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Autore: JosieBliss    26/08/2007    7 recensioni
Ginny Weasley aveva dodici miseri anni quando si svegliò nella Camera dei Segreti, mentre mani che erano pallidi ragni le sfioravano il viso.
Genere: Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Tom Riddle/Voldermort
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Per chi non ha letto quello splendido, meraviglioso romanzo che è Il Maestro e Margherita di Bulkakov, i due nomi del titolo non significano nulla. Perciò, una breve spiegazione: un giorno uno scrittore geniale immaginò che nella sua città, Mosca, arrivasse il diavolo con tutta la sua corte, composta da un interprete dagli occhiali rotti, un demone zannuto e un gatto parlante di nome Behemoth. Il diavolo si celava giustamente sotto le vesti di Woland, professore e stregone di magia nera. Suo scopo, trovare la strega che guidasse il Gran Sabba, la quale, tradizionalmente, doveva chiamarsi Margherita. E così trovo l'unica Margherita di Mosca, la vestì dei panni di strega, la fece volare nuda sui tetti e guidare il Gran Sabba, perchè il sangue era già stato versato molte volte sulla terra, e laddove era caduto crescono ora dei grappoli d'uva. In cambiò dei favori della donna, egli liberò il suo amante e comagno, il Maestro, rinchiuso in una clinica psichiatrica per aver sostenuto nel suo libro su Ponzio Pilato che Gesù Cristo era realmente esistito.
Ispirandomi liberamente e facendo galoppare la fantasia, eccovi il mio Woland e la mia Margherita.

Ginny Weasley aveva dodici miseri anni quando si svegliò nella Camera dei Segreti, mentre mani che erano pallidi ragni le sfioravano il viso.

La severa divisa consumata nell’usura di due e più mani le cominciava ad andare troppo stretta, l’aveva detto alla mamma, ma ormai l’anno era finito, ci avrebbero pensato a fine agosto, ed intanto le gambe magre, due giunchi acerbi che si allungavano inesorabili, quelle ginocchia spigolose, giacevano scomposte sul pavimento di pietra grigia.
Ginny Weasley non era bella, o almeno, non lo era ancora. Aveva un visino affilato, le orecchie delicate e sporgenti, da elfo, un naso lungo spruzzato di lentiggini, grandi occhi nocciola, timidi e sfuggenti e una dolce bocca a cuore. Era una ranina languida, coi seni incipienti, un ossatura di tessere di domino e riccioli rossi filtrati da un sole interiore, fermo e caldo come pochi.
Era riservata, silenziosa, educata. Ingenua, malinconica, pallida.

E aveva un diario.
Un diario dalla copertina nera, vecchio cinquant’anni, dalle pagine bianche, ma lise, come se molte e nessuna mano le avessero sfogliate.
Quel diario era di Tom, e Tom era il suo migliore amico.
Con dolce premura l’aveva ascoltata innamorarsi, piangere, ridere.
L’aveva consigliata, sostenuta, l’aveva portata nel suo mondo, e soffici fiocchi di neve erano caduti in un Hogwarts antica e lontana, un ritratto in seppia.
E lì l’aveva visto, e per un attimo aveva dimenticato Harry Potter.
Perché Tom era bello. E camminava sul lago ghiacciato, senza scivolare, lo sguardo assorto nel nulla. Si era tagliata un ricciolo rosso, l’aveva nascosto tra quelle pagine bianche. E i suoi riccioli sapevano di margherite, con cui imbottiva i cuscini per dormire di sonni senza sogni.
Aveva sofferto di insonnia, Ginny.
Aveva pensato di tagliarsi le braccia con le forbicine da unghie, piccoli tagli regolari e non troppo profondi, giusto per non sentire il male di dentro. Ma Tom l’aveva salvata. Le aveva detto che era bella, che era splendida, che era una regina. Che Harry non la meritava. Aveva scritto di lui fino a consumarsi le dita.

Ginny aprì gli occhi, e lo stupore le impedì di urlare. Ci mise un po’ a mettere a fuoco, la vista annebbiata dal sonno, il ragazzo annebbiato dal tempo.
“Svegliati, piccola Ginny, è tardi, devi andare a scuola.” Le sussurrò Tom, inginocchiato su di lei. Quella voce lontana, fredda e suadente come l’argento, fu come un colpo di pistola. Scattò in piedi, pronta a correre, pronta a vincere.
“Tom!” esclamò, cercando di tirarsi in piedi, ma le gambe erano talmente indolenzite che ricadde per terra.
“Tom!” ripetè il giovane Lord Voldemort, con scherno. Allungo una mano opaca, impalpabile, forse per aiutarla ad alzarsi. Ancora sconvolta dalla grazia feroce del suo sguardo e da quella voce estranea, Ginny l’afferrò. Le parve strano poterla toccare. Tom sembrò leggerle nel pensiero.
“Vedi Ginny, tu mi tocchi, mi sfiori, mi senti, e un banale essere umano non potrebbe farlo, tanto meno una ragazzina insipida come te.” Ginny si sentì trafiggere il cuore da un centinaio di spilli “ ma tu sei pregna di me ed io di te, hai travasato in me la tua mente sciocca, la tua carne infantile,ed io ti ho donato briciole del mio spirito, della mia essenza. Guarda le tue mani, Ginevra.” E quel nome infedele riecheggiò nella Camera dei Segreti, da colonna a colonna, risvegliando gli spiriti dell’Inghilterra.
Ginny si guardò le mani. Erano piccole, ben fatte. Bianche e quasi trasparenti. Un gemito le sfuggì dalle labbra.
“Non preoccuparti, Ginevra, non è così male quaggiù.” mormorò serio Tom guardandola dall’alto. La sovrastava di qualche spanna, e sul bel viso aveva un espressione solenne, lontana.
“No!” Ginny parlò con voce isterica da uccellino.
“Cosa, Ginny? Dolce, piccola Ginny, perché no? Non saresti contenta di rimanere con me, di rimanere quaggiù per sempre?”
“No!” Ginny urlò più forte, stringendo i pugni, corse fino alla porta serrata e vi battè le mani pallide e trasparenti. “Aiuto! Aiutatemi! RON! FRED, GEORGE! PERCY!” le sue urla non servivano a sovrastare la risata di Ridde.
“Non ti servirà urlare, Ginevra, non ti verrano a cercare, nessuno si è mai preoccupato di te! Ginny, Ginny…” cantilenò davanti alla sua espressione terrorizzata. “ non piangere. So essere un coinquilino piacevole.”
“Harry mi salverà!” piagnucolò Ginny, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
“Ma certo! Harry l’eroe, Harry Lancillotto! Si è mai preoccupato per te, Ginny? Ti ha mai guardato?” a grandi passi, l’ombra le si avvicinò. Ginny si schiacciò contro il muro, Tom le afferrò i polsi con forza. “ Chi ti ascoltato? Chi ti ha guarita? Chi ti è stato accanto pazientando alle tue inutili chiacchiere? Io! IO!” Tom aveva alzato la voce. “Guardami, Ginny Weasley, tira fuori un po’ di coraggio, dimostra di non essere così inetta e debole, non lo sai che non bisogna mai abbassare lo sguardo?!” e dicendo questo le afferrò il mento e le alzò il viso, piantando il suo sguardo glaciale negli umidi occhi nocciola.
“Hai paura, Ginny? Non eravamo amici?” sussurrò, storcendole i polsi, facendole male. Ginny fissò quei terribili occhi neri, venati di rosso. Annuì.
“Brava, Ginny, cominci a capire come funziona. Si, eravamo amici.” Tom la lasciò andare, fece una piroetta, la guardò sorridendo sincero, mentre lei scivolava lungo il muro.
“Tu eri così fragile! In qualsiasi altra occasione non avrei esitato ad ucciderti. Gli esseri deboli come te mi disgustano. Ma mi servono.” Tom ridacchiò, soddisfatto delle sue cattiverie.
“Credi ancora che il grande Harry Potter arriverà a salvarti?” la interrogò con sarcasmo.
Ginny fece un sospiro, traballando si alzò in piedi.
“Io non sono debole. Harry mi salverà. O altrimenti, mi salverò da sola.” sibilò tali parole con rabbia e paura, cercando e frugando dentro di sé, incapace di capire da dove venissero fuori.
“Io mi fidavo di te.” aggiunse, ricacciando indietro le lacrime.
Tom scoppiò a ridere.
“Ti salverai da sola? Tu ti salverai da sola? E come sentiamo, cercando di commuovermi? Harry ti salverà? Ti salverà da me?”
“Ha ucciso Tu-Sai-Chi, non vedo come non possa uccidere anche a te!” Ginny fece un passo in avanti, sfidandolo con lo sguardo. Non sentiva più il bisogno di piangere, non aveva più paura. Il viso di Tom sembrò sbiancare, se era possibile far impallidire un ricordo, e Ginny capì di aver trovato la ferita.
“Ha ucciso Tu-Sai-Chi?” Tom scandì le parole, estraendo la bacchetta. “Ne sei sicura?”
Ginny non indietreggiò di un passo.
“Certo.”
Tom le puntò la bacchetta contro e forze invisibili la attrassero contro di lui. Ginny tentò di resistere, inutilmente.
Si trovò a qualche centimetro da lui in un batter d’occhio, e sentì le sue mani gelide sul collo, tra i capelli, e sentì la sua anima dentro di lui. Il suo sguardo era vivo, più vivo del mare, di carbone ardente, pieno di rabbia, pena ed orrore. Ginny voleva obliarsi in quello sguardo, e la paura scemò via come un vestito vecchio, come una divisa da buttare.
“Ora ti pentirai di esserti innamorata di me, Ginevra.” mormorò Tom, e fiamme ultraterrene danzavano nei suoi occhi.
La baciò.
E Ginny vide ogni cosa. Vide l’orfanotrofio squallido e asettico, i bambini negli stracci grigi e logori, vide piccoli volti pieni di paura e terrore, e un coniglio impiccato ciondolare dalla trave di un soffitto. Vide l’abbandono, la solitudine, l’avidità di sapere. Vide una grotta e magia primordiale, vide Hogwarts, immutata, dolce, accogliente, si sentì a casa, vide professori ammirati, coetanei avidi e invidiosi, vide che aveva potere e poteva sfruttarlo. Vide le proprie mani cambiare, allungarsi, divenire pallidi ragni, agguantare segreti, vide uccidere e gioì dell’aver ucciso. E vide un nome, scritto e riscritto in prove infinite, un nome solenne, famoso e terribile. E vide lei, lei in quella stanza, stesa per terra, dalle gambe magre come giunchi, ma in fiore, non bella, ma prossima a diventarlo, fresca, pulita, pallida e ardente.
Ginny respiro forte, libera dall’incantesimo, portandosi una mano alla bocca.
“Ne sei sicura, Ginny?” ripetè Tom Orvoloson Ridde, riponendo la lunga bacchetta nelle proprie tasche.
“Tu…”
“Io.” Ginny sentì le gambe cedere, si sentì cadere nel blu infinito, e mani bianche la sostennero.
“Ginny, Ginny Weasley, qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi cosa vorrai che accade, ora, tra cent’anni, in questo corpo o in un altro, tu sarai mia. Mi apparterrai, e mi servirai, mi custodirai, perché hai mio ricordo, mia forza, mia coscienza, mi manterrai vivo, ed io parlerò e vivrò per la tua bocca ed il tuo cuore. Tu non hai il mio marchio sulla pelle, ma l’hai nell’anima, ed esso è indelebile, eterno. E ucciderò con le tue mani e abbraccerò con le tue braccia.”
  
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