raggiungo fra poco».
Sua madre gli rivolse un'occhiata penetrante. Blaise fece appena le spallucce.
«Voglio fare due passi» aggiunse con naturalezza, girando sui tacchi e dirigendosi verso la zona del parco che gli pareva meno affollata.
Dopo diversi metri, la calca iniziò a diradarsi. Blaise continuò a seguire le fila delle colonne del porticato rimaste in piedi fin quando non fu finalmente solo. Era a pochi passi dalle serre. Da lì riusciva a vedere il sentiero che conduceva al campo da Quidditch e l'ultimo spicchio del Lago Nero che si allungava placido fino alla base delle prime colline. Incrociò le braccia fra loro e fissò distrattamente il cielo. Era una mattinata serena, priva di nuvole, il vento taceva e il clima era mite e sopportabile.
È una giornata troppo bella per fare una commemorazione funebre” si disse.
D'improvviso udì aprirsi la grande porta a vetri della prima serra e si voltò con un balzo spaventato. Neville Longbottom sorreggeva una pianta dalle foglie giallognole. Quasi metà della sua testa era avvolta in una stretta fasciatura unticcia che partiva dalla sommità del capo, attraversava la fronte, ricopriva interamente l'orbita sinistra e si stringeva dietro l'orecchio. L'occhio scoperto lo fissava perplesso.
«Zabini... cosa ci fai qui?».
Blaise inarcò un sopracciglio e fece un mezzo sorriso ironico.
«Lo hai chiesto anche a tutti gli altri?».
Neville rimase zitto qualche secondo e Blaise attese che tornasse a dedicarsi a qualunque diavoleria lo avesse condotto dentro quella serra. Indossava un raffinato completo da mago: a giudicare dal buon gusto dei polsini e dei ricami sul corpetto, e dalle raccapriccianti macchie di terriccio sul bavero della giacca, qualcun altro doveva averlo acquistato per lui. Fu piuttosto sorpreso quando lo vide appoggiare con cautela il vaso per terra e affiancarsi a lui.
«Sei l'unico che ho visto gironzolare qui intorno» spiegò con semplicità, mentre si ripuliva distrattamente i palmi sporchi delle mani nel mantello. «Le serre non sono un'attrazione turistica molto invitante».
«E perché tu sei qui?».
Neville fece un debole sorriso.
«Volevo controllare quella pianta di Radigorga3: è l'ultimo esemplare rimasto e bisogna trovare il modo di farla germogliare prima di settembre. Sai, Luna è convinta abbia il potere di allontanare i Plimpli Ghiottoni... io non ho idea di cosa siano, ma posso assicurarti che quella piantina è ottima per l'emicrania» aggiunse con una risatina divertita, indicandosi con eloquenza la tempia.
Blaise si sporse diffidente verso di lui e si umettò le labbra.
«Vuoi che ti ringrazi per avermi lasciato scappare dal castello, Longbottom?» sibilò mellifluo. «È per questo che chiacchieri tanto? Il tuo ego da vanaglorioso Grifondoro non è ancora soddisfatto?».
L'altro sbatté un paio di volte la palpebra con aria confusa e scosse il capo.
«Certo che no... non è questo il motivo» negò sinceramente. «Volevo solo... chiacchierare. Tu non chiacchieri mai?».
«No» ribatté d'impulso.
«Beh, dovresti iniziare. Chiacchierare fa bene».
«Perdonami, non sono stato chiaro: intendevo che non chiacchiero con te».
Neville lo prese alla sprovvista e scoppiò in un'allegra risata. Blaise inarcò un sopracciglio e si chiese se l'idiota accanto a lui non avesse una commozione cerebrale più grossa di quanto non apparisse. Qualche secondo dopo la sua inaspettata ilarità si trasformò in un gemito soffocato. Portò una mano sulla fasciatura, strizzò l'occhio con una smorfia dolorante e tacque improvvisamente.
«Credevo che voi Grifondoro aveste una testa molto più dura» commentò Blaise con tono pungente.
«Non è stata proprio una botta. Diciamo che ho avuto uno Smistamento un po'... focoso». La voce di Neville si fece d'un tratto più roca. «Lord Voldemort ha incendiato il Cappello Parlante sulla mia testa».
Alla sua schietta affermazione seguì un lungo minuto di fastidioso silenzio. Blaise continuò a fissare quel ragazzo dall'aspetto mite con interesse crescente. L'aveva sempre considerato un idiota – e per essersi quasi fatto ammazzare per giocare all'eroe doveva esserlo sul serio – ma, tutto sommato, era anche l'unico Grifondoro per il quale non avesse mai provato autentico disprezzo. Era solo lo stupido Longbottom, d'altronde: non era nemmeno lontanamente importante da meritarselo. E poi c'era ancora la faccenda della sua fuga da Hogwarts troncata a metà che si era insidiata fra di loro, e Blaise ne era tristemente consapevole.
Era lì, la sentiva. Guardava Neville – l'idiota Neville Longbottom – e la sua memoria volava ancora alla sera in cui era fuggito da Hogwarts. Se avesse incontrato uno qualsiasi degli altri Grifondoro, non avrebbe potuto svignarsela con altrettanta fortuna. Blaise gli era grato di avergli risparmiato la fatica di fuggire più tardi, ma la sostanza degli avvenimenti non cambiava: sarebbe comunque scappato, con o senza il suo aiuto.
«Sembra piuttosto grave» commentò.
Neville si sfiorò nuovamente la tempia e si osservò i polpastrelli come se le bende li avessero macchiati, ma sulle sue dita non c'era che terriccio umido.
«I Guaritori hanno detto che questa Magia Oscura va oltre le loro capacità curative. Dubitano che potrò vedere ancora con l'occhio sinistro» spiegò con incredibile serenità. «Ma sono stato fortunato: un altro paio di secondi e ci avrei lasciato le penne».
«Te la sei cercata» replicò duramente Blaise. «Erano mesi che te le andavi a cercare».
L'altro gli rivolse un'occhiata in tralice e sorrise con rinnovato divertimento.
«Già. Credo proprio tu abbia ragione» ridacchiò. «Sei l'unico che ha avuto la ragionevolezza di farmelo notare».
«Per amor di Salazar, Longbottom... tu conosci solo Grifondoro. È ovvio che nessuno ti abbia fatto notare che sei un idiota».
«Non è del tutto vero. Mia nonna me l'ha ripetuto tredici volte nelle ultime...» aggrottò pensieroso la fronte ed estrasse dalla giacca un orologio da taschino argentato. «Sei ore, arrotondando per difetto».
Blaise soffiò beffardo.
«Sei veramente un idiota».
«Sì, ma tu stai comunque chiacchierando con me. E per estensione di concetto...».
«Voi Grifondoro vi contagiate per estensione di concetto l'uno con l'altro da secoli» lo interruppe graffiante Blaise, lanciandogli un'occhiata sprezzante.
Neville scosse debole il capo e ridacchiò, ma non aggiunse altro. Rimasero in silenzio qualche secondo, fissando i riflessi luccicanti del sole sulle acque del Lago Nero. Uno dei tentacoli della Piovra Gigante guizzò in superficie per un istante per poi svanire nelle profondità degli abissi con altrettanta rapidità.
«Credi si sia accorta della battaglia?» domandò Neville.
«Ho sentito dire che ha mangiato qualche Mangiamorte, ma la gente gonfia spesso le sue storie preferite. Forse aveva solo appetito e ha acchiappato la prima cosa che ha trovato».
«Allora ce l'hai, il senso dell'umorismo».
«Ed è notevolmente migliore del tuo. Non c'è da stupirsene».
Neville sogghignò impercettibilmente e si sgranchì la schiena con indifferenza.
«D'altronde è risaputo che siete voi Serpeverde, quelli spiritosi».
«Va' al diavolo, Longbottom».
Fra di loro calò nuovamente il silenzio. Neville si distrasse osservando un piccolo stormo di uccelli volare ordinatamente in direzione delle montagne; Blaise abbassò la testa, perdendosi ancora nel ricordo di quella fastidiosa notte. L'accaduto continuava a irritarlo, ma dal momento che non aveva intenzione di rivedere ancora quel dannato Grifondoro, si convinse fosse il caso di mettere fine a ogni perplessità a riguardo.
«Perché non mi hai fermato?».
La domanda lo colse di sorpresa.
«Quando?».
«Non fingere di non capire».
«Oh...» esclamò Neville, annuendo fra sé. «La sera della battaglia».
Blaise gli rivolse un'occhiata di compatimento e ingoiò per l'ennesima volta la parola “idiota”.
«Avrei dovuto fermarti?» s'informò con sincerità. «Nessuno poteva obbligarti a restare e combattere».
«Ma sono un Serpeverde».
«Non sei un Mangiamorte» ribatté franco l'altro. «Avevi tutti il diritto di decidere della tua vita. Quella notte lo abbiamo fatto tutti. Abbiamo chiesto ai tuoi compagni di Serpeverde cosa volessero fare e loro hanno scelto. La maggior parte ha preferito tornare alle loro case... ma qualcuno è rimasto, sai? Come si chiama la tua compagna con gli occhiali... quella con i capelli corti?».
«Sally-Anne4».
«Lei è rimasta. Ha spalleggiato Lumacorno per tutta la battaglia».
Blaise emise uno sbuffo derisorio e si passò una mano fra i capelli.
«Sally-Anne è una Mezzosangue».
«Fa davvero differenza per te, vero?».
«Eccome» sputò sprezzante. «C'è la differenza che corre fra un idiota che si fa bruciare la testa e fra una ragazza che sta lì solo per sopravvivere. Solo per se stessa... capisci quello che intendo? Se Tu-Sai-Chi avesse vinto, prima o poi Sally-Anne sarebbe morta. Lei doveva combattere, ma questo non significa che abbia combattuto per voi. C'è coraggio e coraggio, Longbottom. Non tutti sono nati per fare gli eroi come te».
«Io non sono un eroe».
«Ah, no? Ho sentito gente dire tutto il contrario».
«La gente gonfia spesso le sue storie preferite».
Neville osservò la sua espressione ammutolita e gli rivolse un sorriso genuino. Blaise rimase interdetto, sbatté un paio di volte le palpebre, poi scosse il capo e liquidò la questione con un gesto frettoloso della mano.
«Al diavolo, Longbottom».
«Vuoi sapere perché ti ho lasciato andare?» gli chiese di colpo, intrecciando fra loro le braccia. «Vuoi sapere perché la notte della battaglia non ti ho fermato?».
«Sì».
Neville annuì con una smorfia rassegnata.
«Perché... lasciatelo dire, Zabini: ad Arti Oscure facevi più schifo di me».
Blaise arricciò il naso con aria sconcertata, ma preferì non interromperlo. Neville si grattò la nuca e fece un profondo sospiro.
«Non sei mai riuscito a usare la Maledizione Cruciatus... nemmeno una volta. Bisogna volerlo, e tu non lo volevi davvero o l'avresti fatto e basta. Se in quel corridoio io avessi incontrato qualcun altro dei tuoi compagni di dormitorio...» lasciò cadere la frase nel vuoto, ma a Blaise non sfuggì la luce improvvisamente dura che gli aveva attraversato gli occhi. «Suppongo sia una fortuna che io abbia incontrato te».
«Me la sarei cavata comunque» replicò stizzito. Poi estrasse dalla tasca un galeone d'oro e glielo porse. «Come hai potuto vedere, Longbottom, non ho avuto bisogno del tuo eroismo».
Neville sorrise sotto i baffi, ma afferrò la moneta senza replicare oltre.

*

Blaise dovette saltare gli ultimi cinque gradini per evitare che la scala incantata lo trascinasse nell'ala sbagliata del castello. Rischiò di caracollare nella veste scura, ma riuscì a restare in piedi e riprese a correre all'impazzata verso l'ufficio di Lumacorno. Il cuore gli martellava nel petto e nelle orecchie sentiva soltanto un fiacco brusio. Accelerò con forza e si fiondò in una seconda rampa di scale.
Avrei dovuto portare con me anche Daphne” pensò improvvisamente. “Ma avrei perso troppo tempo... avrei attirato troppa attenzione”.
Aveva appena svoltato nell'ultimo corridoio prima dei sotterranei quando si ritrovò davanti Neville Longbottom. Blaise rimase pietrificato con la bocca aperta in una muta esclamazione di sorpresa. L'altro ragazzo aveva la sua stessa espressione stupita sul volto livido. Preso da una rabbia cieca, Blaise estrasse la propria bacchetta e la puntò contro Neville.
«Lasciami passare, Longbottom» lo minacciò febbrile. «Lasciami passare o giuro che ti uccido!».
Neville lo fissò con sguardo penetrante, poi scosse la testa e gli mostrò i palmi delle mani.
«Non voglio combattere contro di te».
«E allora spostati!».
«Dove stai andando?» s'informò con urgenza Neville. Indicò un punto indistinto alle spalle di Blaise e aggiunse: «I Mangiamorte arriveranno da un momento all'altro».
«Davvero?» scandì con pesante sarcasmo. «Beh, grazie».
Neville scosse con decisione la testa. La mano sudaticcia di Blaise si strinse spasmodicamente attorno all'impugnatura della bacchetta.
«Zabini, non--».
«Lasciami passare!».
«E dove accidenti pensi di andare!?» ruggì con improvvisa furia l'altro. Si passò una mano fra i capelli e sbuffò frustrato. «Nella tua sala comune? Vuoi farti ammazzare seduto in poltrona?».
«Vado a casa mia, razza di idiota».
«Zabini...».
«Levati dai piedi» ringhiò con impeto Blaise, tendendo di più il braccio tremante. «Voglio raggiungere l'ufficio di Lumacorno e andarmene prima che ogni cosa qui dentro scoppi».
Neville aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi parve ripensarci e si avvicinò a lui.
Colpiscilo” si disse agitato Blaise. “Colpiscilo prima che colpisca te”.
«Non puoi scappare dall'ufficio di Lumacorno» gli confidò con espressione di lieve preoccupazione. «La Metropolvere è bloccata. C'è un passaggio che--».
«Vuoi soltanto riportarmi indietro. Bada, Longbottom: non ho paura di te».
Afferrò la bacchetta con entrambe le mani. La sua punta ormai sfiorava la camicia di Neville, ma il ragazzo non sembrava esserne spaventato. Continuava a guardare Blaise con le mani alzate in segno di resa e una luce di genuina tristezza negli occhi.
«C'è un passaggio che può condurti direttamente alla Testa di Porco: è l'unico modo in cui puoi fuggire».
Blaise socchiuse con diffidenza le palpebre.
«E perché mai dovresti aiutarmi?».
Neville parve genuinamente ferito dal profondo disprezzo nella sua voce, ma Blaise premette con più forza la bacchetta contro il suo corpo. “Colpiscilo” continuava a ripetersi con frenesia. “Colpiscilo, colpiscilo, colpiscilo”.
«Non ho motivo per non farlo» rispose franco. «Raggiungi il settimo piano, cerca l'arazzo di Barnaba il Babbeo e passaci davanti tre volte. Non smettere di pensare che te ne vuoi andare da qui... devi pensarlo intensamente, devi pensarlo con tutte le tue forze. La Stanza delle Necessità comparirà da sé. Lei saprà cosa fare». Gli appoggiò una mano sulla spalla, la strinse sbrigativo e aggiunse: «Buona fortuna».
Sfrecciò con improvvisa rapidità verso il corridoio che portava ai piani superiori. Blaise rimase inizialmente frastornato, poi si riscosse e si girò indietro.
«Longbottom!» gridò a gran voce.
L'altro si bloccò con un piede sul primo gradino, ruotò il capo e gli mostrò un largo sorriso incoraggiante.
«Hai cambiato idea? Vieni a combattere anche tu?».
«Scordatelo» replicò seccato Blaise. «Volevo solo...» s'interruppe e gli lanciò un'occhiata di biasimo. «Perché lo fai? Tu sei un Purosangue. Questa non è davvero la tua guerra».
Neville arricciò il naso e si grattò la nuca. Poi allargò le braccia e sorrise con la spensieratezza di un bambino.
«Questione di punti di vista, immagino» spiegò sereno. «Se vinciamo è un bell'affare. Se perdiamo...» fece la spallucce, ma a Blaise non scappò l'ombra cupa che calò sul suo viso. «Beh, avrò una gran bella morte gloriosa. Oh, aspetta! Prendi questa».
Frugò in una tasca dei pantaloni, estrasse una moneta e la lanciò a Blaise, che la afferrò al volo con entrambe le mani e la studiò perplesso. Era un galeone. Se lo rigirò fra le dita e sbuffò sprezzante:
«Mi paghi il giro sul Nottetempo?».
«Faresti poca strada. È finto» ridacchiò Neville. «Ma se i Mangiamorte ti fermano mentre scappi da Hogsmeade, usalo».
Alzò un braccio in segno di saluto e fece un rapido occhiolino. Blaise rimase a guardarlo mentre s'affrettava a salire le scale e svaniva in direzione dell'ingresso della scuola. Esaminò attentamente la moneta incantata e fece una smorfia denigratoria.
Usalo” gli aveva consigliato, ma poi si era scordato di dirgli come. Blaise la strinse nella mano fin quando non sentì il metallo farsi più caldo. Longbottom era pazzo quanto tutti gli altri Grifondoro pronti a gettarsi nel fuoco dietro di lui. Erano sempre stati così, loro: imprudenti, strafottenti, fastidiosi. E nessuno dei Grifondoro aveva mai avuto il cervello di realizzare che gli eserciti più arroganti erano sempre i primi a cadere in battaglia – o avrebbero di certo vinto molte più guerre, poco ma sicuro.
Morire gloriosamente è soltanto un modo come un altro di morire” si disse, ma mentre seguiva le indicazioni di Longbottom e correva verso il settimo piano, dovette comunque ammettere a se stesso che la morte di quell'idiota, sotto sotto, lo avrebbe un poco rattristato.


*


Note:
1 Boadicea era la regina dell'antica tribù degli Iceni, che guidò la più grande rivolta contro i romani dell'isola. La chiamano in un sacco di nomi diversi, da Budicca a Boudica a Bonduca... io ho scelto di chiamarla Boadicea per mero gusto personale. E no, dubito pure che i Longbottom derivino da lei, ma pensavo facesse figo.
2 Di Blaise Zabini si sa poco e niente, dunque mi sono fidata del Lexicon. La madre di Zabini è una strega famosa per la sua bellezza che ha avuto ben sette mariti, ognuno dei quali è morto in circostanze misteriose, lasciando la propria eredità a lei e al figlio. Non si sa se Blaise sia figlio di uno di questi sette sfigati – io lo dubito, francamente, ma non è importante.
Il nome che ho affibbiato a questa procace vedova è Idalia, in onore di Afrodite e della sua lunga sfilza di amanti (Idalia è uno dei suoi tanti soprannomi e deriva da un famoso tempio a lei dedicato in un'antica città-stato dell'isola di Cipro, Idalio). Adesso che ho sciorinato 'sta cosa mi sento molto saccente.
3 La Radigorga esiste davvero ed è esattamente ciò che Neville spiega – e Luna è davvero convinta che sia un Plimpo-coso.
4 Sally-Anne Perks è la ragazzina che viene Smistata nella Pietra Filosofale un attimo prima di Harry, ma visto che non è importante quanto il Pargolo-Che-È-Sopravvissuto, di lei non si conosce nemmeno l'esito dello Smistamento. Nello stesso anno di Harry c'è davvero una ragazza con gli occhiali e i capelli corti (a discapito di chi sostiene che Harry è l'unico con gli occhiali, ben vi sta), ma non si conosce la sua identità. Il Lexicon dice che è “sparita fra il primo e il quinto libro della saga”, ma siamo franchi, ragazzi: giustamente J.K. se ne è dimenticata. Cioè, ma chissenefrega di 'sta qua.
   
 
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