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Autore: Aleena    05/02/2013    3 recensioni
Shasta, un drow dalle grandi ambizioni, intesse una relazione proibita con Kania che lo porterà davanti al giudizio della sua Dea. La sua condanna all'eterno dolore, però, si trasforma nell'occasione di potere e di libertà che per tutta la vita aveva, inconsapevolmente, atteso.
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1a Classificata al contest "Imprisonment: because there isn't only happiness in our life" indetto da Visbs e Tallu_chan sul forum di EFP.
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I fantasmi di Che'el Phish'
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IV – RITUALI

 
  In piedi dietro una colonna, Dresden mosse impercettibilmente la testa, sollevandola quel poco che gli necessitava per poter osservare la scena mantenendo una parvenza di dimesso rispetto.
Gli era stato concesso di rimanere nella sala come supporto, assieme alle altre due guardie con cui aveva trascinato i due prigionieri verso il loro destino. Dovevano attendere fin quando il rito fosse concluso, poi trascinare via la bestia in cui lo jaluk si sarebbe tramutato.
L’aver venduto Shasta gli aveva fruttato bene, ma la soddisfazione per il nuovo grado non era nulla a confronto di quella che gli dava il poter assistere alla disfatta dell’amico. Shasta era sempre stato un fastidio che doveva sopportare: sua madre era una maga più importante di quanto fosse quella di Dresden, il che l’aveva costretto a farselo amico, nonostante la pelle gli si rivoltasse dal disgusto ogni volta che gli occhi dell’altro gli si posavano addosso, carichi di quel desiderio innaturale che l’aveva infine condotto al Tempio. Shasta aveva avuto molto dalla vita, troppo: aveva scampato la punizione per i suoi desideri, era riuscito a sottrarre uno schiavo dalle prigioni e a farlo proprio e, nonostante questo, se non fosse stato scoperto nel giro di un anno o meno sarebbe salito di grado. Dresden non poteva contare su altro che non fosse il suo bell’aspetto: era un combattente mediocre e lo sapeva, ma forse un giorno una femmina importante – e aveva una precisa idea di quale -  l’avrebbe scelto come amante. Il pensiero era insieme allettante e umiliante: doveva curarsi come una puttana elfica solo per essere appetibile mentre Shasta viveva la vita con la passiva tranquillità di chi sa di potersi prendere con la forza quello che desidera. Dresden non lo sopportava. Per questo aveva insistito, pregando il Capitano sotto il quale operava di sceglierlo come guardia per il rito: voleva assistere, qualunque fosse il prezzo.
Dalla sua posizione Dresden poteva vedere l’intera parte alta della sala: le sacerdotesse avevano disperso il sangue dell’umano col quale Shasta aveva tradito il patto di servitù di ogni jaluk, ed ora il liquido rosso brulicava di piccole figure nere, che se ne nutrivano per conto della loro Madre. Tre Sacerdotesse, dall’alto delle loro portantine, avevano le mani scure avvolte da spire di fumo cangiante, che vibrava dal nero, al giallo, al viola, e poi da capo. Dalle gole delle Incantatrici sorgeva un canto che era nello stesso momento un ordine e una preghiera a Colei che le aveva generate.
«Belbau udossa l´ yorn» dicevano, nel tono lento e incorporeo della trance. «thir´ku nindol og´elend wun natha ghinda. Wun natha drider. Udos lar dos Lolth1»
«Ve ne prego, mie Signore, mie Padrone. Sono stato ingannato, non era mia intenzione… vi supplico, risparmiatemi…» piagnucolava Shasta, strisciando sul pavimento invaso da piccoli ragni inviperiti, il volto stravolto dal panico. Nessuno gli prestava attenzione, neppure gli schiavi che reggevano le portantine – come potevano? Le Sacerdotesse avevano accecato loro gli occhi e tagliato le orecchie perché non potessero sapere nulla, perché non potessero tradire il loro segreti. E poi, se anche avessero potuto sentire la sua supplica, cosa avrebbero fatto? Nessuno jaluk sano di mente avrebbe sfidato l’ira della Dea per salvare un altro maschio dalla giusta punizione.
La litania delle Sacerdotesse somigliava a un onda: si alzava e abbassava seguendo il ritmo dell’Invocazione, i toni che si addolcivano e indurivano secondo un ritmo scandito da qualcosa che Dresden non riusciva a capire, mentre le volute di fumo si allargavano, riempiendosi di qualcosa che somigliava ad un lampo fluido, poi si ritraevano ed infine si dilatarono, muovendosi come mani artigliate verso la patetica creatura che Shasta sembrava ora. Lo avvolsero, sollevandolo da terra, e gli si infilarono negli occhi, nel naso, nella bocca, nella pelle; e dove gli artigli di potere toccavano, la cute si arricciava e bruciava, come se a percorrerla fossero state lingue di quella lava che scorreva sotto i loro piedi. Quando l’avvolsero completamente, Shasta urlò a pieni polmoni, gridando un dolore talmente straziante che Dresden, incauto, piegò le labbra in un sorriso divertito, rischiando l’ira di femmine che non avrebbero comunque potuto vederlo: tenevano gli occhi chiusi, sul volto l’espressione estasiata di chi stai  godendo del più perfetto degli orgasmi, e tuttavia c’era una vena di paura nella loro voce, che spandendosi nell’aria si era fusa con l’eco di parole già dette in una cacofonia stridula e terribile, il suono di un inferno liquido e meraviglioso che stesse per sommergerli. Dresden chiuse gli occhi, scampando al rischio di finire a sua volta accecato: la potenza del rito era terribile, lo jaluk aveva immaginato che dovesse esserlo, ma questo
Finì tutto in una nota roca e vibrante. La luce del potere si spense e la sala ripiombò nell’ombra congegnale agli occhi di un’ilythiiri. E, quando Dresden venne chiamato per trasportare la creatura nel quartiere degli schiavi, non poté fare a meno di sorridere.
Perché la punizione di Shasta era stata peggiore di quanto chiunque di loro avrebbe mai potuto prevedere.

 


1 “donaci il potere. Trasforma questo traditore in un mostro. In un drider. Noi ti preghiamo Lolth. ”

 
 
  
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