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Autore: Red_Ginger    04/02/2013    8 recensioni
Quando la vidi, per la prima volta dopo secoli il cuore morto nel mio petto sembrò riprendere a battere e la cenere arida che aveva sostituito il mio sangue diventò un fiume di lava bollente. Decisi in un solo istante che l'avrei avuta. Io sono il conte Alexandros Demetriou, e questa è la mia storia.
Una gradevole (o almeno lo spero) storia nella venezia del '700.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi dall’inferno

 

Quel mattino lo

vidi come non lo

avevo mai visto prima

e come non avrei mai creduto,

 capendo definitivamente

 che il mio cuore batteva

 solo per lui.

Il suo corpo di alabastro

si muoveva sinuosamente

 nell'acqua, senza esitare,

 facendolo sembrare una

splendida creatura marina.

Vedevo i suoi muscoli guizzare

sotto la pelle chiara, mentre

nuotava con bracciate decise.

Quando uscì dall'acqua

agilmente, lo osservai bene,

 arrossendo per lo

spettacolo che lui, inconsapevolmente,

mi mostrava. Quando si

voltò e mi vide mi sentii

 quasi morire,

 guardando nei

suoi occhi brillanti come stelle.

 

-Quindi ti ho preso, finalmente- il vecchio sogghignava, mostrando due file di denti marci. In quella segreta isolata, piccola, dal soffitto basso, le finestre minuscole, le torce ardevano alle pareti, illuminando la stanza di una fioca e inquietante luce arancione, mutevole, che creava un gioco di ombre. Il loro leggero crepitio rompeva il silenzio irreale in cui lui respirava piano. Era stato catturato. Era la fine, lo avrebbero ucciso. Ormai i turchi avevano fatto cadere quello che era stato il grande Impero Bizantino, invadendo, mettendo a ferro e fuoco villaggi e città, distruggendo, uccidendo, violentando. Lui aveva combattuto per difendere la sua patria, aveva visto morire i suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi amici, aveva resistito fino all'ultimo e alla fine i turchi lo avevano preso, dopo che era riuscito ad uccidere quattro soldati. E ora era lì, incatenato al muro, tremante di odio e di rabbia. Ma non di paura.

Gli anelli di ferro gli stringevano i polsi in una stretta morsa, tenendolo attaccato al muro di gelida pietra. Il vecchio stava arroventando un ferro sulla fornace, sghignazzando. I suoi occhi neri come la pece sembravano liquidi alla luce quasi rossa di quella stanza. Alexandros rabbrividì. Sapeva cosa lo aspettava, ma sperava di resistere il più a lungo possibile, di non tradire i suoi amici, o almeno di dar loro il tempo di fuggire lontano. L'uomo tirò via l'ferro ormai incandescente, ghignando, e si voltò verso di lui, che lo guardò con odio. Il metallo sfrigolava.

-Ora soffrirai tanto che ti pentirai di essere nato- gli disse con voce cattiva. Poi incominciò l'inferno.

 

Alexandros si svegliò di colpo. Quegli eventi, anche se appartenevano ad un'altra vita, lo perseguitavano ancora, impressi a fuoco nella sua memoria. Dei marchi, come quelli che gli avevano fatto mentre lo torturavano. Se solo chiudeva gli occhi risentiva il ferro incandescente sulla pelle, e riprovava tutto quel dolore.  Sospirò, si alzò, e si portò davanti allo specchio, dove la luce filtrava dai tendaggi, e si tolse la camicia, scoprendo il proprio fisico asciutto e muscoloso. Laddove c'erano state ferite terribili ora c'era solo pelle bianca e liscia. Dopo tutto quello che gli avevano fatto quella notte l'avevano lasciato in fin di vita, pensando che sicuramente sarebbe morto dissanguato. Ma non avevano fatto i conti con il destino. Infatti lui ad un certo punto aveva perso i sensi, e quando si era svegliato, per pochi istanti, aveva visto il cielo blu della notte fresca sopra di sé. Qualcuno l'aveva portato via. Poi aveva sentito qualcosa affondargli nel collo, e l'oscurità l'aveva avvolto di nuovo. Tre giorni dopo si era svegliato, in un palazzo semidistrutto, miracolosamente guarito, incredibilmente più forte e con una sete tremenda. Sete di sangue. Sangue che aveva bevuto dalle vene dei suoi torturatori, con gioia feroce.

E da allora aveva vissuto da solo. Era tornato alla casa dei suoi genitori. Aveva studiato, aveva viaggiato aveva prestato servizio nella marina salendo di grado, fino a diventare generale. Era diventato ricco. Incredibilmente ricco. Ed erano passati i mesi, gli anni. I secoli. Ed ora era lì, in quella villa. Una villa che prometteva di essere una vera casa, non come le innumerevoli abitazioni che aveva avuto, belle, sì, ma fredde e vuote. Si infilò la camicia di finissimo cotone, e indossò un paio di pantaloni neri, aderenti, con un paio di stivali neri, di cuoio. Quel giorno aveva voglia di fare una lunga cavalcata, di fare un lungo giro dei suoi possedimenti. Scese in sala da pranzo a fare colazione, servito da Clara, con la mente fissa su Elisabetta. Bella, pura. Come una rosa bianca. E lui sapeva di esserne perdutamente innamorato.

 

Elisabetta stava rifacendo il letto del conte, assorta nei suoi pensieri. Il giorno prima si era sentita bene con lui, su quel prato. Lei che era sempre stata una ragazza riservata, timida, aveva avuto il coraggio di poggiare la testa sulla spalla dell'uomo. Chissà che cosa aveva pensato il conte, sicuramente abituato a donne che stavano al loro posto. La ragazza sprimacciò il cuscino e, non resistendo, aspirò il profumo speziato che emanava. Il profumo del conte. Di Alexandros, come gli aveva detto di chiamarlo, anche se quasi sicuramente lei non lo avrebbe fatto. Almeno non in presenza d'altri. Elisabetta si sentì arrossire ripensando a quegli occhi così blu, così limpidi eppure così ignoti, poiché riuscivano a nascondere i pensieri del nobile. Quegli occhi che si erano fissati nei suoi. Quegli occhi misteriosi. E il corpo contro cui si era appoggiata: forte, muscoloso. Calmo, sotto di lei. Elisabetta sapeva che non avrebbe dovuto prendersi così tanta confidenza, sapeva che non sarebbe dovuta andare con lui, che non avrebbe dovuto mostrarsi così loquace, anche se lui l'aveva ascoltata per tutto il pomeriggio, facendole capire che gli piaceva la sua compagnia. Sapeva che non avrebbe dovuto permettergli di accarezzarle i capelli, che aveva sciolto precedentemente. Eppure lei si sentiva a proprio agio con lui. Le sembrava di conoscerlo da sempre, e le veniva naturale comportarsi così. La sua voce, il suo profumo, il suo viso, i suoi occhi, le sembravano così familiari, anche se era sicura di non averlo mai incontrato prima di quel giorno al mercato. Era come se il suo cuore avesse sempre saputo che l'avrebbe incontrato, come se l'avesse sempre aspettato. E questa era una cosa bella, ma che non riusciva a spiegarsi.

La ragazza a fini di sistemare la camera e scese in cucina, dove l'attendeva la governante.

 

Alexandros fermò il cavallo quando giunse vicino ad un laghetto, verso il fondo del parco. Smontò e si guardò bene intorno: quella radura era molto bella, con una vegetazione lussureggiante. Querce, cipressi, castagni, salici, nonché alberi da frutto, allungavano le loro fronde cariche di fiori, mosse dal vento leggero, creando una fresca e piacevole ombra sull'erba morbida. E il laghetto limpido, abbastanza grande, che sembrava anche abbastanza profondo, gli pareva davvero invitante, così decise di farsi una nuotata nell'acqua fresca. Si spogliò e posò ordinatamente i propri vestiti sulla riva, lasciando il cavallo libero di brucare. Entrò lentamente nel laghetto, rabbrividendo leggermente per la sua freschezza. Procedette finché l'acqua gli arrivò alle spalle, e poi s'immerse completamente, chiudendo gli occhi. Dopo un po' riemerse. Si passò una mano tra i capelli bagnati per tirarli indietro, e poi prese a nuotare, con bracciate lente e decise, godendosi quella bella giornata.

 

Elisabetta sorrise nel sentire l'aria frizzante del mattino accarezzarle il viso. La signora Antoniou le aveva chiesto di andare a prendere dell’achillea e della malva, che crescevano spontaneamente nel grande parco. Avrebbe potuto trovarle comodamente appena uscita dalla porta sul retro, ma, dato che era abbastanza presto e le andava di fare un giro, decise di spingersi più in là. Camminò tranquillamente sull'erba verde, ancora lievemente bagnata di rugiada, passando sotto i grandi alberi e aspirando il profumo dei fiori. Ad un certo punto decise di raccogliere una bella margherita, grande e profumata, e se la infilò tra i capelli. Continuando a camminare trovò quello che cercava, e dopo aver riposto le piantine nel cesto si rialzò. Sentì un leggero sciabordio, scoprendo che lì vicino c'era dell'acqua. E probabilmente qualche anatra o qualche cigno che nuotava. Ma procedendo lentamente per non spaventare gli animali, si accorse che la fonte del rumore non era né un anatra né un cigno. Era il conte, che nuotava tranquillamente, immergendosi e uscendo dall'acqua come un delfino. Era il conte, con il suo fisico statuario, che ora stava uscendo dal laghetto, grondando acqua e mostrandole inconsapevolmente la sua schiena muscolosa, le sue gambe lunghe, e il suo fondoschiena scolpito. Era il conte. Completamente nudo.

 

 

Angolo autrice:

Hola a todos :)

Mi scuso per il ritardo di questo capitolo, ma sapete com'è, quando bisogna studiare...

Cooomunque, chissà come reagirà la nostra Betta vedendo quel bonazzo come mamma l'ha fatto?? Ovviamente lo saprete nel prossimo capitolo eheheh ;)

Spero vi piaccia, e di nuovo un grazie a tutti quelli che leggono la storia, la seguono e la recensiscono!!

Un beso

BlueStarMoon

 

 

 

 

  
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