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Autore: lu and the diamonds    04/02/2013    20 recensioni
[het; angst; lemon]
[contiene scene di sesso descrittivo]
[un po' tutti x nuovi personaggi]
[storia incompiuta]
-
Sequel di I want you to stay.
-
Dal prologo:
«Hey, bello» disse a voce abbastanza alta da richiamare la sua attenzione.
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, guardandola confuso.
«Te lo succhio per 20 sterline» continuò, accennando ad un sorriso.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO XII






Zayn
Non riuscivo ancora a crederci.
Rebecca, la mia Rebecca (perché lei era mia, lo era sempre stata), mi stava baciando.
E non era il solito sogno, non era una delle infinite scene create dalla mia mente mentre guardavo il soffitto scuro della mia stanza a Londra, rivivendo i ricordi di quello che eravamo stati, stoppando sui suoi bei sorrisi e portando indietro e rivedendo mille e mille volte ancora i nostri abbracci e le passeggiate lungo il Tamigi.
Non ero nella mia casa in Inghilterra, ero in Australia, a Perth, e avevo fra le braccia la ragazza che avevo sempre amato.
«Ho bisogno di te…adesso» mi disse, la sua mano intenta a sbottonare la mia camicia leggera.
Le sorrisi, prendendola in braccio.
Le sue gambe si strinsero attorno alla mia vita, mentre la appoggiavo contro il muro.
Presi a baciarle il collo e lei continuò a sbottonare la mia camicia, finché non me la sfilò completamente.
«Z-zay…» sospirò lei. «…andiamo in camera»
Quindi, con Rebecca avvinghiata a me, mi diressi verso il corridoio, mentre lei mi indicava dove andare.
Entrammo in una stanza molto luminosa, probabilmente la sua; la feci stendere sul letto matrimoniale e in un attimo la sovrastai.
Le sfilai il vestito bianco che indossava e non potei che restare per qualche secondo ad osservarla.
Era bellissima, era la persona più bella sulla faccia della terra, in tutti i sensi.
I capelli lunghi e biondi ricadevano in parte sulla sua spalla e in parte sulle lenzuola color panna, aveva le palpebre abbassate e le labbra socchiuse, in attesa di un mio bacio.
Ma era più magra di come la ricordavo: il viso, seppure ancora bellissimo, era più scavato e le ossa del bacino un po’ più sporgenti, pensai mentre mi levavo i jeans che lasciai cadere ai piedi del letto.
E mi sentii in colpa, perché probabilmente era anche per colpa mia se a volte aveva saltato i pasti; e mi sentii pure peggio pensando che era colpa sua se anche io mi ero ridotto ad un cumolo disordinato di pelle, poco più di due centinaia di ossa e un cuore mezzo lacerato.
Ci eravamo distrutti a vicenda, l’uno lontano dall’altro fisicamente, ma non con il cuore, ché con i cuori non ci eravamo mai lasciati e mai l’avremmo fatto.
Rebecca brontolò qualcosa, ancora ad occhi chiusi, a causa della mia esitazione, così non attesi un momento di più e mi fiondai sulle sue labbra rosse e le baciai godendo di quel sapore di fragola, mentre le mie mani scorrevano sul suo corpo, che mi era mancato, tastandone ogni millimetro, per imprimerlo a fuoco nella mia memoria.
La bionda si sollevò appena per permettermi di slacciarle il reggiseno e la vidi sussultare un po’ quando con la bocca presi a sfiorarle i seni piccoli.
Come avevo potuto essere così stupido da averla lasciata andare?
Come avevo minimamente potuto pensare che sarei riuscito davvero a ricominciare senza di lei?
E come aveva potuto lasciarmi lei?
Come aveva potuto pensare che non ne avremmo sofferto?
Improvvisamente rabbioso, le sfilai gli slip e li gettai via assieme ai miei boxer.
 Non ero arrabbiato con lei, solo con il destino che aveva deciso di metterci alla prova in quel modo.
Ma noi ce l’avevamo fatta, avevamo fottuto quel destino tanto infame ed eravamo pronti a prenderci la nostra rivincita.
Rebecca mi sorrise estasiata mentre con le dita la preparavo ad accogliere il mio corpo nel suo; si sporse un po’ alla ricerca delle mie labbra; come un uccellino appena nato si sporge verso il becco della madre in attesa del cibo, lei aspettava e bramava un mio bacio.
Così l’accontentai e, mentre alle dita sostituivo la mia erezione, le nostre labbra si unirono nuovamente, le lingue pronte a rincorrersi questa volta con più passione, immerse in un desiderio quasi disperato.
Nonostante tutto cercai di essere il più delicato possibile; Rebecca trattenne il respiro nel momento in cui la penetrai e notai la sua fronte corrugarsi forse per il dolore, ma fu solo un attimo e poi mi sorrise, di un sorriso che non vedevo da tempo.
Mentre aumentavo il ritmo delle spinte dentro di lei, le accarezzai il viso.
Era troppo bella per essere vera, ed era ancora più assurdo che fosse mia.
Perché lo era.
Io e lei ci completavamo, era stato così dal primo momento e ora finalmente ne avevo la conferma: persino i nostri corpi, che quella sera si unirono per la prima volta in assoluto, combaciavano perfettamente, persi l’uno nell’altro.
Spesso avevo sentito dire che l’anima gemella non esistesse e che l’amore a prima vista non fosse vero amore, ma quando io quella notte di metà ottobre di poco più di un anno prima l’avevo conosciuta, l’avevo subito capito che sarebbe stata lei.
Era sempre stata lei, avevo solo avuto bisogno di trovarla.
 
Alcune ore più tardi, quando ormai il buio più scuro stava già iniziando a lasciare spazio alla luce chiara dell’aurora che illuminava in parte il letto su cui avevamo consumato tutto il nostro amore, sospirai soddisfatto.
Rebecca dormiva, accoccolata contro il mio petto, dentro il quale il mio cuore ancora non voleva saperne di calmarsi.
Le scostai una ciocca di capelli biondo paglia che le era caduto sul viso e mi solleticava la pancia.
Notai che sorrideva nel sonno e automaticamente sorrisi anche io.
Finalmente, dopo tanto tempo, ero di nuovo felice.
 

 
Valerie
«Che palle» borbottai, mentre Pamela mi passava la metà restante della sua sigaretta.
Aspirai lentamente, godendo di quel breve momento, e subito dopo mi strinsi un po’ di più nella giacca.
Cominciava a fare freddo sul serio ed ero certa che a breve avrebbe nevicato.
Stavo buttando fuori il fumo, quando una macchina si fermò, accostando vicino al marciapiede di fronte a noi.
L’uomo all’interno tirò giù il finestrino e ci sorrise; Pam mi fece segno di andare: sapeva che per quel pomeriggio non ero ancora riuscita a concludere niente.
Sospirai, gettando per terra la cicca, e mi avvicinai.
«Ciao, bello» dissi, appoggiandomi al finestrino e sporgendomi verso di lui.
Quello mi sorrise mostrando una fila di denti orribili.
Doveva avere una cinquantina d’anni, in testa pochi capelli a compensare fin troppe sopracciglia.
«Ciao, principessa» mi rispose, palpandomi un seno senza alcuna inibizione.
Deglutii e cercai di nascondere il mio disgusto dietro un sorriso falso.
«Mi fai salire?» gli domandai, indecisa se sperassi più in un no o in un sì.
Quello annuì.
«Hai i soldi?» chiesi ancora, per accertarmene.
Lui tirò fuori il portafogli, sicuro.
«Quando ti prendi, principessa?»
«Cento per il servizio completo»
«Bene, ma sei così bella che te ne do centocinquanta, che ne dici?»
Centocinquanta.
Non potevo rifiutare.
«Sì, va bene» stavo per dire, ma qualcuno mi interruppe, allontanandomi dal finestrino.
«Ma cosa cazzo…?» sbottai, finché i miei occhi non incontrarono un paio di pozze color smeraldo.
Il ragazzo riccio di cui non sapevo il nome (ma per il quale, ogni volta che lo incontravo, il mio cuore perdeva un battito) mi spinse delicatamente lontano dalla macchina, dicendo all’uomo «Mi dispiace, la ragazza è già impegnata»
Quello lo guardò interrogativo, un’espressione non troppo felice sul volto.
«Principessa, credevo fossi disponibile» disse allora l’uomo, rivolto a me.
«Lo credevo anche io…» risposi confusa, guardando il riccio.
E lui mi sorrise, sembrando un po’ preoccupato, per non so quale motivo.
«Piccola, e i tuoi centocinquanta euro non li vuoi?» insistette il tizio dalla sopracciglia troppo folte.
Entrambi mi guardavano ed io annuii, non potevo rifiutare.
«Te ne do trecento» sbottò allora il riccio senza-nome. «Ma vieni con me» aggiunse in fretta, fissandomi con quei suoi occhi stupendi e profondi nei quali avrei tanto voluto immergermi e…cosa stavo dicendo?!
«Oh, okay, andiamo» gli dissi e lui sorrise, porgendomi i soldi, che misi velocemente nella tasca posteriore del pantaloncino di jeans che indossavo.
Pamela, che aveva osservato la scena da poco più di un paio di metri di distanza, mi affiancò, volgendosi all’uomo nella macchina.
«Tesoro, che ne dici? Porti me a fare un giro?» gli domandò, prendendogli la mano e appoggiandola sul proprio seno, molto più prosperoso del mio.
Quello annuì compiaciuto e lei salì, lasciandomi sola con il riccio una volta che l’auto si fu allontanata.
Non sapevo bene che altro fare, così gli chiesi «Andiamo?»
«Sì» disse semplicemente, prendendomi per mano e accompagnandomi alla portella del suo macchinone nero e facendomi salire.
Mi aveva presa per mano, pensai, sorridendo.
 
 

Louis
«Harry, dove sei?» chiesi al riccio, la quale risposta mi arrivò tramite la cornetta del telefono.
«Che significa che non torni?!» sbottai. «Va bene, sì sì, okay ciao»
Chiusi la chiamata e mi alzai dal divano, diretto verso la finestra.
Le nuvole si stavano addensando su Londra, forse avrebbe nevicato.
«Bello» dissi a me stesso. «Harry che non torna con la cena e una nevicata imminente»
Sbuffai rumorosamente e decisi che ne avrei approfittato per andare a trovare Leigh-Anne.
Dopo quello che era successo pochi giorni prima, non ero più andato a cercarla, ma avevo voglia di vederla, così mi preparai in fretta e mezz’ora dopo ero al pub in cui lavorava.
Quando entrai la musica invase le mie orecchie, cercai di non badarci e mi sedetti al solito tavolo in attesa che qualcuno venisse a prendere la mia ordinazione.
Attesi cinque minuti prima che una ragazza che non avevo mai visto prima vennisse al mio tavolo.
«Salve!» disse solare. «Vuole ordinare?»
«C’è Leigh-Anne?» domandai, ignorando la sua domanda.
«C-cosa?» chiese, certa di non aver capito bene, un’espressione confusa sul volto.
«Leigh-Anne, è una delle vostre cameriere, non c’è?» spiegai, un po’ seccato.
Quella si diede una mano sulla fronte.
«Ah! Io sono nuova, ma posso andare a chiedere! Nel frattempo non vuole ordinare?» mi chiese, così scelsi qualcosa da stuzzicare e lei si allontanò in fretta.
Pochi minuti dopo un’altra cameriera sulla quarantina, che riconobbi perché l’avevo vista tutte le altre volte in cui ero stato lì, tornò con il mio piatto.
«Leigh-Anne non c’è, è da qualche giorno che non viene» sparò senza salutarmi, poggiando il cibo sul tavolo. Poi mi guardò. «Ma è evidente che tu vieni qui solo per lei»
Sospirai. «Sa perché non sta venendo?»
«Non ne ho idea, ma ha telefonato due giorni fa dicendo di avere problemi…in ogni caso non dovrei dirti queste cose» concluse e fece per andarsene, ma la fermai.
«La prego, aspetti»
La donna, Jay lessi sul cartellino attaccato al grembiule, si bloccò e mi guardò interrogativa.
«Può dirmi dove abita?»
Jay esibì un’espressione indecisa, corrugando le sopracciglia e storcendo un po’ la bocca.
«Per favore, non glielo chiederei se non fosse molto importante»
Davvero era importante? Davvero volevo rivederla così tanto?
«Oh, ragazzo, d’accordo, ma non dire che sono stata io» borbottò, scribacchiando un indirizzo sul suo block-notes delle ordinazioni, che poi strappò e mi porse.
Le sorrisi, infinitamente grato, e mi alzai dal tavolo: non avevo più voglia di mangiare, ma lasciai alcune banconote sul tavolo.
«Buona fortuna!» mi urlò dietro quella Jay, cercando di sovrastare la musica.
 
Guardai il foglietto per l’ennesima volta e mi accertai che la via fosse quella giusta, dopodiché parcheggiai la macchina e scesi in strada.
Rabbrividii e mi strinsi un po’ di più nel cappotto e, proprio quando alzai la testa verso il cielo, un fiocco di neve mi cadde sul naso.
«Lo sapevo» mi dissi, asciugandolo via e iniziando a cercare l’abitazione numero 16.
Cinque minuti dopo finalmente la trovai.
Il quartiere non era un granché e su entrambi i lati della strada si ergeva una fila di palazzine a due piani.
Mi avvicinai al numero 16 e bussai, la neve che iniziava a scendere giù sempre più copiosa.
Sentii dei passi all’interno della casa, qualcuno che scendeva velocemente dal piano superiore.
Quando Leigh-Anne mi aprì, non avrebbe potuto esibire un’espressione più stupita.
«C-cosa…cosa ci fai qui?» mi domandò, non riuscii a capire se esasperata o solo stanca, passandosi una mano nei capelli ricci.
Erano legati in modo disordinato sulla testa e un ciuffo le ricadeva sul viso; delle occhiaie profonde cerchiavano gli occhi scuri e di solito vivacissimi che però mi sembrarono spenti.
«Ciao» la salutai semplicemente, non sapendo bene che altro dire.
«Senti Louis, non è giornata, davvero, p-per favore, va via… Non so nemmeno cosa ci fai qui» disse, raccogliendo le braccia sul petto, probabilmente rabbrividendo per l’aria fredda che veniva dalla strada.
«Posso entrare?» le chiesi, pregando per un sì, ma ecco che la solita espressione scettica fece la sua comparsa sul suo viso.
«Perché dovrei farti entrare? E poi chi ti ha dato il mio indirizzo?»
Sospirai.
«Stavo passando da queste parti ma la mia macchina si è fermata e non parte più» mentii spudoratamente, ma ero sempre stato un abile attore. «E sapevo che abitavi qui… Puoi farmi entrare? Chiamo qualcuno e mi faccio venire a prendere subito»
Lei esitò e fece per dire qualcosa ma poi si bloccò.
«Sta nevicando*, per favore…» provai ancora, spostandomi appena per liberarle la visuale e mostrarle la neve che iniziava a coprire la strada.
Leigh-Anne sospirò a sua volta, ma si fece da parte per farmi entrare.
Quasi non riuscivo a credere di averla convinta.
 
«Allora…» disse, mentre mi toglievo il cappotto e lo appendevo ad un attaccapanni accanto allo specchio nel corridoio. «…come mai passavi da queste parti?» mi domandò.
Cazzo.
«Ehm…» iniziai, incerto se dirle la verità od omettere qualcosa. «Ero andato fuori a mangiare una cosa fuori, visto che uno dei miei coinquilini era andato a comprare la cena ma non è più tornato…»
Mi voltai verso di lei: se ne stava in piedi a due metri di distanza da me, quasi come se fossi un malato da tenere lontano, appoggiata contro muro. Indossava il pantalone di una tuta che metteva in evidenza il fisico formoso e un maglioncino nero; mi guardava in un modo strano, come se mi stesse esaminando.
«…e poi ho deciso di prendere questa strada per non passare dalle vie più affollate ma la mia macchina ha deciso di abbandonarmi» conclusi, con un sorriso che però non scalfì il suo volto pensieroso.
Leigh-Anne annuì brevemente e mi fece cenno di seguirla in cucina.
«Ti va una tazza di tea?» mi propose, mentre mi sedevo.
«Sì, grazie»
L’ambiente era piuttosto piccolo, ma accogliente, arredato in uno stile un po’ antiquato; mi sistemai meglio sul cuscino che imbottiva la sedia e osservai la riccia riempire il bollitore di acqua e posizionarlo sul fuoco.
Lei si voltò verso di me e percepii il suo imbarazzo mentre si appoggiava al mobile, in attesa che l’acqua bollisse.
Era tutta assorta a fissare il pavimento, ma un lieve tossire dal piano superiore della casa la fece scattare.
«Scusami un attimo» disse, poi abbassò appena la fiamma del gas e la vidi sparire su per le scale correndo.
Così mi misi a riflettere: quella situazione era alquanto assurda.
Cosa ci facevo io in casa di quella ragazza, della quale a stento conoscevo il nome?
E soprattutto perché avevo voglia di parlare con lei, conoscerla meglio, piuttosto che scoparmela e basta?
Proprio in quel momento, il mio telefono iniziò a vibrare nella tasca dei pantaloni.
Lo tirai fuori e guardando il display non riconobbi il numero che vi lampeggiava sopra.
«Pronto?» chiesi, una voce femminile mi rispose.
Sgranai gli occhi.
«Casey, tesoro!» la salutai, senza alzare troppo la voce, non volevo che Leigh-Anne mi sentisse.
«No, certo che non mi sono dimenticato di richiamarti! Anzi avrei tanto voluto, ma avevo perso il tuo numero!» improvvisai, dandomi una mano sulla fronte.
Casey era una ragazza che mi ero portato a letto poco prima di conoscere Leigh-Anne; ovviamente dopo non mi era minimamente passato per la testa di richiamarla.
Sentii dei passi che rimbombare nelle scale, quindi mi affrettai a chiudere la telefonata. «Scusami, devo andare, ti richiamo, promesso»
La riccia rientrò in cucina e mi lanciò un’occhiata che finsi di non notare.
«Hai avvisato qualcuno di passare a prenderti?»
«Mh-mh, ma non nessuno può venire» mentii ancora. «Se per te non è un problema, aspetto che smetta di nevicare così forte e poi vado»
Lei annuì brevemente, spegnendo il fuoco e versando l’acqua bollente in due tazze.
Immerse le bustine del tea al loro interno e poi le sistemò sul tavolo, una di fronte di me, l’altra davanti a sé.
Con un cucchiaino iniziò a girare in modo distratto nella bevanda calda, e io la imitai.
Non mi era mai capitato in tutta la mia vita di non sapere cosa dire, così sparai la prima cosa che mi venne in mente.
«Come mai è da qualche giorno che non vai a lavoro?»
La riccia sollevò lo sguardo, spostandolo dalla tazza verso me, e mi fissò, inarcando un sopracciglio.
«Che ne sai che non ci sto andando?»
Ouch, domanda sbagliata, pensai, maledicendomi.
Decisi di dirglielo.
«Ero passato dal pub per vederti ma non c’eri… così ho chiesto di te e me l’hanno detto»
Lei sospirò, lasciando andare il cucchiaino e appoggiando una tempia contro la mano, il gomito puntato sul tavolo.
Ero quasi certo che stesse per aprirsi con me, che mi avrebbe fatto intravedere un pezzo di sé, una sua debolezza, un qualcosa, ma mi resi conto di essermi sbagliato quando borbottò un «Devi smetterla di venire a cercarmi, Tomlinson» fra i denti.
Bevvi un sorso di te, pensando a cosa dirle.
«Perché?» chiesi allora, semplicemente. Ero davvero curioso di sapere la risposta.
«Perché non la capisco questa tua ossessione per me…»
«Ma non è un’ossessione!» ribattei, sistemandomi un po’ sulla sedia.
Lei corrugò la fronte.
«Oh, andiamo! Quanti anni hai?» mi domandò, accennando ad un mezzo sorriso.
«Ventuno!» dissi sicuro, ma quando il suo sorriso si allargò, aggiunsi un «Perché, tu quanti ne hai?»
«Venticinque, te l’avevo detto che eri piccolo per me»
Ah. Bene.
 
 
Passò un po’ di tempo prima che parlassimo di nuovo, nel frattempo entrambi avevamo finito il nostro tea.
La stavo osservando: nonostante si notasse che stava un po’ a pezzi, era comunque bellissima.
Non di quelle bellezze banali e un po’ troppo viste, lei era bellissima in un modo diverso.
Anche con i capelli disordinati e la tuta e le occhiaie e le risposte acide e i “vaffanculo” che non mi aveva ancora detto a voce ma che ero certo avesse pensato di dedicarmi almeno un paio di volte da quando ci conoscevamo.
Leigh-Anne, quasi sentendosi chiamata in causa, sollevò lo sguardo e vide che la stavo fissando, così si riscosse.
«Credo che stia nevicando di meno» buttò lì, indicando con un cenno della testa la finestra.
«Mi stai cacciando per caso?» chiesi di rimando, il tono un po’ offeso sebbene non lo fossi davvero: in fin dei conti ero io quello che le era piombato in casa, senza alcun diritto di invadere la sua abitazione.
«Sì, Louis, ti sto cacciando»
«Oh, okay» dissi alzandomi e dirigendomi verso l’attaccapanni per recuperare il mio cappotto. «Almeno non mi chiami più “Louis Tomlinson”, ma solo “Louis”. E’ un passo avanti» aggiunsi, strappandole una risatina.
Avevo superato me stesso, davvero, farla sorridere due volte nella stessa sera era un record!
«Non ti ci abituare» mi rimbeccò lei, ancora sorridendo.
Mi avviai verso la porta e l’aprii, rabbrividendo.
Leigh-Anne mi seguì, così presi un po’ di coraggio e le chiesi «Posso passare anche domani?»
Il sorriso sparì dal suo volto.
«Io non credo che sia il caso…»
«Lo so che è la vigilia di Natale» la interruppi. «Ma è anche il mio compleanno e starò da solo»
Lei mi guardò confusa. «Non ci credo che non hai nessuno con cui stare»
«Credimi» insistetti.
In realtà non avevo neppure voglia di stare coi ragazzi l’indomani.
Erano tutti troppo presi dai loro problemi, probabilmente nemmeno l’avrebbero ricordato, il mio compleanno.
«Senti…» iniziò lei, grattandosi la nuca. «Mio padre non sta molto bene, non so come si sentirà domani…»
«Passo soltanto a salutarti e poi me ne vado, promesso» giurai solennemente, portandomi una mano sul cuore.
Leigh-Anne roteò gli occhi, trovando la mia scenata troppo teatrale, ma sorrise mentre uscivo dalla porta e restavo sulla soglia.
«Oh, okay! Ora vattene però»
Le sorrisi di rimando e feci per avvicinarmi per baciarle una guancia, ma lei si allontanò e socchiuse la porta.
«Buonanotte, Louis!» disse, soffiando nella fessura rimasta.
«Buonanotte» replicai, ridacchiando, dirigendomi poi verso la mia macchina, che non aveva mai smesso di funzionare.

 




 

Spazio autrice:

AMATEMI! HO POSTATO CON SOLO UN GIORNO DI RITARDO HAHAHAHAHAHA
no, seriamente, amatemi, lol.

Allora, allora, allora, andiamo per gradi! 
Prima di tutto devo ringraziarvi per tutte le visualizzazioni e le TRENTASEI RECENSIONI!
Cioè, vi giuro, non potevate farmi più contenta (e a dire il vero vedere che il capitolo vi sia piaciuto così tanto
mi ha fatto venire voglia di scrivere il nuovo e pubblicarlo al più presto!)
NON LO SO, VI AMO, OKAY. CIAO.

Andiamo avanti: molte nelle recensioni mi hanno chiesto come mai gli Zebecca non avessero *tossisce*
Praticamente originariamente il pov di Zayn che sta in questo capitolo, andava nello scorso
ma era venuto troppo lungo quindi l'ho messo in questo, non vogliatemene!

Pooooi, nulla, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! 
Dato che in molte amate la coppia Louis/Leigh-Anne (che potremmo chiamare Louisanne? avete proposte? lol)
vi ho scritto una scena loro bella lunga!


DOMANDE: 
-i capitoli così lunghi vi scocciano e dovrei accorciarli?
-il nuovo banner vi piace?
-vi siete chiesti cosa fosse quell'asterisco vicino allo "sta nevicando" di Louis? 
(la risposta è: sono stata tentata di scrivere "CIEEE LA NEVAAAA"
sono stupida e ho riso per dieci minuti, dovevo dirvelo per forza AHAHAHAHAHAHA)

Nel prossimo capitolo: 
cosa succederà fra Valerie e Harry?
cosa è successo a Danielle?
Niall sarà andato a parlare con Emily o si sarà tirato indietro?


Comunque vi ringrazio infinitamente per tutte le recensioni/visualizzazioni e
 un grazie va anche a chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite, siete fantastiche, vi amo.

Per qualsiasi domanda o chiarimento potete trovarmi su twitter o ask.fm c:
 
A presto babies,
Lu


SPAZIO PUBBLICITA':
ho pubblicato una OS Larry, ma è una cosa molto tenera e senza scene spinte,
quindi anche se non siete Larry shippers potete leggerla c:
se vi va, è questa: The Invincible.

e poi volevo consigliare una long (sempre Larry AU ispirata a The A-Team)
scritta da mia sorella, I don't want to need you
GIURO CHE NE VALE LA PENA, E' MOLTO PIU' BRAVA DI ME A SCRIVERE!
  
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