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Autore: Ely79    04/02/2013    1 recensioni
Kyle William Anderson è lo scapolo più desiderato della città. Affascinante, colto, gentile, con un lavoro rispettabile. Nessuno, eccetto la sua famiglia, sa che ha trascorso diciassette anni all'Inferno. Ora però una donna occupa i pensieri del mago, scatenando dubbi e agitando i conflitti irrisolti tra lui e il fratello minore: Timmi.
[Ispirata alla serie "Sangue di Demone" di Shade Owl]
Genere: Commedia, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II - I fratelli Anderson
II – I fratelli Anderson

Cominciava a non sentire più i piedi. Si era tolto scarpe e calzini, e aveva risvoltato i pantaloni quel tanto da evitare che finissero per inzupparsi nell’acqua del lago. Era una cosa che non faceva da quando era bambino, da prima che i demoni dentro lui e Timmi travolgessero le loro vite.

Possibile che una simile eventualità potesse ripresentarsi anche a distanza di anni? Realizzare di avere con sé un grande dono, ma usarlo per il fine sbagliato? Potevano i sentimenti essere un’arma tanto potente e scellerata nelle sue mani? Era questo che lo spaventava sopra ogni altra cosa: il non avere la certezza di meritare tanta fortuna, che il proprio passato volesse giocargli un tiro mancino offrendogli una visione di felicità per poi rivelargliela come una scena di desolazione e sofferenza.
Caricò il braccio, pronto a lanciare l’ennesimo sasso nel lago.
«Tirane un altro e ti arresto per disturbo della quiete pubblica» ringhiò una voce alle sue spalle.
Kyle scrollò le spalle, accennando un sorriso amareggiato.
«Qualche scoiattolo si è lamentato, Sceriffo?» sospirò abbandonando il gioco.
«Disturbi me e questo basterebbe ad assicurarti la cella, visto che ho promesso a Skadi di non fare più di così» brontolò affiancandolo.
Anche Timmi era scalzo, ma la sua natura demoniaca gli permetteva di non subire le brusche variazioni di temperatura. Guardandolo, nessuno avrebbe potuto dire che avesse i piedi in ammollo nelle acque gelide.
«Ti diverti, non è vero?» domandò Kyle, presagendo un nuovo attacco alla propria dignità.
«Per niente» mentì, levandosi il cappello.
«Stai ridendo» osservò piccato, scrutandolo con la coda dell’occhio.
Timmi chinò il capo per un attimo, prima di scoppiare a ridere come un pazzo. I capelli corti e neri sbiadirono fino tornare del loro vero colore, un verde pallido. L’altro scosse il capo, rassegnato al ruolo dello zimbello di casa. Sentiva di non sbagliare, supponendo che Skadi e Ariel avessero già provveduto a raccontargli della loro conversazione, aggiungendo una copiosa dose di ipotesi, dettagli e deduzioni arbitrarie. Se fosse stato diversamente, Timmi non sarebbe andato a cercarlo.
«Direi! Non avrei mai potuto pensare a una tortura migliore. Tu, il temutissimo Divoratore di Anime, alle prese con rogne da romanzetto rosa! Arrivi a tanto così dal far fuori me e Gaeliath - cosa non da poco -, e una gonnella ti devasta peggio di quanto abbia fatto io!» sghignazzò afferrando un masso e scagliandolo all’altro capo del lago senza il minimo sforzo, sollevando una colonna d’acqua alta quanto gli alberi intorno.
«Non ti facevo un tipo da rose e cioccolatini» riprese Timmi dopo un lungo silenzio e il lancio di un paio di grosse pietre. «Pensavo ti presentassi accompagnato da mostri assassini, Demoni Scheletro e cadaveri sparsi» aggiunse, ricordando il teatro del loro scontro peggiore, ormai quasi vent’anni addietro.
«Nemmeno tu lo sei, a quanto dice Nadine» rimbeccò vago, cambiando immediatamente registro appena scorse minacciosi bagliori ambrati nello sguardo dell’altro. «In effetti trovo rose e cioccolatini piuttosto banali. Preferisco una piacevole serata sulla terrazza del mio appartamento, accompagnata da buon vino e brani di John Coltrane. Sono molto meno sudici».
Non riuscì a sentire quale imprecazione suo fratello avesse coniato per l’occasione: poteva solo immaginare fosse qualcosa di particolarmente offensivo, rivolto allo sfoggio che faceva della propria classe. In rare occasioni sua cognata si era divertita a provocare il consorte rimarcando quell’enorme differenza tra loro.
A malincuore, doveva ammettere che Ducan l’aveva reso una persona migliore sotto quel punto di vista: gli aveva assicurato un’istruzione di tutto rispetto e la frequentazione di ambienti prestigiosi, incontri con personaggi culturalmente elevati e socialmente stimolanti; gli aveva trasmesso l’amore per la bellezza e l’eleganza, la passione verso l’antico e la storia, sia nella versione canonica sia esoterica. Elementi che pareva apprezzare persino un mostro come Adar Molok.
Timmi non era stato altrettanto fortunato e tentava di non farglielo pesare, nonostante intuisse che gliene importasse veramente poco o niente.
«Lei non è come le altre» riprese d’un tratto.
«Se ha un debole per te, no di sicuro. Devono mancarle parecchie rotelle» commentò sprezzante.
Un globo lampeggiante di magia verde-azzurra crebbe di fronte alla mano aperta di Kyle, che però lo dissolse subito, sospirando abbattuto di fronte alla smorfia irritata del fratello.
«Scusami, non so che cosa mi sia preso. Sono in un momento pessimo» e tramutò un sassolino in un martin pescatore che scomparve tra le acque. «Non so se merito ciò che mi sta accadendo dopo quello che ho fatto. Non sono certo che diciassette anni d’Inferno siano sufficienti a sollevarmi dalle mie colpe».
«Se dipendesse da me, non meriteresti nemmeno di respirare».
«Sempre così petulante quando si tratta di farmi presente quanto non ti vado a genio, vero, fratellino?»
In una frazione di secondo il mondo si rimescolò, riempiendosi di fruscii, tonfi e scariche di dolore. Timmi lo aveva colpito con tanta rapidità da essere stato praticamente invisibile e l’aveva scaraventato a terra parecchi metri più in là.
«Dì quella parola un’altra volta e azzero ogni problema, tuo e mio. Pensala come ti pare, ma tu per me non sei un fratello» mugghiò avvicinandosi, la voce distorta dall’emergere del lato demoniaco.
«Lasciamo perdere, non ho voglia di litigare con te. Sei l’unica persona che vorrei avere vicino, anche se non ti va» lo zittì Kyle, rimettendosi in piedi ben consapevole dei rischi che correva. «L’ho conosciuta anni fa, all’epoca della ricerca della Fornace Demoniaca. Non sto a dirti quanto mi abbia sconvolto sapere che si ricordava di me dopo tutto questo tempo e che sperava di ritrovarmi».
«Allora chissà che bella personcina dev’essere. Un’altra pazza assassina con manie di grandezza e deliri di onnipotenza, pronta a spingerti a conquistare il mondo con chissà che marchingegno. Come se non ne avessi avute abbastanza tra i piedi...» mugugnò scalciando l’acqua.
Alcuni sassi ai piedi di Kyle si trasformarono in un turbine di sabbia che svanì dopo pochi secondi.
«Sapevo che non avrei dovuto parlartene. Con te è impossibile avere una discussione civile» dichiarò amareggiato, facendo per andarsene.
Lo Sceriffo lo agguantò per un braccio, obbligandolo a restare dov’era.
«Ehi, datti una calmata o ti calmo a modo mio. Okay?»
Kyle attese che lo lasciasse andare ma non si mosse. Rimase immobile, fronteggiando il fratello minore senza alcun timore delle ondate di potere magico che emanava. Neppure le fiamme arancioni attorno al suo pugno lo spaventavano particolarmente, anche se avrebbero dovuto.
«Qual è il tuo problema, Timothy? Eccetto me, intendo» inveì. «Non è mai stato un mistero che il mio ritorno dagli Inferi non ti piacesse e posso capirlo, ma non posso accettare questa mancanza di rispetto verso una persona solo perché dimostra affetto nei miei confronti! Una persona che nemmeno conosci, per giunta. Passi il prendere in giro me: so di essere ridicolo, una caricatura imbarazzante! Mi sto comportando da stupido perché non so gestire una relazione o presunta tale, ho il terrore di fingere di darle quello che cerca solo per disperazione, perché voglio credere al miracolo di provare amore per qualcuno. Se però credi che ti lasci sputare sentenze su di lei perché ritieni che meriti d’essere trattata come un mostro per via del fatto che… forse… potrebbe… amarmi…» concluse a mezza voce, incapace di proseguire.
Un’improvvisa angoscia l’aveva invaso nel pronunciare quelle parole. Poi, guardando in volto il fratello, capì. Comprese il motivo di quella reazione così ostile e della paura che lo stava assalendo.
«Benvenuto nel mio mondo all’epoca in cui ho conosciuto Nadine» borbottò lo Sceriffo, sprofondando le mani nelle tasche. «Bello schifo, ti pare?»
Il silenzio calò nuovamente tra i fratelli Anderson. Rimasero a guardare le acque placide, chiusi ciascuno nei propri pensieri, distanti eppure vicinissimi.
«Lascia che ti dica una cosa, Kyle. Quando ho incontrato Nadine, ho tentato di tenerla lontana da me. Ed io di starle lontano. Non volevo ci andasse di mezzo, che dovesse pentirsi di avermi conosciuto. Se qualcuno doveva fare una brutta fine o starci male, volevo essere solo io. Doveva essere così».
«Curioso. Nel parcheggio dell’ospedale avevo avuto un’impressione molto diversa» considerò assorto Kyle, ricordando con quanta foga aveva protetto l’amica di allora. «Scusa, ti ho interrotto».
Timmi ringhiò nervoso.
«No, tu hai rotto e basta. Ora cuciti la bocca e fammi finire» grugnì, aggiustandosi il cappello. «Più provavo a mettere muri tra me e lei, più mi faceva orrore l’idea di tornare a essere solo, anche se non gliel’ho mai dato ad intendere. Non siamo i migliori partiti dell’universo, con quello che abbiamo alle spalle. O dentro, nel mio caso. Facciamo paura, diventiamo violenti e perdiamo il controllo. Se non succede, finiamo invischiati in faccende che causano danni e dolore nella migliore delle ipotesi. E a chi ci sta accanto tocca raccogliere i cocci, subire di essere mal visti, insultati e via dicendo. Persino essere feriti o uccisi. Se pensi che questa donna possa sopportare di restarti vicino anche a queste condizioni, allora va bene. Altrimenti, allontanala. Nessuna merita di sopportarci contro la sua volontà. Non potremmo perdonarcelo».
«Sembri papà quando usi questo tono» disse Kyle, piuttosto sorpreso.
«Sai che non me lo ricordo» tagliò corto.
Detestava parlare di un passato di cui non aveva alcuna memoria. Era una delle poche cose che suo malgrado invidiava al fratello: poter ricordare i volti e le voci dei loro genitori.
«Non so, Timmi. Io… sono confuso. Non ho chiaro cosa stia accadendo, non ho il controllo della situazione. Non ho controllo sui miei pensieri. Ma so che lei vuole starmi vicino, me lo dimostra ogni giorno e so che può farcela. Se mi vuole davvero, ovvio. Dopo tutto, veniamo entrambi dalle tenebre, dovrebbe funzionare».
L’accenno mise Timmi in allarme. Istintivamente allungò la mano fino a sfiorare l’impugnatura di Nova, che teneva nella tasca interna della giacca.
«Di cosa parli, esattamente? Succubi? Demoni? Possessioni? Emanazioni di qualche tipo? Non una delle Erinni, eh? Perché in quel caso devo dirtelo: i tuoi gusti fanno vomitare» snocciolò, preparandosi al peggio.
«Qualcosa di meno complicato».
«Ovvero?» insisté, tutt’altro che sollevato.
«È un licantropo».
Timmi lo guardò di traverso, massaggiando il mento per impedirsi di urlare la prima cosa che gli fosse venuta in mente. Quasi sicuramente un insulto.
«Nessuno ti ha spiegato che a questo mondo esistono quelle che si chiamano “donne”? Perché ti assicuro che è così. Ne conosco almeno una dozzina in città che smaniano per entrare nelle tue grazie, anche se suppongo intendano il contrario».
«Lo sapevo anche prima, ma lei è spontanea, brillante, intelligente, travolgente. Dolce. Viva. E quando muta ha uno splendido mantello color dell’ebano, screziato di bruno dorato» sorrise tra sé.
«Allora ha ragione Skadi. Una perversione ce l’hai: sei un feticista delle pellicce. Ce l’ha almeno un nome questa tizia o la chiami con un fischio? O le tiri una bistecca?» lo stuzzicò, ma si accorse che frustrazione e suscettibilità dell’altro se n’erano tornate da dove erano venute.
Non c’era gusto a dargli contro quando si faceva scivolare di dosso le cattiverie. Vederlo sereno e disteso gli dava la nausea. Lui ancora faticava a sentirsi in pace col mondo per dieci minuti, mentre pareva che quel rigetto d’Oltretomba fosse prossimo a scoprire il segreto della pace interiore. Era insopportabile.
«Vado. Non scomodarti a darmi un passaggio, una passeggiata mi farà bene» disse Kyle, incamminandosi con le scarpe in mano.
«Meglio per te, non te l’avrei offerto comunque» rimbrottò raccogliendo a sua volta gli stivali.
Raggiunsero uno slargo tra gli alberi, dove lo Sceriffo aveva lasciato il pick-up d’ordinanza.
«Ci vediamo, Timmi» salutò, dandogli una pacca sulle spalle.
«Il meno possibile» lo ammonì secco.
Salì in macchina e gettò con rabbia il cappello sul sedile del passeggero. Invidiava l’assenza di neuroni del copricapo: se avesse potuto permettersela, si sarebbe evitato un sacco di grane.
«Io sono mezzodemone, ho una strega per moglie, mia figlia è una creatura magica che non so bene come inquadrare, abbiamo un cane che non ha una definizione genetica certa, ho uno stuolo di amici tra i più improbabili dell’universo, una triglia per sorella adottiva e un cretino per fratello… giusto una donna lupo mancava in famiglia!» sbottò, poggiando la fronte sul volante per la disperazione.
Pensò agli stupidi reality sulle famiglie VIP per cui Nadine e Ariel andavano pazze. Stava per avviare il motore quando un’immagine assurda gli passò nella mente: il cottage visto da lontano, scintille colorate intorno, Dran che rincorreva creature assurde che zampettavano nell’erba e, sopra il tetto, una scritta lampeggiante: “Meet the Anderson. Una comune famiglia paranormale”.
Gli vennero i brividi e un bisogno impellente di scolare una bottiglia di vodka. Passò le mani sulla faccia, prima di tornare a guardare Kyle che si allontanava lungo il sentiero.
«Danny, un giorno ti farò sputare la verità sul perché me l’hai fatto riportare indietro!» ruggì inferocito.

***

Il Custode dell’Eden levò perplesso lo sguardo oltre la finestra, i cui vetri ancora ticchettavano. Fuori, la luce era calata impercettibilmente e stormi d’uccelli si erano levati in volo cinguettando impauriti.

Liz, fingendo di continuare a leggere, si spostò un poco più in là sul divano e lui la fissò interrogativamente.
«Beh? L’hai sentita, no? Era la vocina flautata di Gaeliath che ti salutava pieno di amore e affetto come suo solito» ironizzò la strega, voltando lentamente una pagina.
«E quindi?»
«So che non l’hai notato, ma questo vestito è nuovo di zecca» rispose, sventolando il pizzo della gonna con un certo entusiasmo. «Preferirei che gli schizzi dei tuoi organi interni non lo rovinassero».
«Non ha detto che sta arrivando ora. E comunque, non può farmi niente, sono un Custode dell’Eden. La morte non mi tocca» le fece presente.
«Vero, la morte no, ma Timmi con i suoi pugni, sì. Meglio essere previdenti» e così dicendo levò una barriera magica tra di loro.

***

Una leggera brezza agitò le fronde della bouganville sulla terrazza. Lungo il parapetto di mattoni correva una fioriera, interrotta da una pedana che ospitava una coppia di chaise longue incassate fra le doghe. Una spruzzata di fiammelle incantate si rifletteva in piccole lanterne di rame africane, spandendo aloni variopinti nell’aria. Le note placide di un brano soul cullavano il dopocena dei due commensali, distesi beatamente sui cuscini candidi delle poltrone. Tra di loro, un grande piatto da portata ormai vuoto.

Arshan allungò un braccio, intingendo l’indice nella salsa rimasta sul fondo.
«Cubi di manzo alla senape di Digione, con composta di cipolle e rosmarino e glassa agrodolce alla melagrana» disse, imitando il tono esaltato della presentazione di Kyle. «Se decidessi che le antichità non fanno più per te, posso assicurarti che come cuoco avresti un futuro» gli confidò, succhiandosi il dito.
«Con la magia è facile riuscire a preparare piatti da gourmet, ma si tratterebbe di un inganno verso i clienti e non ci sarebbe l’autentica soddisfazione d’aver portato in tavola una propria opera» confessò, facendo oscillare il cognac nel bicchiere a tulipano.
«Stai parlando del fatto che la carne nel piatto non aveva lo stesso colore quando l’hai tolta dal forno?»
La testa di Kyle cadde all’indietro con un risolino liberatorio e imbarazzato.
«Giuro che non riesco a capire perché quel dannato affare ce l’abbia con me».
Da quando viveva in quella casa, ogni suo tentativo di estrarre cibo commestibile dall’elettrodomestico si era rivelato infruttuoso. Dalla banale crème caramel, al più ardito dei soufflé o degli arrosti, le teglie avevano restituito un’ecatombe di croste bruciate, incartapecorite e maleodoranti.
«Sei solo un po’ distratto» lo giustificò lei, sistemando sulla spalla i capelli neri, stretti in una lunga treccia.
«Assolutamente vero. Non riesco a cucinare e parlare con te allo stesso tempo» concordò strizzando l’occhio.
«Stai dicendo che è colpa mia se fai pasticci in cucina?» lo accusò, gli occhi chiari che riflettevano il baluginio dei lumi incantati.
«Al contrario. Sto dicendo che trovo più interessante conversare con te che spadellare».
Provava sempre una profonda insicurezza nei secondi successivi a quelle frasi. A volte sentiva le labbra tremare, in attesa di scorgere l’effetto che le parole avrebbero prodotto su Arshan. Gli sfuggivano di continuo, era incapace di trattenersi.
Arshan scivolò sui cuscini, fino a stendersi con i piedi oltre la pedana. Socchiuse gli occhi, sporgendo un poco la lingua tra i denti per assaporare il gusto delle sere di tarda primavera.
«Oggi alla galleria sono passate delle persone» disse lei, giocherellando col piercing che aveva all’ombelico.
«Clienti?»
«Impiccioni. Il Vicesceriffo Donovan e altri due. Un folletto piuttosto suonato e un Templare».
L’uomo annuì pensieroso.
«Trys e Darth, senza dubbio. Amici di mio fratello. Ti hanno importunata?»
«Sì e no. Sono rimasti davanti alla vetrina principale per un bel pezzo. Credo stessero guardando me, ma non ho potuto domandarglielo: quando sono uscita in strada, se l’erano svignata. Detesto quando la gente mi fissa come se fossi un fenomeno da baraccone» aggiunse con evidente disappunto.
Non mi vogliono tra i piedi e poi manifestano tutta quest’attenzione per la mia vita privata. Che bell’esempio di coerenza, pensò Kyle stizzito. Peggio delle comari di paese.
Stava facendo il possibile per proteggere se stesso e soprattutto Arshan da intrusioni, pettegolezzi e pregiudizi, eppure pareva impossibile arginare la curiosità altrui.
«Parlerò con Donovan. Questa cosa sta prendendo una piega spiacevole».
Si sarebbe morso volentieri la lingua. Aveva giurato che non avrebbe accennato in alcun modo all’interesse manifestato nei loro confronti, per cui si affrettò a specificare cosa intendesse dire.
«Gli Sceriffi e i loro sottoposti sono tutori della quiete e dell’ordine pubblico, no? Beh, sembrerebbe che se lo siano dimenticato. Questi atteggiamenti ledono la nostra quiete e il nostro lavoro. Che penserà la gente se dovesse ripetersi la stessa scena? Che la Contea ci tiene d’occhio per qualche motivo» glissò.
«Potresti dirlo a tuo fratello. È il capo, no?» suggerì Arshan.
Kyle deglutì a vuoto. L’idea di ripresentarsi da Timmi dopo avergli parlato quel pomeriggio era un azzardo di proporzioni colossali. Dubitava che Gaeliath si sarebbe trattenuto dallo sbriciolarlo.
«Procediamo un gradino alla volta, partiamo dal semplice. I miei poteri sono inferiori a quelli di Donovan, ma posso discuterci senza correre il rischio di finire massacrato alla prima sillaba» sogghignò passando distrattamente una mano sullo stomaco. «Perdonami, Arshan, ma da cosa riconosci un Templare? Un folletto ha caratteristiche peculiari, ma un Templare è pur sempre un uomo. O sbaglio?» domandò, sorseggiando il liquore.
«La maggior parte dei guerrieri di quella risma odora di muffa, calcinacci, sangue rappreso e pergamene vecchie. La loro nota caratteristica è l’incenso rancido, ne sono impregnati fino al midollo. Devo dire però che questo Darth aveva anche altri odori addosso. Odori insoliti».
«Insoliti?» chiese Kyle incuriosito, allungandosi a sua volta sulla chaise longue per guardare le stelle.
«Zucchero filato, menta, pepe. Resina ed erbacce. Dolore e sofferenza. E shampoo alla camomilla» elencò.
«Shampoo alla camomilla?!»
   
 
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