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Autore: RainbowCar    04/02/2013    3 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Haven. Un villaggio tranquillo. Fin troppo. Abbandonato, a dire il vero, da molti anni.
Era stato teatro di diverse stragi e macabri rituali in cui era coinvolta la magia del sangue, un bel po’ di sangue, e per questo si diceva che il posto fosse sempre infestato da demoni e spiriti malevoli dell’oblio.
In più la presenza di un alto drago sulle montagne vicine non aveva di certo incoraggiato i viandanti a fare visita al paesino ormai disabitato. Le case di legno erano ancora in buono stato, anche se le erbacce e i rampicanti si erano impossessati di buona parte delle costruzioni. Non c’era anima viva, nemmeno uno scoiattolo o un passerotto solitario. Niente. Solo silenzio.
“Perché siamo venuti qui?” domandò Altelha, spazientita dal lungo viaggio e dal clima rigido della montagna.
“Te l’ho già detto, ragazzina, ho una commissione da svolgere” rispose secco Feron.
“Sì, ma..qui? Nel bel mezzo del nulla? Sei sicuro?” chiese ancora l’elfa.
“Certo che sono sicuro. Adesso per favore fai silenzio”
“Silenzio? Perché? Quello che c’è qui non ti basta? L’unica cosa che si sente è il rumore dei nostri stivali che calpestano l’erba secca!” insistette lei.
“Io in realtà sento anche un altro rumore, molto fastidioso”
“Davvero? Cosa? Cosa senti? Io non sento nulla!”
“Sento la tua voce!” le rispose irritato il ladro.
“Ah ah ah”  reagì lei scimmiottando una risata, sarcastica.
Per mia fortuna decisero di non continuare quel battibecco e io mi ritrovai a lodare la mia omonima per la graditissima grazia ricevuta.

In passato qualcuno aveva provato a far rinascere Haven, ma senza successo. La ricerca dell’urna delle sacre ceneri di Andraste era stata ormai abbandonata per la presenza del drago, che aveva arrostito un bel po’ di pellegrini prima che qualcuno si rendesse conto che era meglio evitare di recarsi in quel posto. Inoltre le famiglie che avevano provato a insediarsi nel paesino erano scappate via nel cuore della notte affermando che vi fossero presenze maligne che impedivano loro di vivere lì.
In realtà io non avvertivo nulla di tutto ciò. Non c’erano demoni, né spiriti. Il velo non era stato squarciato e credevo che la storia dell’infestazione fosse solo sciocca suggestione derivante da ridicole superstizioni.
A mio parere non c’era nulla di intrinsecamente malvagio nella magia del sangue, era una magia come un'altra, ammesso che si fosse abbastanza forti da non farsi controllare dai demoni. Quelli che cedevano alla possessione erano i maghi deboli, cui il mondo avrebbe potuto fare volentieri a meno. Anche Merrill la pensava come me.
Merrill. Chissà dov’era ora, chissà se stava bene, chissà se era felice col suo Connor. Sarebbero scappati nel Tevinter, immaginavo, un luogo in cui avevo sentito dire che la magia non era vista come il nemico. Quel titolo, nell’impero, spettava ai Qunari.
I Qunari erano in guerra col Tevinter praticamente da sempre, e sembrava che nessuna delle due parti avrebbe ceduto così facilmente. Dopo la sconfitta a Kirkwall, qualche anno prima, i Qunari per un po’ avevano smesso di infastidire i loro avversari, per poi tornare più forti e agguerriti che mai. Evidentemente avevano preso tempo per riorganizzarsi. E di conseguenza l’impero aveva dato fondo a tutte le risorse disponibili, sacrificando per il bene comune una quantità enorme di schiavi che ormai venivano rapiti sempre più spesso anche da Paesi in cui la schiavitù era proibita. Nonostante ciò, i Qunari erano riusciti a conquistare la piccola cittadina di Carastes, decidendo, per il momento, di fermarsi lì. L’impero però aveva risposto con un attacco ad Alam, conclusosi, al contrario delle previsioni, in una rovinosa sconfitta.
Tuttavia il Tevinter sopportava ogni colpo e la capitale era ancora una fortezza inespugnabile.
Incredibile credere a quante cose interessanti si potevano scoprire viaggiando e parlando con la gente. Di molte cose ero venuta a conoscenza solo da quando ero partita e avevo come guida un ladro dalla parlantina sciolta. Perché lui parlava, e tanto. Di tutto, quasi. Ma molto poco di sé stesso.
Da quando parecchi giorni prima gli avevo fatto quelle domande personali e lui mi aveva…abbracciata, non ci era più capitato di chiacchierare da soli  e di certo non avevamo più toccato l’argomento.
Io però continuavo a chiedermi come mai non l’avessi incenerito all’istante. Mi ero ritrovata tra le sue braccia così in fretta che ero stata incapace di oppormi. Ma come gli era saltato in mente? Chi gliel’aveva chiesto? La cosa mia aveva turbato parecchio, non potevo fare a meno di pensarci e ripensarci. E ogni volta sentivo il mio viso in fiamme e il mio cuore battere più velocemente. Avrei dovuto agire diversamente, ma mi ero lasciata sopraffare. Sopraffare da un abbraccio? Non era da me, se mia madre mi avesse vista avrebbe cominciato a ridere a crepapelle, ne ero sicura. Anzi, ero sicura che mi avesse vista e che aveva riso, sebbene se io non l’avessi sentita.

Il sole ormai era quasi tramontato e stava per arrivare la gelida notte. Non avevamo ancora trovato un riparo e dormire all’aperto su quelle montagne non era una buona idea, se non volevamo rischiare di  morire congelati. Dopotutto avevamo l’imbarazzo della scelta: di cascine vuote ce n’erano a bizzeffe, ma Feron non si decideva a smettere di andarsene in giro in cerca di chissà cosa. Io e Altelha lo seguivamo, provando a captare qualche indizio utile sul suo misterioso comportamento.
D’improvviso, delle voci attirarono la nostra attenzione, rompendo il silenzio in cui sembrava fossimo sprofondati. Erano risate cristalline e gioiose, che mi riportarono alla mente le gite ai villaggi in compagnia di mia madre, dove spesso incontravo dei bambini che giocavano a rincorrersi o  a nascondersi nei campi. Avevo sempre invidiato quei bambini, sarebbe piaciuto anche a me giocare con loro, ma mia madre non me l’aveva mai permesso. Spesso mi incantavo a guardarli da lontano mentre lei sbrigava le sue commissioni, e fantasticavo su quanto sarebbe stato bello avere un fratellino con cui divertirsi.
 
Una bambina dai lunghi capelli neri stava correndo in un campo. L’erba incolta le arrivava alle ginocchia, eppure lei non se ne preoccupava, anzi, rideva del suo accompagnatore, di parecchi centimetri più basso di lei, che arrancava in mezzo a quella fitta vegetazione.
“Aspettami!” le urlò quasi disperato, “altrimenti dirò alla mamma che abbiamo fatto tardi per colpa tua!”
“E io ti trasformerò in un rospo!” ribattè lei, ridendo.
“E io dirò a papà che usi la magia senza permesso!”
“Non potrai dirglielo se ti trasformo in un rospo!”
“Smettila!” frignò il bambino, quasi con le lacrime agli occhi, mentre sua sorella si prendeva gioco di lui.
“Scherzavo! Non piangere!” lo rassicurò infine lei. “Forza, ti aspetto, ma sbrigati che tra poco sarà buio”.
 
“Credo proprio che ci siamo” disse Feron guardando i due bambini. Poi volse il suo sguardo verso di me. “Non ci resta  che chiedere a loro. Vai a parlarci e fatti dire dove abitano”
“Cosa? E perché dovrei farlo io? Non sono molto brava con i bambini” risposi seccata.
“Perché sei una donna. Saranno meno minacciati dalla tua presenza che dalla mia, non credi?”
Annuii e controvoglia mi diressi verso i due ragazzini.
Appena fui abbastanza vicina, notai che si somigliavano davvero molto. Stesso colore di capelli, stessa carnagione chiara, stessa forma delle labbra. Tranne per il colore delle iridi. La femmina le aveva di un verde smeraldo brillante, mentre quelle del maschio erano di un azzurro intenso e limpido, come il lago Celestine illuminato dal sole estivo.
A prima vista sembravano umani, ma avevano lineamenti affusolati e occhi insolitamente grandi. Eppure non avevano le tipiche orecchie a punta degli elfi.
La mia presenza sembrò stupirli molto, ma non mi parvero spaventati. Lanciarono un’occhiata alle mie spalle e videro che non ero sola. Tuttavia non fuggirono, ma rimasero in attesa di una mia mossa.
Feci un bel respiro e sfoderai uno dei miei rari sorrisi, cercando di essere più naturale possibile. Avevo affrontato cose di gran lunga peggiori, quanto poteva essere difficile approcciarsi a quei due marmocchi?
Li salutai con un timido “Ciao”. Non ero brava con le persone, ancor meno coi bambini. Che diavolo era saltato in mente a Feron? Non avevo idea di cosa dir loro…
 
“Che vuoi, sgorbio?!”
Eh? Come mi aveva chiamata quella bambina?
“Come hai detto scusa?”
“Ho detto: che vuoi, sgorbio?”
Sgorbio? Alle mie spalle sentii le risatine soffocate dei miei compagni. Come osavano ridere? Mi voltai e li fulminai con lo sguardo. Poi tornai a dedicarmi alla mia simpatica interlocutrice.
“Vedo che non sei una bambina molto educata”
“E a te che importa?”
Bene. Era un osso duro. Ma non mi sarei lasciata mettere i piedi in testa da una ragazzina.
“Hai ragione. Di te non mi importa nulla. Mi rivolgerò a lui” dissi indicando l’altro bambino. “Forse sarà più gentile di te”
“Io sono molto gentile” confermò lui, annuendo.
“Non parlarle!” intervenne sua sorella “Non mi fido, non vedi che brutta faccia che ha?”
“Adesso basta!” la sgridai. “Sto perdendo la pazienza. Chi ti credi di essere, ragazzina? Un’altra parola e ti  giuro che ti….”
La mia frase fu interrotta dal pianto disperato di suo fratello, che mi colse di sorpresa.
“Ti prego! Non farci del male! Non abbiamo fatto nulla, ti prego!”
“Non preoccuparti, ti difenderò io da questa strega!” lo rassicurò la sorella. E dalle sue mani partì una scarica di energia elettrica che mi colpì al braccio, per fortuna troppo debole per creare un danno.
 “Piccola idiota insolente! Credi forse che quello fosse un incantesimo? Adesso ti faccio vedere io come si scaglia una vera  saetta!”
Impugnai il mio bastone e lo puntai contro la mocciosa, ma una mano sulla mia spalla mi fermò.
“Basta così” intervenne Feron. “Lo ammetto, è tutta colpa mia, è stata una pessima idea mandarti da loro”mi sussurrò a un orecchio. Avvampai. Riposi il bastone e mi vergognai profondamente della mia stupidità.
Poi l’uomo si rivolse ai ragazzini, che, confusi, erano rimasti in silenzio ad osservarci con gli occhi sgranati.
“Bambini, cercate di perdonarla, è un po’ irruenta, ma non è cattiva, vi assicuro che non vi farà nulla”
“E’ stata lei a provocarci!” affermò la marmocchia, ritrovando la sua arroganza.
“Lo so, è un po’ rozza e ha un brutto carattere, ma è innocua”
La mia pazienza era messa di nuovo a dura prova.
“Ma non hai sentito? Voleva friggerci!” insistette lei.
“Certo che ho sentito, ma non l’ha fatto, visto? E’ bastato che io le dicessi di smetterla. Non preoccupatevi, obbedisce ai miei ordini” la rincuorò lui con tono complice, strizzandole l’occhio.
Ero fortemente tentata di riafferrare il bastone per puntarlo, stavolta, sulla linguaccia biforcuta del ladruncolo.
“Non so se fidarmi…” rispose titubante la mocciosa, guardandomi di sbieco.
Altelha, che fino a quel momento era restata in disparte, si avvicinò ed estrasse qualcosa dallo zaino. Poi sorridendo la porse al maschietto.
“Assaggia. E’ buonissimo”
Il bambino, entusiasta, allungò la mano per afferrare il dolcetto, ma la sorella lo bloccò.
“Non prenderlo! Potrebbe essere avvelenato!”
“Ma lei è carina! E poi lei è come papà!” rispose indicando le orecchie a punta dell’elfa.
Altelha allora spezzò il dolcetto a metà  e ne mangiò una parte per dimostrare che non era nulla di pericoloso, poi offrì il secondo pezzo al bambino, che lo prese e lo ficcò in bocca in un istante, sotto lo sguardo di disapprovazione della sorella.
“Ne vuoi uno anche tu?” le chiese l’elfa.
“E’ buonissimo!” esclamò suo fratello ancora con la bocca piena.
Lei abbassò lo sguardo e imbarazzata non potè che mormorare: “Sì, per favore”.
Poi prese il dolcetto e lo mangiò con gusto.
“D’accordo. Abbiamo deciso che possiamo fidarci di voi. Cosa volete?” Domandò non appena terminato lo spuntino.
“Abbiamo bisogno di parlare con vostra madre. Sapete dirmi dove si trova in questo momento?” chiese Feron.
“Mamma è a casa, insieme a papà ” confermò il bambino.
“Perfetto. Sareste così gentili da portarci da loro?”
“Cosa volete dalla mamma?” domandò  la ragazzina, più che sospettosa, curiosa stavolta.
“Devo consegnarle una lettera molto importante”
“Perché non la dai a noi? Gliela porteremo”
“Non posso. Mi hanno ordinato di consegnarla solo nelle sue mani. Inoltre devo anche parlarle…”
Doveva davvero essere una lettera importante se Anders aveva chiesto a Feron di fare tutta quella strada. Ma non avevo idea di chi fosse il destinatario, o meglio, la destinataria, né cosa contenesse il messaggio.
 
Finalmente i bambini si convinsero e ci invitarono a seguirli fino a casa. Non era molto distante ma sicuramente si trovava nel lato più nascosto del villaggio, quello più inoltrato tra gli stretti passaggi di montagna. Non era difficile capire come mai nessuno avesse notato che qualcuno viveva lì.
  
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